25

Per tutta la giornata Furetto era rimasto nascosto nei boschi, terrorizzato dall'orrendo frastuono delle esplosioni e degli spari che sconvolgevano il mondo e rendevano l'aria irrespirabile con il loro fumo acre.

Sapeva che Alec e tutti gli altri stavano combattendo, ma lui restava aggrappato alla terra, da cui traeva vita e sicurezza, sepolto nei cespugli che crescevano fra gli alberi sul limitare della foresta. L'istinto gli suggeriva di scappare, di addentrarsi nell'ombra dei boschi, di nascondersi tanto lontano da non essere raggiunto dagli spari e dalle esplosioni.

Invece rimase sul limitare della foresta, nonostante il terrore, in angoscioso equilibrio fra la paura e il profondo, muto senso di lealtà che ormai lo legava ad Alec.

Il sole aveva superato da un pezzo lo zenit quando la battaglia ebbe termine. Accovacciato dietro una robusta quercia, semisepolto nel cespuglio che cresceva alla base del tronco, Furetto aspettò quasi un'ora dopo che si fu spenta l'eco degli ultimi spari. Stava con le orecchie tese, ma sentiva soltanto il cinguettìo degli uccelli e il ronzìo degli insetti. Uno scoiattolo fece capolino da un cespuglio pochi metri più avanti, rimase ritto sulle zampine posteriori annusando l'aria col naso che vibrava, si guardò attorno incerto e infine si arrampicò lesto sull'albero dietro cui si nascondeva Furetto.

Tutto era tornato alla normalità. Poteva uscire dal nascondiglio. Avanzò esitando di qualche passo nella luce obliqua del pomeriggio. Il cielo che sovrastava la valle era grigio di fumo. Alec era là.

Furetto si mosse verso il fumo, verso Alec. Forse avrebbe trovato un coniglio o uno scoiattolo lungo la strada e l'avrebbe portato ad Alec.

Un camion carico di soldati esultanti correva su una delle strade che portavano alla valle. Rallentò, e Furetto salì a bordo. Quegli uomini erano degli sconosciuti, non li aveva mai visti prima. Ridevano e facevano un gran baccano. Furetto rise con loro. Non aveva più paura.

Arrivarono alla base che ormai era buio. Il camion frenò fermandosi davanti a uno dei grandi magazzini in prossimità dell'aeroporto. C'erano soldati ovunque, ancora pieni di energia, rinvigoriti dalla vittoria.

— Dove sono le donne? — gridò un uomo.

— Non doveva esserci dell'oro per le strade, qui? — tuonò un altro. — Io non ne vedo.

— Non farci caso! — ribatté una voce stridula. — Hanno trovato da bere in quel magazzino! Roba da leccarsi i baffi! Vino e liquori! Venite!

Con un grido che pareva un ruggito i soldati dell'esercito vittorioso si precipitarono verso il magazzino trascinando con loro Furetto, come la corrente trascina un fuscello.

Jameson aspettava davanti alla casa di Douglas quando Alec uscì a precipizio dopo il colloquio con suo padre. Appena lo vide, gli indicò senza parlare un bagliore rosso che rischiarava il cielo.

— Stanno bruciando i magazzini — disse. — I barbari di Kobol.

Alec osservò la luce fiammeggiante da cui si levavano nel cielo buio nugoli di scintille. Non disse niente, cercando disperatamente di concentrare l'attenzione su quanto stava accadendo. Ma nella sua mente torreggiava ancora l'immagine di Douglas che parlava con la massima calma della propria esecuzione.

— Abbiamo messo sottochiave armi, munizioni e veicoli — stava dicendo intanto Jameson. — E i prigionieri sono sorvegliati dalle nostre guardie. Ma quei magazzini… — Jameson scosse la testa. — Non disponiamo di un numero sufficiente di uomini fidati per tenere a bada tutti questi barbari.

Facendo uno sforzo, Alec si risolse a chiedere: — Cosa c'è in quei magazzini?

— Macchinari, pezzi di ricambio… In uno parecchie centinaia di cassette di bottiglie di vino e di alcol etilico, a quanto mi ha detto Will.

— Non credo che brucerebbero quel ben di Dio — osservò Alec.

Jameson rivolse lo sguardo verso l'incendio. — Non sarebbe una cattiva idea lasciarli liberi per una notte.

