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Il surriscaldamento dell’atmosfera della Terra dovuto alla continua immissione di biossido di carbonio era una realtà comprovata già verso la metà del ventesimo secolo; tuttavia, gli effetti di questo surriscaldamento iniziarono a diventare realmente tangibili solo verso l’inizio del ventunesimo secolo. Solo allora infatti si poté registrare un aumento della temperatura media annuale del globo di circa quattro gradi rispetto a quella registrata nel corso dei precedenti dieci-quindicimila anni. Nel frattempo, gli esseri umani hanno trovato un sacco di altre cosette ingegnose da fare alla loro aria. Hanno lacerato lo strato di ozono con l’uso di fluorocarburi, lo hanno appesantito con aerosol acidi, e ne hanno persino modificato il colore con i radionucleidi. Ciò nonostante, gli effetti più interessanti sono stati proprio quelli causati dal surriscaldamento dell’aria. All’equatore, le temperature sono rimaste più o meno uguali. Ai poli invece sono decisamente cambiate. L’acqua dei ghiacci che si sciolgono si riversa in fiumi delle dimensioni del Nilo dalle calotte dell’Antartide e della Groenlandia. Stranamente, le zone più temperate dell’emisfero settentrionale non si sono surriscaldate molto. Nel continente nordamericano si registrano temperature solo leggermente al di sopra della media, mentre in Europa fa addirittura più freddo di prima. L’Europa ha infatti sofferto gravemente del cambiamento delle correnti oceaniche dovuto al nuovo massiccio afflusso di acqua fredda dai poli. Essendo decisamente meno densa rispetto al resto della massa acquosa degli oceani terrestri, la nuova ondata di acqua fredda ha in sostanza arrestato quelle correnti di acqua calda che venivano sospinte regolarmente dai tropici verso l’Europa, moderando così gli inverni del Vecchio continente. L’Oceano Pacifico, al contrario, non viene più refrigerato dal ritorno di quelle stesse correnti. Questo fatto non ha prodotto grandi cambiamenti alle terre che si affacciano sull’Oceano Pacifico, ma in Europa sono cambiate molte cose rispetto a prima. Tanto per fare un esempio, città come Madrid e Montecarlo godono ora di un clima che una volta poteva essere associato a città come Chicago.


Obie fu il primo componente della coorte ad apparire sulla porta della navetta dopo il periodo d’intontimento. Si produsse in un ampio sbadiglio, si diede una grattatina, poi vide Sandy e lo salutò con un cenno della mano. A quel punto si girò, presentando la sua tozza coda al pubblico presente, afferrò la ringhiera metallica della scaletta con i possenti pollici e le dita “tutrici” e si lasciò scivolare fino a terra, dove piombò con un forte tonfo. Si girò verso coloro che lo circondavano con una grande risata. — Oh, Sandy — esclamò con gioia. — Non trovi che sia meravigliosa questa gravità così ridotta? Mi sento di poter fare un balzo di un chilometro.

— Ti prego, non farlo — disse Sandy, rivolgendo un sorriso imbarazzato ai suoi nuovi amici terrestri. A quel punto fece la sua comparsa anche Tania, e Sandy presentò i due hakh’hli ai nuovi arrivati. Fece qualche errore nel pronunciare i loro nomi, Miriam Zuckerman, Dashia Ali, Hamilton Boyle, ma non ebbe alcuna esitazione quando si trattò di presentare Marguery Darp. Sandy osservava la donna con attenzione, tentando di percepire che cosa stesse pensando in base all’espressione del suo volto. Non riuscì a percepire un granché. La donna sorrideva, annuiva e pronunciava cortesi parole di benvenuto, ma nonostante ciò Sandy percepiva un certo imbarazzo in lei. Era evidente che tutti gli umani presenti si stavano dando un gran da fare per non apparire in alcun modo… come dire, offensivi. Naturalmente, era inevitabile che gli umani fossero sconvolti dal loro primo incontro con degli alieni. Mettendosi nei panni di un terrestre, Sandy osservò i suoi compagni di coorte; in effetti, degli alieni simili a canguri, alti un metro e venti che venivano fuori da un’astronave e si mettevano a parlare inglese erano qualcosa di strabiliante, qualcosa che avrebbe senz’altro destato molta curiosità. Soprattutto se si comportavano come Oberon, che continuava a prodursi in incredibili e gioiosi balzi nell’aria.

— Il tuo amico — gli disse Marguery Darp indicando Oberon — è proprio un grande saltatore, non è vero?

— Be’, è una grande tentazione per lui — spiegò Sandy. Stava resistendo con grande eroismo all’impulso di mettere anche lui in mostra la sua forza da 1,4 G.

