La mattina dopo, Alec era preparato a discutere con sua madre, invece non ci furono discussioni.
Chiuso nell'abitacolo blindato, solo e isolato dagli altri, riferì tutto quello che era successo fino a quel momento, e concluse dicendo che aveva deciso di andare verso nord alla ricerca dei materiali fissili. La voce di sua madre suonava stranamente lontana, molto più fredda e distante dei quattrocentomila chilometri che li dividevano.
— Devi fare quello che bisogna fare — disse con voce fredda, metallica, fra i fischi e i crepitii della statica solare.
— Quando avrò trovato i materiali mi dovrai mandare dei rinforzi.
— Bene, Alec. Il Consiglio approverà il tuo progetto. Ci penserò io.
— E Kobol?
L'esitazione nel rispondere durò più dell'intervallo dovuto alla distanza. — So io come persuadere Kobol. Non ti metterà i bastoni fra le ruote.
— Bisognerà che tu faccia mettere a punto le altre navette e provveda a farci lanciare dei rifornimenti. Avremo bisogno di medicinali e munizioni, carburante…
— Ci vorrà parecchio tempo. Parecchi giorni se non di più.
— Va bene. Mi terrò in contatto via satellite. Sarebbe una buona idea attivare uno dei satelliti automatici di collegamento, se è possibile. Così potremo restare sempre in contatto.
La voce di lei si andava affievolendo. Il satellite si allontanava. — Proverò, Alec. Proverò.
— Abbiti cura, mamma. Bada a te.
— Anche tu, Alec. Fa' quello che devi fare. Trovalo e fa' quello che devi fare… — la voce si ridusse a un sibilo sommesso.
Alec rimase lì seduto davanti alla radio per alcuni minuti: aveva caldo e si sentiva debole. Coraggio!, si disse. Sono responsabile della vita di quindici uomini. Allungò la mano per aprire lo sportello e una fitta acuta gli trapassò il ventre. Non si mosse, gli girava la testa.
Si alzò, con uno sforzo, intontito e dolorante, e scese. Si stava meglio all'aperto. Aspirò qualche profonda boccata della fresca aria mattutina e si costrinse a ignorare il dolore.
— Tu — chiamò l'uomo più vicino, che era intento a esaminare il serbatoio del carburante, dietro la cabina e sotto l'affusto del laser. L'uomo si voltò. Alec lo riconobbe ma non riuscì a ricordarne il nome. — Cerca i microfilm medici e trovami tutte le informazioni possibili sulla dissenteria. Poi di' a Gianelli che si faccia dare tutti i dati disponibili quando si rimetterà in contatto radio via satellite.
L'uomo lo guardò perplesso. — Ci vorranno ancora dodici ore prima che il satellite sia alla nostra portata.
Alec annuì e il movimento gli procurò un nuovo attacco di vertigini. — Sì. Fa' come ti ho detto.
— D'accordo. Dissenteria? — Adesso sembrava più spaventato che perplesso.
Alec si avviò alla ricerca di Jameson, camminando lentamente e cercando di dominare la nausea che l'aveva assalito. Lo trovò tranquillamente seduto con la schiena appoggiata alla ruota di un'autoblindo, intento a lubrificare il mitra. Furetto guardava l'arma, a qualche metro di distanza, con gli occhi che brillavano avidi.
— Non mi fido di lui — disse Jameson ad Alec finendo di rimontare il mitra. Poi guardò Alec in faccia. — Te la sei presa anche tu, vero? — disse.
— E tu? — chiese Alec appoggiandosi pesantemente a una ruota.
Jameson annuì senza perdere d'occhio Furetto. — Ho avuto un attacco, stanotte. Non è stato piacevole.
— Ci ammaleremo tutti. E Douglas ha ordinato ai suoi di partire.
— Lo so. Will Russo era venuto a cercarti. Era molto dispiaciuto, ma devono partire prima di mezzogiorno.
Alec chiuse gli occhi, appoggiando la testa al freddo metallo del parafango per cercare un po' di refrigerio.
— Questo significa che siamo abbandonati a noi stessi.
— Con diarrea e vomito come compagni — commentò Jameson, senza ironia né malizia.
— Cosa possiamo fare?
— Non ci mandano una navetta?
— No… — un altro crampo gli mozzò il fiato e Alec faticò non poco a dominarsi. — Appena saremo in grado di muoverci partiremo per il nord alla ricerca dei materiali fissili.
Jameson tacque a lungo. Alec lo guardava con la vista offuscata dal dolore. Notò che scrutava le strade registrando coi suoi occhi di falco tutti i particolari delle case e degli incroci, mentre il suo cervello stava indubbiamente lavorando a tutto spiano.
