Un porto di mare rende senz’altro più bella una grande città. Tuttavia, un porto di mare ha anche un grave difetto. Inevitabilmente, si trova al livello del mare. Con l’innalzamento del livello degli oceani, la città di New York si è ritrovata quasi interamente sommersa. Fra i cinque quartieri, quello che ha sofferto in misura minore di questa situazione è stato il Bronx; le colline di Inwood e Riverdale infatti si innalzano tuttora con fierezza. I quartieri di Brooklyn, Queens e Staten Island sono sommersi da diversi metri d’acqua, anche se le poche colline rimaste dall’Era Glaciale rimangono ancora al di sopra del livello del mare. L’isola di Manhattan si trova da qualche parte nel mezzo di tutto ciò. Le sue colline, anche quelle più piccole come Murray Hill, sono asciutte. Ma la zona di Wall Street è diventata come una specie di nuova Venezia, dove l’acqua azzurra scorre in mezzo ai grattacieli. Anche i grandi ponti si sollevano dalle acque, ma le loro estremità sono sommerse. Dalla parte opposta di ciò che una volta si chiamava il Fiume Hudson (ora non è altro che un’estensione della baia stessa) i Palisades torreggiano ancora al di sopra delle acque. Ed è proprio qui che è nata Hudson City. Hudson City possiede due qualità fondamentali che la rendono un’importante metropoli. Innanzitutto, sostiene l’industria del recupero, poiché vi sono ancora molti tesori da recuperare negli edifici sommersi del centro di New York. In secondo luogo, vi è la questione del sentimento. Nessun ex abitante della grande metropoli infatti è disposto ad accettare un mondo in cui non esiste New York City, anche se questa ora si trova nel New Jersey.
Quando il dirigibile atterrò presso l’aeroporto dì Hudson City, Sandy stava ancora dormendo. Di conseguenza, non ebbe l’opportunità di vedere dall’alto ciò che era stata, o che perlomeno credeva di essere stata, la più importante città della Terra. Quando attraversarono la città di Hudson per recarsi all’hotel, Sandy era ancora intorpidito dal sonno. Nonostante ciò, non poté fare a meno di notare che Hudson City era decisamente più vasta e abitata rispetto a Dawson, anche se le preoccupazioni che lo affliggevano smorzavano gran parte della sua curiosità nei confronti di quell’enorme città terrestre.
Questa volta, non vennero fornite loro due stanze separate, bensì una “suite”; un appartamento con due camere da letto e un salotto piuttosto grande. Non appena si ritrovarono da soli, Sandy si recò nella camera da letto di Polly e le riferì della conversazione avuta la sera precedente con Marguery Darp.
Come era prevedibile, la risposta di Polly fu decisamente ostile. — Mentirti?-proruppe con furia. — Che razza di dichiarazione è mai questa? È chiaro che i Grandi Anziani non possono assolutamente averti mentito. Per caso la tua mente è annebbiata e non funziona correttamente per via del fatto che sei tanto ossessionato dall’idea di un’anfilassi con la femmina terrestre?
Sandy strinse la mano a pugno e colpì con forza la parete più vicina. La parete tremò, e Polly emise una risatina allarmata. — Smettila di parlare a questo modo della femmina terrestre! — tuonò Sandy. — Rispondi alla mia domanda, piuttosto! Ciò che ha detto Marguery è vero. Io non ricordo assolutamente nulla del viaggio su Alfa Centauri. Tu forse ricordi qualcosa?
Polly ebbe un attimo di esitazione. — In effetti non ricordo molto bene — ammise. — Ma che cosa prova questo? I terrestri non sanno proprio nulla di dilatazione temporale, giusto? Comunque, quando faremo ritorno alla nave potrai chiedere ai Grandi Anziani di chiarire i tuoi dubbi in proposito.
Sandy le rivolse un’occhiata in cagnesco. — Chi ti dice che farò ritorno alla nave?
— Be’ — concesse Polly — forse non ci tornerai. Non so se la cosa sia stata già decisa o meno.
— Io credo che non ci tornerò di sicuro — ribatté Sandy in inglese. — E in ogni caso, quando mai abbiamo avuto la possibilità di domandare qualcosa ai Grandi Anziani?
