24

— Cosa ti sei fatto alla gamba? — chiese Alec fissando suo padre.

Con aria seccata, Douglas borbottò: — Disarcionato da un maledetto cavallo. Ci crederesti? Quattro giorni fa. Ho dovuto starmene qui seduto durante tutta la battaglia cercando di dirigere le operazioni per radio. — Gettò il microfono sul letto,da cui rimbalzò con un tonfo metallico per terra.

— Avresti potuto risparmare molte vite dicendo…

— Ho già ordinato ai miei uomini di cessare il combattimento — lo interruppe Douglas. Aveva l'aria stanca, sebbene la sua voce fosse forte e imperiosa come sempre. — È quello che stavo facendo mentre tu salivi di soppiatto le scale. E puoi anche mettere via la pistola. Non ho intenzione di spararti — e indicando la carabina, — questa non è neanche carica.

Alec si avvicinò al letto, prese la carabina e l'appoggiò contro lo stipite della porta. Poi rinfoderò la pistola.

— Hai combattuto molto bene — dichiarò Douglas, ingrugnito. — Non mi aspettavo che tu fossi così bravo.

Accostando al letto l'unica sedia della stanza, Alec ribatté: — E io non mi aspettavo che tu avessi dei carri armati.

— Credevi che ti avessi fatto vedere tutto? — rise Douglas.

— E lei dov'è?

— Angela? L'ho spedita in un villaggio una settimana fa insieme alle altre donne. Tornerà, adesso che la battaglia è finita.

— E Will?

Douglas scosse la testa. — L'ultima volta che ho avuto sue notizie gli avevano ammazzato il cavallo che cavalcava. Ma non preoccuparti per lui. Russo ha la fortuna dalla sua.

Dopodiché non rimase altro di cui parlare. Molte erano le cose da dire, ma niente di cui parlare.

Fu Douglas a rompere il silenzio. — Così hai vinto.

— Già.

— E adesso cosa ti proponi di fare?

Alec guardò fuori dalla finestra, poi tornò a fissare il viso stanco di suo padre. — Sono venuto per i missili. Li porterò sulla Luna.

— Sai dove si trovano?

— Me l'hai mostrato tu, non ricordi?

— Oh… Sì, è vero. Non…

— Sta andandoli a prendere Kobol con una squadra specializzata.

— Kobol? Hmmm.

— Ti condanneranno a morte — sbottò Alec. — Sei un traditore.

— Me l'immaginavo — disse Douglas senza scomporsi. — Se non fosse stato per questa dannata gamba non sarebbe stato tanto facile catturarmi.

— Kobol ha intenzione di sposare mia madre — mentre lo diceva, Alec si rese conto che era vero. Lo sapeva da sempre ma si era sempre rifiutato di crederci.

— Kobol? Benone! Tempo un anno e lo servirà a fettine su un piatto d'argento. Sono degni l'uno dell'altra.

Alec fremeva.

— Non fare lo stupido — gli disse suo padre. — Kobol le faceva la corte anche quando io ero ancora lassù. E lei lo incoraggiava. Questo è uno dei motivi per cui me ne sono andato. Era evidente perfino a me.

— Ti aspetti che ti creda?

— Non me ne frega niente se ci credi o no — rispose Douglas con un sorriso amaro. — Io ho terminato quello che mi ero proposto di fare. Il mio lavoro è finito. Il tuo è appena cominciato.

— Come? Cosa vuoi dire?

Prima che Douglas avesse il tempo di rispondere tre autoblindo si fermarono sferragliando davanti alla casa e si sentì il vocìo di parecchi uomini. Uno sbattere di porte. Passi pesanti sulle scale.

Jameson entrò nella stanza puntando il fucile. — Tutto bene? — chiese ad Alec.

Alec annuì e si alzò. — Questo è Douglas Morgan — disse. — Fa' sorvegliare questa casa. Nessuno deve uscire senza il mio permesso. Installerò il mio quartier generale nella prima casa di questa via, dove è parcheggiata la mia autoblindo.

— Va bene — disse Jameson.

— Immagino che il condannato abbia diritto a un pasto, stasera — disse Douglas.

Alec non aveva più il coraggio di guardarlo in faccia. — Provvedi tu — disse a Jameson.

Poi lasciò suo padre seduto sul letto, circondato da sconosciuti armati.


