John William Washington, chiamato “Sandy” dalla sua vecchia tutrice e dai suoi sei amici, ha un’età biologica di 22 anni 11 mesi. Egli stesso sì considera più o meno un 22enne, anche se nell’astronave hakh’hli il tempo non viene misurato secondo i parametri terrestri. In ogni caso, la sua età non riflette il tempo effettivamente trascorso dal giorno della sua nascita. La grande nave interstellare infatti ha percorso buona parte della sua strada a velocità relativistiche, e la conseguente dilatazione temporale ha mandato a farsi friggere tutti gli orologi. Sandy è un ottimo esemplare dal punto di vista fisico, a parte un piccolo difetto di udito (al quale i suoi compagni di viaggio hanno posto facilmente rimedio costruendogli un apparecchio acustico) e il fisico un po’ tarchiato. È alto appena 1 metro e 65 centimetri, ma pesa 90 chili. Questo almeno sarebbe stato il suo peso sulla Terra; di fatto, nella gravità artificiale dell’astronave hakh’hli, pesa esattamente il 30 per cento in più. Sandy è comunque abbastanza forte da sostenere tutto il suo peso con una mano sola, con il braccio allungato. Albert Einstein però, come in molti altri casi, aveva perfettamente ragione quando sosteneva che tutto è relativo. Infatti, fra gli hakh’hli che vivono in quell’enorme nave interstellare, Sandy è considerato fragile come un cucciolo. Tanto che il suo secondo soprannome, quello che i suoi compagni usano quando sono arrabbiati con lui, è “Mingherlino”.
— Staccati, Sandy-Mingherlino, staccati! — disse una voce nei sogni di Sandy. Solo che non era un sogno. Era la voce affettuosa e insieme irritata alla sua compagna di coorte Polly. Risultava molto debole per Sandy solo perché il suo apparecchio acustico si era nuovamente staccato durante la notte. — Abbiamo un sacco di lavoro da fare stamattina! — insistette Polly respirandogli fra i capelli con il suo fiato un po’ acido ma gradevole. Sandy cercò di allontanarsi dalla fonte di disturbo. Polly non era certo la più grande fra i sei hakh’hli della coorte di Sandy Washington, ma in certi casi risultava senz’altro la più tirannica.
A quel punto Sandy mollò la sua presa su Elena da un lato e su Demmy dall’altro, si alzò a sedere, si stiracchiò e sbadigliò. Rimise a posto il suo apparecchio acustico e si guardò attorno. L’intera coorte dormiva ammucchiata su un tappetino in un angolo della sala per gli esercizi, e non era affatto inconsueto per Sandy svegliarsi con l’immensa gamba destra di Chiappa premuta sulla schiena o magari con l’artiglio doppio di Titania infilato in bocca. Questa volta però si trovava in cima al mucchio, quindi ne approfittò per balzare immediatamente giù prima che iniziasse l’inevitabile parapiglia mattutino.
Si lavarono e si strofinarono tutti assieme mentre uno di loro andava a prendere il carrello della colazione. Questa non aveva nulla a che vedere con gli enormi bocconi di radici e carne che avrebbero divorato durante il pasto di mezzogiorno; consisteva invece nel brodo con i wafer che usavano chiamare “latte con biscotti”. Dato che erano tutti ancora piuttosto addormentati, non si dissero quasi nulla. Gli hakh’hli però odiavano il silenzio almeno quanto un qualunque direttore di aeroporto terrestre, e infatti la musica mattutina era già stata accesa. Il programma speciale per la sezione della nave riservata alla coorte stava trasmettendo melodie terrestri. Sandy canticchiò il motivo Yesterday dei Beatles mentre tirava fuori i suoi abiti dall’armadietto e si protendeva in avanti per baciare la fotografia di sua madre appesa all’interno della porta dell’armadietto. Poi, dato che era un giorno lavorativo, si affrettò verso il carrello della colazione, dove gli altri stavano già consumando velocemente il brodo fumante e i croccanti wafer. Il pasto non venne accompagnato da alcuna cerimonia particolare (nelle giornate lavorative non perdevano mai tempo per il Gioco della Cucina o per il Gioco del Ristorante) e non appena ebbero finito si affrettarono subito tutti quanti verso lo sportello stagno della loro sezione. Si udì un secco schiocco, un sibilo acuto e un tonfo forte e profondo, dopodiché lo sportello pressurizzato si aprì davanti a loro. Sandy deglutì mentre attraversavano la camera di decompressione. Il cambio di pressione fra la loro sezione, che veniva mantenuta sullo standard terrestre di 1.000 millibar, e quella degli hakh’hli, che era di 1.200 millibar, non avrebbe dovuto ormai causargli alcun dolore alle orecchie, ma invece gliene procurava regolarmente. Naturalmente, i suoi compagni hakh’hli non si accorgevano nemmeno della differenza.
