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Se la razza umana è intrappolata sulla superficie del pianeta Terra, è solo per via della sua passata attività spaziale. Del resto, non è la prima volta nel corso della storia dell’umanità che gli esseri umani vengono sconfitti dai loro stessi successi. Già i primi razzi capaci di raggiungere l’orbita terrestre iniziarono a disperdere frammenti nello spazio. Negli anni Ottanta vi erano oltre 7.000 oggetti vaganti intorno alla Terra, dai piccoli strumenti abbandonati dagli astronauti durante riparazioni extraveicolari fino agli enormi serbatoi di carburante delle dimensioni di un container abbandonati dai razzi diretti sulla Luna. A quei tempi, occorreva più di una giornata di calcoli per mandare in orbita una navetta Shuttle senza che questa entrasse in collisione con qualche frammento di relitto orbitante. I relitti più grossi erano facilmente individuabili, e proprio per questo motivo i più piccoli risultavano alla fine i più pericolosi. Già a quei tempi, almeno una mezza dozzina di satelliti erano stati danneggiati o distrutti da simili frammenti. Alla velocità dell’orbita bassa terrestre, qualsiasi oggetto, anche il più minuto come poteva esserlo una briciola o una scheggia di vernice, era in grado di perforare o addirittura di distruggere un satellite. Ma questo era solo l’inizio. Poi vennero le Guerre Stellari. Erano in molti a pensare che l’Iniziativa di Difesa Strategica non avrebbe mai funzionato. Sfortunatamente, funzionò solo in parte. Dopo la guerra però, le migliaia e migliaia di laser spaziali, satelliti balistici e frammenti di missili esplosi rimasero lì dove erano, nell’orbita terrestre, riempiendola con un vero e proprio campo minato ambulante. A quel punto l’orbita bassa divenne pressoché impenetrabile, e i viaggi spaziali vennero inevitabilmente interrotti, proprio nel momento in cui stavano finalmente iniziando a diventare qualcosa di relativamente semplice. Certo, rimanevano sempre dei punti in cui il “campo minato” era meno fitto rispetto ad altri — i punti con la minore densità di relitti si trovavano in corrispondenza dei due poli della Terra — ma anche in quei punti potevano avere speranza di passare solo speciali satelliti corazzati. Ciò implicava naturalmente costi di esercizio elevatissimi, poiché i satelliti corazzati erano particolarmente pesanti, e inoltre dover utilizzare le finestre polari significava che non vi era più la possibilità di sfruttare la rotazione della Terra per mettere in orbita i satelliti. Come se ciò non bastasse, anche i pochi satelliti che riuscivano a passare rimanevano operativi per un tempo decisamente ridotto, poiché prima o poi i loro pannelli fotovoltaici venivano inevitabilmente bucati da qualche frammento vagante, e allora anche le strumentazioni andavano a farsi benedire. Insomma, da quel momento in avanti, non vennero più effettuate missioni spaziali con equipaggio umano. O meglio, un paio vennero anche tentate, ma nessun essere umano riuscì ad arrivare vivo in orbita. Ormai era passato oltre mezzo secolo, e la soluzione al problema non era ancora stata trovata. L’unica cosa da fare era aspettare che i relitti si disintegrassero naturalmente, e prima che avvenisse una cosa del genere sarebbero trascorsi ancora centinaia e centinaia di anni.


I Grandi Anziani erano perfettamente consapevoli del fatto che la razza umana fosse letteralmente affamata di spazio, di qualsiasi cosa che avesse a che fare con lo spazio. I Grandi Anziani erano molto felici di ciò, e per questo non esitarono un istante nel concedere ai loro emissari di compiere il viaggio fino al Commonwealth di York per il congresso di astronomia.

La notizia giunse a Polly attraverso Tania, che gliela comunicò direttamente dalla navetta. Come suo solito, Polly reagì agitando l’avambraccio con fare irritato. — Ma i Grandi Anziani non hanno specificato chi dovrà andare e chi dovrà rimanere qui — si lamentò.

— A quanto pare — rispose Tania con tono sicuro — questa decisione spetta a te. L’ordine non può assolutamente essere ridiscusso, soprattutto perché la nave madre si trova ora al di là dell’orizzonte, e di conseguenza non è possibile comunicare.