— In questo caso, puoi chiederlo a ChinTekki-tho via radio. Devo chiamarlo proprio stamattina. Quando avrò finito di comunicare e non prima, potrai parlargli personalmente. E quando ti rivolgi a me, parla in hakh’hli e non in lingua terrestre, chiaro?
Sandy sbatté le palpebre. — Per quale motivo? — domandò, ubbidendo istintivamente.
Polly assunse un’espressione che era contemporaneamente virtuosa e ingrugnita. — Credo proprio che i tuoi sensi siano annebbiati, Lisandro — disse. — I terrestri ci mantengono costantemente sotto osservazione. Guarda nella tua stanza. Guarda qui… — Indicò la lampada sul soffitto. — La vedi quella lente? È una telecamera. Vi sono telecamere in tutte le stanze, e non è certo questa la prima volta che le vedo. Ci sono sempre, in ogni luogo in cui ci fanno alloggiare.
Sandy fissò il piccolo, quasi invisibile, disco di vetro.
— Non fissarlo a quel modo!-ordinò Polly. — Non devono rendersi conto del fatto che abbiamo scoperto i loro segreti!
Sandy allontanò lo sguardo. — In tutte le stanze? — domandò.
— Certamente. In tutte le stanze e non solo in questa — ripeté Polly con tono severo. — E ritengo che anche tu avresti dovuto rendertene conto già da tempo. I terrestri ci tengono sotto osservazione in ogni momento, persino quando dormiamo. Ma ora devi uscire e non tornare per un dodicesimo di giorno… — Consultò il suo orologio da polso, quindi si corresse. — Per circa 85 minuti terrestri, affinché io possa conferire con ChinTekki-tho in privato senza essere ascoltata.
— Perché in privato? — domandò Sandy. — Perché dovrei andarmene?
— Devi andartene perché così ti è stato ordinato e per nessun altro motivo — ribatté Polly con tono fermo.
— E ora va’. Non vorrai fare aspettare la tua femmina terrestre.
Quando Sandy scese nell’atrio dell’hotel, la prima cosa che vide fu proprio Marguery Darp, più fresca e desiderabile che mai. Il solo fatto di vederla migliorò di molto lo stato d’animo di Sandy, ma quando le raccontò che Polly era rimasta nella sua stanza con la radio, anche Marguery si incupì visibilmente. — Ma Ham Boyle vuole portarla con sé per incontrare degli esperti astronomi. Devono parlarle a proposito della conferenza — disse. Sandy scrollò le spalle. — Be’ — continuò Marguery — immagino che possano anche aspettare un po’. In fondo, al momento sono tutti quanti preoccupati per Perth. Se vuoi ti posso portare a fare un giretto in città. Che ne dici?
— Sono stanco di fare giretti — rispose Sandy con tono aspro.
Marguery gli rivolse uno sguardo perplesso. — Forse ti sei alzato dalla parte sbagliata del letto stamattina — disse.
— Capisco questo modo di dire — ribatté Sandy. — Vuoi dire che sono di cattivo umore. Ebbene, può darsi che sia proprio così. E può anche darsi che il motivo di questo mio cattivo umore sia che io stia soffrendo di ciò che viene chiamato uno “choc culturale”. In fondo, ne avrei tutti i motivi.
Marguery gli appoggiò una mano sul braccio. — Certo che li hai, Sandy. Va bene allora, che cosa vorresti fare? Ci sarebbero delle persone che vogliono fare la tua conoscenza, ma credo che possano aspettare. — Rifletté per un attimo. — Vuoi andare a fare una passeggiata?
— Una passeggiata dove?
— Dove preferisci. Magari in città. Ho il tuo cappello e i tuoi occhiali da sole in macchina.
Sandy increspò le labbra. — E non dovrò essere interrogato da queste persone che vogliono conoscermi? — domandò.
Marguery emise una risata. — Oh, caro Sandy — disse. — Ti garantisco che saremo solo noi due. Non posso garantirti che non ti porrò nessuna domanda, ma sai benissimo che non sei assolutamente obbligato a rispondermi, se non ne hai voglia.