Alec cenò da solo nella casa di Angela. Era il primo pasto caldo da parecchi giorni. Aveva quasi finito quando Kobol entrò a precipizio in cucina.

— Li abbiamo presi! — gracchiò spingendo da parte la guardia di sentinella davanti alla porta.

Alec lo guardò. Era stanchissimo, mentre Kobol era giubilante, poco mancava che si mettesse a ballare.

— Li abbiamo presi! — ripeté Kobol. — Ne avremo per almeno cinquant'anni!

— E dopo?

Kobol rimase interdetto. Il suo sorriso trionfante cominciò ad appannarsi. — Cosa vuoi dire?

Alec cominciava a capire almeno in parte quello che gli aveva detto tempo prima Douglas — E dopo? Cosa ne sarà della colonia fra cinquant'anni?

— Be', ne troveremo degli altri. Cinquant'anni sono tanti. Che senso ha preoccuparsi ora, in questo momento!

— No — rispose Alec. — No, hai ragione.

— Ordinerò che un paio di navette vengano qui a prenderli domattina all'alba. Possono atterrare all'aeroporto di questa base.

— D'accordo.

— E voglio che sia imbarcato anche Douglas. Lo stanno aspettando.

Alec respinse il piatto ancora mezzo pieno e si alzò. — No.

— No? Come sarebbe a dire?

— Ho detto "no". Tu non riporterai Douglas sulla Luna. Penseremo a lui noi, qui. Me ne occuperò io.

— No, non lo farai — dichiarò con durezza Kobol. — Finora hai fatto a modo tuo ma è venuto il momento di renderti conto che io sono un membro del Consiglio, e ho l'ultima parola nel…

Alec sfoderò la pistola. — Martin, puoi portare i materiali sulla Luna e tornarci anche tu domani. Io verrò tra poco. Ma Douglas resta qui. Ha scelto di vivere sulla Terra e qui sarà sepolto. Se vuoi essere sepolto anche tu qui, basta che tu dica ancora una sola parola. — La voce di Alec era sommessa come il ronron di un leopardo. — Una parola sola, tutto qui.

Kobol aprì la bocca ma non ne uscì nessun suono. Poi la richiuse con uno schiocco percettibile dei denti. Era pallido di rabbia e di paura.

— Bene — concluse Alec indicando la porta con la pistola. — E adesso vattene a fare quel che devi fare. Lascia Douglas a me. E tieni le mani lontano da mia madre fino al mio ritorno. Non dimenticare che anche lassù puoi essere ucciso facilmente come qui.

Schiumando di rabbia, Kobol si voltò e uscì zoppicando.

Alec rinfoderò la pistola e finì di mangiare. Ma non aveva più fame. Si sentiva più vecchio e più stanco di suo padre, stanco e miserevolmente solo.

La guardia sbirciò dentro. — Signore?

— Cosa c'è?

— Abbiamo un prigioniero. Qualcuno che avevate detto di volere vedere.

— Will Russo.

— Così dice di chiamarsi.

— Fallo entrare. — Alec tornò ad alzarsi mentre Will entrava. Era sporco e aveva gli abiti ridotti in brandelli ma quando entrò in cucina e vide Alec sfoderò il suo bonario sorriso.

— Non scherzavi parlando di un esercito numeroso, eh?

Alec gli porse la mano e Will l'afferrò.

— Stai bene? — gli chiese Alec. — Hai mangiato? Sei ferito?

— Muoio di fame, ma per il resto sto bene. I tuoi uomini ci hanno tenuti impegnati per sei ore. Mai visti tanti cannoni e tanti laser in vita mia.

Alec lo fece sedere al tavolo e ordinò che gli portassero da mangiare. Rimase poi a guardare Will che divorava voracemente tutto quello che aveva davanti, innaffiandolo con un litro di latte appena munto.

— In quale villaggio è andata Angela? — gli chiese.

— Non lo so — rispose Will a bocca piena. — Ma verrà qui presto. Vuole vedere Douglas, curarlo.

Vuole curarlo pensò Alec con una fitta di gelosia.

— Avete avuto molte perdite? — chiese per cambiare argomento.

— Parecchie. Voi eravate in molti, meglio armati e siete anche stati più furbi di noi.

— Sono contento che tu non sia stato ferito.

— Figurati io! — ribatté Will con una fragorosa risata. — Ma molta brava gente ci ha lasciato la pelle.

