23

Nonostante il fatto che vi siano oltre 90.000 oggetti visibili in orbita intorno alla Terra, questa non appare per niente affollata. Del resto, l’orbita terrestre è un guscio che circonda l’intero pianeta, e ha uno spessore di almeno 30 chilometri. Le possibilità che un oggetto di dimensioni ragguardevoli (come potrebbe essere un laser nucleare esaurito) si trovi a una distanza inferiore al chilometro da qualsiasi altro oggetto (come per esempio una navetta hakh’hli) sono realmente basse. Ciò nonostante, le velocità orbitali di simili oggetti sono molto sostenute. Il laser esaurito, per esempio, percorre quel chilometro di orbita in meno di un quarto di secondo. Poi ci sono anche gli oggetti troppo piccoli per essere identificati, i quali viaggiano alla stessa velocità, sono in numero decisamente maggiore e possono essere altrettanto fatali.


Pilotare la navetta hakh’hli non era esattamente come pilotare il simulatore. Sandy si rese subito conto di non essere abbastanza abile per manovrare la navetta, e l’unico motivo per il quale si salvarono dal disastro fu che, in realtà, non vi era alcuna manovra particolarmente difficile da compiere. Il decollo, per iniziare, era decisamente più facile dell’atterraggio. In realtà era un procedimento veramente semplicissimo, soprattutto perché non bisognava puntare in nessuna direzione in particolare, a parte verso l’alto.

Compresso come era sull’enorme inginocchiatoio hakh’hli, Sandy arrivava a malapena a sfiorare con le mani i comandi di cui aveva bisogno. Sapeva ciò che andava fatto, solo che gli riusciva realmente molto difficile farlo. Non appena si staccarono dal suolo, fu costretto a slacciarsi le cinture e a prodursi in uno sforzo enorme facendo leva sui braccioli del sedile hakh’hli per raggiungere i comandi che mettevano in azione i repulsori magnetici. Fatto questo, si accasciò nuovamente sulla spalliera, ansimando per la fatica.

— Che diavolo stai facendo, Sandy? — gridò preoccupata Marguery alle sue spalle.

— Sto pilotando questo modulo di atterraggio hakh’hli — rispose Sandy orgogliosamente. — Ti prego di non alzarti dal tuo sedile.

— Tanto non ci riesco comunque…

— È logico che tu non sia in grado di farlo, adesso — ammise Sandy. — Ma dovrai rimanere al tuo posto anche quando ci troveremo in orbita, quando spegnerò i propulsori.

— Altrimenti mi sparerai?

— Oh no, Marguery. Tanto ormai non puoi più impedirmi di decollare, giusto? Tuttavia, se interferisci, può darsi che causi un incidente e che moriamo entrambi sfracellati.

Marguery rimase in silenzio per un istante, continuando a respirare pesantemente. — Mi avresti sparato veramente? — domandò dopo un po’ alzando la voce per superare il rombo dei motori. Sandy non rispose, limitandosi a girarsi verso di lei rivolgendole un sorriso. Marguery allora tentò un’altra strada. — E se devo andare al bagno? — domandò.

— Non esistono bagni in un modulo di atterraggio hakh’hli — rispose Sandy. — Alle tue spalle sulla destra c’è uno sportello con dentro dei sacchetti igienici e delle salviette di materiale spugnoso che possono essere usati per quello scopo, in caso di assoluta necessità. Adesso però ritengo che… ahi! — gridò mentre il velivolo si inclinava improvvisamente da un lato. Si massaggiò una spalla. — Dobbiamo averne appena schivato uno grosso! Significa che stiamo entrando nell’orbita dei relitti, quindi reggiti forte!