— Davvero? — domandò Sandy, sconvolto da questa inaspettata dichiarazione. — Be’, immagino che potremmo almeno provarci. — Solo allora gli venne in mente di chiedere: — Che cos’è Perth?
Perth, gli ricordò Marguery mentre passeggiavano per le vie di Hudson City, era una città dell’Australia. Il motivo per il quale erano tutti preoccupati per Perth era che, sfortunatamente, secondo i calcoli, il mostruoso relitto spaziale di 150 tonnellate che stava per uscire dalla sua orbita si sarebbe abbattuto sulla Terra proprio nella zona di Perth. E dato che il momento dell’impatto non poteva essere calcolato con esattezza, le persone che vivevano in Australia erano piuttosto nervose. Di conseguenza, lo erano anche tutti gli altri.
— Credo — disse Sandy mentre si fermavano in un piccolo parco che dava sulla torbida baia — di essere piuttosto nervoso anch’io.
— Non ti preoccupare, ti passerà — lo tranquillizzò Marguery con tono rilassato. — È proprio questo il bello di questo luogo. Guardare grandi corpi d’acqua serve a rilassare i nervi, lo sapevi?
— Davvero? — Sandy prese in considerazione quel fatto e decise che doveva essere vero. In effetti, si sentiva più rilassato rispetto a prima. Indicò il panorama di edifici che spuntavano dall’acqua all’orizzonte. — Quella laggiù è New York City?
— Ciò che ne rimane, sì — rispose Marguery. — Da qui puoi vedere chiaramente i punti in cui è stata sommersa. Quando il livello del mare ha iniziato a salire, hanno tentato di costruire dighe tutt’attorno alla città, ma è servito solo per poco tempo. Poi le onde hanno superato anche le dighe. Se vuoi possiamo andare a visitare la vecchia città.
— Anche adesso? — domandò Sandy con tono sorpreso.
— Quando vuoi — confermò Marguery.
In quel momento gli venne in mente la chiamata di Polly a ChinTekki-tho. — Non adesso però — disse mentre consultava il suo orologio. Con un certo sollievo, constatò che era passata solo mezz’ora da quando erano usciti dall’albergo. Si appoggiò alla balaustra e osservò il panorama. Appena sotto di loro vi era una striscia di sabbia, e in lontananza vi erano diverse imbarcazioni che solcavano silenziosamente le acque della baia. Sulla sabbia vi erano delle persone con indosso dei costumi molto ridotti sdraiate nei pressi dell’acqua, o addirittura dentro l’acqua stessa. — Che cosa stanno facendo quelle persone laggiù? — domandò.
Marguery si protese sulla ringhiera per guardare da basso. — Ah, stanno facendo il bagno — rispose. — Vorresti provarci anche tu?
— Io? — Le rivolse uno sguardo dubbioso, quindi tornò a guardare la gente sulla spiaggia. — Non so se ne sono capace — confessò. — Non l’ho mai fatto prima d’ora.
— Non c’è nulla di più facile — lo rassicurò Marguery. — Immagino che tu non abbia un costume da bagno, ma non credo che faticheremo molto a trovarne uno.
— Non adesso però — disse Sandy, temporeggiando. Abbassò nuovamente lo sguardo verso la piacevole scena della spiaggia e il panorama della vecchia città. — Magari dopo pranzo — disse. — Adesso ho qualcosa da fare in hotel, quindi forse faremo meglio a tornare.
— Va bene — disse Marguery. Tuttavia, proprio mentre si accingevano ad allontanarsi vennero fermati da una donna con indosso un ampio cappello, occhiali da sole e pantaloncini corti che porse a Sandy un blocchetto e una penna.
— Voglia scusarmi — disse la donna. — Ma lei è l’uomo dell’astronave aliena, vero? Posso avere il suo autografo?
Quando Sandy tornò alla suite, era ormai troppo tardi per parlare con ChinTekki-tho. La radio nella stanza di Polly era spenta, e il tavolo era disseminato dai resti del suo pasto. In quanto a Polly, stava russando rumorosamente, completamente immersa nel suo periodo di intontimento.
