I fluorocarburi non si limitano a intrappolare il calore, ma danneggiano anche lo strato di ozono dell’atmosfera terrestre. Gli esseri umani sono consapevoli di questo fatto fin dalla metà del ventesimo secolo, ma naturalmente ciò non è stato sufficiente per convincerli a fare qualcosa per arrestare il processo. Gli umani hanno infatti continuato a produrre queste sostanze e a riversarle nell’atmosfera come se nulla fosse. In fondo, si guadagnavano un sacco di soldi, e apparentemente sulla Terra vigeva una filosofia del tipo “Meglio un dollaro oggi che una vita salvata domani”. Così, l’abbattersi dei raggi ultravioletti sull’indifesa superficie terrestre per circa tre quarti di secolo ha avuto effetti notevoli. Gli alberi dell’Alaska, quasi sempre coperti da nubi, si sono salvati (almeno nei punti in cui non è caduta troppa pioggia acida). Quelli dei limpidi cieli scandinavi invece non hanno avuto la stessa fortuna. La forza bruciante dei raggi del sole, combinata con quella dei violenti venti caldi, ha danneggiato le terre agricole più fertili che esistevano sulla Terra. Ciò nonostante, i terreni coltivabili rimasti risultano più che sufficienti a sfamare l’intera popolazione mondiale, ma questo solo grazie al fatto che i terrestri sono ora in numero decisamente inferiore rispetto a prima. I fattori che hanno portato a una diminuzione così sensibile della popolazione sono state le grandi inondazioni seguite allo sciogliersi dei ghiacci, la distruzione dello strato di ozono, le piogge acide, i forti venti e… Sì, c’è stato anche un altro fattore determinante. Si tratta di una cosa che ora non esiste più, poiché si è praticamente estinta da sola, ma ai suoi tempi era uno dei più efficaci regolatori dell’incremento della popolazione. Si trattava di una malattia; una malattia chiamata Aids.
Il mattino seguente, quando Marguery Darp bussò alla porta di Sandy, lo trovò già sveglio. A dir la verità Sandy era già sveglio da almeno due ore, e aveva trascorso quel tempo libero esplorando le varie novità contenute all’interno della sua stanza, provando gli strani strumenti del bagno e fissando incuriosito tutto ciò che era visibile al di fuori della finestra. Soprattutto, però, aveva trascorso il suo tempo preparando una sorpresa per Marguery.
Le sue intenzioni erano state quelle di consegnargliela non appena l’avesse vista, ma non ne ebbe la possibilità. Marguery infatti arrivò di tutta fretta, scusandosi per il ritardo, e lo trascinò subito con sé fino allo studio televisivo per un colloquio in diretta con la grande nave hakh’hli. Sandy quindi decise di rimandare a più tardi la sua sorpresa. In effetti poteva benissimo permettersi di rimandare quel piacere, dato che vi erano molte altre cose piacevoli da sperimentare nel corso di quella giornata. La seconda giornata di Sandy sulla Terra si prospettava infatti ancor più gioiosa della prima. Ora non aveva più tanta paura di sbagliare, soprattutto perché era finalmente riuscito a imparare almeno i rudimenti del comportamento umano. Aveva imparato l’uso dei bagni, l’uso degli ascensori e aveva persino imparato lo “shopping”. In più, nel corso della giornata avrebbe anche avuto l’occasione di dare alla donna che amava la sorpresa che teneva nascosta nella sua tasca.
Quando scesero nell’atrio dell’albergo, Sandy scoprì che i suoi compagni di coorte hakh’hli non condividevano affatto il suo stato di felicità. Polly e Obie si trovavano in piedi accanto ai loro accompagnatori personali, Hamilton Boyle e l’altra donna chiamata Miriam Zuckerman, e Obie stava lamentandosi apertamente. — Ho fame — dichiarò non appena vide arrivare Sandy. — Polly dice che non possiamo ancora consumare il nostro pasto principale, ma io sono sveglio da ore.
— Non è ancora il momento — intervenne Polly con tono severo. Era evidente, comunque, che anche Polly stesse soffrendo di quelle lunghissime giornate terrestri che sembravano non avere mai fine.
Obie non pareva affatto consolato da questa dichiarazione. — Avremmo dovuto iniziare ad allenarci a vivere con questi stupidi orari molto prima — dichiarò con voce lamentosa.
— Ti ci abituerai — lo rassicurò Sandy, anche se in verità anche lui era ben lontano dall’essersi abituato agli orari della Terra. Tuttavia, nel suo caso ciò non sembrava avere alcuna importanza. Si sentiva come se non avesse nemmeno bisogno di dormire. Quando Hamilton Boyle diede un’occhiata al suo orologio e disse che vi era abbastanza tempo per fare una “veloce colazione”, assentirono tutti prontamente.
Tuttavia, proprio mentre stavano per uscire dalla porta dell’albergo, Boyle fermò la comitiva allungando una mano. — Avete indossato i vostri cappelli? — domandò, passandoli in rassegna uno per uno. — Bene. C’è anche un’altra cosa, però. È assai probabile che i raggi ultravioletti non facciano per niente bene ai vostri occhi, quindi Miriam dovrebbe avere qualcosa per voi.
La donna di nome Miriam Zuckerman tirò fuori una serie di occhiali dalle lenti a specchio (li chiamò “occhiali da sole”) e ne consegnò un paio particolarmente grande a Sandy e altre due paia ancora più grandi costruite appositamente agli hakh’hli. Quelli per Polly e Obie erano dotati di un elastico da passare dietro la testa. Marguery aiutò Sandy a indossare i suoi, quindi si fermò a fissare il suo orecchio.
— Cos’è quell’aggeggio che hai nell’orecchio? — gli domandò.