Impiegarono oltre un’ora per superare la zona di pericolo, schivando relitti in continuazione a destra e a sinistra. I propulsori erano sempre a pieno regime, e di conseguenza Sandy e Marguery erano sempre appiccicati ai loro sedili. Dato che erano decollati da una zona a nord del pianeta, la densità degli oggetti pericolosi era decisamente inferiore rispetto a quella di qualsiasi altro punto intorno alla Terra. Ciò nonostante, era comunque un volo molto rischioso, e decisamente pieno di inaspettati scossoni. Di tanto in tanto qualche oggetto troppo piccolo per essere schivato si abbatteva sulla pellicola protettiva della navetta, perforandola e spiaccicandosi sotto forma di plasma sullo scafo metallico. Marguery si mordeva il labbro inferiore a ognuno di quei minacciosi tonfi, ma per loro fortuna nessuno di questi portò all’accensione della luce azzurra che segnalava una perdita di pressione all’interno dell’abitacolo.

La rotta a zig-zag della piccola navetta li faceva sobbalzare in continuazione senza pietà. Quando ebbero finalmente superato la fascia principale dei relitti, Marguery emetteva grugniti di dolore e persino Sandy si stava massaggiando tutto il corpo. A quel punto egli calcolò i vettori per convertire la loro orbita polare in quella equatoriale della grande nave hakh’hli e applicò le correzioni del caso. — Ora diminuisco la spinta — gridò alle sue spalle mentre scrutava con divertito interesse il volto familiare, paonazzo e urlante, che era apparso sullo schermo del pilota. — Ora puoi alzarti e “andare in bagno”, se vuoi.

— Grazie tante — replicò Marguery con tono sprezzante. — Chi è quello lì che ci sta guardando dallo schermo?

Sandy fissò il volto con attenzione. — È ChinTekki-tho — disse. — Ma non ci sta guardando. Non ci vede ancora, perché non ho acceso il trasmettitore. Ha un’aria abbastanza arrabbiata, non è vero?

— Sai che sorpresa! — ribatté Marguery. — E adesso che cosa hai intenzione di fare?

Sandy appoggiò la schiena al grosso sedile, continuando a massaggiarsi i lividi. — Fra poco mi metterò in contatto con lui — disse.

— E poi che cosa farai, maledizione?

La fissò con aria pensierosa. — A quel punto — disse — farò ciò che mi va di fare. È una bella novità, non è vero? Non ho avuto molte possibilità di fare una cosa del genere finora. Per gran parte della mia vita ho sempre fatto tutto ciò che mi ordinavano gli hakh’hli, poi ho fatto ciò che mi ordinavate voi. Di conseguenza questa è un’esperienza nuova per me, e vi sono buone probabilità che io fallisca. Ma ho intenzione di provarci comunque.

— Maledizione, Sandy! — proruppe Marguery con rabbia. Poi cambiò tono. — Sandy, ti prego… Dimmi che intenzioni hai…

— Bene — disse lui in tono ragionevole. — Innanzitutto, mi metterò in rotta verso la nave hakh’hli. Questo significa applicare una serie di correzioni di velocità e di traiettoria, quindi dovrò stare molto attento, perché non abbiamo una grande riserva di carburante. Anzi, no — si corresse subito scuotendo il capo. — La prima cosa da fare è trovare la nave hakh’hli. — Marguery fece per dire qualcosa, ma Sandy la interruppe con tono cortese. — Cara Marguery — disse — ti prego di chiudere la bocca. Devo concentrarmi se voglio fare i calcoli giusti.

Gli ci volle parecchia concentrazione. Dovette compiere una ricerca completa sull’orbita equatoriale prima di individuare finalmente la grande nave interstellare. A quel punto regolò alcuni cursori finché l’immagine della nave non venne a occupare completamente il suo schermo, quindi mise al lavoro il computer affinché ricercasse la rotta esatta.

Emise un sospiro e toccò ancora qualche comando. — Poteva andare peggio — osservò. — Dovremmo raggiungerli nel giro di circa sei ore. Oh, guarda, Marguery! Sta venendo su bene quell’antenna, eh?

— Benissimo — ribatté Marguery con rabbia.

— Mi piacerebbe chiedere a ChinTekki-tho quando sperano di poter captare qualche segnale — disse Lisandro con tono allegro.

— E allora perché non lo fai? A giudicare dalla sua faccia, sembra che muoia dalla voglia di parlarti.