Polly interruppe il contatto e si rivolse a Obie e Sandy con uno sguardo cupo. — Se le cose stanno così — dichiarò — così faremo. Dunque, Obie è il nostro esperto in astronomia, quindi dovrà andare per forza.

— Oh, cacca! — borbottò Obie. — Vuoi dire che devo andare da solo e senza compagnia?

— Certo che no. Ti comporteresti senz’altro in maniera irresponsabile, senza la prudenza di un adulto hakh’hli. Ti accompagnerò io personalmente.

— No, io voglio un amico — protestò Obie in inglese. — Voglio che Sandy mi accompagni.

Polly gli rivolse uno sguardo glaciale e unì i pollici in aria con un gesto inequivocabile. Obie venne percorso da un brivido, ma rimase comunque fermo con aria di sfida. Polly rifletté un secondo, poi scrollò le braccia. — Bene — disse quindi con fare magnanimo. — Ho deciso che ci recheremo tutti e tre a questa York per il congresso di astronomia. Lisandro, puoi comunicare alla tua femmina terrestre che è stata presa questa decisione.

— Con piacere! — esclamò Sandy. Detto questo, corse subito fuori per dare la notizia a Marguery Darp.

Apparentemente, la notizia la rese felice. A dir la verità, erano tutti felici. Sandy era felice perché Marguery Darp era felice. Polly era felice perché stava eseguendo gli ordini dei Grandi Anziani. E in quanto a Obie… Be’, Obie aveva deciso di essere addirittura raggiante, e lo provò subito non appena si trovarono nuovamente assieme in strada con un nuovo repertorio di grida e di balzi. — New York, New York — cantò, balzando fin sopra la tenda dell’ingresso dell’hotel per poi saltare nuovamente a terra. — Oh, Sandy, sono sicuro che ci divertiremo tantissimo sulla Grande Strada Bianca! Faremo i nostri saluti a Broadway, e porteremo i nostri auguri a Herald Square… A proposito — disse atterrando senza fiato accanto a Marguery Darp — che cos’è un “Herald Square”?

— Credo che si trattasse di una vecchia piazza di New York City — spiegò lei. — Ma credo che si trovi sott’acqua, oramai. — Poi si rivolse a Sandy. — Sono molto contenta, sai? Hudson City è una bella città. E io ho proprio un piccolo appartamento lì, e mi farà molto piacere portarti in giro a fare il turista.

— Grazie — replicò prontamente Sandy. — Anch’io sono convinto che ci divertiremo molto. Solo che… — Deglutì. — Credi che sarà necessario viaggiare ancora in quel vostro veicolo velocissimo?

Marguery gli diede una leggera pacca di incoraggiamento sul braccio. — Non credo proprio. Non usiamo mai gli aerei a decollo verticale per le lunghe distanze, perché consumano troppo carburante, anche se si tratta solo di idrogeno. No. Andremo con un dirigibile. È un viaggio di circa 24 ore, e ti prometto che ti piacerà. È quasi come andare in crociera.

— In crociera? Come Love Boat?

Marguery si produsse in una smorfia. — Non ho idea di che cosa sia Love Boat, e ti prego di non iniziare nuovamente con queste storie, almeno per oggi. Abbiamo una giornata dura da affrontare, e se avete veramente intenzione di venire tutti e tre a York, sono certa che vi saranno almeno un centinaio di persone qui a Dawson che non vedono l’ora di farvi un sacco di domande.

Obie fece una smorfia. Sandy si trattenne dall’imitarlo perché non voleva fare brutte figure con Marguery Darp, ma non poté fare a meno di lamentarsi. — Possibile che debbano sempre farci domande tutti quanti? — domandò. — Non abbiamo mai un po’ di tempo libero?

— Questa sera — disse Marguery con tono deciso. — Dopo le interviste, daremo una festa di addio sul terrazzo. Va bene? Ma adesso diamoci da fare.