— Penso che sia ciò che voi chiamereste un apparecchio acustico — rispose Sandy con un certo imbarazzo. — A dir la verità, sono un po’ sordo. Sai, fra l’atmosfera della nave hakh’hli e quella della Terra vi è una certa differenza, e nella nostra sezione della nave veniva mantenuta l’atmosfera terrestre. Così, fin da piccolo dovevo passare in continuazione dalla nostra sezione ad altre sezioni della nave, e per questo mi si sono rovinate le orecchie. Per fortuna, gli hakh’hli hanno costruito questo apparecchio per me.
— Interessante — intervenne Boyle. — Ti spiace se diamo un’occhiata al tuo orecchio, più tardi? Abbiamo dei dottori molto competenti per queste cose.
— Noi hakh’hli abbiamo ottimi dottori — sentenziò Polly in tono asciutto.
— Oh, non ne dubito. Tuttavia, può darsi che i nostri abbiano un minimo di esperienza in più per quanto riguarda l’anatomia umana. Comunque sia, andiamo al ristorante, altrimenti arriveremo in ritardo allo studio.
— Io preferirei mangiare latte con biscotti in camera — intervenne Obie con impazienza.
— Non è ancora l’ora del latte coi biscotti — lo rimbrottò immediatamente Polly. — Se hai veramente fame, puoi provare un po’ di questo cibo terrestre; fra l’altro, sarebbe anche utile scoprire se sei in grado di digerirlo o meno.
— Perché, tu non hai intenzione di provarlo? — le domandò Hamilton Boyle con gentilezza. — Secondo i nostri biologi, abbiamo più o meno lo stesso tipo di metabolismo.
Polly gli rivolse uno sguardo incuriosito. — E come fanno i vostri biologi a sapere una cosa del genere? — domandò.
Boyle assunse un atteggiamento leggermente imbarazzato. — Be’, naturalmente abbiamo analizzato i campioni di cibo che ci ha gentilmente fornito Lisandro…
— Ma davvero! — disse Polly rivolgendo a Sandy uno sguardo di fuoco. — Avremo modo di discuterne in seguito. Comunque sia, vi basti sapere che non sono ancora pronta a provare il cibo terrestre su me stessa. Un astronomo come Oberon può anche essere sacrificato, ma io sono a capo di questa spedizione, e di conseguenza non posso permettermi di rischiare un’intossicazione alimentare.
I sensi di Sandy erano assaliti da una moltitudine di odori, colori, sapori, sensazioni e rumori, tutti affascinanti, sconosciuti, misteriosi e decisamente terrestri. In particolare, era deliziato dagli odori della Terra: sudore, profumo, piedi, cannella, caffè appena fatto, resina di pino, fognatura, rose, gardenie, pepe, pane fresco, carne arrosto, cavolo bollito, escremento di cane calpestato, erba appena tagliata, biancheria appena lavata, olio bollente, marciapiede bagnato. Poi vi erano i colori, a dir poco emozionanti: le montagne erano verdi, marroni, bianche, rosso ruggine e grigio fango, mentre la pelle umana poteva essere color cioccolato, olivastra, rosa o addirittura di un nero che dava quasi sul violaceo o di un bianco quasi spettrale. Non aveva mai pensato che gli hakh’hli usassero una gamma di colori limitata rispetto ai terrestri, eppure era proprio così; sulla Terra vi erano colori incredibilmente vivaci, come per esempio quelli dei loro veicoli su ruote, le automobili e i camion, che andavano dal bianco fino al blu cobalto o al giallo limone. Anche gli abiti terrestri presentavano ogni colore possibile, per non parlare degli stupendi cartelli luminosi, che lampeggiavano (giorno e notte!) con tutti i colori dello spettro.
In ogni caso, la cosa della Terra che lo affascinava maggiormente rimanevano sempre gli esseri umani, le persone che si fermavano per fissarli, che si protendevano dai finestrini a bocca aperta, che gridavano puntualmente i loro amichevoli saluti. E fra tutti questi, naturalmente, vi era una persona in particolare che lo affascinava più di tutte le altre. Attraversando la strada, Marguery gli prese gentilmente la mano. Sandy venne percorso da un brivido a quel contatto, e non le mollò la mano nemmeno quando si trovarono al sicuro sul marciapiede opposto. Marguery gli rivolse uno sguardo neutro, forse incuriosito, ma non oppose resistenza, tenendogli la mano finché non si trovarono davanti alla porta girevole del ristorante, dove la lasciò per farlo entrare davanti a lei.
Erano attesi. La cameriera li condusse immediatamente verso un tavolo apparecchiato per sei. Attorno al tavolo vi erano quattro sedie più due spazi vuoti per Oberon e Polly. Gli altri clienti del ristorante si voltarono incuriositi nella loro direzione mentre i due hakh’hli si accovacciavano per terra con le teste press’a poco alla stessa altezza di quelle dei loro “amici” umani seduti.
La varietà di cibo terrestre disponibile era a dir poco sconcertante. Vi era un intero menu dedicato alla “prima colazione” più un altro completamente diverso per il “pranzo”. Hamilton Boyle spiegò che potevano scegliere qualsiasi cosa desiderassero da entrambe le liste. Né Sandy né gli Hakh’hli però avevano mai avuto la possibilità di scegliere cosa mangiare nel corso di un pasto, e Sandy infatti era decisamente confuso e indeciso sul da farsi. La maggior parte dei nomi elencati sul menu gli erano abbastanza familiari… anche se solo fino a un certo punto. Tanto per fare un esempio, che cosa potevano essere le “uova benedict” o il “guacamole di avocado”? Non ebbe alcun problema nel riconoscere sul menu cose come gli hamburger, le patatine fritte, i milkshake, i gelati e i panini al formaggio, ma quando i tre accompagnatori terrestri ordinarono e offrirono loro piccoli assaggi di prova di quegli stessi cibi, Sandy si ritrovò ancor più perplesso di prima. Nessuna di quelle cose infatti assomigliava nemmeno lontanamente ai “cibi terrestri” che erano stati somministrati alla coorte sulla nave nel corso dell’addestramento agli usi e ai costumi terrestri. E certamente non avevano nulla a che vedere con il cibo che veniva fornito loro tutti i giorni sulla nave. Polly si rifiutò categoricamente di assaggiare alcunché, e iniziò a mangiucchiare alcuni biscotti hakh’hli che si era portata dietro.