Sandy ebbe un attimo di esitazione, poi accese con una certa riluttanza il trasmettitore della nave. — Salve, ChinTekki-tho — esclamò, rivolgendosi allo schermo. — Come stai?

— John William Washington! — tuonò furioso l’Anziano, parlando in hakh’hli. — Perché stai compiendo questo gesto invece dì compierne uno adeguato? Questo mio dodicesimo era riservato al sonno, e tu mi stai impedendo di prendermi il mio meritato riposo! I Grandi Anziani ti ordinano di cessare immediatamente questa condotta impropria e non pertinente agli ordini ricevuti!

— Parla in inglese — ordinò Lisandro. — Voglio che Marguery capisca tutto ciò che ci diciamo.

ChinTekki-tho si rigirò i pollici in un gesto di furiosa obiezione. — Sarebbe una cosa poco saggia e niente affatto prudente, Lisandro! Questa Marguery Darp non è certo l’unico essere umano in ascolto!

— Ho detto in inglese!

— Benissimo — ribatté ChinTekki-tho con rabbia. — E allora dimmi! Perché stai compiendo questo sciocco gesto? Dove è andata a finire la tua gratitudine nei confronti degli hakh’hli, che ti hanno dato la vita? Noi ti abbiamo salvato!

Sandy scosse il capo con fermezza. — Non credo proprio di essere in debito con voi per questo. Non lo avete fatto per me, ma solo per voi stessi. In più, mi avete anche mentito in proposito.

— Lisandro! Ti rendi conto che stai mettendo a repentaglio gli importantissimi piani dei Grandi Anziani per la nostra progenie? Pensa ai 73 milioni di uova che sono ancora nei nostri congelatori!

— Sto pensando — ribatté Sandy con tono duro — a 73 milioni di hakh’hli che invadono il continente africano, ChinTekki.

Tralasciò volutamente il “tho”, la forma di rispetto. Il Tutore trasalì visibilmente. — Di che cosa stai parlando? — domandò.

— Dei vostri piani per invadere la Terra!

— No, no — replicò immediatamente ChinTekki-tho. — Non abbiamo alcuna intenzione di “invadere” la Terra! Perché usi questa parola?

— Allora come chiameresti ciò che avete intenzione di fare in Africa?

ChinTekki-tho si guardò attorno con fare nervoso, come se stesse cercando di individuare qualche occhio umano puntato su di sé. — Non faremo nulla di male in Africa — disse infine leccandosi le labbra. — C’è un sacco di spazio in Africa, e i terrestri non ne fanno alcun uso.

— Ma la Terra è loro. È il loro pianeta. Non pensi che sarebbe il caso di domandar loro che cosa ne pensano, prima di agire?

— Lisandro, tu parli senza pensare. A che cosa serve domandare il permesso di vivere lì finché non sappiamo se possiamo effettivamente viverci? No, Lisandro! Non spetta certo a te mettere in dubbio le decisioni dei Grandi Anziani in questo momento! Piuttosto, faresti meglio a spiegarmi il motivo per il quale hai attaccato quattro tuoi compagni di coorte e hai prelevato senza autorizzazione il velivolo sul quale ti trovi adesso!

— Oh? — ribatté Sandy tono interessato. — E come fai a sapere tutto questo, ChinTekki-tho?

— Come credi che lo sappia? — rispose aspro il Tutore Primario. — È da un’ora che continuano a ripetercelo! Non appena i tuoi compagni di coorte si sono ripresi dal tuo immondo attacco a sorpresa, hanno preteso che gli umani trasmettessero per loro. Mi trovo tutt’ora in contatto con loro, e ho parlato anche con alcuni umani. Anche loro vogliono che tu faccia ritorno immediatamente!

Sandy sbatté le palpebre. Non si era aspettato una reazione tanto rapida. — E perché non si sono messi in contatto con me direttamente?

— Perché non hai alcun tipo di ricevitore in grado di captare trasmissioni terrestri, sciocco Lisandro! — ruggì ChinTekki-tho. — Non mi vuoi credere? Aspetta allora, così potrai constatarlo con i tuoi stessi occhi.