— Bene — disse alla fine il vecchio soldato. — Credo che faremo meglio a portare le autoblindo nei cortili delle case, dove saranno meno visibili. E sarà meglio scegliere i cortili in modo che i mezzi possano aiutarsi a vicenda col fuoco incrociato in caso di attacco. Dovremo difenderci con un plotone di cuccioli ammalati. — Tornò a guardare Furetto. — Ripeto che non mi fiderei neanche un attimo di quello lì.
— Avremo il vantaggio delle armi — disse Alec.
Jameson lo guardò con aria compassionevole. — Non servirà molto se gli uomini al momento di premere il grilletto dovranno invece tenersi la pancia.
Alec non riuscì a reggere oltre. Si alzò faticosamente e si allontanò barcollando alla ricerca di un posto isolato.
Il sole era ormai alto quando si costrinse a tornare nella strada dell'ufficio postale. Era madido di sudore, ma rabbridividiva dal freddo. Puzzava. Gli tremavano le ginocchia per lo sforzo di reggersi in piedi.
Due braccia robuste lo sostennero alle spalle.
— Dio mio, te la sei presa proprio brutta, eh? — disse Will Russo. La sua espressione solitamente gioviale era scomparsa. Adesso era mortalmente serio.
— Non è niente… — balbettò Alec.
Will lo fece entrare nell'ufficio postale, e dopo averlo sistemato sul pavimento con la schiena contro il banco, si accovacciò vicino a lui e disse: — Senti, noi dobbiamo andarcene. A nord abbiamo parecchio da fare…
— Andatevene pure — ribatté Alec con un filo di voce.
— Lasciami finire, testone. So che ti sembra di morire, ma non morrai. Fra pochi giorni starai di nuovo bene. Bisogna però evitare che ti salga la febbre, perché indebolisce e facilita altre malattie infettive. Avete febbrifughi… aspirina, roba del genere?
— Sì… ma poco altro.
— Basta l'aspirina. Prendine e fa' dei bagni freddi per abbassare la temperatura. Lo stesso vale anche per gli altri.
— Va bene. — Nel suo intimo Alec rifuggiva dall'idea di servirsi dell'acqua per fare un bagno. Era troppo preziosa.
— Senti — continuò Russo. — vedo che qualcuno dei tuoi è ancora abbastanza in forze per portare le autoblindo nei garage o nei negozi. Tienile fuori vista, così forse nessuno vi darà fastidio.
Alec non aprì bocca.
— Probabilmente le bande con cui abbiamo avuto a che fare si sono sparpagliate per la campagna, ma puoi stare certo che non hanno lasciato la zona. Ho chiesto a un paio di contadini di fare la guardia e di avvertirvi se notano qualche banda. I residenti ci hanno già aiutato in altre occasioni, quindi se sarà possibile vi avvertiranno.
— Bene.
— Ma non dipendere troppo da loro — lo ammonì Will. — Non rischieranno la pelle per aiutare un gruppo di estranei. State all'erta. Specialmente di notte.
Certo, staremo all'erta, pensò Alec. Sarà già tanto se riusciremo a reggerci in piedi.
— Bene… — Russo si alzò, e torreggiando su di lui concluse: — Buona fortuna. Spero che riusciate a cavarvela, e forse un giorno ci incontreremo in circostanze migliori.
Quando ci incontreremo di nuovo ci spareremo addosso, pensò Alec.
La prima notte non fu poi tanto brutta. Prima che sorgesse la Luna uno degli uomini vide qualcosa muoversi lungo la strada e sparò una raffica di mitra. Tutti, sani e ammalati, si alzarono. Ma l'allarme cessò subito, e la notte trascorse tranquilla, o così parve ad Alec e ai suoi.
Il giorno dopo era nuvoloso e verso mezzogiorno cominciò a piovere. Alec giaceva completamente privo di forze sul pavimento dell'ufficio postale vicino a due autoblindo che erano state portate dentro. La pioggia sgocciolava attraverso lo squarcio del tetto e si mescolava al sudore. Chi più chi meno, stavano tutti male. Quello che stava meglio era Ron Jameson, che andava avanti e indietro a portare medicine, e soprattutto a rinfrancare il morale. Continuava a tenere d'occhio Furetto, ma il ragazzo se ne stava tranquillo a osservare gli altri.