— In ogni caso — intervenne Tania — non dovrebbe mettersi continuamente in mostra a quel modo. — Fece un cenno di comando in direzione di Oberon, e quando questi si avvicinò con espressione perplessa gli si rivolse in tono severo. — Ti stai comportando come uno sciocco, Oberon. Questa femmina terrestre è molto delusa dal tuo comportamento.

Obie assunse un’espressione afflitta, ma Marguery Darp si affrettò a rinfrancarlo. — Oh, niente affatto signor, ah, Oberon! Niente affatto! Anzi, trovo che i suoi salti siano qualcosa di magnifico. L’unica cosa che vorrei suggerirle è… be’, perché non indossa un cappello? Lo strato di ozono è ancora piuttosto sottile qui a nord.

Obie la fissò esterrefatto. — Strato di ozono? Cappello?

Fu Hamilton Boyle che si assunse l’onere della spiegazione. — Il tenente Darp è preoccupato per le radiazioni ultraviolette dei raggi del sole, signor Oberon. Da quando lo strato di ozono della nostra atmosfera si è indebolito, abbiamo avuto parecchi problemi con le radiazioni; tumori della pelle, danni all’agricoltura e moltissimi casi di gravi scottature. Siete soggetti a scottature dovute all’eccessiva esposizione ai raggi del sole voialtri?

Obie rivolse uno sguardo perplesso verso Sandy. — No, non lo sa — intervenne Sandy. — Nessuno di noi lo sa. Non siamo mai stati esposti alla luce del sole prima d’ora.

— Allora sarà meglio che vi procuriamo dei cappelli — disse Marguery Darp con tono deciso. — E probabilmente avrete anche bisogno di qualcosa per coprire le vostre… ah, braccia.

— Meglio ancora — disse Boyle con un sorriso — potremmo portarvi tutti quanti in un luogo chiuso. Che ne direste di accettare il nostro invito e venire in città? C’è un sacco di spazio nel nostro aereo.

— Andare in città? — squittì Obie.

— Naturalmente, bisogna domandarlo a Polly — intervenne Tania. Detto questo girò su se stessa e risalì la scaletta.

— La prego, le dica che si tratta di un invito ufficiale da parte del governo del Commonwealth dello Yukon, che vorrebbe darvi il benvenuto sulla Terra! — gridò Boyle alle sue spalle. Poi si rivolse di nuovo a Sandy e Oberon. — Vi prometto che vi piacerà — aggiunse. — Dawson è una vera e propria città, e vi posso garantire che vi troverete a vostro agio.

Marguery stava annuendo con fare incoraggiante.

— Oh, ne sarei felice — disse Sandy.

— Polly non ce lo permetterà mai — aggiunse Obie con tono cupo.


Quando Polly, in maniera decisamente più decorosa rispetto a Obie, scese finalmente dalla navetta, il suo volto era ricoperto di lacrime di benevolenza. — Ma certo che accettiamo il vostro invito di recarci alla città di Dawson — disse. — Il nostro consigliere, ChinTekki-tho, mi ha chiesto di ringraziarvi da parte sua per l’invito. Sfortunatamente, però, non potremo venire tutti quanti.

— Ma nel nostro aereo c’è spazio abbondante per tutti — intervenne Marguery Darp.

— Il problema non è la capacità della vostra nave; si tratta di una questione di semplice necessità. Alcuni di noi dovranno rimanere presso il modulo di atterraggio come misura precauzionale; se lasciassimo la navetta incustodita, qualche terrestre potrebbe entrarci dentro e rischiare di farsi del male. Inoltre, vi è molto lavoro da fare sulla navetta, poiché bisogna riparare i danni riportati durante l’ingresso nella vostra atmosfera. La rete di protezione va sostituita, tanto per fare un esempio. Potete constatare voi stessi le condizioni in cui si trova.

— Spero che non avrete intenzione di ripartire subito? — domandò Boyle con una smorfia.

— Le nostre intenzioni non contano — disse Polly. — Noi riceviamo le nostre direttive dai Grandi Anziani, e dobbiamo ubbidire ai loro ordini. Tuttavia, posso dirvi che il modulo di atterraggio non ripartirà immediatamente. Alcuni di noi verranno con voi in città. Naturalmente, dovremmo portarci dietro delle provviste, così almeno avremo qualcosa da mangiare.

— C’è un sacco di roba da mangiare a Dawson — intervenne nuovamente Marguery Darp.

Polly agitò il capo. — Ma temo che si tratti solo di cibo terrestre. Comunque sia, io e Lisandro verremo con voi, e porteremo anche… — Si guardò attorno, emise un sospiro, quindi concluse la frase. — Oberon. Penso che sia lui l’elemento meno indispensabile. Gli altri rimarranno qui con il modulo di atterraggio.