Sandy invece decise di essere più temerario… o forse più testardo. In fondo, perché mai avrebbe dovuto trovare alieno il cibo umano se lui stesso era un essere umano? Non era affatto facile però, e infatti alla fine dovette farsi assistere da Marguery, che ordinò per lui. Felicemente, Sandy scoprì che era perfettamente in grado di apprezzare le semplici patate bollite che la sua accompagnatrice scelse per lui, e in seguito passò addirittura a una fetta di pane tostato. Qualsiasi altra cosa risultava molto strana per lui, e quel poco che assaggiò degli altri piatti non gli parve per niente appetitoso.
Oberon invece non si lasciò intimorire dalla novità, e ordinò una serie di piatti. Un’omelette alla francese, un avocado ripieno di polpa di granchio, un hamburger, un “texas chili dog” e una serie di altre cose di cui Sandy non conosceva il nome. Alla fine Obie riuscì a mandare giù un poco del suo hamburger, ma tutto il resto gli parve decisamente troppo strano, tanto che si mise a supplicare Polly di dargli qualche biscotto, che una volta ottenuto masticò con avidità. Tuttavia, Obie si rallegrò immediatamente quando gli venne servito il “dolce”. Si trattava di “gelato”. Al primo cucchiaino sgranò gli occhi per la sorpresa, ma subito dopo dichiarò che era qualcosa di “delizioso”. — È freddo! — esclamò con allegria. — Non credevo che si potessero mangiare cose refrigerate, ma è proprio buono!
— Sempre ammesso che non ti avveleni — intervenne Polly in tono cupo.
La comunicazione con ChinTekki-tho sulla grande nave interstellare giunse loro grazie a una combinazione di tecnologia umana e hakh’hli. Il segnale proveniente dalla nave veniva infatti trasmesso direttamente alla console delle comunicazioni del modulo di atterraggio, che si trovava ancora nel Commonwealth dell’Inuit, dove una telecamera umana posta davanti allo schermo della console ritrasmetteva le stesse immagini al resto del mondo. Quando Polly sentì la voce di Chiappa che forniva questa spiegazione tecnica, si allarmò immediatamente. — Ma questa procedura è sbagliata e niente affatto consigliabile! — sbottò in hakh’hli. — Non avete il permesso di far accedere alcun terrestre all’interno della nostra navetta!
— La tua critica è scorretta e niente affatto accurata — ribatté Chiappa con decisione. — L’autorizzazione ci è giunta direttamente da ChinTekki-tho in persona.
— Ma una cosa del genere non avrebbe mai dovuto accadere! — continuò Polly indignata. Poi però si ricompose, rivolgendosi agli esseri umani che si trovavano nello studio con un’amichevole lacrima. — Stavo semplicemente verificando la situazione con i miei compagni di coorte. È tutto pronto, e fra poco sarete in grado di ricevere il messaggio del nostro leader personale, l’Anziano ChinTekki-tho.
— Ne siamo onorati — disse Hamilton Boyle in tono cortese. — Anche se non abbiamo potuto fare a meno di domandarci per quale motivo gli hakh’hli della nave non abbiano deciso di trasmettere direttamente alle nostre stazioni riceventi terrestri, invece che passare attraverso la vostra navetta.
— Si è trattata senz’altro di una decisione dei Grandi Anziani — spiegò Polly — e sono certa che avevano i loro buoni motivi per prenderla. Se i Grandi Anziani prendono una decisione, hanno sempre degli ottimi motivi.
Nello schermo dello studio, l’immagine di Chiappa si voltò di scatto per ascoltare qualcosa, quindi si rivolse nuovamente nella loro direzione. — Ho appena ricevuto il segnale di avvertimento; manca un dodicesimo di dodicesimo all’inizio della trasmissione — disse. — ChinTekki-tho è pronto a parlare.
In quel momento l’immagine negli schermi dello studio cambiò; ora non si vedeva più l’interno del modulo di atterraggio, bensì l’immagine ricevuta dalle antenne della navetta.
La ricezione era pessima. Nonostante gli sforzi compiuti dai tecnici umani e hakh’hli, i due sistemi di trasmissione non sembravano essere molto compatibili, e il risultato era che l’immagine veniva continuamente offuscata da disturbi statici di tinte multicolori. Ciò nonostante, quando il volto sorridente di ChinTekki-tho apparve sullo schermo, Sandy riconobbe immediatamente il suo vecchio tutore.
— Salute a tutti — esordì ChinTekki-tho nel suo inglese corretto e preciso versando una lacrima di felicità. — È un grande onore per me essere il primo Anziano hakh’hli a rivolgersi direttamente ai nostri amici e fratelli, gli esseri umani del pianeta Terra. Come vi hanno già detto i nostri amici della prima spedizione, siamo venuti in pace e in amicizia. Come voi umani, anche noi hakh’hli abbiamo una tradizione secondo la quale l’ospite visitatore deve sempre portare qualcosa in dono ai suoi anfitrioni — (Sandy si produsse in una smorfia, poiché non aveva mai sentito parlare di quella tradizione in precedenza, ma Polly mimò un pizzicotto con i pollici, convincendolo a tacere) — ed è proprio per questo che vi abbiamo portato in dono un membro della vostra stessa razza, John William Washington, meglio conosciuto dai suoi amici hakh’hli con il nome Lisandro. Abbiamo deciso di riportarlo al suo pianeta nativo come prova delle nostre buone intenzioni. — A quel punto ChinTekki-tho sorrise e si protese in avanti, verso la telecamera. — Sei in buona salute, Lisandro? — domandò. — Sei felice di essere di nuovo fra la tua gente?
