21

Quello di maturazione non è un processo facile, per nessun tipo di organismo, in nessun luogo dell’universo. Gli insetti si rinchiudono nei loro bozzoli ed emergono alati, completamente dimentichi del loro precedente stato larvale. I crostacei mutano guscio dolorosamente e in molti casi vengono divorati dai predatori prima di riuscire a formare un nuovo guscio. I serpenti perdono la pelle, gli uccelli abbandonano la sicurezza del nido, i giovani carnivori vengono allontanati dalle loro madri. Si tratta quasi sempre di un processo molto doloroso. In certi casi, è addirittura fatale. E per gli esseri umani è più o meno la stessa cosa, anche se per loro il mutamento avviene più che altro in senso psicologico. Quando un bambino di razza umana cessa di essere un bambino, i riti di passaggio che deve compiere sono pericolosi e dolorosi almeno quanto quelli di un granchio dal guscio morbido. Il processo di maturazione è difficile per chiunque, ma forse lo è molto di più per coloro che, come Lisandro Washington, sono sempre stati convinti di essere maturi già fin dall’inizio.


Sandy non si sorprese affatto quando vide profilarsi la sagoma dell’edificio dell’InterSec. — Avete intenzione di mostrarmi altre fotografie di ciò che stanno costruendo gli hakh’hli? — domandò.

— No, questa volta no — rispose Marguery mentre mostrava il distintivo alla guardia. — Ma stanno ancora costruendo, e anche molto rapidamente.

— E siete ancora convinti che si tratti di un’arma? Gli rivolse uno sguardo impenetrabile.

— No, adesso non crediamo più che quella sia un’arma. Senti, Sandy, cerca di avere un poco di pazienza. Adesso Ham Boyle ti spiegherà tutto.

Stranamente, Hamilton Boyle non stava sorridendo quando venne loro incontro. Il gran campione del sorriso questa volta aveva stampata sul volto un’espressione seria, determinata e apparentemente immutevole. Non pronunciò nemmeno una parola finché non ebbero portato a termine il passaggio rituale delle varie porte, dei vari ascensori e dei vari controlli. Sandy ebbe modo di notare che l’ascensore questa volta si era diretto verso il basso piuttosto che verso l’alto, e che aveva percorso un bel po’ di strada prima di fermarsi. Marguery e Hamilton Boyle fissavano i numeri elettronici che si alternavano rapidamente sull’indicatore come se fossero quotazioni di Borsa in una giornata decisamente negativa.

— Eccoci arrivati — disse infine Boyle, facendo cenno di entrare in una piccola stanza. Era poco più grande di una cella, notò Sandy con preoccupazione una volta entrato. — Accomodati — ordinò Boyle indicando a Sandy la poltrona dall’aspetto più solido. Proprio accanto ve ne era una più piccola sulla quale si sarebbe potuta accomodare Marguery, ma questa la ignorò, dirigendosi invece dalla parte opposta della stanza, dove si piazzò accanto a una scrivania con uno schermo e una tastiera. Alle sue spalle vi era una specie di tenda a listelle, di quelle che venivano chiamate “veneziane”. Le listelle erano inclinate in modo tale da non far passare luce da dietro, ma Sandy rifletté che in effetti non vi erano finestre in quell’edificio.

Quel luogo era ostile, pensò Sandy producendosi in una smorfia. Si sentiva molto teso, con i nervi a fior di pelle. Di tanto in tanto udiva un suono distante, come una specie di debole lamento. Quel suono naturalmente aumentava il suo disagio, anche se non riusciva a capire di che cosa potesse trattarsi.

— Allora, quali sono questi segreti che non volete che gli hakh’hli sappiano? — domandò.

Boyle sbatté le palpebre mentre lo fissava con aria sorpresa. — Temo che tu abbia capito tutto al contrario — disse. — Stiamo parlando dei segreti che gli hakh’hli non volevano che noi sapessimo. Come per esempio i loro piani per attaccarci.

Nonostante tutto ciò che gli aveva detto Marguery, per Sandy questa rimaneva comunque un’idea assurda. — Non hanno alcun piano simile — disse convinto.