Il Tutore Primario si spostò al di fuori del campo visivo della telecamera per snocciolare un rapido ordine in hakh’hli. Un attimo dopo, lo schermo di Sandy si divise orizzontalmente in due immagini separate. Nella parte di sopra vi era il volto furioso di ChinTekki-tho, mentre la parte di sotto era popolata da diverse figure, apparentemente altrettanto furiose. Boyle era accompagnato da altri due esseri umani, e al loro fianco vi erano Demetrio e Tania. Sembravano un po’ cambiati rispetto all’ultima volta che Sandy li aveva visti. Hamilton Boyle per esempio sembrava avere i capelli più corti, e il suo volto era parzialmente ricoperto da una vistosa fasciatura. Anche Demetrio era parzialmente fasciato, e la sua espressione era infuriata e risentita. — Hai messo in pericolo le nostre vite, Lisandro! — gridò accusandolo. — Se questo terrestre non fosse riuscito a togliermi da dietro i propulsori al momento giusto, avrei perso la mia vita inutilmente e prima del tempo!

— Mi dispiace di avervi bruciacchiati — disse Sandy con tono cortese — ma vedo con piacere che siete tutti sopravvissuti.

— Non certo grazie a te, Lisandro — intervenne Hamilton Boyle. — Torna immediatamente indietro!

— Mi dispiace — ribatté Lisandro — ma non ho carburante a sufficienza. E nemmeno il desiderio di tornare, se è per questo.

— Allora avvicinati semplicemente e pacificamente alla nostra nave, Lisandro — intervenne nuovamente ChinTekki-tho con tono di supplica. — Ti accetteremo senza recarti alcun danno!

— Col cavolo! — gridò Boyle. — Volete solo prendere in ostaggio il tenente Darp!

— Gli hakh’hli non prendono “ostaggi”! — ruggì ChinTekki-tho. — Siete voi piuttosto che tenete prigionieri quattro dei nostri! Noi non siamo creature guerrafondaie e violente come voi terrestri!

— Non siamo né guerrafondai né violenti! — replicò Boyle. Fece per continuare, ma a quel punto Sandy intervenne nella discussione.

— Boyle — disse. — Avete per caso riferito a ChinTekki-tho ciò che voi docili e pacifici umani avete fatto a Polly?

Boyle rimase impietrito per un attimo. Infine rivolse uno sguardo agli hakh’hli che erano al suo fianco. — Polly sta benissimo — disse.

— No — lo corresse Sandy. — Non sta affatto bene. Non hai idea del male che le avete fatto, Boyle.

Nell’altra metà dello schermo, ChinTekki-tho assunse un’espressione scandalizzata. — Se voi terrestri avete osato fare del male a un hakh’hli…

— Silenzio, per favore — lo interruppe Sandy con decisione. — Non si può assolutamente dire che Ippolita stia bene al momento, ma si riprenderà certamente. Ma adesso statevene un po’ zitti che vi dico ciò che dovete fare. Innanzitutto… oh, diavolo! — Il vociare irato proveniente dallo schermo era talmente confuso e forte che Sandy spense l’audio.

— Ecco — disse con calma nell’improvviso silenzio. — Ora voi mi potete sentire, ma io non vi sento più, quindi tanto vale che chiudiate quelle vostre boccacce. Dunque, ho riflettuto un po’. Innanzitutto, voi hakh’hli non potete avere alcuna parte del pianeta Terra, perché i terrestri non vi vogliono. D’altra parte, voi umani non potete mandare via gli hakh’hli dal vostro sistema solare, perché gli hakh’hli non possono permettersi di andarsene. Di conseguenza, la risposta logica al problema è una sola. Dovete trovare un compromesso.

Si appoggiò allo schienale, annuendo con espressione seria mentre osservava le facce sullo schermo. Almeno adesso erano in silenzio, anche se le espressioni dei volti degli umani e il continuo rigirarsi i pollici di ChinTekki-tho indicavano chiaramente che la loro ira non si era ancora placata.