Il volo con l’aereo a decollo verticale di Marguery Darp fu duro almeno quanto quello con la navetta; persino Obie si sentì male. Tuttavia, quando atterrarono finalmente a Dawson, Sandy ebbe la possibilità di vedere per la prima volta una città terrestre. — Com’è grande! — esclamò, fissando gli altissimi edifici. Alcuni erano alti addirittura 30 metri!

— Oh, non è poi così grande — gli disse Marguery Darp con tono rassicurante. — Questa è solo Dawson, la capitale del Commonwealth dello Yukon. In tutto il Commonwealth vivranno al massimo 25.000 persone, e per la maggior parte non vivono nemmeno a Dawson ma fuori, in campagna.

Ancora una volta, a Sandy dispiacque non poter porre più di una domanda alla volta. — Commonwealth dello Yukon? — ripeté in tono perplesso.

— È così che si chiama questa zona — spiegò la donna. — Ora non abbiamo più grandi paesi, sai, quelli che prima si chiamavano nazioni. Abbiamo solo una serie di commonwealth; circa 10.000 in tutto il mondo. Credo che il più grande commonwealth del continente nordamericano sia quello di York, che si trova sulla costa orientale, e anche quello avrà al massimo 250.000 abitanti. La regione in cui siete atterrati si chiama Inuit, mentre questa è lo Yukon. Più a sud c’è il Commonwealth di Athabasca, dove ci sono le grandi fattorie. A ovest invece…

— Non possiamo entrare in città? — domandò Sandy interrompendo la lezione di geografia.

— Sì — aggiunse Obie con ansia — così almeno potremmo mangiare qualcosa. Magari anche un vero milkshake?

— Ma certo — disse Marguery con un sorriso. — Avanti, c’è un’auto che ci aspetta.

L’auto in realtà era un “furgoncino”, un veicolo a quattro ruote simile a una scatola dotato di sedili abbastanza grandi da ospitare anche gli hakh’hli. Non appena furono tutti dentro, il furgone si mosse rapidamente verso la città. I tre visitatori presero a fissare incuriositi ogni cosa; Obie iniziò a chiacchierare in continuazione con tono eccitato, Polly assunse un atteggiamento di superiorità e Sandy sgranò letteralmente gli occhi a ogni singola meraviglia della città terrestre che vedeva. Non riusciva a fare a meno di ridacchiare in continuazione fra sé, cosa che portò a far sorridere anche Marguery Darp. I due hakh’hli stavano letteralmente sbavando per l’eccitazione.

Questa parte del pianeta infatti non era affatto simile a ciò che avevano avuto modo di vedere gli hakh’hli nei loro nastri registrati. Naturalmente, vi erano le automobili. Gli hakh’hli avevano visto innumerevoli film terrestri in cui gli umani in automobile si inseguivano a vicenda lungo le loro “autostrade”, e di conseguenza sapevano benissimo che aspetto avessero le automobili terrestri. Queste però erano diverse. Ve ne erano a tre e a quattro ruote, aperte e chiuse, grandi e piccole. Anche gli edifici erano diversi. Vi erano pochissimi “grattacieli”, e anche gli edifici con molti piani (l’albergo in cui li portò Marguery ne aveva 25) erano per la gran parte sottoterra. — Tanto qui durante l’inverno c’è comunque pochissima luce — spiegò Marguery — quindi non c’è un granché da vedere. Inoltre, rimanendo sottoterra ci teniamo riparati dal vento.

— Il vento non sembrava poi tanto forte — intervenne Obie dando sfoggio della sua grande esperienza in materia. In fondo, aveva già avuto modo di vedere venti ben più forti, come quello in cui si erano trovati nel corso dell’atterraggio.

— Oggi non è per niente forte — disse Marguery. — Qui siamo abbastanza lontani dalla costa, e quindi non abbiamo tanti uragani come quello in cui vi siete imbattuti voi quando siete atterrati. Però a volte soffia un vento che noi chiamiamo chinook, e quando arriva ti stacca i capelli dalla testa… be’, naturalmente non dalla tua testa, Oberon. Comunque sia, ora andiamo che vi faccio sistemare nelle vostre stanze.

Per “sistemarsi” dovettero prima “registrarsi” alla “reception” dell’”hotel”. Quando compirono questa operazione, non erano da soli. Non erano mai da soli. La gente si affollava sempre attorno a loro fissandoli con gli occhi sgranati, e gli hakh’hli non avevano alcuna possibilità di sfuggire alle telecamere se non nell’intimità delle loro stanze.