— Sandy — intervenne Marguery in tono paziente — lo hanno eccome. Vogliono stabilirsi qui. Vogliono occupare il continente africano. Hanno intenzione di proporci la costruzione di alcuni habitat orbitanti, ma è solo una misura diversiva per distrarci dal loro vero obiettivo, e cioè l’insediamento in pianta stabile sulla Terra. In Africa, tanto per iniziare.

— Che cosa intendi con “habitat”?

— Dei grossi gusci metallici nello spazio, Lisandro — intervenne Boyle con voce cupa. — Come delle astronavi, ma molto più grandi. Gli hakh’hli hanno milioni di uova pronte a schiudersi, e hanno bisogno di un luogo per farle schiudere.

— Non credo a una sola parola di ciò che state dicendo! — gridò Sandy, protendendosi in avanti. La sua poltrona emise un preoccupante scricchiolio, ma lui non vi fece caso. — E anche se fosse vero — aggiunse — che cosa ci sarebbe di male? Non danneggerebbero nulla sulla Terra rimanendo in orbita.

— Ma Sandy, caro — disse Marguery con tono suadente — il problema è che loro non hanno intenzione di rimanere in orbita. Una volta che le loro uova si saranno schiuse e che i nuovi hakh’hli saranno cresciuti, scenderanno giù da noi. Ce l’ha detto Polly.


Sandy la fissò, assolutamente sconvolto. Questa era realmente la cosa più assurda che quei due avessero detto fino a quel momento. Cercò di farli ragionare. — Polly? Impossibile! Lei non vi rivelerebbe mai un’informazione segreta, sempre ammesso che esistano segreti da non rivelare.

— Non aveva scelta — disse Marguery cupa.

Sandy la guardò con aria truce. — Cosa stai cercando di dire? Non potete averla costretta a parlare. Che cosa potete fare, minacciarla? Torturarla? Ti ho già detto che non funzionerebbe mai!

Marguery emise un sospiro. — Ma mi hai anche detto ciò che avrebbe invece funzionato — rispose con tono colpevole. A quel punto si alzò in piedi e tirò la corda della veneziana.

Dietro alla tenda vi era un vetro, apparentemente di quelli specchiati da un solo lato. E dietro al vetro vi era Polly.

Sandy rimase a fissare la scena con la bocca spalancata. Polly! Viva! Solo che si trattava di una Polly che Sandy non aveva mai visto in precedenza, singhiozzante e accovacciata in maniera disordinata davanti a uno schermo per comunicazioni. Marguery agì sul cursore del volume della sua console, e il debole lamento che Sandy aveva sentito poco prima divenne perfettamente udibile in tutta la stanza. Si trattava della voce di Polly, rotta dal pianto, che supplicava sia in hakh’hli sia in inglese: — Per favore! Le mie uova! Non lasciatele andare a male!


Sandy rabbrividì davanti a quella scena orribile. Il bracciolo della sua poltrona si staccò per la spinta che vi esercitò alzandosi in piedi. Incespicando sui suoi passi, rivolse ai due agenti dell’InterSec un’occhiata di fuoco. — Siete dei bastardi! — gridò. — Come avete potuto fare una cosa del genere? — Non riusciva a trovare altre parole. Anche Marguery lo aveva tradito, e di conseguenza ora non poteva più fidarsi di nessuno!

Boyle ebbe un attimo di esitazione di fronte alla rabbia di Sandy, ma poi disse con tono secco: — Non avevamo altra scelta.

Non negava nulla. Sandy lo ascoltò, letteralmente disgustato da ciò che avevano fatto. Minacciare una femmina hakh’hli usando le sue uova come ostaggio era una crudeltà assolutamente inconcepibile! E come avevano fatto a fertilizzarle, dato che non avevano a disposizione nessun hakh’hli di sesso maschile?

La risposta a quella domanda gli venne fornita da una Marguery dal volto esangue e privo di espressione. — Invece lo avevamo, Sandy. Avevamo il tuo amico Obie.

La faccenda stava diventando sempre più assurda, e sempre più orribile! — Ma Obie è morto! — protestò Sandy.