Alec annuì. — Però adesso è finita — disse.

— Finita? Oh, no, perdio! Sta solo cominciando.

— Cominciando?… Cosa vuoi dire?

— Chiedilo a Douglas. Mi sorprende che non te ne abbia ancora parlato.

— Parlato di che?

— Chiedilo a lui.

— Maledizione! — sbottò Alec. — Sai benissimo che Douglas è agli arresti per tradimento. E sai anche che Kobol vorrebbe portarlo sulla Luna per sottoporlo a un processo.

— Glielo permetterai?

— No. Però non posso neanche lasciarlo vivere.

Will alzò le spalle.

— Tecnicamente sei colpevole quanto lui — aggiunse Alec — ma è Douglas che vogliono punire e tu non sei obbligato a…

— No — disse Will con ferrea determinazione. — Non ci sto.

Alec lo guardò.

— Io sono un seguace di Douglas. Quello che spetta a lui spetta anche a me. L'hai appena detto, ed è vero: sono colpevole come e quanto lui. Abbiamo progettato insieme tutto questo. Se lo uccidi dovrai uccidere anche me. Altrimenti…

— Altrimenti…

— Altrimenti non ti darò tregua finché non ti avrò ammazzato.

— Accidenti, Will, parli come un barbaro medievale.

— Può darsi che lo sia. Forse lo siamo tutti. Ti voglio bene come a un figlio, Alec. Ti devo la vita. Ma se uccidi Douglas non avrò pace finché non l'avrò vendicato.

— Cristo!

— Proprio così! — disse Will Russo.

Era tardi quando Alec si avviò a piedi verso la casa di Douglas. La notte primaverile era fredda e buia, le stelle brillavano più lustre e scintillanti. All'infuori delle due guardie che ciondolavano vicino all'autoblindo non c'era nessuno per strada.

Le truppe di Douglas erano state disarmate e rinchiuse in alcuni edifici adibiti un tempo a caserme. Non erano state trovate donne alla base. L'indomani però sarebbero tornate dai villaggi circostanti.

Le guardie si misero sull'attenti quando riconobbero Alec. Per scaldarsi avevano inserito nel generatore dell'autoblindo una piccola graticola elettrica.

— Fa fresco, vero? — disse Alec.

— Altroché!

In casa di Douglas altri due uomini sonnecchiavano nel soggiorno. Scattarono in piedi quando Alec entrò sbattendo la porta.

— Tutto tranquillo, qui? — chiese lui.

— Signorsì. — Erano tutt'e due imbarazzati, forse anche un po' impauriti.

Senza aggiungere altro, Alec salì le scale in punta di piedi e aprì la porta della stanza di Douglas. Lo trovò seduto sul letto nella stessa posizione in cui l'aveva lasciato qualche ora prima. Adesso aveva inforcato gli occhiali e stava leggendo un libro frusto e malconcio. Alec sbirciò la copertina, ma era troppo logora per riuscire a decifrare il titolo.

— Entra — disse piano Douglas senza alzare gli occhi dal libro. — Ti aspettavo.

Alec entrò e prese la sedia. Era nervoso, a disagio. Mentre si metteva a sedere si rese conto che la voce di suo padre non aveva più il tono imperioso e autoritario di una volta. Era pacata, quasi sommessa. Per via della sconfitta? Alec stentava a crederlo.

Douglas scrollò il libro. — L'ho trovato nella biblioteca di una città, anni fa. È di Hemingway. La Quinta Colonna e I quarantanove racconti. Magnifico. Dovresti leggerlo.

Alec alzò le spalle.

Douglas posò il libro sul comodino. La radio era stata portata via e di essa rimaneva solo il cavo che pendeva dalla finestra. — E così sei venuto a controllare se non mi manca niente e se ho mangiato bene?

— No.

— Sei venuto a leggermi la sentenza di morte? — Pareva divertito.

— Nemmeno. Sono venuto per sapere cosa volevi dire asserendo che il tuo lavoro è finito e che il mio sta appena cominciando. Will ha detto pressappoco la stessa cosa, un paio d'ore fa.

— Hai visto Will? — chiese Douglas con sincero interesse. — Come sta?

— Sta benone. Affamato come un orso…

— E assetato anche, ci scommetto.

Alec sorrise suo malgrado. — Già.