Obie si protese temerariamente in avanti per rivolgere una rapida occhiata in entrambe le direzioni del corridoio. — ChinTekki-tho non c’è! — esclamò. — È in ritardo! Magari ci daranno la giornata libera!
— Sì, e magari la tua cacca prenderà il volo! Rientra immediatamente! — ordinò Polly afferrando la tozza coda del suo compagno.
— Ma fa caldo — ribatté con voce lamentosa Obie mentre si rialzava sulle zampe molleggiate e offriva la coda a Sandy affinché lo confortasse. La coda era lì da leccare, e Sandy la leccò. Del resto, tutti i componenti della coorte sapevano bene che aveva ragione Polly; Obie non avrebbe dovuto uscire dalla loro sezione senza permesso, poiché adesso era vietato per tutti loro. Tuttavia, l’intera coorte risentiva della tirannia di Polly, e inoltre Obie era il migliore amico di Sandy.
Polly si assunse la responsabilità di fornire le spiegazioni del caso. — La nave è calda — disse in tono severo — semplicemente perché i navigatori hanno dovuto portarci in prossimità di questa stella per compiere la manovra di cambiamento di rotta. Non potevano farne a meno, e comunque adesso l’ambiente si sta gradualmente raffreddando.
— Siano benedetti i navigatori — ribatté istintivamente Obie.
— Che siano benedetti! — gli fece eco Elena. Naturalmente, lo disse solo per ingraziarsi Obie. Elena stava infatti preparandosi anticipatamente per il momento, non molto lontano, in cui Obie sarebbe entrato nel suo periodo di fertilità. Quando sarebbe giunto quel momento, un semplice capriccio di Obie avrebbe potuto rappresentare per lei la differenza fra un secco rifiuto e un riuscito accoppiamento in anfilassi.
Ma Obie non la stava nemmeno ascoltando. Si era già ripreso e stava scrutando temerariamente il corridoio. — Arriva MyThara! — gridò un attimo dopo.
Si fecero tutti avanti per venirle incontro. Sandy in particolare, sorridendo per l’inaspettato piacere di vederla apparire al posto del Tutore Primario, le balzò sulla schiena non appena entrò dallo sportello. MyThara però se lo scrollò immediatamente di dosso, zoppicando sotto il suo peso, e assunse un atteggiamento irato. — Staccati immediatamente! — sbottò. — Che cofa ti prende, Lifandro? — Sandy trasalì; il fatto che si fosse rivolta a lui usando il suo nome completo significava che doveva essere realmente arrabbiata. — Un fimile gefto da parte di un cheth in procinto di portare a termine un compito importante può effere confiderato come un efempio di condotta impropria! ChinTekki-tho non ha potuto venire oggi, quindi farò io a condurvi al voftro lavoro odierno. Feguitemi, tutti quanti!