Sandy percepì lo sguardo penetrante di Polly su di sé. — È meraviglioso, ChinTekki-tho — disse subito in tono rispettoso. — Sono molto felice di essere qui.
Attese una risposta, ma l’Anziano si limitò a fissare lo schermo con espressione amabile. Naturalmente, pensò Sandy, la nave hakh’hli si trovava a una certa distanza dalla Terra, e di conseguenza anche un segnale che viaggiava alla velocità della luce avrebbe impiegato un certo tempo per essere trasmesso nei due sensi. Dopo qualche minuto, ChinTekki-tho agitò il capo con fare compiaciuto. — Mi fa molto piacere, Lisandro. Ma ora lasciate che passi ad altri argomenti. Noi hakh’hli abbiamo anche molti altri doni da offrire al popolo della Terra, quindi penso che sia il caso che mi dilunghi per spiegare la natura di alcuni di questi doni. Premetto innanzitutto che noi hakh’hli siamo perfettamente consapevoli di alcuni dei vostri problemi principali. Saremo quindi felici di mettere a vostra disposizione alcune tecniche specifiche per l’eliminazione di residui radioattivi e di altre sostanze inquinanti. Inoltre, possiamo anche fornirvi un metodo per produrre geneticamente nuove varietà vegetali da piantare nelle vostre foreste devastate al fine di sopperire più rapidamente allo squilibrio dovuto all’eccesso di biossido di carbonio.
ChinTekki-tho lasciò scorrere una lacrima caritatevole lungo il suo volto e si concesse una pausa affinché gli umani registrassero appieno quanto aveva appena detto. — Inoltre — continuò — vi è anche la questione dell’energia. I propulsori principali della nostra nave sono in grado di produrre quantità enormi di energia, e sono felice di comunicarvi che siamo perfettamente in grado di trasformare questa energia in elettricità e di convogliarla con un raggio in qualsiasi punto del pianeta voi desideriate. Questo è un dono completamente gratuito. Non dovrete fare altro che costruire degli apparecchi ricevitori. Poi, vi è l’apparecchio che noi chiamiamo “acceleratore elettromagnetico”. Penso che il termine terrestre corrispondente possa essere “trampolino orbitale”. Grazie a questo dispositivo, sarete nuovamente in grado di lanciare i vostri satelliti nello spazio. Questi infatti potranno essere lanciati attraverso la fascia di relitti orbitanti a grande velocità, con un margine di rischio da un minimo di due a un massimo di cinque dodicesimi. Si tratta di un margine abbastanza basso da essere considerato accettabile, soprattutto perché le capsule non avranno bisogno di alcun tipo di propulsore o carburante; il loro costo di produzione e di esercizio sarà talmente basso da permettere un margine di anche sei dodicesimi o più.
Si concesse un’altra pausa, producendosi in un ampio sorriso. — Infine — disse — abbiamo una grande esperienza in diverse questioni scientifiche che i vostri scienziati forse non hanno ancora nemmeno affrontato. Dato che la nostra nave ha viaggiato molto e osservato molto, abbiamo anche una profonda conoscenza di molti sistemi solari distanti dal vostro. Ebbene, desideriamo mettere a vostra totale disposizione anche queste nozioni. Per provarlo, vorrei mostrarvi ora alcune immagini tratte dal nostro archivio astronomico.
A quel punto ChinTekki-tho scomparve dallo schermo e la sua immagine venne sostituita da una serie di fotografie. Purtroppo si trattava di immagini di pessima qualità, proprio per la differenza fra i sistemi di trasmissione umani e quelli hakh’hli, ma a prescindere da ciò nessun astronomo umano aveva mai visto immagini del genere.
A ogni cambio di immagine sullo schermo, la voce di ChinTekki-tho spiegava ciò che stavano vedendo. — Questa è la stella che voi chiamate Alfa Centauri fotografata a una distanza di non più di mille raggi. Qui vengono mostrati i planetoidi di Epsilon Eridani; come potete vedere, ve ne sono molti, solo che sono tutti piccoli e non posseggono atmosfere degne di interesse. Il nostro compagno Oberon comunque vi potrà dare ulteriori delucidazioni in merito. Ora stava vedendo immagini del vostro sole e della stessa Terra vista dalla nostra astronave in fase di avvicinamento.
Terminate le fotografie astronomiche, il volto sorridente di ChinTekki-tho riapparve immediatamente sullo schermo. — E questo è solo l’inizio, miei cari amici terrestri — disse. — Il mio caro pupillo, Oberon, è uno specialista in astronomia abilitato. — Nello studio televisivo, Oberon si guardò attorno agitando il capo in un gesto affermativo. — Ha portato con sé nel modulo di atterraggio una cellula di memoria contenente innumerevoli dati, e sulla grande nave ne ha a disposizione almeno diecimila volte tanti. Lui potrà fornirvi qualsiasi notizia o dato desideriate in campo astronomico. Inoltre, i nostri esperti negli altri campi saranno felici di istruire i vostri specialisti terrestri per quanto riguarda scienze e tecnologie a voi sconosciute. Noi hakh’hli vi offriamo tutto ciò come regalo in quanto vostri ospiti.
— Si concesse ancora una pausa, nel corso della quale rivolse un grande sorriso in direzione della telecamera.
— E ora — disse — vi devo lasciare. Ma ci risentiremo presto. Sono sicuro che avremo modo di comunicare ancora molte volte, nel corso di questa nuova epoca di amicizia fra le nostre razze che abbiamo oggi aperto.
L’immagine scomparve dallo schermo. Marguery emise un sospiro e si raddrizzò sulla sua poltrona. — Sai — disse a Sandy in tono abbastanza casuale — trovo ancora difficile credere in tutto ciò.