Delle loro stanze individuali.

Questo solo fatto era bastato di per sé a stupirli tutti quanti. Che cosa significava dormire da soli? Oberon e Polly dichiararono immediatamente che avrebbero condiviso un angolo del pavimento di una sola stanza (non erano ancora pronti a provare un “letto”) ma Sandy invece decise che, dato che si trovava sulla Terra, doveva fare come i terrestri. — Ma così dovrò dormire solo con Polly! — si lamentò Obie. — Avrò freddo!

— Oh, lascia che il terrestre faccia ciò che gli pare e piace — disse Polly in tono irritato. — Ma rimani con noi mentre chiamo il modulo di atterraggio via radio, Lisandro. Dobbiamo verificare che stia andando tutto bene.

Naturalmente, andava tutto bene. Tania rispose immediatamente alla prima chiamata e disse che era tutto a posto, solo che alcuni terrestri avevano chiesto loro di poter dare un’occhiata all’interno del modulo di atterraggio. — È assolutamente fuori questione — disse Polly indignata. — A meno che ChinTekki-tho non vi dia un contrordine specifico, non dovete assolutamente fare entrare nessuno all’interno della navetta. Vi siete mantenuti in contatto con la nave madre?

— Certo — rispose Tania. — I Grandi Anziani stanno prendendo in considerazione la questione proprio in questo momento. Inoltre, vogliono effettuare personalmente una “trasmissione” per i terrestri. Ho parlato con ChinTekki-tho, e ha detto che nel corso del prossimo contatto radio ci spiegherà come fare il collegamento dalla nostra navetta.

Polly deglutì. — E i Grandi Anziani sono… be’, soddisfatti del nostro operato?

— Non hanno detto di non esserlo — riferì Tania.

A quel punto Polly interruppe il contatto, con una lacrima di sollievo.

Un attimo dopo, Marguery bussò alla porta. — Sandy? — domandò. — Ho pensato che questo potrebbe essere un buon momento per andare a fare un po’ di compere.

— Oh, certo — disse Sandy con entusiasmo. — Ho sempre desiderato vedere un supermercato terrestre.

— Mmm — replicò Marguery scuotendo il capo. — Certo, è una buona idea, ma magari possiamo farlo in un’altra occasione. Al momento invece pensavo di portarvi in un negozio di abbigliamento. I tuoi amici hakh’hli hanno bisogno di cappelli per proteggersi dal sole, e penso che anche tu ti troveresti decisamente più a tuo agio se ti cambiassi quegli strani abiti che hai addosso.


L’ingresso di Sandy nel mondo degli esseri umani era qualcosa di meraviglioso per lui. Era anche un po’ spaventoso, e a volte anche un po’ ripugnante, ma nel complesso era tutto così… Be’, forse la parola migliore rimaneva sempre meraviglioso. La cosa più fantastica della Terra era comunque lo spazio. Ve ne era così tanto, ed era così pieno di cose interessanti! Vi erano laghi, fattorie, edifici e persone… Ma la cosa forse più sconcertante di tutte per Sandy erano gli odori. Da un certo punto di vista anche questi erano un po’ preoccupanti, e occorreva un certo tempo per abituarvicisi, dato che non avevano proprio nulla a che vedere con gli odori della nave hakh’hli; in ogni caso, Sandy aveva trovato interessante (anche se fino a un certo punto) persino l’odore del mucchio di letame che si trovava dietro alla stalla delle mucche. Gli odori della città di Dawson, poi, erano ancora più variati. Ve ne erano alcuni curiosi, come quelli della cucina umana o del sudore, e altri dolci, come quelli dei fiori e dell’erba. Poi, vi erano gli odori del tutto speciali e particolari delle donne. Marguery emise una risatina quando Sandy le fece una domanda in proposito, ma poi lo aiutò a identificarli per quel che erano; profumo, sapone, lacca per capelli e un leggero, ma decisamente stimolante odore naturale della pelle. La somma di tutto ciò costituiva l’odore caratteristico della femmina umana, e il risultato faceva contrarre i muscoli della pancia di Sandy in maniera strana e inaspettata.

La femmina umana non usciva mai dai pensieri di Sandy, soprattutto adesso che aveva accanto a quel fantastico esemplare.

Trovava piuttosto curioso (anche se non aveva mai ricevuto un’educazione tale da fargli pensare che fosse qualcosa di sgradevole) il fatto che fosse costretto ad alzare lo sguardo ogni volta che le rivolgeva la parola. Marguery doveva essere alta almeno 180 centimetri. Era anche molto forte per essere una femmina umana, venne a sapere Sandy, anche se a lui sembrava molto esile. I lunghi capelli rossi di Marguery cadevano in due trecce ondeggianti, i suoi occhi erano verdi e il suo naso era leggermente aquilino. Sandy era piuttosto stupito dal fatto che fino ad allora, nei venti e più anni della sua vita, non si fosse ancora reso conto che le caratteristiche della femmina umana ideale fossero proprio i capelli rossi intrecciati, gli occhi verdi e il naso leggermente aquilino.