— E far sì che distruggano tutto quello su cui riescono a mettere le mani? No! Prendi cinquanta uomini e quattro autoblindo dotate di laser. Trova Will e digli di raggiungerci con tutti gli uomini fidati che riuscirà a raccogliere.

Un'espressione scettica si disegnò sulla faccia di Jameson.

— Se li lasciamo sfogare — disse Alec — finiranno con l'ammazzarsi tra di loro prima dell'alba.

— È probabile — ammise Jameson.

Dopo una mezz'ora si riunirono nel deposito dei veicoli, una vecchia rimessa con le pareti di metallo. Alec espose il suo piano di battaglia agli uomini che erano presenti.

— Stanno saccheggiando i magazzini e bruciano tutto quello che non possono bere o protare via. Convergeremo nella zona dei magazzini da tre direzioni diverse — col dito tracciò le linee sulla mappa stradale che gli stava davanti.

Jameson era poco persuaso. — Se decidono di ribellarsi…

— Non lo faranno, se agiremo nel modo più opportuno.

Will Russo annuì. — Sì — disse, — riusciremo ad avere la meglio specialmente se li chiuderemo qui, dove convergono le strade. Lo spazio ristretto non darà loro modo di combattere.

— E se catturiamo i capi — aggiunse Alec, — e diamo un esempio, gli altri si calmeranno in un batter d'occhio.


Tre colonne di soldati armati fino ai denti convergevano verso i magazzini in fiamme. Barbari ubriachi rubavano e distruggevano alla luce fosca degli incendi. Il fuoco usciva crepitando dai tetti e dalle finestre. Poco alla volta, i saccheggiatori si resero conto di essere circondati e sospinti verso lo spiazzo nel quale sbucavano tutte le strade. E là, davanti all'unico magazzino che ancora non era stato saccheggiato, li aspettavano quattro autoblindo con gli specchietti di puntamento dei laser rivolti verso di loro.

Alec stava in piedi su una delle autoblindo con un megafono elettrico in mano.

— Ascoltatemi — intimò — Ascoltatemi, perché chi non mi ascolterà sarà morto prima dell'alba.

Gli uomini si fermarono, intontiti, ubriachi, confusi, avvolti in coperte, carichi di bottiglie, sacchi di farina, stivali nuovi, col fuoco che divampava alle loro spalle.

— Chi ha cominciato? — chiese Alec. — Voglio sapere subito chi è stato il primo a dare il via al saccheggio.

Gli uomini borbottarono strusciando i piedi, improvvisamente stanchi e svuotati di ogni energia. Molti avevano abbandonate le armi per darsi al saccheggio, ma altri avevano ancora pistole e carabine.

— Se vi illudete che la disciplina non sia più in vigore perché avete vinto, vi sbagliate di grosso — tuonò Alec. — E adesso, chi ha cominciato? Voglio i colpevoli per trattarli come si meritano. — Estrasse la pistola dalla fondina.

Nessuno si mosse. Si udì solo uno stropiccìo di piedi, come di bambini sorpresi a compiere una marachella.

— E va bene — riprese Alec con voce dura e tagliente come l'acciaio. — Allora farò quello che si faceva nelle legioni romane. Jameson, scegli dieci uomini a caso. Subito!

Jameson, accompagnato da una dozzina di armati, cominciò a scegliere a caso e man mano che afferrava un uomo per un braccio lo spingeva verso l'autoblindo di Alec. A un tratto, qualcuno si mosse facendosi largo in mezzo alla ressa.

— Alec. Alec. Io. Io.

Quelli che gli stavano accanto si scostarono e Alec riconobbe Furetto che stava venendo verso di lui per unirsi agli uomini già scelti per essere giustiziati.

— Io, Alec! — gridò Furetto con un sorriso innocente sulla faccia scarna. — Scegli me!

Il peso della pistola parve improvvisamente insopportabile ad Alec.

Guardò le facce degli uomini che stavano ai suoi piedi, i razziatori scelti a caso da Jameson. Erano sbigottiti, spaventati, ubriachi. Furetto continuava a sorridere, con quel suo sorriso innocente, infantile, carico di speranzosa attesa. La folla si era ritratta dal gruppo dei condannati.

Alec abbassò il braccio. La pistola pesava troppo. Jameson stava immobile con la mano stretta sulla spalla di un uomo.