Versando lacrime di divertimento, il gruppetto seguì la tutrice attraverso la nave. Tutti i componenti della Coorte Missione Terra amavano la vecchia MyThara, anche se soltanto Sandy la considerava come la cosa più vicina a una vera madre che avesse mai avuto. Il suo nome completo era Hoh’My’ik per Thara-tok 3151. L’“Hoh” e l’”ik” avevano a che fare con la sua discendenza familiare, mentre “My” si riferiva al suo stato sociale (era un’adulta matura, ma non un’Anziana). Thara-tok era il suo nome personale, e il “per” si riferiva invece alla sua età; la vecchia tutrice era ormai prossima alla fine della sua vita, come Sandy ben sapeva ma cercava di non ricordare troppo spesso. In quanto al numero, questo serviva per distinguerla da altri elementi della sua stessa stirpe e generazione, ed era lo stesso numero di serie delle sue uova fertilizzate e congelate. In alcune occasioni Sandy arrivava fino al punto di chiamarla Thara-tok, ma la forma che di regola andava usata nei suoi confronti da giovani adulti come quelli della coorte era “MyThara”.
Ormai mancava veramente poco all’arrivo sul pianeta Terra, e di conseguenza anche Sandy e i suoi compagni di coorte dovevano fare i loro turni di lavoro. Alle volte il lavoro consisteva nella raccolta delle piante commestibili, che implicava anche la pulizia dei tuberi dal terriccio accumulato e la separazione dei fusti dalle foglie. Altre volte si trattava invece di staccare i boccioli dalle stesse piante quando erano in fase di fioritura, o di raccogliere le sfere biancastre che erano i loro frutti. Tirare fuori i tuberi dalla terra era un lavoro sporco, ma non era nemmeno paragonabile a ciò che andava fatto a fine raccolto. A quel punto infatti la terra doveva essere preparata per la semina successiva, e il compito della coorte consisteva nel prendere secchi di detriti liquidi dalle stazioni di riciclaggio per mischiarli al terreno. Le piante commestibili hakh’hli erano una vera e propria meraviglia, nel senso che ogni singola loro parte era commestibile, altamente nutritiva, e poteva essere preparata e mangiata in centinaia di modi diversi. Tuttavia, le piante prosciugavano letteralmente il terreno in cui crescevano, e di conseguenza a ogni nuova semina andavano restituite alla terra le sue sostanze nutritive. Queste ultime venivano fornite dalle stazioni di riciclaggio, che trasformavano in una melma scura qualsiasi tipo di detrito alimentare che passasse attraverso gli scarichi dei rifiuti organici e attraverso i sistemi digestivi dei membri dell’equipaggio.
Ma anche quel lavoro non era poi tanto male se paragonato alla pulizia delle stalle degli hoo’hik, gli animali da macello a quattro zampe pallidi, docili e pelosi. Gli hoo’hik erano grandi come lo stesso Lisandro e avevano un carattere generalmente docile e affettuoso. A dir la verità puzzavano parecchio, e le loro feci erano ancora peggio, ma erano decisamente molto affettuosi, tanto che capitava spesso che qualcuno di loro premesse dolcemente il muso contro il corpo di Lisandro, anche mentre li portava al macello; in alcune occasioni, li aveva addirittura visti sollevare le loro zampe pelose per accarezzare dolcemente il macellaio stesso, mentre attendevano con espressioni inebetite il colpo che li avrebbe uccisi. Gli hoo’hik non avevano praticamente nulla a che vedere con i cani e i gatti che Sandy aveva visto alla TV terrestre, ma allo stesso tempo erano la cosa più simile a un cane o a un gatto che ci fosse da quelle parti. A volte Lisandro si ritrovava a desiderare di avere un cucciolo di hoo’hik come animale domestico. Ma naturalmente una cosa del genere era del tutto impossibile. Nessun tipo di animale domestico poteva essere ammesso sulla grande nave hakh’hli.
A meno che non si consideri come tale lo stesso Lisandro Washington.