Nel corso dell’intervista mattutina, vennero interrogati tutti e tre da una mezza dozzina di cortesi ma insistenti intervistatori. Quante domande vennero poste loro! Per quale motivo gli hakh’hli congelavano le loro uova invece di lasciarle schiudere? Quali erano i titoli di film terrestri che venivano mostrati a tutta la nave? Quale era la parola hakh’hli per “repulsione magnetica”? Che cosa sarebbe accaduto se un piccolo asteroide o qualcosa del genere avesse colpito la nave interstellare nella sezione dei propulsori? Quest’ultima domanda fece rabbrividire persino Polly. — Sarebbe terribile — disse, girandosi e offrendo agli intervistatori la coda affinché la leccassero per confortarla. (Nessuno degli umani presenti però capì il significato di quel gesto, e Obie e Sandy si trovavano troppo distanti in quel momento.) — La nave verrebbe distrutta!

Quest’ultima era un’ipotesi talmente funesta per Polly, da farle dichiarare con tono cupo che ora non avrebbe più potuto mandare giù neanche un solo boccone. Naturalmente, nel corso della pausa di mezzogiorno sia lei sia Obie si nutrirono abbondantemente come al solito. Sandy invece non fu altrettanto fortunato. Marguery era scomparsa per qualche commissione, e dovette accontentarsi di un semplice panino.

Durante la sessione del pomeriggio, Sandy venne interrogato da solo da tre gruppi separati di intervistatori. Per la maggior parte si trattava di persone che non aveva mai visto prima, e nonostante il fatto che ognuno di loro si presentò con nome e cognome accettando con una smorfia di dolore la sua possente stretta di mano, Sandy non riusciva nemmeno a distinguerli l’uno dall’altro. Quelli del primo gruppo gli posero una serie di domande sulla sua storia personale, partendo dalla scoperta da parte degli hakh’hli dell’astronave dei suoi genitori. Nel corso di una lunga ora, gli domandarono tutto quello che c’era da domandare sulla sua infanzia, sulla sua educazione, sui rapporti che aveva con gli altri membri della sua coorte e con ChinTekki-tho e MyThara. Era la prima volta che Sandy pensava alla sua cara, vecchia tutrice da quando avevano lasciato la grande nave, e di conseguenza gli venne quasi da piangere per la tristezza e il senso di colpa. Il secondo gruppo di intervistatori invece gli pose domande decisamente più specifiche. Nel corso del suo addestramento, dissero, vi erano stati giochi e competizioni. Alcuni di questi erano per caso, be’, di carattere militare? (Oh, no, li rassicurò Sandy: una volta nelle gare di lotta i lottatori combattevano all’ultimo sangue, ma adesso non usava più.) E nessuno usava “armi”? (Certo che no! Perché mai un hakh’hli avrebbe dovuto usare un’arma contro un altro hakh’hli?) E non vi era “polizia”? (Ma certo che no! Gli hakh’hli non hanno alcun tipo di “polizia”. A che cosa servirebbe? I Grandi Anziani non permettono alcun tipo di “crimine”, e nessun hakh’hli si permetterebbe mai di andare contro le volontà dei Grandi Anziani.)

Dopo le prime due sessioni, la terza fu più simile a una semplice chiacchierata. Sandy trovò la cosa di suo gradimento, soprattutto perché fra gli intervistatori vi era anche Marguery Darp. Quest’ultima si sedette di fronte a lui e disse: — Sandy, vogliamo sapere tutto quel che c’è da sapere sugli hakh’hli. Quindi ti prego di iniziare dal principio, o da quello che secondo te potrebbe essere considerato il principio, e di raccontarci tutto ciò che ritieni dovremmo sapere in proposito.

Si trattava di un compito abbastanza semplice. Più Sandy vedeva Marguery Darp, più facile gli riusciva parlarle. Rimase semplicemente seduto sulla sua poltroncina e le raccontò tutto quel che gli veniva in mente a proposito degli hakh’hli, dei titch’hik, del modo in cui i repulsori magnetici facevano sobbalzare il modulo di atterraggio durante l’ingresso nell’atmosfera terrestre, del fatto che sua madre, o perlomeno qualche parte di sua madre, fosse ancora in vita, almeno in un certo senso, nel laboratorio genetico della grande nave. Marguery invece si limitò ad ascoltare. Ascoltò con grande attenzione, e non parlò quasi mai, se non per dargli un piccolo incoraggiamento ogni tanto con frasi del tipo “E poi, cosa è accaduto?” Per il resto, era il suo volto ampio, forte e interessato che parlava per lei.