— Credici — affermò Sandy con decisione. — Gli hakh’hli hanno un sacco di cose da darvi… Volevo dire, da darci.
Hamilton Boyle gli rivolse uno sguardo un po’ perplesso. — Ah, non ho dubbi in merito — disse. — Stavo solo chiedendomi: chissà cosa vorranno in cambio?
Non appena la trasmissione ebbe termine, i due hakh’hli si affrettarono a tornare all’albergo con i loro accompagnatori per il pasto principale. — E tu? — domandò Marguery a Sandy. — Hai fame? Vorresti magari bere qualcosa prima di pranzare?
Sandy ebbe un attimo di esitazione. Non perché fosse in dubbio su che cosa volesse fare, anzi, era più che sicuro di volere soprattutto rimanere solo con Marguery Darp, ma più che altro perché era un po’ incerto sulle modalità da seguire. — Vuoi dire andare a bere un milkshake? — domandò.
— In verità stavo pensando a un tipo di bevanda un po’ diversa — rispose Marguery con un sorriso. Detto questo, lo trascinò con sé fino al bar che si trovava in cima all’edificio.
Quando Sandy scoprì che “una bevanda un po’ diversa” significava in realtà una bevanda alcolica, rimase esterrefatto. — Ma l’alcol è un veleno, non è vero?-domandò.
— Be’, in effetti lo è — rispose Marguery. — Solo che è un veleno speciale. Aiuta a rilassarsi, sai? E inoltre bere qualcosa prima di mangiare stimola l’appetito. Senti, facciamo così; ti ordino una cosa leggera, vino bianco con gazzosa, con solo un pochino di vino. Va bene?
La parola “vino” era come una parola magica per Sandy. — Oh, sì! — disse con entusiasmo. Un bicchiere di vino sarebbe stato perfetto come introduzione alla sorpresa che aveva in serbo, pensò. Sandy sapeva bene che sulla Terra il vino era quasi sempre associato in qualche modo all’amore. Tuttavia, quando arrivò il suo bicchiere, Sandy lo assaggiò e alzò subito lo sguardo verso Marguery con un’espressione fra il sorpreso e il disgustato. — Sembra andato a male — disse.
— Non è andato a male — ribatté Marguery. — È fermentato. È così che si fa il vino, lasciando fermentare l’uva.
— È fermentato e andato a male non sono forse la stessa cosa? — domandò Sandy. Ma decise di non insistere più di tanto su quel punto. Era più che determinato a fare tutto ciò che facevano gli umani per procurarsi una femmina. Il secondo sorso non gli piacque certo più del primo, ma allo stesso tempo si rese conto che lo stava invadendo da una specie di strano calore. Decise che, dopotutto, poteva anche abituarsi a quel tipo di bevanda.
Infilò una mano in tasca con un sorriso per prendere la sua sorpresa, ma nel frattempo Marguery si era già alzata in piedi. — Andiamo fuori sul terrazzo — disse. — C’è una vista splendida.
Era vero. Sandy si guardò attorno, osservando la città di Dawson e la campagna che la circondava. La situazione era più che propizia per la presentazione della sua sorpresa. Sandy rimase in piedi mentre la sua accompagnatrice si sedeva su una panchina. — Marguery — disse — ti voglio dare una… ahi!
Si colpì il collo con uno schiaffo. Quando ritrasse la mano, scoprì che vi era una macchia di sangue fresco.
— Che cos’era? — domandò allarmato.
Marguery gli ispezionò il palmo. — Una zanzara, credo — disse in tono rassicurante. — Sei stato sfortunato, perché di solito non ce ne sono molte così in alto. Comunque sia, ne abbiamo veramente tante in questi ultimi anni. Prima se le mangiavano gli uccelli, ma ora gli uccelli sono stati pressoché decimati, proprio come noi umani. Cosa stavi per dirmi prima?
Sandy si sedette, grattandosi il collo. — Solo che ho una cosa da darti — rispose con una smorfia di dolore. Aveva programmato una presentazione molto più aggraziata, ma in quel momento il collo gli prudeva un po’ troppo.
Marguery prese in mano il foglio e lo spiegò con aria incuriosita. Si trattava della poesia che Sandy aveva scritto per lei quel mattino:
— Mio Dio — disse Marguery alzando lo sguardo verso Sandy.
— Ti piace? — domandò Sandy in tono carico di aspettativa.
Marguery non rispose immediatamente. Lesse nuovamente la poesia con grande attenzione, quindi rivolse a Sandy uno sguardo perplesso. — E questa immagine dovrei essere io? — domandò.
— Ma no, Marguery — rispose Sandy con tono imbarazzato. — Non si tratta esattamente di una tua immagine. Le poesie hakh’hli sono così, e questa si limita a suggerire la tua immagine.
— Insomma, mi hai fatta come se assomigliassi a un uomo.
— Oh, no! Niente affatto! Non trovo assolutamente che tu assomigli a un uomo, cara Marguery. Ma se ti ho arrecato qualsiasi tipo di offesa…
Marguery scoppiò a ridere e gli appoggiò un dito sulle labbra. — Ma no, Sandy, non mi hai offesa per niente. Anzi, trovo che sia un gesto molto carino. Non credo che nessuno abbia mai scritto una poesia per me in precedenza. È solo che…
Sandy attese umilmente la conclusione della frase. — Sì?
Marguery si morse il labbro inferiore. — Il fatto è che… be’, forse avrei dovuto dirtelo prima ma… Vedi, io sono una donna sposata.
Sandy la fissò con espressione terrorizzata. — Oh, Marguery! — sussurrò.
Marguery assunse un’aria dispiaciuta. — Suvvia, Sandy, non prenderla così male.
— Oh, ma non posso farne a meno! Non avevo assolutamente idea che tu fossi una “donna sposata”. Potrai mai perdonarmi per questo?