— Su, sbrigatevi, sbrigatevi — ripeteva in continuazione MyThara mentre la coorte si soffermava a guardare con aria malinconica ogni corridoio e compartimento davanti al quale si trovasse a passare, zone che erano sempre state a loro disposizione e alle quali ora era stato negato l’accesso. Gli hakh’hli che incontravano si fermavano tutti per osservarli, poiché la Coorte Missione Terra era ormai diventata la più famosa di tutta la nave. In condizioni normali, i componenti della coorte non avrebbero mai potuto ottenere una simile attenzione, per nessun motivo. Per gli standard sociali hakh’hli infatti loro non erano altro che dei “cheth”, il che significava che erano adulti, ma ancora non del tutto. In condizioni normali, nessuno dei membri della coorte sarebbe stato considerato degno di assumersi qualsiasi tipo di seria responsabilità per almeno altri sei anni. Tuttavia, in questo caso le condizioni non erano affatto normali. I componenti della Coorte Missione Terra non avevano il tempo per diventare più vecchi e più saggi, poiché il momento in cui sarebbero entrati in azione era ormai prossimo. Di conseguenza, gli altri hakh’hli li vedevano un po’ allo stesso modo in cui un giapponese particolarmente cinico avrebbe potuto vedere un giovane volontario kamikaze nel corso della Seconda guerra mondiale. L’importanza e la serietà del lavoro che avrebbero intrapreso faceva sì che meritassero un certo rispetto, ma allo stesso tempo rimanevano pur sempre dei ragazzini, e per di più con la testa ancora piena di piume.
Il loro compito di quel giorno consisteva nel fissare le reti nell’asilo. Quando la nave sarebbe entrata nell’orbita del pianeta Terra, i suoi motori sarebbero stati spenti, e a quel punto tutto ciò che si trovava al suo interno avrebbe perso immediatamente peso. Quello era il momento in cui sarebbero risultate necessarie le reti, affinché i piccoli hakh’hli appena nati, che saltellavano felicemente in giro per l’asilo, non si rompessero le loro piccole teste sulle pareti.
— Sandy, tu vai in cima — ordinò Demetrio dopo aver controllato la situazione. — Il più leggero sei tu.
— Ma è il lavoro più faticoso di tutti — si lamentò Sandy. Chi si trovava in cima alle pareti infatti avrebbe dovuto ancorarsi con uno o più arti e cercare di prendere al volo con gli arti rimasti liberi le pesanti sfere di fibra elastica che gli venivano lanciate.
— Ti sta bene-gracchiò con tono maligno Elena. — Era ora che tu cominciassi a fare qualche lavoro un po’ serio. — Dato che era la seconda più piccola dopo Sandy, anche se la differenza di massa fra i due era notevole, Elena venne subito mandata in cima alla parete opposta per raccogliere i lanci di rimando.
Per non sprecare quel tempo, la coorte organizzò immediatamente uno dei suoi tipici giochi informali. Il gioco si chiamava semplicemente “Domande” e, dato che era stata Elena a proporlo, toccò a lei scegliere la categoria delle domande.
— Secondi nomi — decretò.
— Di presidenti degli Stati Uniti? — aggiunse timidamente Chiappa. Chiappa era sempre il più diffidente fra loro. Ed era anche il più grasso e il più basso della coorte. Veniva sempre preso in giro da tutti per il modo goffo in cui si muoveva, ma quando faceva una proposta, sempre ammesso che venisse ascoltata, tutti trovavano quasi sempre che si trattasse di una buona idea.
— Va bene — disse Sandy con tono carico di aspettativa mentre sistemava il suo apparecchio acustico per essere sicuro di non perdere nulla. — Inizio io allora. Che ne dite di Herbert Hoover?
— Clark — ribatté immediatamente Demmy. — Il suo secondo nome era Clark. Herbert Clark Hoover, 1929-1933. Era presidente durante il grande crollo della Borsa del 1929, quello che portò alla Grande Depressione, ai venditori di mele, alle file per il pane, alla disoccupazione, al minigolf…
Polly gli scagliò addosso una palla di corda. — Limitati a dire il nome — ordinò con tono scocciato. — Continua, tocca a te.
Demmy emise una risatina mentre afferrava il rotolo, con gli occhi umidi di vanità. Lanciò la palla a Sandy, che rimase in ascolto mentre fissava l’anello della rete a uno dei pioli infissi nella parete. — Va bene — disse Demmy. — Che ne dite di Richard Nixon?
— Milhous! — esclamò immediatamente Polly, che era già pronta con la sua prossima domanda. — Calvin Coolidge — disse orgogliosa leccandosi le labbra con fare soddisfatto. Era certa di averli fregati, ma Chiappa non si lasciò ingannare tanto facilmente.