Quando qualcuno bussò alla porta, Sandy ne fu quasi disturbato. Si trattava di Hamilton Boyle, che riferiva che gli hakh’hli avevano concluso l’intervista pomeridiana e si stavano dedicando al loro “latte coi biscotti”. Sandy voleva per caso unirsi a loro? Fu Marguery a rispondere per lui. — Oh, non credo, Ham. Credo che andremo di sopra a bere qualcosa mentre li aspettiamo… sempre che Sandy non abbia nulla in contrario…

Naturalmente, Sandy non aveva nulla in contrario. Anzi, per lui era la migliore proposta possibile. — Che cosa vuoi bere? — gli domandò Marguery non appena si accomodarono a un tavolino all’aperto sul quale batteva il caldo sole del pomeriggio. — Io prendo un caffè. Vuoi provarne uno anche tu?

— Certamente — disse Sandy, preparandosi a un’altra tremenda prova per il suo stomaco. Allo stesso tempo però era felice che gli fosse stata offerta quella possibilità di redimersi per la sua poesia unisex. Quando la cameriera portò le due tazze e la zuccheriera d’argento Sandy si infilò una mano in tasca, ma proprio quando stava per aprire la bocca per parlare, apparvero sul terrazzo Polly e Oberon. Sandy si produsse in una smorfia. — Non credevo che arrivaste così in fretta — disse loro con tono accusatorio.

— Non saremmo nemmeno venuti qui, se i terrestri si fossero comportati in maniera adeguata — ribatté Polly infastidita mentre attraversava il terrazzo assolato. A giudicare dalla sua espressione, sembrava in vena di pizzicotti.

— Che cosa c’è che non va? — domandò Sandy. Polly si rivolse direttamente a Marguery Darp. — Ho appena parlato con i miei compagni di coorte — disse.

— Lo sai che alcuni dei vostri terrestri sono arrivati fino al punto di prendere dei “souvenir”?

Marguery assunse un’espressione perplessa. — Cosa intendi con “souvenir”?

— Hanno rubato dei pezzi dello schermo protettivo del nostro modulo di atterraggio. Tania dice che ne sono stati tagliati via dei pezzi mentre lei e gli altri si trovavano nel periodo di intontimento.

— Oh, mi dispiace molto — disse Marguery con tono contrito. — Hai riferito la cosa a Hamilton Boyle?

— Da quando ho appreso la notizia, non ho ancora avuto modo di vederlo. Dovete occuparvi della faccenda al più presto. Il furto di parti della nostra navetta è una vera e propria offesa nei confronti degli hakh’hli, e non sono disposta a tollerare che avvengano altri furti.

— Io gliel’ho detto che non fa niente, Sandy — intervenne Obie. — Tanto si trattava del vecchio schermo, e sarebbe stato sostituito comunque. — Polly si girò verso di lui, portandolo a chiudersi in guardia. — Ma è vero — aggiunse Obie sulla difensiva.

— No, Obie — disse Marguery Darp con tono fermo. — Polly ha ragione. Si tratta di un gesto poco civile, e vedrò di fare in modo che non si ripeta mai più. Mi dispiace molto, Polly.

L’ira di Polly però non si era affatto placata. — E questo non è tutto — disse. — Il vostro amico Boyle mi ha interrogata per tutto il pomeriggio su come funziona il modulo di atterraggio, sul tipo di carburante che usa, sulla possibilità di ripartire o meno senza fare rifornimento… Insomma, trovo molto stancante rispondere a tutte quelle domande! E poi vi è quell’altra persona che fa la stessa cosa con Oberon, e anche Tatiana, Chiappa, Elena e Demetrio sono stati interrogati. Noi siamo venuti in pace e in amicizia! Non capisco proprio per quale motivo dobbiate insistere con questi interrogatori incrociati alla Perry Mason!