— Oh, cacca — disse Sandy ad alta voce. Poi però la sua attenzione si focalizzò sui resti lasciati da Polly sul tavolo. Dopo tutti quegli esotici cibi terrestri, l’odore di quel cibo risultava per lui decisamente stuzzicante e familiare. Prese un piatto d’argento sul quale era stato sistemato un vaso di fiori, si scelse il meglio fra quanto era rimasto del pasto di Polly e si recò in camera sua per mangiare.
Quando ebbe finito, si avvicinò alla finestra e guardò fuori per un certo tempo. Dopo un po’ emise un profondo sospiro e si sedette per scrivere una nuova poesia.
Questa, decise, sarebbe stata una vera poesia umana. Non si sentiva ancora abbastanza sicuro di sé per farla in rima, ma perlomeno l’avrebbe fatta in stile umano, e cioè senza dare alle parole nessun tipo di forma grafica particolare. Quando Polly entrò nella sua stanza con aria assonnata per lamentarsi del fatto che avesse perso l’appuntamento con ChinTekki-tho, Sandy stava nuovamente sorridendo.
Polly invece no. — Sei arrivato in ritardo e non in tempo — lo accusò parlando in hakh’hli.
Per niente pentito, Sandy contrattaccò immediatamente. — Gli hai chiesto per quale motivo non ci ricordiamo di aver visitato Alfa Centauri?
— E perché mai avrei dovuto fare una cosa del genere? Se volevi saperlo, avresti dovuto trovarti qui al momento giusto per chiederglielo di persona.
— Ma gliel’hai chiesto o no?
— Certo che gliel’ho chiesto — disse Polly con tono trionfante. — E lui mi ha fornito una risposta. Ha detto: “Queste cose verranno discusse quando i Grandi Anziani decideranno che è il caso di discuterne e non prima di allora”.
Quando Sandy scese da basso in seguito a una telefonata di Marguery, trovò “la gente che voleva parlare con lui” radunata nella sala da ballo dell’albergo. — Sono proprio tanti — disse con tono niente affatto entusiasta scrutando attraverso la porta del salone. Vi erano circa un centinaio di persone sedute che chiacchieravano fra loro.
— È ciò che noi chiamiamo una “conferenza stampa” — gli spiegò Marguery. — Questa gente vuole solo conoscerti meglio, tutto qui. In fondo, sei una celebrità ormai.
— Davvero? — domandò Sandy con tono compiaciuto.
— Certo che lo sei. Non te ne sei ancora accorto? Altrimenti perché ti fermerebbero per strada per chiederti l’autografo?
Detto questo, Sandy si lasciò trascinare nel salone senza ulteriori proteste. Non appena si sistemò dietro al leggìo sopraelevato, si accesero una serie di faretti e telecamere. Marguery Darp pronunciò alcune brevi frasi di introduzione, quindi iniziarono le domande. Che cosa ne pensava di Hudson City? Aveva apprezzato il pomeriggio alla “spiaggia”? Che cosa avrebbe detto la hakh’hli, Ippolita, agli astronomi terrestri? Sarebbero scesi altri hakh’hli dalla grande nave? Quando? E quanti, esattamente?
In verità, alla maggior parte di queste domande Sandy non poteva che rispondere con un “Non lo so”, ma per il resto tentò di fare del suo meglio, consapevole del fatto che Marguery Darp si trovava seduta in silenzio alle sue spalle. Alcune delle domande però erano veramente difficili per lui, tanto da metterlo in imbarazzo. — Dove ha intenzione di vivere? — domandò per esempio un giornalista. Sandy si girò verso Marguery in cerca di aiuto, ma non ne ricevette alcuno. — Voglio dire — insistette il giornalista — ha forse intenzione di rimanere qui a Hudson City? O meglio, ha intenzione di rimanere sulla Terra, o tornerà con la nave quando gli hakh’hli decideranno di ripartire? — Si trattava di una domanda realmente difficile. Fino a quel momento, Sandy non aveva mai preso realmente in considerazione il fatto che la nave hakh’hli potesse effettivamente ripartire per recarsi in qualche altro sistema solare. Il solo fatto di pensarci gli fece aggrottare visibilmente le sopracciglia. Poi però venne una domanda ancora più difficile, soprattutto perché non se l’era assolutamente aspettata. — Se rimane sulla Terra, che cosa farà?