— Oh, diavolo, Sandy! Certo che ti perdono! Non esiste nessuna legge che ti impedisca di provarci con qualcuno, anche se si tratta di una persona sposata. Soprattutto se non lo sapevi neanche. In realtà, devo ammettere che ne sono lusingata. Sai, una donna in genere apprezza di essere corteggiata.
— Grazie — disse Sandy con sincera gratitudine. — Prometto che non lo rifarò mai più. In fondo, ci sono un sacco di femmine urna… volevo dire, di altre donne attraenti con le quali posso, uh, “provarci”.
Ma Marguery non apparve per niente felice di quest’ultimo commento. Anzi, si produsse in una smorfia di evidente dispiacere. — Aspetta un attimo, Sandy — disse. — Tu sei un bel tipo. Mi piaci. Quindi, non c’è nessun motivo per il quale tu debba giungere a conclusioni affrettate.
— Ma che cosa intendi? — domandò Sandy.
— Sto solo dicendo che non c’è fretta. Che abbiamo un sacco di tempo a disposizione.
Sandy era perplesso. — Ma non hai appena detto che sei una donna sposata?
— Be’, lo sono — rispose Marguery asciutta. Prese in mano il suo bicchiere e ne bevve con aria pensierosa mentre Sandy la fissava confuso. — Il fatto è — aggiunse — che non sono molto coinvolta nel mio matrimonio. A dir la verità, non vedo Dave da almeno tre o quattro mesi.
— Dave? Sarebbe tuo “marito”?
Marguery ci rifletté sopra un istante prima di rispondere. — In effetti, sì. Solo che ormai si potrebbe quasi parlare al passato. Ascoltami bene — disse, appoggiando nuovamente il bicchiere sul tavolino. — Io e Dave ci siamo sposati sette anni fa, quando frequentavamo l’università. Lui era un giocatore di football, ma avrebbe anche potuto fare pallacanestro, perché è alto due metri e dieci. Non so se lo hai notato, ma io sono una donna di statura decisamente alta rispetto alla media, e di conseguenza non ci sono molti uomini a cui piace una come me. Uno potrebbe pensare che a quelli alti piacciono quelle alte, ma in realtà non è affatto così. Se vai a vedere le donne con cui stanno gli uomini di due metri, sono tutte piccoline di un metro e settanta al massimo.
— E come mai? — domandò Sandy, sinceramente interessato.
— Perché? Perché così sono gli uomini! Ecco perché. Cioè — aggiunse con tono magnanimo — in verità non so esattamente quale sia il motivo, ma le cose solitamente vanno proprio in questo modo. Così, quando Dave mi ha chiesto di sposarlo io ho accettato subito, soprattutto perché non sapevo quando mi sarebbe capitata un’altra possibilità del genere. In ogni caso, lui mi piaceva. E stavamo anche piuttosto bene assieme, almeno finché ero iscritta al corso di addestramento per astronauti. Forse era convinto che si trattasse di una professione sicura, dato che non vi erano già più spedizioni con equipaggio umano. Poi sono venuta a lavorare all’InterSec, e credo che da quel momento in avanti si sia sentito minacciato. A lui non dispiaceva che io fossi così alta, ma penso che non sopportasse proprio l’idea di avere uno sbirro per moglie.
— Uno sbirro? Vuoi dire come Kojak? Marguery assunse un’espressione perplessa. — Che cos’è un Kojak? Intendevo dire un agente di polizia. L’InterSec non è altro che questo: è l’agenzia che garantisce la sicurezza in tutti i commonwealth del mondo. Il nome completo dell’agenzia è InterCornrnonwealth Security. Così, io e Dave ci siamo trascinati nel rapporto per un paio d’anni finché, l’anno scorso, lui mi ha chiesto il divorzio.
— Oh! — esclamò Sandy felice. — So molte cose a proposito delle donne divorziate!
Marguery gli rivolse uno sguardo ostile. — Che cosa sapresti a proposito delle donne divorziate? — domandò. — Ma no, lascia perdere, è meglio. Comunque sia, sappi che la tua poesia mi è piaciuta molto, e che con ogni probabilità mi piaci molto anche tu. Solo che ho bisogno di pensarci sopra un pochino, va bene?
— Oh, va bene — rispose Sandy annuendo con fare entusiasta. Sapeva bene infatti che era proprio così che andavano le cose sulla Terra; la ragazza non diceva mai di sì immediatamente, almeno non nei film che preferiva lui, quelli con le musiche di sottofondo e il tip tap. Però… Un’altra cosa che sapeva altrettanto bene era che a quel punto andava fatta necessariamente la mossa successiva.
L’effetto del vino lo aiutò a decidersi. Si protese verso di lei, preparandosi alla mossa decisiva. Marguery assunse un’espressione dapprima preoccupata, poi comprensiva. — Sandy — disse — ci stanno guardando da dentro il bar…
Ma quando Sandy le avvolse il braccio attorno alle spalle, Marguery non oppose la minima resistenza.
Un bacio non era nulla di incredibile, ma nel corso dell’azione Sandy ebbe modo di fare una scoperta a dir poco sconcertante. Non si era mai aspettato che si facesse addirittura con la bocca aperta! Comunque fosse, si trattava di un passo significativo verso il compimento del vero e proprio rapporto sessuale, e le sensazioni connesse erano a dir poco stupefacenti. Quando Marguery lo allontanò da sé ridendo, Sandy stava respirando forte e il suo battito cardiaco era accelerato. — Ahi, Sandy — disse massaggiandosi il collo. — Non credo che tu sia realmente consapevole della tua forza, vero?
— Oh — rispose Sandy contrito. — Sono molto dispiaciuto…
— Oh, finiscila! Mi è piaciuto molto, solo che la prossima volta non devi stringermi così forte. Hai mai sentito l’espressione “massiccio come una roccia”? Solo che nel tuo caso non si tratta di una semplice roccia, ma di un’intera montagna di granito!