L’unico motivo per il quale non pensava solo ed esclusivamente a lei era che, in effetti, vi erano moltissime cose diverse da vedere e da fare che erano quasi altrettanto eccitanti. Una di queste era lo shopping. Quando giunsero al luogo in cui si facevano le compere, Sandy lesse il cartello che sovrastava l’entrata:


BERNEE’S

Appena sotto, vi erano altri cartelli con le seguenti scritte:


JEANS
TUTE
ABBIGLIAMENTO SPORTIVO
CASUAL

I cartelli erano qualcosa di letteralmente affascinante per Sandy; erano illuminati di colori vivaci, si muovevano davanti ai suoi occhi e, soprattutto, vi si potevano leggere messaggi misteriosamente e seducenti così ineffabilmente umani, come per esempio l’indecifrabile:


AL GIOVEDÌ VALORE DOPPIO AI PUNTI SCONTO!

Tuttavia, nonostante il continuo lampeggiare dei cartelli, a quanto pareva i tre nuovi arrivati erano gli unici che si erano fermati a osservare le scritte. Tutti gli altri infatti, dai commessi ai clienti del negozio, si erano fermati per fissare a bocca aperta Obie e Polly.

Obie stava nuovamente mettendosi in mostra; aveva trovato una scarpa enorme (non si trattava di un articolo in vendita ma di un oggetto da esposizione per la vetrina) e la stava paragonando con la sua immensa zampa. Le sue risate misero Sandy in imbarazzo, ma quando rivolse una rapida occhiata a Marguery Darp si rese conto che anche lei stava ridendo, il che doveva significare con ogni probabilità che il gesto di Obie non rappresentava alcun tipo di offesa.

Comunque fosse, il processo implicato nel “fare le compere” era qualcosa di realmente affascinante. Qui non si trattava di finto “shopping” come quello che avevano fatto nel corso delle loro lezioni sulla nave; qui si trattava realmente di prendere dei “soldi” e di scambiarli con un “commesso” per ottenere quindi degli “abiti”.

— A dir la verità — gli disse Marguery Darp — adesso non avete bisogno di soldi.

— Davvero?

— Oh, no. Siete nostri ospiti. Ci penserà l’InterSec a pagare il conto dell’hotel, le spese di viaggio e quel genere di cose. Tuttavia, se ci tieni a fare delle spese personali e vuoi pagarle di tasca tua…

— Sì, lo vorrei — disse Sandy con decisione. — Come faccio per avere dei “soldi”?

Non fu affatto difficile. Marguery prese un paio delle sue pepite d’oro e tornò poco dopo con un mazzetto alto un pollice di foglietti di carta rettangolari stampati.

— Questi dovrebbero bastarti per un bel po’ — disse. — Non credi?

— C’è un intero sacco d’oro a disposizione oltre a quello che ti ho dato — dichiarò Sandy tutto orgoglioso. Nel frattempo, aveva iniziato a dare un’occhiata agli abiti disponibili nel negozio, rendendosi conto fin da subito del fatto che i vestiti che gli erano stati confezionati nei laboratori della nave hakh’hli non avevano proprio nulla a che vedere con gli “originali terrestri”. I pantaloni, per esempio, non erano qualcosa di rigido, liscio e privo di pori. I “veri” pantaloni erano composti di tessuti morbidi e porosi che, chissà come, rimanevano comunque dotati di piega; al loro interno vi era spesso una fodera ancora più morbida, e in più erano dotati di “cerniere lampo” sulla parte anteriore, che potevano essere aperte facilmente in caso di necessità (era così che facevano, allora!). Le “cravatte”, poi, non erano affatto delle semplici strisce di tessuto. Venivano cucite come delle specie di tubi, e al loro interno vi era qualcosa di rigido che le manteneva piatte. E in quanto alle scarpe, anche queste non erano affatto un blocco unico di plastica foggiato su misura. Erano composte da vari materiali, fra cui un tessuto morbido per la parte superiore, un materiale duro per le suole e un altro materiale altrettanto duro ma più cedevole per i tacchi. Le giacche avevano le tasche anche all’interno, e le cinture non erano dei semplici ornamenti; andavano infilate nei passanti dei pantaloni, e servivano a tenerli su. I cappelli, poi, non servivano solo a riscaldare la testa, ma anche a proteggerla dai raggi del sole. Poi vi erano le calze, le mutande, le canottiere… insomma, era tutto completamente diverso… e anche decisamente meglio, pensò Sandy.