Chino sul giaciglio improvvisato dove Alec giaceva esausto e dolorante, Jameson disse: — Non conterei molto sul fatto che quei contadini ci avvertano se si avvicina una banda di delinquenti. Da quello che mi hanno detto gli uomini di Russo, a loro importa solo che i banditi li lascino in pace. Se ne infischiano se ci attaccano.
— Lo supponevo — mormorò con un filo di voce Alec.
— E da come piove i banditi potrebbero arrivare con la fanfara in testa tanto noi non li vedremmo né li sentiremmo con questo frastuono.
— Quanti… — Alec dovette fare una pausa per riprendere fiato — … quanti uomini sono ancora in piedi?
— Sette o otto cominciano a stare meglio.
— Su quindici.
— Il peggio è passato. Credo che tu sia il più grave di tutti.
Alec abbozzò un pallido sorriso. — Bene… non auguro a nessuno di passare quello che ho passato. — Non aveva fatto che vomitare antibiotici e aspirina tutto il giorno. I crampi e la diarrea andavano meglio, ma era debolissimo e non riusciva a digerire niente.
— Ce la faremo — disse Jameson con un cupo sorriso. — Quando tornerà il sole staremo bene.
Alec tradusse: se riuciremo a sopravvivere stanotte. Poi si addormentò e al suo risveglio era buio. La pioggia picchiettava sul tetto della cabina dove l'avevano sistemato, ma era meno insistente. Di nuovo i crampi. Si alzò faticosamente a sedere e fu travolto da un'ondata di nausea. In preda alle vertigini afferrò la maniglia dello sportello e si lasciò cadere sul pavimento dell'ufficio postale.
Era bagnato. La pioggia che scendeva dal tetto gli diede un senso di benessere. Reggendosi lo stomaco si avviò verso la porta sul retro e uscì. Stava sfibbiando la cinghia dei calzoni quando si verificò la prima esplosione.
Il contraccolpo lo sollevò da terra mandandolo a ricadere con violenza sul terreno fangoso a dieci metri dal punto dove si trovava prima. La parete posteriore dell'ufficio postale era un muro di fiamme e crollò su se stessa con lentezza allucinante. Scintille e macerie infuocate sprizzarono ovunque.
Alec rotolò sulla schiena nel fango gelido. Spari. Uomini che urlavano. Il sibilo acuto di un generatore elettrico spinto a tutta velocità.
Si rigirò sullo stomaco, cercando il mitra, ma non lo trovò. Quattro uomini stavano correndo verso di lui. Alla luce vacillante delle fiamme vide che erano armati. Poi un'autoblindo uscì da un negozio sull'altro lato della strada sfondando la vetrina. Gli uomini che correvano si tramutarono in torce quando l'invisibile laser li colpì. Caddero urlando e contorcendosi e il terreno ribolliva nei punti in cui era stato colpito dal laser. La sottile linea di terra ribollente proseguì fin quasi dove si trovava Alec, che sentì il sibilo infernale del raggio, paralizzato dalla paura.
Poi il raggio cambiò direzione. Altre esplosioni. Un'altra autoblindo sbucò da una casa che stava crollando e che esplose scagliando pezzi di uomini e di macerie così in alto che si persero nel buio.
Alec non riusciva a muoversi. Giaceva immerso nel fango e nei suoi escrementi mentre le pallottole fischiavano vicino a lui sollevando spruzzi di terra. Solo una delle autoblindo sparava contro un gruppo di assalitori che si allontanarono di corsa urlando. Poi un'altra sbucò da dietro l'angolo dell'ufficio postale. Una dozzina di uomini male in arnese partirono all'assalto nel tentativo di catturarla intatta. Il laser li colpì in pieno trasformandoli in torce urlanti. Altri uomini comparvero sul tetto dell'edificio in cui si trovava la prima autoblindo, ma dovevano essere uomini di Alec perché scaricarono sventagliate di mitra sulla strada.
I proiettili arrivarono dappertutto e Alec sapeva che prima o poi sarebbe stato colpito. Ma a un tratto si sentì afferrare le caviglie. Girò la testa e vide Furetto, con le labbra tirate sui denti giallastri, che si sforzava di trascinarlo attraverso il fango verso la fiancata di una casa, dove sarebbe stato relativamente al sicuro. Quando l'ebbe sistemato, Furetto si accovacciò accanto a lui sussultando a ogni sparo, in preda a un evidente terrore.
Prima che Alec avesse il tempo di dire qualcosa, una terza autoblindo spuntò all'altro capo della via. Il laser taceva e una banda di uomini armati stava accucciata sull'affusto, dietro alla cabina blindata. Altri uomini seguivano a piedi il veicolo. L'hanno presa, pensò Alec, ma per fortuna non sanno usare il laser.