— Ma finalmente stai cominciando a capire che nella vita c'è qualcos'altro che conta quanto e più forse che non il fare la guerra a tuo padre. Non è così?

— Voglio sapere cosa significavano quelle misteriose allusioni.

— Non è difficile — rispose Douglas. — Tutto si è svolto come avevo progettato, anche se confesso che oggi pensavo di vincere io, e non tu. Ma il piano funziona ugualmente.

— Quale piano? — chiese Alec che cominciava a irritarsi.

Douglas gli sorrise, e il suo era un sorriso sincero, paterno, che gli illuminava la faccia rugosa. — Il piano di riunire l'umanità. Di costruire la civiltà.

— Ah, è così?

— Sì, proprio così. Guarda caso, ma tutto quello che ho fatto in questi venti e passa anni aveva una ragione. Ma adesso tocca a te attuare il progetto.

Alec scrollò la testa.

— Ascoltami! — esclamò Douglas col tono imperioso di un tempo. E puntandogli contro un dito, continuò: — Finalmente si è avverato. Non capisci? Guardati intorno, cosa vedi? E non parlo soltanto di questa stanza. Cos'è successo oggi?

— Ti abbiamo battuto.

— Chi mi ha battuto?

— Noi… l'esercito raccolto da Kobol e comandato da me.

— E chi faceva parte di questo esercito?

Sconcertato, Alec ripeté: — Chi?… Mah… Uomini venuti da ogni parte: dalla Florida ai villaggi qui attorno.

— E chi altri?

Alec ci pensò sopra un momento. — Noi — rispose. Finalmente aveva capito. — Uomini venuti dalla base lunare.

Douglas si appoggiò sui cuscini soddisfatto. — Magnifico. Hai trovato la risposta giusta con pochissimi incitamenti. Puoi diventare sul serio un vero capo. Un esercito formato da bande di uomini che negli ultimi venti e più anni si erano combattuti fra loro: razziatori e contadini, barbari di città e pescatori del sud, più voi lunari con la vostra tecnologia superiore. Per la prima volta da quando è bruciato il cielo, gli uomini della Terra e della Luna hanno agito insieme.

— E cosa c'è di meraviglioso in tutto questo?

— Te lo dico io. — Era chiaro che Douglas se la godeva. La voce si era fatta più sicura, aveva riacquistato parte dell'antico vigore. — Quando è bruciato il cielo, la civiltà è morta sulla Terra. Ma sulla Luna tutto ha continuato a funzionare come prima… per il momento. Poi i capi si sono resi conto che non potevano fare niente per aiutare i terrestri sopravvissuti.

— Infatti — ammise Alec. — Durante i primi anni riuscirono appena a sopravvivere loro stessi.

— Sì, allora - ribatté Douglas. — Ma questo non vuol dire che la loro decisione fosse valida per sempre. E comunque in brevissimo tempo, i potenti della Luna decisero che la colonia lunare poteva sopravvivere con le sue sole forze e che per tutto quello di cui necessitava bastava venire di tanto in tanto sulla Terra a prenderselo.

— Soprattutto i materiali fissili.

— E le piante medicinali, e altro ancora. Così, mentre i lunari guardavano con disprezzo i cosiddetti barbari terrestri, gli stessi lunari non si accorgevano che anch'essi si stavano comportando come barbari… infatti, razziavano la Terra per procurarsi quello di cui avevano bisogno, ma che non potevano o non volevano produrre. E questa è barbarie!

— No, aspetta…

Ma Douglas era troppo infervorato. — La verità è che la colonia lunare non ha mai potuto, non può e non potrà mai sopravvivere con le sue sole risorse. Geneticamente è arrivata a un punto morto. La percentuale dei tumori e delle malattie congenite è in vertiginoso aumento.

— È già successo altre volte — disse Alec.

— Sì, ma adesso hai l'opportunità di rimettere a posto le cose. Tu sei a capo di un esercito composto di lunari e di terrestri. Tu disponi dei materiali fissili che i lunari vogliono. Puoi costringerli a cominciare a collaborare coi terrestri, a iniziare la ricostruzione della civiltà. Io ho gettato le basi, adesso tocca a te costruire.

Alec restò a bocca aperta. Quando finalmente si riprese disse: — Io? Tu vuoi che io… — non riusciva a trovare le parole.

— Sì, tu — disse con dolcezza suo padre. — Ti ho aspettato per vent'anni, figliolo.