— Che tipo di compromesso, Lisandro? — domandò timidamente Marguery Darp alle sue spalle.

— Per come la vedo io — continuò Sandy — c’è un solo modo. Date agli hakh’hli un altro pianeta. Marte.

— Si girò verso Marguery e le rivolse uno sguardo compiaciuto. — Hai visto com’è facile? — concluse.

Marguery si alzò in piedi e gli si avvicinò, guardandolo dall’alto in basso. Sandy le restituì lo sguardo, imperturbabile.

— Dici sul serio? — gli domandò. Sandy annuì con convinzione. — Ma nessuno può vivere su Marte! — obiettò.

— Sì che si può — ribatté Sandy, parlando sia per lei sia per gli altri che ascoltavano via radio. — È solo una questione di energia. Se gli hakh’hli sono in grado di inviare energia sotto forma di microonde sulla Terra, possono benissimo fare la stessa cosa anche su Marte. Potrebbero parcheggiare la grande nave nell’orbita marziana e dare inizio poi a una nuova colonizzazione.

— Ma… E se non volessero farlo?

— La fiducia deve pur iniziare da qualche parte, Marguery — rispose Sandy in tono serio. — E poi potremmo sempre organizzare uno scambio di osservatori. Di ostaggi, se preferisci. Mettiamo un centinaio di umani sulla nave hakh’hli, o su Marte quando avrà inizio la colonizzazione, mentre un centinaio di hakh’hli rimarranno sulla Terra. Questi potranno avere il ruolo di ciò che voi chiamate “ambasciatori”, e si potranno rendere conto immediatamente se una delle due parti sta imbrogliando o meno. Sì — disse infine con un cenno di assenso del capo. — Ci ho riflettuto attentamente, e sono sicuro che funzionerebbe. Certo, ci vorrà un po’ di tempo. Una cinquantina d’anni, magari, prima che ripuliamo completamente la Terra e stabiliamo una colonia su Marte. Ma così almeno le cose miglioreranno, capisci? Ogni anno la situazione sarà sempre migliore, invece che sempre peggiore. — Si protese verso Marguery con un sorriso, rifilandole un rapido bacio sulle labbra. Poi tornò a rivolgersi verso la console.

— E ora — disse con un sospiro mentre girava nuovamente il cursore del volume — sentiamo che cosa ne pensano i nostri amici.

ChinTekki-tho fu il primo a parlare. — John William Washington! — sbottò. — Chi sei tu per dare ordini ai Grandi Anziani? Sai benissimo che non cederanno mai alla forza! Tu ci stai chiedendo di ingoiare la nostra stessa saliva!

— Lisandro, non spetta certo a te prendere una decisione simile! — intervenne con rabbia Hamilton Boyle, — Scordatelo! Gli hakh’hli hanno già dato prova di non essere degni della nostra fiducia!

— Sono i terrestri che hanno mentito spudoratamente! — ribatté ChinTekki-tho.

— Oh, smettetela una buona volta — disse Sandy con tono rassegnato. — È proprio questa la funzione degli ambasciatori. Altrimenti, non vi sono dubbi sul fatto che entrambe le parti mentirebbero e non rispetterebbero gli accordi. — Annuì con espressione saputa. — Naturalmente, siete entrambi molto esperti nell’inganno. Mi avete mentito troppe volte perché io possa credere in qualsiasi cosa mi diciate adesso.

— Noi non ti abbiamo esattamente mentito… — si difese Boyle dalla parte inferiore dello schermo.

Sandy si produsse in una risata selvaggia. — Esattamente! — ripeté. — Anche questa stessa parola è una menzogna! Boyle, lo so benissimo che menti. So benissimo che gli esseri umani sanno mentire molto bene e con grande facilità, perché io stesso ho imparato a farlo molto rapidamente.

— Ma tu non sei… — iniziò Boyle, ma poi si interruppe. All’interno della navetta, Marguery si portò la mano alla bocca.

Sandy la fissò, poi tornò a guardare lo schermo. — Vedo che ci sono altre menzogne che non sono state ancora rivelate — disse cupo. — Di che si tratta, ChinTekki-tho?