L’unico problema era che nessuno di questi meravigliosi capi di abbigliamento sembrava essere della “misura” di Lisandro Washington.

Riusciva a fatica a infilarsi i capi delle misure più grandi, solo che poi un maglione adatto al suo possente torace diventava un grembiule, con le maniche che pendevano oltre le punte delle dita, e le gambe di un pantalone giusto di vita andavano arrotolate moltissime volte. Marguery però si affrettò a spiegargli che si trattava di piccole difficoltà facilmente superabili. Bastava pagare qualche centinaio di “dollari” in più, e i “sarti” del negozio (umani assunti appositamente per foggiare gli abiti costruiti dalle fabbriche a seconda delle varie esigenze delle diverse strutture umane) avrebbero fatto in modo che gli abiti gli calzassero perfettamente. — Basta che scegli i vestiti che preferisci — gli disse Marguery — e poi li faremo adattare. — Rivolse uno sguardo preoccupato verso la parte opposta del negozio, dove Obie e Polly stavano spiegando con tono rauco a un gruppo di persone i nomi in lingua hakh’hli di varie parti del corpo come “piede”, “testa” e altre parti meno pubbliche dell’anatomia umana. — Scusami un attimo — disse a Sandy. — Sarà meglio che vada a vedere che cosa sta succedendo.

Così, Sandy ebbe la possibilità di vagare un poco per conto suo in mezzo a tutte quelle meraviglie. Vi era un numero incredibile di articoli di abbigliamento. Erano destinati a tutte le parti possibili dell’anatomia umana, ed erano disponibili in tanti di quei tessuti e in tanti di quei colori da fargli girare la testa… Per non parlare poi dei bottoni, delle stringhe, delle cerniere, dei polsini, delle tasche, delle toppe, delle frange, dei merletti e di tutte le altre cose più disparate che venivano applicate ai vari capi o che facevano addirittura parte della struttura degli abiti stessi. Alcune servivano per motivi pratici, altre erano puramente ornamentali, mentre altre ancora, decise Sandy, erano solamente delle idiozie belle e buone. (Tanto per fare un esempio, a che cosa poteva servire un capo intimo con un buco all’altezza degli organi genitali? Forse, pensò Sandy, si trattava di un adattamento concepito per l’organo maschile, che era sporgente… Ma allora come mai quel capo si trovava nel reparto riservato alla “lingerie femminile”?)

In quel momento notò una giovane donna che lo fissava sbalordita a bocca aperta. Era appena uscita da una specie di nicchia sopra la quale vi era la scritta “spogliatoio” e indossava un bikini. Forse, pensò Sandy, non avrebbe dovuto trovarsi in quel particolare reparto del negozio. Si allontanò in tutta fretta, e si ritrovò nel reparto “abbigliamento maschile”. Qui vi erano lunghissime file, di almeno venti metri ciascuna, solo di “giacche” o “pantaloni” o “completi formali”.

Sandy continuò a vagare finché non si trovò nel reparto riservato alle scarpe. Qui si fermò per ammirare i materiali lucidissimi di cui erano composte. Alcune erano talmente lucide che ci si poteva addirittura specchiare dentro, per quanto la sua immagine risultasse un poco distorta sulle superfici curve. E poi vi erano di quei colori incredibilmente belli… un paio era color lavanda con dei brillanti verdi incastonati, uno era color pesca con cuciture azzurre, uno scarlatto, giallo e arancione… Si domandò per quale motivo Marguery gli avesse mostrato solo quelle nere e marroni, che erano molto più cupe, quando ve ne erano di così allegre… Inoltre, tutte le scarpe che gli aveva proposto la femmina terrestre erano del tipo piatto e basso, mentre qui ve ne erano di bellissime e di coloratissime, con alti tacchi che avrebbero potuto aumentare la sua altezza di almeno dieci centimetri.

Sandy sorrise internamente. Evidentemente, a Marguery non piaceva l’idea che lui diventasse più alto di lei. Comunque fosse, aveva trovato le scarpe che gli piacevano. Ne prese due paia e marciò con convinzione verso la “cassa”, dove domandò alla commessa esterrefatta: — Ne avete della mia misura, per favore?