Ma Sandy non aveva nemmeno ascoltato quelle ultime parole. — La prossima volta? — ripeté con gli occhi sgranati in un’espressione speranzosa.
Marguery emise un sospiro e gli accarezzò il braccio. — Ho detto “la prossima volta”, vero? Va bene, ma ricordati che la prossima volta non è questa volta. Basta che tu stia tranquillo, tanto io non vado da nessuna parte. Devo stare con te comunque, perché è questo il compito che mi è stato assegnato.
Sandy sospirò a sua volta e si raddrizzò sulla sedia, appoggiando la schiena contro la spalliera. — Va bene — disse, sorseggiando nuovamente la sua bevanda. La sensazione di calore stava diventando sempre più forte, e a quel punto sembrava essersi diffusa anche fino alle zone più “intime” del suo corpo. Stava sorridendo compiaciuto quando notò Marguery che lo guardava con un angolo dell’occhio. — Cosa c’è? — domandò sorpreso. Forse non aveva capito qualche battuta.
Marguery ebbe un attimo di esitazione, poi parlò. — Cosa si prova? — domandò.
Sandy la fissò esterrefatto. — Cosa si prova a fare cosa?
— A viaggiare nello spazio? Ti prego, dimmelo. Ho sempre desiderato saperlo.
Sandy si raddrizzò nuovamente e la fissò. A quanto pareva, era sincera. Non si era rivolta a lui con tono malizioso, e nemmeno amichevole. Lo stava fissando come se lui possedesse un segreto dal quale dipendeva la sua stessa vita, e attendeva come se dovesse ricevere qualche genere di illuminazione.
Solo che Sandy non sapeva proprio che cosa dirle. — Oh — disse infine agitando una mano in un gesto vago.
— Sai com’è…
— No, non lo so affatto — ribatté Marguery contrariata. — È proprio per questo che te l’ho chiesto.
La fissò a sua volta con espressione sorpresa. — Scusami — disse. — È solo che non so proprio cosa dirti in proposito. Quando ci si trova sulla grande nave non ci si sente affatto nello spazio. Non ci si sente in nessun luogo particolare, a parte nella nave stessa. I propulsori mantengono sempre la stessa spinta gravitazionale costante, e non ci si accorge di nessun tipo di movimento, a parte quando ci sono dei cambiamenti di rotta, come quando abbiamo girato attorno al Sole…
— Attorno al Sole? — sussurrò Marguery con gli occhi sgranati. Era letteralmente affascinata, e Sandy fu costretto a raccontarle tutto nei minimi particolari; le raccontò ciò che vedevano negli schermi, ciò che provavano quando la nave si surriscaldava, le sensazioni connesse all’arresto dei propulsori principali una volta che la nave era entrata nell’orbita terrestre, e soprattutto i particolari della discesa nell’atmosfera con il modulo dì atterraggio. — E tu hai pilotato quell’affare? — domandò infine estasiata.
— Oh, no — ammise Sandy. — Non mi hanno mai permesso di pilotare, poiché questo compito era riservato a Polly. In ogni caso, so come si fa. — A quel punto dovette raccontarle anche delle ore trascorse nel simulatore di volo.
Mentre parlava Marguery aveva sussurrato qualcosa al cameriere, e poco dopo giunsero due nuove bevande. Solo che questa volta la sua non era vino, ma qualche tipo di bevanda gassata che lo fece subito starnutire. — Salute — disse Marguery con voce sognante. — Sai, anch’io mi sono addestrata per un po’ di tempo in un simulatore di volo.
Sandy sbatté le palpebre. — In un simulatore hakh’hli? Ma tu non eri con noi sulla nave!
— Certo che non ero con voi sulla nave. Come avrei potuto esserci, Sandy? Ma anche noi abbiamo i nostri simulatori di volo. Sai, ci sono ancora parecchi volontari che desiderano andare nello spazio.
— Solo che non possono farlo, giusto? Per via di quella fascia di relitti orbitanti…
— Esatto — lo interruppe amara. — Non riusciamo ad attraversarla. Certo, ogni tanto riusciamo a far passare qualche satellite, e circa uno su cinque di questi riesce a rimanere in orbita per un anno o poco più senza venire danneggiato, almeno non in maniera critica. Non è poi tanto male come media, tenendo conto che si tratta di semplici satelliti. In fondo possiamo sempre costruirne degli altri. Solo che con una media del genere non possiamo certo azzardarci a mandare su della gente. Le persone sono molto più fragili dei satelliti. Infatti, quando mi sono iscritta al corso di addestramento per astronauti, io e Dave abbiamo fatto una litigata. Mi ha dato della kamikaze. Anzi, a dir la verità le sue parole esatte furono: “una puttana kamikaze”.
— Kami…? Ah! Vuoi dire i piloti giapponesi che si suicidavano con i loro aerei nel corso della vostra Seconda guerra mondiale?
— Esatto. Quel che intendeva Dave era che arruolarsi astronauta volontaria equivaleva a tentare il suicidio. E a giudicare da come sono andate le cose, non posso nemmeno dargli torto. Gli equipaggi delle prime due navi che vennero lanciate sono morti tutti. Quattro astronauti, due per ogni lancio. Ed erano tutte persone che facevano parte del mio stesso corso di addestramento. Così alla fine hanno annullato il programma spaziale, e noialtri siamo rimasti a terra.
— Ma tu vorresti provarci ancora?
Gli rivolse uno sguardo intenso. — Ci puoi giurare! Ma non sono solo io a volerlo. Ci sono milioni di ragazzi là fuori che sarebbero disposti a dare il loro occhio destro per fare ciò che hai fatto tu… Per non dire delle centinaia di milioni di adulti che sarebbero disposti anche a ucciderti senza pensarci su due volte per prendere il tuo posto.