— Era Calvin! — sbottò in tono trionfante. — Il suo secondo nome era proprio Calvin! Il primo era… era…
— Era cosa? — domandò Polly. — Non hai risposto alla domanda.
— Invece sì! — gridò Chiappa.
— Invece no!
— Stupida spilungona succhiasangue — sibilò Chiappa, tentando di mettere a frutto il suo gergo terrestre nonostante l’evidente difficoltà nel pronunciare le “esse”. — Ho risposto correttamente!
— E invece no. Calvin è il nome che ho detto io. Tu devi dire l’altro nome, altrimenti hai perso e tocca di nuovo a me e… oof! — Polly annaspò mentre Chiappa le balzava addosso sbattendo la massiccia testa triangolare direttamente nella sua pancia.
La rissa che si sviluppò pose temporaneamente fine al lavoro che stavano svolgendo. Elena balzò immediatamente giù dal suo trespolo per unirsi alla lotta, mentre Sandy invece rimase appollaiato dov’era. Queste risse non rappresentavano nulla di particolarmente pericoloso per i suoi compagni di coorte, che pesavano tutti almeno il doppio di lui e in linea di massima si equivalevano come forza fisica. Per Sandy invece la questione era ben diversa. Egli non possedeva né la massa sufficiente né la pelle dura degli hakh’hli, e di conseguenza partecipare a una rissa del genere sarebbe stato a dir poco deleterio per lui. Tanto più che non aveva nemmeno la forza muscolare necessaria per parteciparvi, dato che qualunque giovane hakh’hli avrebbe potuto tranquillamente staccargli gli arti uno per uno come se staccasse i petali da una margherita. In passato, quando erano tutti molto più giovani, vi erano state occasioni in cui si era quasi giunti fino a quel punto.
In verità, Lisandro Washington non era affatto un mingherlino. Sulla Terra non sarebbe mai stato considerato tale, solo che gli hakh’hli erano tutt’altra cosa rispetto agli esseri umani. Fortunatamente, ne erano perfettamente consapevoli. Quando qualche suo compagno di coorte si arrabbiava con Sandy, non arrivava mai fino al punto di esercitare violenza fisica su di lui. I componenti della coorte sapevano benissimo che cosa sarebbe loro accaduto se avessero danneggiato in qualsiasi modo l’unico membro di razza umana del gruppo, ma questo non era l’unico motivo per il quale lo rispettavano. Gli altri membri della coorte di Sandy infatti erano piuttosto felici di averlo con loro. Anzi, gli erano addirittura grati, poiché in realtà gli dovevano molto. Tutti infatti sapevano benissimo che se non fosse stato per il fatto che quella creatura terrestre, Lisandro Washington, aveva avuto bisogno di compagni per crescere (non compagni umani, naturalmente, poiché sulla grande nave non ve ne erano proprio, ma piuttosto gli esseri più simili agli umani che gli hakh’hli erano riusciti a trovare), con ogni probabilità tutti loro sarebbero stati ancora sotto forma di uova, congelate nella grande incubatrice criogenica della nave.
Così, mentre gli altri si picchiavano, Sandy scivolò giù dalla sua parete e si infilò in un angolo seminascosto protetto da una fila di nidi vuoti. Gli infanti hakh’hli che avrebbero dovuto occupare quei nidi non erano ancora usciti dall’incubatrice. Dopo essersi messo comodo, felice di avere avuto la possibilità di scendere dal suo trespolo sulla parete, Sandy tirò fuori da una tasca un piccolo bloc-notes e una penna. Abbassò la testa per proteggersi da eventuali oggetti lanciati dai suoi compagni e iniziò a scrivere una poesia.