— Chi è Perry Mason? — domandò Marguery. — Mi dispiace molto — aggiunse poi. — È solo che noi terrestri siamo molto curiosi e vogliamo saperne di più su di voi che siete un, uh…, un popolo così avanzato proveniente dallo spazio.

A quel punto Sandy decise di intervenire a sua volta. — Non fa niente, Marguery — disse. — Noi capiamo benissimo questo aspetto. Se avete altre domande da rivolgerci, fate pure.

Marguery ebbe un attimo di esitazione. Si morse il labbro inferiore e abbozzò un piccolo sorriso. — Sei sicuro che non siete troppo stanchi?

— Certo che no!

— Be’… — Ci pensò sopra un istante, poi si produsse in un sorriso leggermente imbarazzato. — In effetti c’è una cosa che mi stavo domandando da diversi giorni. Forse è una domanda un po’ sciocca, ma… insomma, si tratta dei vostri nomi.

Non aggiunse altro. Aspettando la domanda, Sandy tentò di incoraggiarla. — Sì? — chiese. — Che cosa vuoi sapere a proposito dei nostri nomi?

— Be’, diciamo che si tratta di una domanda non ufficiale, di una mia curiosità personale. Siccome non assomigliano per niente a dei nomi hakh’hli, mi stavo domandando da dove li avete presi?

— Ah, quei nomi — disse Sandy arrossendo un poco. — È solo una specie di scherzo fra noi.

A quel punto intervenne Obie, nuovamente rilassato grazie al fatto che Polly aveva smesso di fare gesti minacciosi con i pollici. — Sì, è una specie di scherzo — disse con tono felice. — Vengono da un’opera teatrale. Un dramma terrestre che abbiamo messo in scena anni fa per l’intera nave. Sono rimasti tutti affascinati! Abbiamo avuto un grande successo, anche se naturalmente nessuno capiva il linguaggio terrestre. È stata la prima rappresentazione in inglese che abbiamo fatto. Sandy? Possiamo mostrargliela? Polly?

— Mostrarmi cosa? — domandò Marguery Darp con tono leggermente preoccupato.

— Non possiamo — obiettò Sandy. — Non abbiamo Teseo.

Obie si contorse tutto in un moto di protesta. — Non ci serve! Conosco io tutte le sue battute! Sono sicuro che Polly si ricorda ancora la sua parte, e tu magari potresti fare anche Egeo. Dai, facciamolo!

Ridendo sguaiatamente, Obie balzò in cima alla ringhiera del terrazzo e iniziò a declamare:

La nostra ora nuziale, bella Ippolita,

si avvicina a passo veloce.

Ancora quattro giorni, e sorgerà la nuova luna.

Ma lenta mi sembra a declinare questa vecchia,

che frena i desideri come matrigna o suocera

che lesini, forte dell’usufrutto,

i suoi proventi all’erede.

— Ora tocca a te, Polly — la spronò.

Polly assunse un’espressione solenne, ma stette al gioco. — Va bene — sospirò.

I quattro giorni saranno in un soffio calati nella notte;

Le quattro notti avranno in un soffio sognato via il tempo.

E la recente luna, esile arco d’argento teso in cielo,

contemplerà dal cielo la notte dei nostri riti solenni.

Sandy aprì la bocca, tentando di ricordare quali sarebbero state le battute di Egeo, ma a quel punto intervenne Marguery con tono meravigliato. — Ma questo è Shakespeare! — esclamò.

— Esatto, esatto! — gridò Obie con gioia balzando al fianco della donna. — Si chiama Sogno di una notte di mezza estate. Oh, è stato meraviglioso il modo in cui lo abbiamo messo in scena! Vogliamo continuare?

Sandy però ricordava solo una parte della battuta di Egeo. — “Vengo col cuore avvelenato, qui, ad accusare mia figlia Ermia…” — disse, ma poi si arrestò.

— Ah, provaci, almeno — lo spronò Obie. Sandy scosse il capo. — Be’, potremmo provare a metterci in contatto con gli altri via radio — propose dispiaciuto.

Marguery scosse il capo, ancora sorpresa. — No, no, non ce n’è assolutamente bisogno — disse. — Ho afferrato il concetto. È veramente meraviglioso. È così che avete imparato l’inglese?