Fu Marguery che gli chiarì la situazione una volta per tutte. A quanto pareva, i terrestri di sesso maschile indossavano un tipo di scarpa, mentre quelli di sesso femminile ne indossavano un altro tipo. E naturalmente quelle con il tacco alto erano riservate alle femmine. A parte questo, le compere di Sandy si svolsero con grande facilità, non solo perché comprare cose sulla Terra veniva considerata una cosa normalissima, ma anche perché gli stessi commessi e sarti erano letteralmente entusiasti di offrire i loro servigi allo straniero proveniente dall’astronave aliena. L’intero negozio si fermò, e tutto il personale si dedicò alle richieste di Sandy. In quanto agli altri clienti, non sembrarono risentire molto di questa situazione; anzi, si affollavano tutti attorno a Sandy incuriositi, e alcuni uomini arrivarono persino fino al punto di sbirciare attraverso le tendine quando era nello spogliatoio. Sandy non percepì alcun tipo di ostilità da parte di tutta quella gente. Certo, erano molto curiosi, ma più che altro li trovava ospitali. Ospitali.


Finalmente, era a casa sua.

L’unica cosa che lo preoccupava realmente era il fatto che, con tutti quegli umani attorno a lui, e in particolare con tutte quelle femmine umane (nessuna così grande e gloriosa come Marguery Darp, ma tutte ugualmente e decisamente femmine), non riusciva a fare a meno di provare una certa eccitazione.

A un certo punto, una commessa che stava aiutando a prendere le misure dei suoi pantaloni divenne paonazza in volto, sorrise e scostò lo sguardo; diverse persone fra quelle radunate attorno a loro emisero risatine imbarazzate, e Sandy si rese conto con stupore che il suo stato di eccitazione sessuale era tale da risultare visibile attraverso i pantaloni. Che cosa doveva fare in un caso simile?

Fra gli hakh’hli, un’occasione del genere sarebbe stata senz’altro salutata con felicità ed entusiasmo. Qualsiasi femmina che si trovasse nei paraggi si sarebbe offerta subito di collaborare. Solo che non si trovava fra gli hakh’hli.

Nessuno degli svariati film a cui Sandy aveva avuto modo di assistere spiegava esattamente come si facesse ad ottenere le grazie di una femmina umana. Eppure, Sandy ne aveva studiati parecchi in maniera a dir poco assidua alla ricerca di indizi in proposito. Il problema non era il fatto che non esistessero dei protocolli definiti. Di fatto, i rituali dell’accoppiamento erano il soggetto principale della gran parte dei film terrestri, soprattutto di quelli in cui il ragazzo e la ragazza si cantavano canzoni d’amore a vicenda e ballavano al suono di un’orchestra invisibile. Tanto per fare un esempio, Sandy avrebbe potuto interpretare benissimo il ruolo di Fred Astaire quando, con un solo sguardo, si rendeva immediatamente conto del fatto che Ginger Rogers era l’unica donna al mondo che desiderasse e, dopo essere stato respinto con apparente disgusto, riusciva a sciogliere il cuore di ghiaccio di Ginger Rogers cantando a bassa voce nel suo orecchio, facendole ballare un valzer o un tango finché, nel finale, se la portava via a ritmo di tip tap verso, si presumeva, un letto. Solo che a Sandy non era ancora capitato di sentire quell’orchestra invisibile, e inoltre non sapeva ballare il tip tap.

Poi vi erano quei film nei quali il ragazzo salvava la ragazza dai “nemici” nel corso di una “guerra”, oppure la salvava dai “gangster” o dai “terroristi”, e poi naturalmente andava a letto con lei. Solo che non vi era nessuna guerra in corso.

Infine, vi erano quelli ancora più espliciti, in cui il ragazzo e la ragazza entravano separatamente in un “single bar” (qualunque cosa fosse), lei si sedeva con una bevanda in mano e lui si avvicinava e le sedeva accanto. Poi si scambiavano dei commenti in codice. Il codice era abbastanza facile da decifrare, ma difficile da duplicare. Simili conversazioni avevano due livelli di significato ben distinti, e Sandy non era sicuro che le sue abilità linguistiche gli permettessero un simile livello di conversazione. Tuttavia, a quanto pareva, questo era il metodo più diretto di tutti, poiché non appena i due avevano ricevuto i rispettivi segnali di riconoscimento, si passava immediatamente alla fatidica domanda: “Casa tua o casa mia?”.

L’unico aspetto incoraggiante di quella situazione, pensò Sandy, era che lui in effetti aveva una casa, una camera d’albergo tutta sua… Ma dove si trovava il “single bar”, il luogo appropriato per fare il suggerimento? Fra l’altro, dove avrebbe trovato il tempo per fare una cosa del genere? Non appena gli sistemarono i primi indumenti (gli altri sarebbero stati consegnati il giorno seguente), Marguery lo trascinò via dal negozio.