Il grande hakh’hli rigirò i pollici con fare impaziente. — Domandalo alla tua femmina terrestre, e non a me — borbottò in hakh’hli.

— Lo sto domandando a te! E voglio la risposta in inglese!

— Sarà meglio per te se lo dico in hakh’hli — disse ChinTekki-tho serio. — Puoi credermi in questo.

— Dimmelo ugualmente in inglese! Non avete trovato i miei genitori vivi su un’astronave. Non sono figlio di una donna americana. Gli unici astronauti nello spazio in quel momento erano russi, ed erano entrambi di sesso maschile!

— È vero, Lisandro — confermò ChinTekki-tho con tono gentile. — Ed erano anche entrambi morti da tempo. Inoltre nella loro nave non vi era più ossigeno, e di conseguenza vi era ben poco tessuto umano da utilizzare.

Sandy trasalì ma cercò di non dare segni di nervosismo. Sentirselo dire di persona era realmente terribile, ma del resto si era aspettato una cosa del genere fin da quando aveva scoperto il fatto degli astronauti russi da Marguery. — Ciò che stai cercando di dirmi — disse con tono teso — è che sono un hakh’hli. Che mi avete alterato geneticamente per farmi apparire come un essere umano. È così?

Ma ChinTekki-tho stava scuotendo il capo in un gesto di negazione. — No, Lisandro — disse. — Tu non sei un hakh’hli.

Alle sua spalle, ormai quasi dimenticata, Marguery sussurrò, — No, Sandy. Non sei nemmeno un hakh’hli.


Da quando Sandy la conosceva, Marguery Darp non si era mai espressa con un simile tono di voce. — È vero? — le domandò Sandy con voce sempre più tesa scrutandole il volto. — E tu l’hai sempre saputo?

Marguery annuì. Con tristezza. Teneramente. — Ce ne siamo resi conto non appena abbiamo compiuto qualche esame sui tuoi tessuti. Prima abbiamo controllato le tue escrezioni, incanalando i tubi di scarico del tuo bagno. Poi l’esame che hai fatto in ospedale, assieme a quello del tuo sperma, ha confermato che…

— Nessuno finora ha mai preso un campione del mio sperma!

Marguery riuscì ad abbozzare un sorriso. — Qualcuno lo ha preso, Sandy. Sono stata io. — Sandy non poté fare a meno di arrossire, nonostante la gravità del momento. — Non appena gli esperti hanno iniziato a esaminare il tuo DNA — continuò Marguery — si sono resi conto che non era del tutto umano. Naturalmente abbiamo subito fatto un confronto con le cellule hakh’hli del corpo di Obie, ma non risultava esserci alcuna analogia, anche se vi era qualche similitudine. Abbiamo anche fatto un riscontro con il DNA delle api-falco che siamo riusciti a catturare, ma naturalmente non aveva nulla a che vedere, come del resto era prevedibile. Poi però abbiamo provato a fare un paragone con altri campioni di tessuto…

— Non potevate avere altri campioni di tessuto — intervenne Sandy seccamente. — Non c’era nessun altro essere vivente a bordo della navetta!

Marguery scosse il capo. — Non ho detto che si trattava di tessuto di un essere vivente, Sandy. Gli altri campioni di tessuto erano quelli del cibo che Polly e gli altri avevano avanzato. La… la carne — concluse sconsolata.

Sandy la fissò con aria incredula per un secondo, poi si rivolse allo schermo. — Ti prego, ChinTekki-tho — disse con tono di supplica.

— È vero, Lisandro — rispose il vecchio tutore hakh’hli. — Abbiamo dovuto usare altre fonti di DNA. È stato molto difficile dividere i geni mantenendo tutte le possibili caratteristiche umane, e poi abbiamo avuto bisogno di una madre sostitutiva per farti venire alla luce. Lisandro, per crearti abbiamo dovuto prendere in prestito del materiale genetico dagli hoo’hik. Quando sei nato, sei venuto fuori dal ventre di un hoo’hik.

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