Jameson doveva essersene accorto anche lui. Alec lo vide ritto in piedi di fianco alla prima autoblindo che tendeva il braccio verso il mezzo catturato. Il generatore del laser stridette e l'autoblindo catturata fu colpita dal raggio mortale Gli assalitori presero fuoco, e alle loro urla si frammischiò lo scoppio dei pneumatici. Poi il mezzo si fermò. Il raggio trovò i condotti dell'ossigeno e dell'idrogeno del serbatoio e l'autoblindo esplose con una vampata abbagliante.
Poi tutto finì all'improvviso. L'autoblindo continuò a bruciare, l'ufficio postale era ridotto a una massa contorta di fumanti rovine. Gli spari cessarono. Niente più urla né movimenti. La strada era cosparsa di cadaveri.
Cristo, ci hanno fatto a pezzi e io me ne sono rimasto qui fermo come un sasso. Si rialzò carponi con uno sforzo.
— Bene? — chiese Furetto con voce resa stridula dalla paura. — Tu bene? Bene?
— Sì — rispose Alec col poco fiato che aveva. — Sto bene.
Due uomini sbucarono di corsa da dietro l'angolo coi mitra spianati.
— Ehi, è Alec! — gridò la voce di Gianelli.
— E quel bel tipo di Furetto!
— È uno di loro — disse Gianelli. — Ammazziamolo, quel bastardo.
— No! — esclamò più forte che poté Alec. — Mi ha salvato la vita. Lasciatelo stare. Non era con loro. Mi ha trascinato via dalla linea del fuoco.
— Ti hanno colpito? — chiese Gianelli avvicinandosi.
— No… no… sto bene.
Di lì a un'ora dopo essersi lavato e cambiato, Alec si sentì abbastanza in forze da cercare qualcosa da mangiare. Gli altri portavano via i morti o si medicavano a vicenda le ferite. Si era subito sparsa la voce che l'unico inconveniente subito da Alec erano un paio di pantaloni imbrattati. Gli uomini facevano di tutto per evitarlo.
Alec trovò Jameson accanto a un piccolo fuoco acceso vicino a una delle autoblindo distrutte.
— Stai meglio, a quel che vedo — disse Jameson.
— Sì. E tu?
— Mi sono rotto un'unghia sparando — rispose l'altro con la massima serietà.
— A quanto ammontano le perdite?
— Tre morti e cinque feriti, di cui due gravi. Gli altri hanno solo qualche graffio. Poteva andar peggio.
Così siamo rimasti in dodici, pensò Alec. — Sono riusciti a catturare un'autoblindo?
Jameson annuì. — Ma gli è costata ventidue morti.
— E i feriti?
— Se li sono portati via quasi tutti. Gli altri sono morti. — Alec capì in che modo erano morti.
A conferma della sua supposizione giunse uno sparo.
— Questo era l'ultimo — disse Jameson.
— Io mi sono trovato fra voi e loro — mormorò Alec. — Sono stato sorpreso con… coi pantaloni calati.
Jameson alzò le spalle. — Ho sentito che Furetto ti ha portato in salvo. Forse dovrei cominciare a fidarmi un po' di lui.
— Già, potrebbe esserci utile per procurarci da mangiare.
Jameson lo lasciò, e Alec rimase solo accanto al fuocherello. Mentre stava bevendo un po' di brodo sentì uno degli uomini borbottare: — Me ne frego se mi sente! Stava facendosela sotto mentre Ollie e gli altri morivano. Bel capo davvero!
Sentì la voce sempre più pacata di Jameson ribattere: — Forse te ne freghi se lui ti sente, ma se ti sento io parlare ancora in questo modo ti spacco la faccia. Capito? Stava male… e non è ancora guarito.
La risposta fu un borbottio troppo sommesso perché Alec potesse capire. Appoggiato alla fiancata dell'autoblindo, con la tazza di brodo caldo fra le mani che tremavano, pensava: Dodici uomini. Dodici uomini contro Tebe. Dodici uomini e due autoblindo per attraversare il continente e trovare Douglas e i materiali. E gli uomini mi credono quasi tutti un vile o un pazzo. O tutt'e due le cose insieme.
Gli venne quasi da ridere: l'unico vero amico su cui poteva contare era quel mezzo scemo di Furetto.
Le prime luci dell'alba schiarivano il cielo a oriente. Alec sospirò. E va bene disse fra sé. Due autoblindo e dodici uomini. Sta per cominciare una nuova giornata. Partiamo. Subito!