— E Polly e Obie? — domandò Sandy guardandosi alle spalle, dove i due hakh’hli stavano ancora parlando con un gruppo di terrestri.

— Hanno i loro accompagnatori personali — rispose Marguery. — Naturalmente il popolo della Terra è interessato soprattutto a te, e per questo abbiamo organizzato un’intervista televisiva per te solo. Lo studio si trova a un solo isolato di distanza.

La donna lo trascinò con sé fino a un edificio molto diverso rispetto a quello del negozio. Si trattava di un caso quasi unico a Dawson, poiché tutti e dieci i piani dell’edificio si trovavano al di sopra del livello del suolo. Lo “studio” si trovava all’ultimo piano. — Questo è uno studio televisivo — lo informò Marguery. Gli rivolse uno sguardo compiacente. — Sei molto elegante — aggiunse.

— Davvero? — domandò Sandy con gratitudine. Quando passarono davanti a uno specchio, si fermò per ammirare i suoi nuovi abiti; un paio di pantaloncini beige, una camicia a maniche corte aperta davanti per mettere in mostra il suo petto, un paio di sandali e calzini al ginocchio con una banda rossa all’estremità. — Immagino che sia proprio così — dichiarò orgoglioso. — Cosa dobbiamo fare adesso?

— Dobbiamo entrare qui dentro — rispose Marguery conducendolo in un’ampia sala nella quale si trovavano una decina di persone munite di telecamere. Le telecamere erano tutte puntate su di lui.

Un uomo con un maglione a collo alto color blu scuro gli si avvicinò con la mano tesa. — Mi chiamo Wilfred Morgenstern — disse, contraendo appena il viso mentre Sandy si ricordava di non stringere troppo forte. — Sono l’intervistatore. Cosa ne direbbe di raccontarci tutta la sua storia, partendo dall’inizio?

Sandy si guardò attorno con aria perplessa, ma vide Marguery che annuiva con fare incoraggiante. — Be’ — iniziò — molti anni fa, quando la Terra era impegnata in una grande “guerra”, la nave hakh’hli è arrivata nel vostro sistema solare nel corso delle sue esplorazioni…


L’intervista fu piuttosto lunga, e quando fu terminata Marguery si avvicinò a Sandy e gli si rivolse in tono molto cordiale. — Vorresti andare a mangiare qualcosa prima di tornare all’albergo? — gli domandò. — Credo che sia stata una giornata molto lunga per te.

Sandy annuì subito con entusiasmo; la giornata era stata effettivamente molto lunga per lui, non solo per il numero di cose che erano accadute, ma anche per il numero di ore che erano trascorse; le giornate terrestri di 24 ore erano decisamente più impegnative rispetto a quelle degli hakh’hli. — Però c’è ancora luce fuori — notò, indicando una finestra.

— Durante l’estate le giornate sono molto lunghe in questa parte del mondo — spiegò Marguery. — Infatti qui è normale che la gente vada a letto con il sole ancora alto nel cielo.

Ma Sandy non la stava più ascoltando. Si era avvicinato alla finestra, e la vista lo aveva lasciato letteralmente senza fiato. Il sole stava quasi tramontando, e il cielo era un vero e proprio ammasso di colori stupefacenti, con le soffici nubi che assumevano tinte dal bianco al rosa, dal malva all’arancione… — È meraviglioso! — esclamò Sandy.

— Sono solo nuvole — rispose Marguery. — Probabilmente fanno parte di quella tempesta che hai visto nel Commonwealth dell’Inuit. Non hai mai visto le nuvole prima d’ora? — aggiunse incuriosita.

— Non abbiamo nuvole nella nave hakh’hli — disse Sandy. — Figurati che non esiste nemmeno una parola in lingua hakh’hli per descriverle. Quando gli hakh’hli devono parlare delle nuvole, le chiamano “ita’hekh na’hnotta ‘ha”, che significa… vediamo un po’, uh, “particelle di fase liquida sospese in fase gassosa”.

— Molto interessante — disse Marguery. — Spero che in futuro mi insegnerai anche della altre parole hakh’hli.

— Con grande piacere — ribatté prontamente Sandy, poi si sorprese con uno sbadiglio. In effetti, forse aveva realmente sonno. — Potrò vederti anche domani? — domandò.

— Ma certo che mi vedrai, Sandy. Io sono la tua accompagnatrice personale. Mi vedrai tutti i giorni per un bel po’ di tempo.

Sandy si produsse in un grande sorriso di gratitudine. — Allora riportami all’hotel. Mangerò il latte coi biscotti assieme a Obie e Polly.

Poi, pensò, vi era anche un’altra cosa che voleva fare all’albergo. La poesia stava già prendendo forma nella sua mente.

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