Marguery annuì. — Si, ma avevamo il suo corpo. Non ti abbiamo raccontato tutta la verità. Non abbiamo affatto cremato il suo corpo. Lo abbiamo consegnato a un laboratorio per delle analisi… anzi, per una dissezione! Che altro potevamo fare? Dovevamo far tesoro di ogni possibile conoscenza in più! — Guardò Sandy con aria di supplica, ma lui non tradiva alcuna emozione. — Insomma — continuò Marguery — abbiamo conservato tutti i campioni di tessuto, congelati. Incluso naturalmente lo sperma. Così, mentre Polly si trovava nel suo periodo di intontimento, l’abbiamo rapita. Poi l’abbiamo portata qui e l’abbiamo inseminata artificialmente.

— Mostragli i nastri — ordinò Boyle.

Gli orrori immaginati in molti casi sono meno orribili di quelli reali. Ciò che Sandy ebbe modo di vedere non appena si accese lo schermo era molto peggio di quanto non avesse immaginato. Dapprincipio le immagini mostrarono Polly che si risvegliava, già gravida. Poi, ancora intontita dal sonno, più sconvolta e confusa che mai, Polly iniziò a deporre le sue uova. Sandy non aveva mai visto una deposizione di uova così infelice in tutta la sua vita.

A quel punto si udì la voce di Boyle, fuori campo, che giungeva a Polly attraverso un microfono. — Ippolita, ascoltami bene. Tu ora sei nostra prigioniera di guerra. Non ti verrà concesso il permesso di lasciare questa stanza. Ti faremo mangiare, ma non potrai uscire di qui e non potrai comunicare con l’esterno.

Sandy staccò gli occhi dallo schermo per fissare nuovamente l’infelice realtà che si trovava al di là del vetro.

— Polly! — gridò. — Sono qui! Non permetterò loro di farti questo!

— Non ti sente — intervenne Boyle con tono freddo.

— E non puoi fare nulla per aiutarla. Ascolta!

Sullo schermo, intanto, Polly stava ribattendo con coraggio: — …la mia gente lo verrà a sapere immediatamente!

— Alla tua gente — rispose la voce registrata di Boyle — diremo che hai insistito per andare a fare delle immersioni nell’oceano e che sei annegata. Se ci chiederanno il tuo corpo, diremo che è andato disperso in mare.

— Non ci crederanno mai!

— Sì, Ippolita, ci crederanno eccome. Ricorderanno quanto è successo a Oberon, e penseranno che anche tu abbia compiuto un gesto sciocco e rischioso.

Lisandro vide Polly sullo schermo che tremava di rabbia e di paura. — Le mie uova! — gridò la hakh’hli in un improvviso impeto di frenesia.

Di nuovo la voce glaciale di Hamilton Boyle: — Accanto al congelatore c’è una riserva di fluido nutritivo. Puoi fare tutto ciò che ritieni necessario per le tue uova, dopodiché potrai metterle nel congelatore. Siamo convinti che il sistema sia efficace quanto quello della vostra nave. Le uova non subiranno alcun danno… se ci dirai ciò che vogliamo sapere.

— Spegnetelo! — gridò Sandy. — Marguery, sei una vera merda! — La fissò con rabbia, il suo sguardo freddo e penetrante. Marguery lo fissò a sua volta senza proferire parola, ma Boyle intervenne subito in sua difesa.

— Ragazzo mio — disse con tono greve — Marguery non è altro che un essere umano. Non lo sei forse anche tu? Non vuoi proteggere anche tu la razza umana?

— Proteggere da che cosa? Gli hakh’hli non hanno nessuna intenzione di farvi del male!

Boyle scosse il capo. — Prima che tu faccia una figura peggiore di quella che già stai facendo, Lisandro, ascolta ciò che dice la tua amica Polly. Marguery, va’ direttamente alla parte più importante.

Le immagini sullo schermo si fecero confuse mentre sfrecciavano avanti. Quando tornarono normali, Sandy ascoltò. Ascoltò con grande attenzione, e con orrore sempre crescente.