— Ho fatto il cattivo, Alec — disse Furetto. — Perdonami.

Era la frase più lunga che Alec gli avesse mai sentito pronunciare.

Si portò il megafono alla bocca e disse lentamente: — Siete stati salvati. Tutti. Siete stati salvati da quest'uomo.

Dalla folla si levò un sospiro di sollievo.

Rinfoderando la pistola, Alec disse: — Finora ve la siete spassata, ma da questo momento, basta. Niente più saccheggi. Voi fate parte di un esercito, un esercito vittorioso. È giusto che siate fieri di avere vinto. Ma dovete ubbidire agli ordini e osservare la disciplina. Chi non ubbidirà d'ora in poi sarà immediatamente fucilato. Questa notte siete stati perdonati, ma questo non si ripeterà mai più.

Gli rispose un sommesso mormorio, ma niente di più.

Alec capì che avevano bisogno di qualcosa di più delle minacce. Il bastone è inutile se non ci si attacca la carota, pensò.

— Diventerete gli uomini più ricchi della Terra — disse, e gli rispose ancora un mormorio. — Ma non vi arricchirete col bottino. Questa è una fase ormai conclusa. Diventerete ricchi perché ognuno di voi avrà una parte delle ricchezze che può offrire questa terra… Finora avete fatto i ladri, i banditi, e avete avuto vite brevi e infelici. D'ora in avanti vivrete meglio, più sicuri e più a lungo, senza timori né pericoli. E tutti noi insieme saremo padroni di questa terra.

Più di mille uomini gli stavano davanti. Ora presero ad avvicinarsi lentamente verso di lui.

— I giorni delle razzie e dei saccheggi sono finiti — continuò — perché non avrete più bisogno di rubare. Avrete tutto quello che vorrete, e più ancora di quanto avete mai sognato e desiderato.

— E le donne? — gridò una voce.

— Le donne scappano davanti ai banditi — rispose Alec. — Ma se voi sarete membri di un esercito che governa la Terra, vi correranno appresso.

Gli uomini risero. Alec sentì che la tensione si andava allentando.

— Va bene — continuò con fermezza. — Da questo momento fate parte di questo esercito dominatore. Eseguirete gli ordini. E quando domani sorgerà il sole il mondo vedrà qualcosa che non ha mai visto da quando è bruciato il cielo. Una nuova forza che conquisterà tutto quello che incontra sul suo cammino.

Gli rispose una selva di evviva. Guardandoli, Alec si chiese: Sarò sempre capace di controllarli così? Aveva l'impressione di cavalcare un animale selvatico, e con un sospiro capì che per riuscire a dominarli avrebbe dovuto sempre stare all'erta e lottare.

Passò il resto della notte a controllare tutte le strade e gli edifici della base. Quasi ovunque regnava la tranquillità. Gli uomini erano esausti dopo la battaglia, ubriachi per il troppo vino bevuto e per l'esultanza di essere ancora vivi mentre tanti erano morti. Ora il vino, la stanchezza e le emozioni avevano avuto la meglio.


All'alba arrivò Angela.

Arrivò su un carro tirato da un cavallo, protetta da sei giovani contadini armati di vecchi fucili e carabine. Le sentinelle la fermarono all'ingresso della base. Angela chiese di vedere Douglas, e le guardie informarono via radio Jameson, che a sua volta informò Alec.

Questi si era ritirato nel suo alloggio: la casa che tanti mesi prima avevano condiviso. La stava aspettando nel soggiorno spoglio quando il carro arrivò. Angela smontò ed entrò senza indugio.

Era tesa, preoccupata, smarrita, ma sempre bella.

— Dov'è Douglas? — fu la prima cosa che disse. — Perché non posso vederlo?

Alec dovette fare uno sforzo per parlare con voce naturale. — Sta benissimo. Lo vedrai…

— No, non sta bene. Tu non capisci. — Era spaventata, con gli occhi sbarrati dalla paura.

— Sta bene — insisté Alec andandole incontro. — Nessuno gli vuol fare del male. Non temere.

La prese fra le braccia davanti al camino spento. Angela tremava.

— Alec, ti prego, devi lasciarmelo vedere. Non so cosa ti abbia detto… — Lo respinse bruscamente. — Non so nemmeno se credere a quello che dici. Tu lo vuoi morto, non è così?