Sandy sbatté le palpebre davanti alle forti luci. — Che cosa farò? — domandò a sua volta con un tono incerto.
— Voglio dire, che tipo di lavoro le piacerebbe fare? — insistette la donna che aveva posto la domanda.
Sandy ci pensò sopra. In effetti, non aveva mai riflettuto sull’eventualità di “trovare lavoro” sulla Terra. Quali lavori terrestri poteva essere in grado di intraprendere? — Potrei pilotare moduli di atterraggio hakh’hli — disse infine.
La risposta venne accolta da una risata sommessa ma generale. — Ma qui non abbiamo moduli di atterraggio hakh’hli — osservò la giornalista. Fortunatamente, a quel punto intervenne Marguery Darp.
— Il signor Washington possiede molte abilità — spiegò ai giornalisti — ma dovete dargli il tempo per decidere in che modo ha intenzione di farne uso. In ogni caso, ritengo che almeno per il momento abbiamo abusato fin troppo della sua cortesia. Fra l’altro, ho promesso di portarlo a nuotare oggi pomeriggio!
Quando si trovarono nella piccola vettura di Marguery, Sandy tentò di spiegarle il motivo per il quale aveva trovato tanto difficile rispondere a quell’ultima domanda. — Io non sono abituato a prendere decisioni del genere, Marguery. Gli hakh’hli non decidono mai dove vivere o che lavoro fare, perché ci sono i Grandi Anziani che decidono per loro.
Marguery tentò di rassicurarlo appoggiandogli una mano sul braccio. — Qui sulla Terra facciamo le cose in maniera un po’ diversa — disse. A quel punto parcheggiò la macchina e si voltò nella sua direzione. — Ma tu rimarrai qui con noi, non è vero?
— Oh, sì — rispose Sandy. — Questo almeno è ciò che desidero.
— E gli hakh’hli invece? — insistette Marguery. — Credi che ripartiranno per continuare il loro viaggio?
Sandy si grattò una guancia. — Credo di sì — disse.
— Non mi sembri molto sicuro — osservò Marguery.
Sandy scosse il capo. — Per quel che riesco a ricordare, non ne hanno mai parlato. Ma del resto, che altro potrebbero fare?
Marguery annuì con fare sobrio. — È una bella domanda, non è vero? Comunque sia, siamo arrivati alla spiaggia. — Si girò per prendere un pacchetto sul sedile posteriore. — Ho preso un costume da bagno per te nel negozio dell’albergo. Spero che sia della misura giusta.
— Grazie — disse Sandy con tono assente mentre iniziava a sbottonarsi la camicia.
— Non devi spogliarti qui — intervenne subito Marguery. — Ci sono gli spogliatoi appositi. Ci cambieremo separatamente, e ci vedremo fuori non appena avrai finito.
Ciò implicava la soluzione di un altro mistero, ma in questo caso non risultò poi tanto difficile. Sandy si limitò a imitare i movimenti degli altri uomini presenti nello spogliatoio, perfettamente consapevole del fatto che anche loro lo stavano fissando incuriositi. Ma non ci fece alcun caso. La sua mente infatti era concentrata esclusivamente sulle tante domande che Marguery aveva sollevato e continuava a sollevare.
Le domande erano tante, mentre le risposte erano veramente poche.
Per vent’anni, gli era sembrato tutto perfettamente chiaro; sarebbe tornato sulla Terra come dono degli hakh’hli alla razza umana e basta. Non aveva mai preso in considerazione ciò che sarebbe avvenuto “dopo”, né per se stesso, né per la nave hakh’hli.
Quando Sandy uscì dallo spogliatoio sulla cui porta capeggiava la scritta UOMINI, indossava un costume da bagno appena sufficiente per la sua mole. Le molte domande che lo turbavano, però, scomparvero come per incanto non appena individuò Marguery in attesa davanti allo spogliatoio femminile.