Polly non si limitò a confermare quanto di peggio aveva suggerito Marguery Darp, ma andò anche oltre. Sì, confessò, i Grandi Anziani erano decisi a occupare l’Africa e a tenersela, lasciando finalmente schiudere tutte le uova congelate e riempiendo il continente di milioni di nuovi hakh’hli. E se questo non fosse stato possibile, avrebbero costruito una serie di grandi habitat orbitali. Tuttavia, continuò la voce registrata di Polly, quest’ultimo sarebbe stato solo uno stratagemma temporaneo. Una volta che le uova si fossero schiuse e i nuovi hakh’hli fossero cresciuti, come avrebbero fatto gli umani a impedire loro di occupare tutto il territorio che volevano? Tutto ciò era già qualcosa di assolutamente orribile per le orecchie di Sandy…

Ma quando Polly iniziò a parlare delle navette hakh’hli che si stavano preparando per entrare in orbita attorno alla Terra, Sandy si alzò in piedi con espressione sconvolta. Fissò Boyle, sconcertato. — Ma… che cosa hanno intenzione di fare con quelle navette?

— Bombardamento — rispose Boyle in maniera stringata. A quel punto spense lo schermo, aspettando un commento da parte di Sandy.

— Vuoi dire come gli aerei che bombardavano Hiroshima? Ma gli hakh’hli non posseggono bombe! Ne sono sicuro… Quasi sicuro — si corresse.

Boyle scosse il capo. — Non hanno bisogno di bombe, Lisandro. Ne hanno a disposizione quante ne vogliono. Non ti ricordi che abbiamo già preso in considerazione questa possibilità al centro di ricerche scientifiche? Ci sono oltre 18.000 oggetti di grandi dimensioni in orbita, e gli hakh’hli non devono fare altro che spingerli fuori dalle loro orbite al momento giusto per far sì che colpiscano le nostre città.

— Come ad Albuquerque — intervenne Marguery. — Come è quasi avvenuto anche a Perth.

— E se questo non dovesse bastare — continuò Boyle — hanno a disposizione l’intera fascia di asteroidi.

Boyle rimase in silenzio per un attimo, poi sospirò e fissò Sandy direttamente negli occhi. — C’è anche dell’altro, se vuoi sentire.

— Non credo di voler sentire altro — rispose Sandy cupo. — Ho già avuto abbastanza brutte notizie per oggi.

— Non è tutto così negativo, sai? — intervenne Marguery. — Quella cosa che stanno costruendo, per esempio, non è altro che un’antenna radio. Polly dice che non hanno ricevuto segnali dal loro mondo d’origine da molti secoli ormai, e che sperano di captare qualche segnale grazie a questa antenna.

— Sono completamente soli, come se si fossero smarriti, sai? — intervenne seccamente Boyle. — E a questo punto sono quasi disperati. Che ne pensi, Lisandro? Adesso la palla è in mano tua. Sei tu che devi prendere una decisione. Da che parte hai intenzione di stare?

— Ho forse una possibilità di scelta? — ribatté Sandy con tono aggressivo.

— Non molta. Anche a te può succedere qualche disgrazia, proprio come a Ippolita. Tuttavia, se hai intenzione di aiutarci…

— Aiutarvi in che modo?

Boyle ebbe un attimo di esitazione. — Abbiamo un piano — disse. — Possiamo metterlo in atto anche senza di te, ma riuscirà sicuramente meglio se ci darai una mano. In questo momento, la grande nave è molto vulnerabile. Solo che non abbiamo molto tempo a disposizione. Può anche darsi che le navette hakh’hli stiano già posizionandosi per buttarci addosso qualche grosso rottame spaziale, magari su Seattle o Hudson City.

Sandy li fissò entrambi a turno, e alla fine guardò negli occhi Marguery Darp. Ma non vi era nulla da leggere nei suoi occhi. Il volto della donna era privo di espressione, e stava evidentemente aspettando la sua risposta.

— Spiegatemi i dettagli del piano — disse infine Sandy. Si trattava della sua prima avventura nel mondo scaltro e ingannevole degli adulti.

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