Scrivere poesie era un’attività piuttosto comune fra gli hakh’hli… anche se alcuni elementi, in particolare i grezzi hakh’hli-operai che erano stati generati per occuparsi dei lavori pesanti e pericolosi all’esterno della nave o attorno ai suoi motori radioattivi, non sapevano nemmeno di che cosa si trattasse. Ma gli altri sei membri della coorte di Sandy si dedicavano spesso a questa particolare pratica intellettuale. Per loro non era altro che un modo per mettersi in mostra. Sandy aveva già scritto un certo numero di poesie, ma come tutte quelle prodotte nella sua coorte, anche queste erano state scritte in lingua hakh’hli, e quindi usando ideogrammi piuttosto che lettere. Per gli hakh’hli, l’aspetto artistico visivo della poesia sulla carta era importante almeno quanto il contenuto delle parole. Sandy però ora voleva fare qualcosa che nessuno dei suoi compagni aveva mai fatto in precedenza, ovvero scrivere una poesia in stile hakh’hli, ma in lingua inglese.
Aveva già trovato le parole adatte e stava iniziando a darsi da fare per comporle in uno schema artistico quando venne interrotto da una squillante voce hakh’hli proveniente dalla porta d’ingresso dell’asilo. — O, persone cattive! Persone-che-non-contribuiscono-facendo-il-loro-dovere! State giocando, trascurando il vostro lavoro! Desistete immediatamente! Tornate a lavorare! Questo è un ordine!
Sandy riconobbe immediatamente la voce. MyThara era tornata ed era davvero arrabbiata sollevata completamente sulle zampe posteriori per torreggiare sulla coorte. Passò all’inglese per continuare la sua predica, balbettando e sbagliando persino la grammatica per la rabbia. — Che diavolo avete? Perché vi comportate come hoo’hik? Gli infanti nafcituri devono avere luogo ficuro per creffere!
Emettendo sbuffi imbarazzati, i membri della coorte si fermarono dove erano. In effetti, avevano combinato un bel disastro. Metà delle reti già fissate erano state letteralmente strappate via, e ora penzolavano flaccide e inutili dai loro pioli sulle pareti. — Mi dispiace, MyThara — disse Demmy meschinamente. — Ma è stato Chiappa a iniziare. È saltato addosso a…
— Non intereffa Chiappa! Intereffa che mie perfone fi fono comportate male e non bene! Ora ripulite fubito quefto cafino e rimettervi al lavoro, alla fvelta!
Una volta finito il turno lavorativo di tre dodicesimi di giorno e tornati nella sezione riservata alla loro coorte, MyThara chiamò Sandy per una prova di abbigliamento. Sandy a quel punto aveva una fame notevole, come del resto tutti loro, ma non poteva dire di no a MyThara. Per gran parte della sua vita, Sandy era stato convinto che MyThara fosse la persona più saggia del suo piccolo mondo, oltre che la migliore in assoluto. Ne era tuttora convinto, e così, seguendo un impulso, decise di porle una domanda che lo aveva tormentato per diverso tempo. — MyThara-tok? — domandò. — Tu diventerai mai un’Anziana?
MyThara assunse un’espressione sbalordita. — Lifandro! — esclamò. — Che idea! Io non fono nata per effere un’Anziana, non credi?
— No? — domandò Lisandro.
— No, non lo fono. Devi fapere che prima che le uova fi fchiudano, gli fienfciati le manipolano a modo loro. È per quefto che tutti i componenti della tua coorte fono in grado di pronunciare quelle terribili effe e tutto il retto…
— Lo so — la interruppe Sandy. — Questo lo sanno tutti.
— Infomma — continuò MyThara — a me non hanno mai fornito i tratti genetici neceffari per diventare un’Anziana. Non mi hanno dato la faggezza e l’intelligenza…
— Ma tu sei molto saggia e intelligente! — la interruppe Sandy con tono sincero.
— Per me, fì — rispose MyThara leggermente imbarazzata. — Tu fei proprio un bravo ragazzo. Folo che io non poffeggo le caratteriftiche genetiche neceffarie per effere un’Anziana, non trovi? Ma del refto è giufto che fia cofì. Io fono felice. Fto facendo un lavoro utile. È proprio in quefto che confitte la felicità, Fandy. Nel fare il lavoro che ci viene affegnato e nel farlo nella migliore maniera poffibile.
— Che tipo di lavoro utile stai facendo?
— Cofa intendi dire, Lifandro?