Sandy deglutì a fatica. Se una Marguery Darp completamente vestita aveva stimolato la sua fantasia, una Marguery Darp in bikini non poteva far altro che lasciarlo letteralmente senza fiato. La sua accompagnatrice indossava una piccola vestaglia quasi trasparente sulle spalle, ma questa non nascondeva nulla di più di quanto non nascondesse lo stesso bikini. — Sei bellissima — esclamò Sandy non appena ebbe ripreso fiato.
Marguery scoppiò a ridere. — Be’ — disse — i tuoi complimenti sono sicuramente un toccasana per la mia vanità, Sandy Washington. — Poi però si produsse in una smorfia. — Mi sono dimenticata di prendere un accappatoio anche per te, quindi sarà meglio non rimanere troppo tempo al sole. Dai, andiamo a bagnarci i piedi!
Così fecero, e l’esperienza di immergersi nell’acqua del mare tolse qualsiasi altro pensiero dalla testa di Sandy.
Si rese subito conto del fatto che tutti gli altri bagnanti lo fissavano incuriositi, ma notò anche che gli stavano rivolgendo sorrisi di incoraggiamento. Alcuni scattavano fotografie. Sandy sorrise a sua volta ai bagnanti che lo circondavano. Scoprì subito che era divertentissimo immergersi in quel liquido che manteneva quasi sospeso il suo corpo. Era un po’ come volare. Tuttavia, quando si avventurarono in acque più profonde, con Marguery che gli teneva la mano, Sandy tentò di sollevare i piedi dalla sabbia del fondo e constatò che non riusciva a rimanere a galla.
Appoggiò nuovamente i piedi sul fondo, annaspando e ridendo contemporaneamente. — Mi dispiace — disse — ma non credo proprio di riuscire a nuotare. Credo che la densità del mio corpo sia decisamente superiore a quella dell’acqua.
Marguery increspò le labbra. — In effetti, sei piuttosto solido. Ma non è un grande problema. Se vuoi provarci, ti posso procurare un salvagente, o qualcosa di simile. E comunque io sarò sempre qui accanto a te. Va bene?
— Magari un’altra volta — disse Sandy timidamente. — Va bene lo stesso se rimaniamo semplicemente qui a… come dite… “sguazzare” un poco?
— Come preferisci.
Sandy si guardò attorno con aria pensierosa. — L’acqua non è molto fredda — disse.
Marguery rise. — Ma non è sempre così, sai? Avresti dovuto vedere questo luogo lo scorso inverno. L’intera baia era congelata in una morsa di ghiaccio!
Sandy la fissò con aria perplessa. — Ghiaccio? — domandò. — Vuoi dire acqua congelata? Ma perché?
— Perché era inverno, naturalmente — rispose Marguery. Poi però dovette spiegargli che cosa fosse l’inverno”. — Ai vecchi tempi non gelava mai come adesso — aggiunse con un certo orgoglio.
— Ma non mi avevi detto che il clima della Terra è diventato più caldo, e non più freddo? — domandò Sandy umilmente. — Come è possibile che il riscaldamento dell’atmosfera porti al raffreddamento dell’aria?
— Il freddo dello scorso inverno non era più freddo del solito — spiegò Marguery. — Era solo in un punto della Terra diverso dal solito. — Alzò lo sguardo verso il sole e si produsse in una smorfia. — Solo che adesso non è inverno, e temo che stiamo prendendo un po’ troppo sole. Andiamo a sederci un po’ all’ombra.
Sandy la seguì fino alla piccola spiaggia, dove si ripararono sotto a un tendone per i bagnanti che schermava dai raggi ultravioletti. — Torno fra un istante — disse Marguery, avviandosi in direzione di un baracchino che vendeva bibite. Quando tornò consegnò a Sandy un bicchiere di carta con dentro una bevanda frizzante. — Ti piace? — domandò quando Sandy ebbe fatto il primo sorso. — Si chiama “root beer”, ed è una bevanda tipicamente americana.
— Oh, sì — disse Sandy annuendo. Come tutte le cose della Terra, non aveva assolutamente il sapore che si era aspettato. Tuttavia, gli piaceva il modo in cui gli faceva prudere il naso. — Marguery — disse — mi sono appena ricordato una cosa a proposito dell’inverno. Quando ero piccolo, MyThara mi disse che una volta gli hakh’hli avevano visitato un luogo in cui era sempre inverno.