— Questo era solo uno dei modi — rispose Obie. — Per me era il migliore, solo che poi ChinTekki-tho si è arrabbiato con MyThara perché diceva che così imparavamo il dialetto sbagliato.

— Ma in verità non era così — intervenne Sandy, sempre fedele a MyThara. — Noi ci rendevamo conto della differenza.

— Però ci siamo tenuti quei nomi — disse Obie. — Ed è una grande fortuna per te, Marguery Darp, perché così non hai avuto bisogno di imparare i nostri nomi hakh’hli. Non vuoi continuare ancora solo un pochino, Polly?

Polly agitò l’arto superiore in un gesto negativo. — Io torno a riferire a Tania che Marguery Darp ha detto che gli atti di vandalismo non si ripeteranno — disse secco rivolta a Sandy. — Così lei potrà riferirlo a ChinTekki-tho. Vieni con me, Obie?

— No, no! Io voglio rimanere qui a parlare con Marguery di New York New York, Times Square, Harlem, Wall Street… — Lacrimando di felicità, balzò via canticchiando fra sé.

Marguery lo fissò con aria perplessa mentre balzellava sul terrazzo. — Che cosa intendeva a proposito dei vostri veri nomi? — domandò a Sandy.

Sandy cambiò posizione sulla sedia, cercando di seguire con lo sguardo gli allegri balzi di Obie sull’ampio terrazzo semideserto. — I nomi hakh’hli dicono molto a proposito della persona che li porta. — Continuò spiegando a Marguery come i nomi hakh’hli indicassero la discendenza e la posizione all’interno della società hakh’hli, e come i numeri che li seguivano servissero a indicare le varie partite di uova immagazzinate nel congelatore. Da lì, passarono inevitabilmente a discutere sull’abitudine hakh’hli di congelare le uova non appena venivano deposte al fine di non sovraffollare la nave.

— Polly dice che se anche voi esseri umani aveste fatto la stessa cosa — intervenne Obie, che si trovava a tre tavolini di distanza — non avreste dovuto affrontare tutte le difficoltà che vi siete trovati ad affrontare.

— Ringraziala da parte mia per l’ottimo consiglio — ribatté Marguery. Sandy le rivolse un’occhiata di sbieco. Le parole e il tono non sembravano accordarsi.

— Questo è ciò che chiamate ironia, giusto? — domandò.

Marguery fece per rispondere, ma invece starnutì. — Stai bene? — domandò Sandy, sconvolto.

— Certo, basta che tu dica “salute”. Sto benissimo, grazie. Che cosa mi stavi domandando?

— Ho detto…

— Ah sì, adesso mi ricordo — lo interruppe lei. — Sì, Sandy, era una battuta ironica. Non so come mai, ma la tua amica Polly mi fa un po’ girare le scatole.

Sandy la fissò. — Ti fa girare le…?

— Oh, per l’amor di Dio! Volevo solo dire che alle volte mi irrita. Mi dispiace, ma è così.

— E perché mai dovresti dispiacerti? Irrita anche me. Irrita tutti noi, se è per questo. È sempre stata la più prepotente della nostra coorte.

— Davvero? — domandò Marguery. Sembrava sollevata. — Mi fa molto piacere sentirlo — disse. — Stavo iniziando a pensare che tutti gli hakh’hli avessero la puzza sotto il naso come lei.

— La puzza sotto il naso?

— Voglio dire, è così, uh, altezzosa… Però devo dire che Obie mi piace — disse alzando nuovamente lo sguardo verso il lato opposto del terrazzo, dove Obie era impegnato in una serie di salti altissimi. — È un po’… come dire, infantile, però è veramente simpatico e carino.

— È il mio migliore amico — disse Sandy. Pensò per un attimo di chiederle che cosa significasse esattamente la parola “carino” in quel contesto, ma decise di rinunciarvi. — Sai, io e lui siamo stati assieme per tutta la vita… — Sbadigliò.

— Hai sonno? — domandò Marguery.