— No — rispose lui. — Quella ormai è acqua passata.

— Ma ti farebbe comodo se morisse, no?

— È quello che diceva lui ieri sera.

— Tu ancora non capisci quello che fa, quali sono i suoi progetti.

— Sì, li conosco… — ma d'improvviso si rese conto che non sapeva ancora tutto.

— Alec, ti prego, portami da lui — insisté Angela. — Subito, prima che sia troppo tardi.

— E va bene — rispose lui. — Vieni. È nella sua camera. Non l'abbiamo spostato per via della gamba.

— Quale gamba? Perché?

— Se l'è rotta in un incidente qualche giorno fa…

— No! — gridò lei. — È un mese che non si muove da quella stanza. È stato molto malato — e si precipitò alla porta.

Alec le corse appresso. Uscirono a precipizio, diretti alla casa di Douglas. Con lucidità assurda Alec vide le due guardie che sonnecchiavano davanti alla porta di Douglas. Poi sentì gli spari. Vide le guardie drizzarsi di scatto ed entrare in casa di corsa.

— No! — stava urlando Angela. — No! No… Lui non può…

Ancora spari. Poi per Alec gli unici rumori furono il suo respiro ansimante e il rombo del sangue nelle orecchie. Superò Angela e corse in casa.

Suo padre stava disteso ai piedi della scala con le gambe posate sugli ultimi gradini. Impugnava un mitra e aveva il petto e il ventre insanguinati. C'era odore di polvere da sparo. Le due guardie che avevano preceduto Alec stavano immobili, coi fucili ancora caldi in mano. Sul pianerottolo, la terza guardia balbettava: — Mi è venuto addosso. Sparava… sparava…

Le guardie erano incolumi. La protezione di plastica era scivolata via dalla gamba di Douglas, che aveva gli occhi aperti e ansava penosamente.

Angela entrò e ruppe subito in singhiozzi. — Noooo — gemette. — Noooo…

— Non fa niente — gorgogliò Douglas. — Meglio così…

— Sparava — disse una delle guardie vicine ad Alec. — Vedete i fori dei proiettili nei muri? Voleva scappare.

I fori erano tutti molto in alto, poco sotto al soffitto, sopra alle finestre, ben al di sopra del livello della testa. Ignorando la guardia, Alec si inginocchiò davanti a Douglas.

— Perché? — gli chiese. — Ti avrei salvato. Non avrei permesso che ti prendessero.

Douglas si sforzò di sorridere. — Come… — fu interrotto da un gemito di dolore. — Come credi che abbia scoperto il tasso dei tumori nella colonia lunare?

Alec chinò la testa.

— Mi restavano… solo pochi mesi — ansimò Douglas. — Mi dispiace… di avere spaventato quei ragazzi… Ho cercato di non colpirli… — chiuse gli occhi.

Angela si accasciò sul corpo privo di vita. Le lacrime non servono, pensò dentro di sé Alec. Ma poi si rese conto che le lacrime sono sempre per i vivi, mai per i morti. E va bene, dunque, Angela. Piangi per noi due. Io non posso piangere. Non ora. Forse mai. Ora no di certo. Ci sono troppe cose da fare. Troppo lavoro non terminato grava sulla bilancia della civiltà.

Si alzò, voltandosi verso le guardie che non si erano mosse. Guardavano Alec da cui dipendeva la loro vita.

— Va bene — disse lui con voce pacata. — Ci avete salvato tutti da un mucchio di fastidi.

Le guardie non osavano ancora rilassarsi, ma lui non ci fece caso.

— Tu — disse a quella più vicina alla porta — va', a chiamare Jameson e Will Russo.

Poi guardò Angela che continuava a singhiozzare e disse alle altre guardie: — Uscite e non lasciate entrare nessuno finché non lo dirò io.

I due si precipitarono fuori. La guardia che prima stava sul pianerottolo dovette scavalcare il cadavere di Douglas. Esitò, poi corse fuori.

Alec s'inginocchiò vicino ad Angela e prese fra le mani il suo viso rigato di pianto. — È ora — le disse con tutta la dolcezza di cui era capace.

Lei lo guardò incerta. — Ora di cosa?

— Di cominciare a ricostruire.

FINE
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