Marguery si dimostrò subito interessata. — Davvero? — domandò, aspettando che andasse avanti. Solo che Sandy non sapeva molto più di quanto aveva appena detto.
— Non ricordo molto in proposito — disse. — So solo che, per qualche motivo, gli hakh’hli non erano affatto contenti di ciò. Agli hakh’hli non piace molto parlare delle loro delusioni… forse perché ne hanno avute parecchie in passato. Ma MyThara ha detto che è successo, centinaia e centinaia di anni fa. — Ci rifletté sopra un poco, poi scosse il capo. — Non ricordo altro. Ma la prossima volta che parlo con ChinTekki-tho glielo domanderò. Lui dovrebbe saperlo. Vuoi che glielo domandi?
— Sì, grazie — rispose Marguery. — Lo apprezzerei molto.
Quando si separarano nuovamente per rivestirsi, Sandy scoprì il foglio di carta piegato nella tasca dei suoi pantaloni. Se ne era completamente dimenticato. Questo fatto lo rallegrò, e non appena si ritrovarono assieme in macchina lo tirò fuori nuovamente.
— Ho una cosa per te, Marguery — disse, abbozzando un sorriso.
Marguery lo fissò. — Oh, mio Dio — esclamò. — Un’altra poesia?
— Questa volta è una poesia umana — rispose Sandy con orgoglio. Non gliela consegnò però, limitandosi a spiegare il foglio e a leggerla lui stesso ad alta voce.
Esile, fragile creatura,
Deliziosamente priva di coda.
Non hai grandi zampe per saltare
Ma gambe lunghe, sottili e dolci.
Voglio arrampicarmi su quelle gambe,
Salire fino al luogo ove ci uniremo noi.
Poiché tu sei la mia dolce metà,
E assieme saremo tutt’uno.
Marguery gli rivolse un lungo sguardo, poi gli tolse il foglio dalle mani. Prima di dire alcunché, lo lesse con grande attenzione.
Poi appoggiò il foglio e tornò a fissare Sandy. — Tu vai sempre subito al sodo, vero?
— Sto cercando di fare le cose nel modo giusto — ribatté lui in tono di scusa.
— Be’ — disse lei — francamente, credo che tu stia facendo le cose più o meno nel modo giusto. Solo che le stai facendo un po’ troppo in fretta, non so se mi capisci.
— Non capisco — ammise tristemente Sandy. Marguery scoppiò a ridere. — E io non so bene come fare per insegnartelo — disse. — Oh, Sandy! — Rimase pensierosa per un istante, poi cambiò improvvisamente tono e soggetto. — Ti piacerebbe vedere la vera New York City?
Sandy sbatté le palpebre, poi indicò con una mano il distante panorama di grattacieli. — Non la sto forse vedendo in questo momento?
— Intendevo dire da vicino. Magari potremmo anche fare qualche immersione, se riusciamo a trovare un giubbotto salvagente o qualcosa del genere che ti impedisca di andare a fondo. Potremmo andare sott’acqua e vedere le vere e proprie strade della vecchia città.
Sandy si produsse in una smorfia mentre ci rifletteva sopra. Non riusciva a capire in che modo ciò potesse collegarsi alla loro precedente conversazione. Aveva un’idea piuttosto vaga di cosa potesse essere un’”immersione”, ma ricordò in quel momento di aver visto dei film in proposito girati da un vecchio francese, Jacques Cousteau. Pensando a quel che ricordava di quei film visti sugli schermi della nave hakh’hli assieme alla sua coorte, gli sembrava una cosa piuttosto pericolosa. Tuttavia, se Marguery fosse rimasta sempre al suo fianco… E soprattutto se avesse indossato, come senz’altro avrebbe fatto, quel meraviglioso bikini…
Le rivolse un ampio sorriso. — Credo che mi piacerebbe.
Marguery si produsse in un’espressione che Sandy non fu in grado di interpretare. — Lo spero — disse, ma non aggiunse altro.