— È solo che non riesco a dormire quanto voi — si giustificò Sandy. — Sulla nave dormivamo solo per due dodicesimi di giorno, e adesso faccio fatica a stare a letto per tutto quel tempo. Ieri notte però invece di rimanere a letto senza dormire ho messo a frutto il mio tempo facendo qualcosa.

— Oh?

— È un’altra poesia per te — disse. Le passò il foglio.



Marguery gli rivolse uno sguardo ambiguo e assunse un’aria pensierosa prima di dire alcunché.

— Be’, almeno questa volta hai azzeccato il sesso — commentò infine, restituendogli il foglio.

Sandy in verità aveva sperato in una reazione più entusiastica. — Non ti piace? — domandò.

Marguery lo guardò con dolce esasperazione. — Ma certo che mi piace. Credo. Certo che tu vai sempre subito al sodo, vero? Però credo che qualsiasi donna apprezzi che qualcuno scriva una poesia per lei, non è forse così?

— Non lo so. Io ci speravo.

— Be’, è così. O almeno lo è per me. Solo che… — Ebbe un attimo di esitazione. — Ascoltami, Sandy, questa situazione è molto particolare per me, e mi fa sentire un po’ confusa. In fondo io ho il mio lavoro da portare a termine, e non voglio confonderlo con i sentimenti.

— Vuoi dire che non ci baceremo più? — domandò Sandy con tono preoccupato.

Marguery scoppiò a ridere, poi sobbalzò, poiché Obie era appena atterrato al suo fianco. — Ti ha finalmente mostrato la poesia? — domandò Obie.

— Sì, me l’ha mostrata.

— Credo che si tratti di una buona poesia — disse Obie con lealtà. — Se si tiene conto del fatto che è in inglese, naturalmente. Potrebbe scrivertene una molto migliore in hakh’hli, se glielo chiedessi.

— Perché non ci lasci in pace? — domandò Sandy. Obie si produsse in un’espressione afflitta, però balzò via comunque. — È molto eccitato dall’idea di andare a New York — disse Sandy con tono contrito.

— Sì, solo che non è più esattamente New York, Sandy…

— Be’, a York, allora, o comunque la chiamiate. Il fatto è che abbiamo visto un sacco di film su quella città, e poi in effetti Obie è ancora abbastanza infantile… — Stranamente, quando Sandy pronunciò quella frase, si rese conto che era già da un po’ che lo stava pensando. Il commento di Marguery era stato più che azzeccato. Gli hakh’hli della sua coorte, con i loro modi giocosi, spensierati, chiassosi e a volte anche scontrosi, erano realmente piuttosto infantili. Non come John William Washington, che non solo era un adulto, ma che era anche qualcos’altro che un hakh’hli non avrebbe mai potuto comprendere. Era “innamorato”.

Ma Obie aveva sentito tutto. — Io non sono un bambino! — gridò. — Guarda che salti che faccio! Pensi che un bambino sarebbe davvero in grado di fare dei salti simili?

Tenendo gli occhi fissi su Sandy, balzò fin sopra il tetto dell’ascensore, da dove li fissò sorridendo.

— In effetti, è proprio un bambino — disse Sandy con tono di scusa.

Marguery annuì senza commentare, poi si girò per guardare dietro le spalle di Sandy. — Oh, eccolo! — esclamò. — Lo vedi, laggiù a sinistra appena sopra quella nuvola? È il nostro dirigibile! Rimarrà ancorato qui stanotte, e domani mattina vi saliremo a bordo per andare fino a York.

Sandy girò la testa per vederlo meglio, deliziato dalla vista. Alle sue spalle, sentì la voce di Obie. — Eccomi che arrivo! — gridò.

Obie balzò, solo che mantenne gli occhi fissi sul dirigibile, e non sulla ringhiera alla quale stava puntando.

Fu un grave errore da parte sua. La traiettoria risultò sbagliata; non di molto, ma quanto bastava. Obie colpì sì la ringhiera, ma non si fermò lì. Marguery cacciò un urlo. Sandy balzò a sua volta per cercare di afferrarlo al volo, ma era già troppo tardi. Obie rimbalzò sulla ringhiera con gli arti tesi per la paura e volò direttamente giù dal bordo del terrazzo. Il suo grido si spense solo quando fu giunto a terra.

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