— Davvero? — domandò Sandy allarmato. — Ma non funzionerebbe, Marguery. Gli hakh’hli non si lascerebbero ingannare. Si accorgerebbero subito che…
Sandy si fermò, perché Marguery gli stava ridendo in faccia. — Oh, scusami, Sandy — disse. — Non devi sempre prendermi alla lettera. Voglio dire, con ogni probabilità ciò che ho detto è anche vero, ma non devi assolutamente preoccuparti, perché ti assicuro che nessuno tenterà mai di fare una cosa del genere.
— In effetti mi sembrava un po’ strano… — disse Sandy, con aria sollevata.
— Ma non credere che la razza umana abbia perso interesse nello spazio! Anzi, si terrà un convegno sull’astronomia proprio la prossima settimana, a York. Probabilmente vi inviteranno tutti e tre per vedere le fotografie e ascoltare le vostre testimonianze, ma penso che la maggior parte della gente sarà entusiasta già del solo fatto di stare nella stessa stanza con delle persone che hanno viaggiato nello spazio.
Sandy sorseggiò nuovamente la sua bevanda con aria pensierosa. Il pizzicore delle bollicine nel naso era quasi doloroso, ma d’altra parte era anche piacevole. Decise che non gli dispiaceva affatto. — Marguery? — domandò. — Come avete fatto a mettervi in un casino del genere?
— In un casino?
— Il casino del mondo. I relitti nello spazio, il surriscaldamento dell’atmosfera, l’innalzamento degli oceani, il danneggiamento dello strato di ozono, le piogge acide. Tutte queste cose. Come avete fatto voi esseri umani a permettere che accadesse tutto ciò?
— Noi esseri umani? — domandò con tono duro. — Perché, tu che cosa sei? Un pollo? — Sandy aprì la bocca con espressione perplessa, ma Marguery scosse il capo. — Lascia stare. Ho capito cosa intendi. — Si fermò un minuto per riflettere. — Credo che l’unica risposta possibile a questa domanda sia che la gente delle vecchie generazioni non sapeva quel che faceva. O almeno, quelli che si rendevano conto che era tutto sbagliato non contavano nulla, mentre a quelli che contavano qualcosa non importava nulla.
— Non sapevano che fare la guerra era una cosa sbagliata?
— Oh, be’ — disse Marguery dubbiosa. — Penso che almeno questo lo sapessero. Solo che si sono lasciati coinvolgere tutti da una guerra scoppiata nel Medio Oriente…
— In mezzo a cosa?
— Il “Medio Oriente”, Sandy. È solo un luogo che si chiama così. Comunque sia, in questo luogo vi era una piccola guerra come tante, solo che poi questa guerra è degenerata e le parti in causa si sono messe a far uso di ciò che chiamavano “armi nucleari tattiche”. A quel punto vennero coinvolte altre nazioni che non avevano nulla a che fare con il conflitto, e le grandi potenze iniziarono a usare i loro grandi missili nucleari. Iniziarono a lanciarseli gli uni contro gli altri, e a quel punto scoppiò il casino. Certo, i sistemi di difesa orbitale riuscirono a intercettare la gran parte dei missili, ma le conseguenze furono comunque disastrose. Lo sai, no?
— Avrei voluto saperlo — disse Sandy malinconicamente. — È stato allora che abbiamo smesso di captare le vostre trasmissioni.
— Davvero? Va bene, allora credo di poterti aggiornare io. È successo un sacco di tempo fa, ma credo di sapere più o meno come andarono le cose. Circa il cinque per cento degli ordigni nucleari lanciati riuscirono a passare nonostante il sistema di difesa orbitale. Un missile lanciato da un sommergibile colpì Washington D.C., che era la capitale degli Stati Uniti di allora, e diversi altri colpirono il New Mexico, l’Arizona e quelle zone lì, ma per il resto non si trattò di una vera e propria guerra nucleare su scala mondiale. Penso che alla fine furono solo una quindicina circa le bombe grosse che raggiunsero i loro bersagli. Solo che fu più che sufficiente, capisci? E da quel momento in avanti…
Si concesse una pausa, fissando il fondo del suo bicchiere. — Be’, insomma — continuò — da quel momento in poi la situazione si è fatta piuttosto grigia. Un sacco di gente era ammalata per via delle radiazioni, era difficile far arrivare il cibo alle grandi città, e dal Medio Oriente, che era uno dei più grossi fornitori di carburante, non veniva più nulla. Poi c’era anche l’Aids. Era una brutta malattia, Sandy. Già nei vecchi Stati Uniti mieteva un sacco di vittime, ma in altri punti della Terra arrivò fino al punto di sterminare completamente la popolazione. Pensa che prima che inventassero il vaccino mandavano semplicemente i malati di Aids in Africa, perché erano comunque sicuri che tutta la popolazione di quel continente sarebbe morta. E non solo per via dell’Aids. In Africa infatti vi erano anche la malaria, il tifo e la fame, e alla fine sono morti tutti quanti. — Assunse un’espressione triste. — A quei tempi sulla Terra vi erano almeno dieci volte le persone che vi sono adesso. Ora in Africa non c’è più neanche un essere umano, e in tutta la Terra vi saranno al massimo 500 milioni di persone. Prima della guerra, un solo paese come la Cina o l’India ne ospitava altrettante da solo.
— Stai dicendomi che sono morti cinque miliardi di esseri umani? — domandò Sandy a bocca aperta.
— Sandy — rispose Marguery con tono paziente. — Con ogni probabilità, a quest’ora sarebbero morti tutti quanti comunque. E poi… — Ebbe un attimo di esitazione, poi esplose. — E poi in fondo se lo meritavano, quei maledetti! Tutti quanti! Ma la cosa che realmente non potrò mai perdonare loro è che ci hanno tagliati fuori dallo spazio, per sempre!