— Hai appena detto che stai facendo un lavoro utile. Io credevo che tu ti limitassi a occuparti di me.
— E allora? Non è forfe quefto un lavoro utile? Tu fei una perfona utile, Fandy. Fei l’unico effere umano in tutta la nave, e quefto ti rende molto fpeciale. Ma ora procediamo con la tua prova di abbigliamento, va bene? — Si protese in avanti per appoggiare tutti e quattro i pollici sui comandi del monitor. Sullo schermo apparvero immediatamente una serie di immagini di terrestri di sesso maschile con indosso diversi abiti.
Prendere una decisione su che cosa dovesse indossare Lisandro per la sua missione sulla Terra non era affatto facile, poiché a quanto pareva gli esseri umani cambiavano spesso tipo di abbigliamento a seconda degli anni e delle epoche. Ma la cosa peggiore era che le reti televisive terrestri avevano la disorientante abitudine di trasmettere film storici, alcuni dei quali erano tanto antichi da non fornire alcun tipo di indizio sulla data della loro produzione. Le toghe, di questo gli hakh’hli erano sicuri, erano fuori moda. E anche i cappelli piumati e le spade lo erano. Un completo formale da lavoro sembrava essere la cosa più sicura, ma… insomma, di che genere doveva essere? Doppiopetto o normale? Con i risvolti larghi o stretti? Con la cravatta o senza? Con il colletto rigido? Con il risvolto ai pantaloni? Con un gilet? E in quel caso, il gilet doveva essere di un colore neutro che andasse d’accordo con la giacca o doveva stagliarsi con colori vivaci come il rosso o il giallo?
Oltre a tutto ciò, vi era il terribile problema del materiale da usare per confezionare gli abiti. Le migliori immagini televisive terrestri a disposizione degli hakh’hli mostravano chiaramente i colori e in alcuni casi anche il tipo di tessuto di alcuni abiti tipici, ma vi erano sempre dei dettagli che nessuno sull’astronave era in grado di comprendere. Gli studiosi più abili, consultando oltre un secolo di trasmissioni televisive terrestri, erano riusciti a imparare molte cose e a dedurne altrettante attraverso confronti e paragoni di vario genere, ma non erano comunque stati in grado di stabilire se un particolare capo di abbigliamento dovesse essere composto da tessuto sottile o spesso, se dovesse essere foderato o meno, o anche come andasse effettivamente messo assieme. Naturalmente, questi particolari erano più importanti per Sandy che per qualsiasi altro membro della sua coorte, poiché questi ultimi indossavano già da tempo abiti terrestri, o almeno qualcosa di simile. I sei giovani hakh’hli che accompagnavano Sandy in ogni fase della sua vita indossavano infatti pantaloncini corti, modificati per poter ospitare le loro possenti zampe posteriori, giacchette a maniche corte, e ogni tanto addirittura dei cappellini. Le scarpe erano qualcosa di pressoché impossibile da indossare per un hakh’hli, date le dimensioni dei suoi piedi, ma alle volte alcuni accettavano di infilarsi qualcosa di simile a sandali. Lisandro invece si vestiva sempre come un terrestre in tutto e per tutto. Gli era stato persino richiesto di allenarsi a “fare il nodo della cravatta” davanti a uno specchio, come apparentemente facevano quasi tutti i terrestri di sesso maschile. Tuttavia, nulla di ciò che Sandy aveva dovuto imparare fino ad allora era servito a prepararlo per il gravoso compito della selezione che si apprestava ad affrontare in quel momento. — Non posso indossare abiti del genere! — esclamò. — Come faccio a defecare?
— Gli ftudiofi dicono che la migliore cofa da fare è togliere il pantalone — lo rassicurò MyThara. — Vedrai che non avrai alcun problema, Lifandro.
— Ma avrò l’aspetto di un imbecille!
— Farai molto elegante, invece — promise MyThara mentre inseriva nell’apparecchio le scelte finali. — Le femmine della Terra ti leccheranno la lingua, ne fono ficura. — Sandy riuscì a mantenere un’espressione scocciata, ma internamente il suo cuore ebbe un vero e proprio sobbalzo a quel solo pensiero. — E ora preparati per il pasto di mezzogiorno — concluse MyThara.