— Ma se hai cercato di uccidermi!

— No, non è vero. Ho solo cercato di vedere di che stoffa eri fatto. Ho predisposto le cose in modo da metterti alla prova, cosicché tutt'e due potessimo scoprirlo. Te la sei cavata egregiamente. Sei riuscito a sopravvivere. E, quel che più conta, hai imparato. Adesso capisci quello che dico, e sai che ho ragione. Lo vedo.

— No…

— Sì! — Douglas aveva ritrovato l'ardore di un tempo. — Tu sei il capo di questa traballante alleanza. Tu sei l'unico che ha la facoltà di costringere quei delicati fiori di serra a unirsi ai loro fratelli qui sulla Terra. Abbandonata a se stessa, senza le nozioni e la tecnologia della Luna, la Terra impiegherebbe almeno cinquecento anni per ricostruire una civiltà. Nessuno lo sa meglio di me. Ci ho messo vent'anni per elevare un insignificante numero di persone dalla barbarie a una parvenza di civiltà medievale. — Douglas strinse i pugni. — Ma la colonia lunare isolata, divisa dalla Terra, tagliata fuori dalla forza vitale della razza umana, la sorgente genetica, la colonia lunare, dico, morirà. Non c'è scampo, nel giro di un paio di generazioni, al massimo tre, morirà.

Alec riascoltò nella sua mente la risposta di Kobol alla domanda sull'avvenire della colonia lunare una volta terminata la scorta di materiali fissili: Cinquant'anni sono tanti. Che senso ha preoccuparsi ora, in questo momento!

— Tu ti preoccupi per i miei figli — disse Alec a suo padre.

— Per i tuoi figli e per i figli dei tuoi figli.

— Ma perché provocare una guerra? Perché non cercare di sistemare pacificamente le cose?

Il sorriso di Douglas si trasformò in una smorfia sardonica. — Mi avresti creduto? Io ho cercato di dirtelo. Rifletti. Pensi davvero che i barbari delle bande, i razziatori, gli sbandati, i disperati sempre in guerra tra di loro avrebbero gentilmente acconsentito a lavorare insieme d'amore e d'accordo per un futuro ideale che nemmeno riescono a immaginare? Loro non sanno nemmeno cosa significhi la parola civiltà. Neanche i migliori di loro. Sì, sono disposti a seguire un capo, o qualcuno che prometta loro vittoria e bottino, ma quello che veramente capiscono è la sopravvivenza, e sopravvivere significa lottare. — Fece una brevissima pausa. — Cosa li ha indotti a seguirti? L'idea della civiltà oppure quella del bottino?

— Il bottino, naturalmente — rispose Alec.

— Proprio così! E sarà meglio che tu cerchi di contentarli, almeno finché non si saranno un po' dirozzati. Fai in modo che raggiungano se non altro quel grado di fedeltà che teneva unite le orde mongole. Io so che tu sei in grado di costruire una civiltà con guerrieri di quella fatta, anche se per ora sono soltanto dei barbari.

Un nuovo pensiero si fece strada nella mente di Alec. — Ma tu… — disse. — Cosa dovrei farne di te?

Douglas sbuffò. — Devi ammazzarmi, naturalmente! Ormai sono superfluo, a questo punto, io rappresento un intralcio per il mio stesso obiettivo e costituisco un problema per te. Devi uccidermi! In caso contrario i miei uomini mi resterebbero fedeli, e i lunari non avrebbero più alcuna fiducia in te.

— Ma i tuoi uomini non mi seguiranno mai se ti condannerò a morte — protestò Alec. È una follia!, pensò. È pazzesco. Io me ne sto qui, seduto, a parlare con mio padre della sua condanna.

— È pazzesco — mormorò.

— No — lo corresse Douglas. — È politico. È appena un po' più brutale delle interminabili discussioni a cui hai assistito sulla Luna, ma fondamentalmente la cosa è identica. Per diventare il capo effettivo della coalizione devi liberarti di me.

— Io sono venuto sulla Terra col proposito di ucciderti — disse Alec.

— Lo so — dichiarò suo padre sommessamente, quasi con dolcezza. — E adesso puoi compiere la tua opera.

Alec si alzò di scatto rovesciando la sedia. — No, non posso farlo! Non posso!

— Non fare l'idiota! Devi!

Ma Alec si precipitò fuori, scese di corsa le scale e uscì nella notte.

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