Dato che il carrello con il pranzo di mezzogiorno non era ancora arrivato, i componenti della coorte avevano deciso di dedicarsi a una partita di pallacanestro, sia per mantenersi occupati che per scaricare parte della tensione nervosa accumulata dalle loro giovani e pulsanti ghiandole.
La loro idea della pallacanestro non era del tutto regolamentare. Giocavano in tre per squadra, con uno come arbitro; naturalmente, dato che Sandy era rimasto con MyThara a scegliere i vestiti, in quell’occasione avevano iniziato senza arbitro. La palla non rimbalzava esattamente allo stesso modo in cui l’avevano vista rimbalzare nelle immagini televisive delle partite fra i Knicks e i Lakers, e la loro stanza non aveva nulla a che vedere con un campo regolamentare. Ciò nonostante, facevano del loro meglio. Sandy Washington cercava sempre di convincere gli altri a giocare a quel gioco, poiché era forse l’unico in cui, certe volte, era in grado di batterli. Loro erano decisamente più forti, ma lui era più veloce.
Così, Sandy convinse Obie a uscire dalla partita per fare l’arbitro (cosa piuttosto facile, dato che a Obie non piaceva particolarmente quel gioco) e si buttò nella mischia. Non era certo una grande partita come quelle che usavano fare tempo addietro, 12 contro 12, prima che la loro coorte venisse isolata dalle dozzine di altre con le quali erano cresciuti, ma era ugualmente una buona partita. La nave ora si era raffreddata, dato che si stava finalmente allontanando dal sole del sistema della Terra che era stato sfruttato per rallentare la propria corsa. Per Sandy Washington, quest’ultimo fattore aveva aspetti sia positivi sia negativi. Era un bene perché gli altri componenti della coorte non sudavano così tanto, ma nel contempo era anche un male, perché si stancavano meno rapidamente.
Lui però si stancò abbastanza presto, e abbandonò la partita molto prima che arrivasse il carrello del pranzo. Obie riprese il suo posto in squadra, e mentre gli altri giocatori si smarcavano, Polly uscì dal campo zoppicando e si avvicinò a Sandy, massaggiandosi la coscia nel punto in cui l’aveva colpita Obie rientrando in campo.
— Mi ha fatto male — si lamentò.
— Tu sei più grande di lui — osservò Sandy. — Buttalo fuori.
— Oh, no! — Polly assunse un’espressione scandalizzata. Non spiegò i suoi motivi, ma del resto non ve n’era bisogno. Ormai tutti quanti si erano resi conto che Obie stava per entrare nel suo periodo di fertilità, e di conseguenza era logico che Polly non facesse nulla che potesse renderglielo nemico. — Perché non vai a prendere il carrello del pranzo, dato che non stai giocando? — domandò.
— Sono andato ieri — ribatté Sandy. — Oggi tocca a Elena.
— Ma così si interromperà la partita — insistette Polly con tono irritato.
— Non me ne importa niente — ribatté Sandy.
Si alzò in piedi e si allontanò, fermandosi in un angolo a guardare la Tv sul suo monitor personale. Di regola, durante le ore dei pasti i componenti della coorte potevano guardare qualsiasi programma desiderassero alla TV, a patto che fosse in lingua inglese, così almeno imparavano. Sandy scelse un vecchio film intitolato La primula rossa. Non era certo il suo film preferito, e non poteva nemmeno far finta che una simile visione potesse contribuire alla sua educazione sugli usi e i costumi terrestri. Tanto per iniziare i vestiti erano tutti sbagliati, e in più nessuno, nemmeno gli studiosi hakh’hli, era mai riuscito a stabilire chi stesse dalla parte del torto e chi dalla parte della ragione in quel complicato dramma storico sulla Rivoluzione francese. Sandy però guardava quel film in continuazione, letteralmente affascinato a ogni visione, soprattutto perché il protagonista era una spia. E in fondo era proprio quello il ruolo che gli hakh’hli gli avevano assegnato.