Manhattan, l’isola centrale della città di New York, non ha molte colline. Una volta ne aveva, molto tempo fa. I coloni inglesi, quelli olandesi che vennero prima di loro, e anche gli indiani che erano lì prima di qualsiasi colono, parlavano tutti di una terra di colline, valli, monti, fiumi e laghi abbastanza grandi da poterli navigare. Ora non rimangono che le vestigia di tutte queste cose. Quando gli abitanti di New York si dedicarono al compito di ricoprire la loro isola di cemento, non volevano che vi fossero salite tanto ripide da impedire a un cavallo di trainarvi una carrettata di mattoni, o, in seguito, da impedire a un trattore di trainarvi sopra dieci tonnellate di travi d’acciaio. Così, hanno fatto saltare le cime di tutte le colline, hanno riempito tutte le depressioni naturali e hanno incanalato tutti i fiumi e torrenti affinché formassero un sistema fognario sotterraneo. Non immaginavano nemmeno lontanamente che cosa sarebbe potuto accadere alla loro isoletta piatta una volta che avesse avuto inizio il surriscaldamento dell’atmosfera. Quando accadde, i loro discendenti si dettero da fare per tentare dì arginare le acque con possenti dighe dì cemento. Solo che quando le tempeste diventano molto forti, distruggono anche le dighe di cemento… e le tempeste dell’Era del Surriscaldamento erano senz’altro molto forti.
— Avrei dovuto portare il tuo costume da bagno — disse Marguery con un sospiro non appena Sandy fu uscito dal riparo della tettoia di un edificio con indosso solo le mutande color verde elettrico. Lo ispezionò con fare assente. Il suo umore era ancora piuttosto strano e distaccato, soprattutto se si teneva conto del fatto, pensò Sandy con risentimento, che gli aveva praticamente promesso che lo avrebbero finalmente fatto. — Penso che puoi andar bene — concluse Marguery. — In fondo, qui non c’è nessuno che possa vederti. Tieni, infilati questo.
Sandy prese lo strano indumento gonfiabile, infilò la testa nel buco e si legò le cinghie sui fianchi come gli venne ordinato. Si trovavano sul tetto di un edificio piuttosto basso, e l’acqua si trovava a poco più di un metro sotto di loro. Sandy non poté fare a meno di guardare quando notò che Marguery si stava sfilando i pantaloni. Sotto tutto il resto indossava il bikini; sembrava realmente pronta a tutto.
Sandy invece non si sentiva per niente pronto… a nulla. Tanto per iniziare, tutto quell’equipaggiamento era qualcosa di completamente nuovo e inquietante per lui. Oltre al “giubbotto salvagente”, infatti, vi era anche una bombola che doveva fissarsi sulla schiena, una maschera nella quale doveva imparare a respirare, e una cintura di pesi che doveva allacciarsi in vita per ottenere quello che Marguery definì una “galleggiabilità neutra”. Sandy si produsse in una smorfia. — Non possiamo semplicemente far uscire un poco d’aria dal giubbotto? — domandò.
— No — ribatté Marguery. — Non ho intenzione di annegarti. Ma adesso entriamo in acqua. Non dovremmo rimanere esposti al sole così a lungo a questa latitudine.
Si sedette sul bordo del tetto e si lasciò andare, rimanendo a galla nell’acqua scura appena sotto. — Allora? — lo chiamò, rimanendo in attesa.
Sandy inspirò profondamente, quindi seguì l’esempio della sua accompagnatrice.
Solo che impiegò un po’ più di tempo rispetto a lei per farlo. Si aggrappò al bordo del tetto con tutte le sue forze e si calò lentamente in acqua, centimetro per centimetro. Non appena fu entrato con le gambe, si ritrovò ad annaspare; l’acqua era gelata. Be’, non proprio gelata, si corresse poco dopo. In effetti, era quasi sopportabile, dopo lo shock iniziale. Tuttavia, le sue gambe si trovavano immerse nell’acqua, e Sandy sapeva che l’acqua ha la capacità di succhiare via il calore dal corpo molto più rapidamente dell’aria.
Ma se Marguery Darp era in grado di sopportare una cosa del genere, lo era anche lui. A malincuore, Sandy calò il resto del suo corpo in quella sostanza poco familiare. Gli occorse un vero e proprio sforzo di volontà per staccare le dita dal cornicione dell’edificio. Dopodiché, si ritrovò a galleggiare. Era una sensazione alquanto strana. Anzi, erano almeno una dozzina di sensazioni strane diverse, nessuna delle quali Sandy aveva mai avuto modo di provare in precedenza. Quando agitava le braccia nell’acqua, il suo corpo si muoveva nella direzione opposta… proprio come i propulsori principali della grande nave interstellare, pensò. Anche qui valevano le leggi di azione e reazione! Nel giro di poco la sua pelle si abituò al liquido che la circondava e anche l’iniziale sensazione di freddo si dissipò. In effetti, trovò Sandy, era una sensazione quasi gradevole. Quando infilò la testa sotto la superficie per vedere cosa sarebbe accaduto, gli entrò un po’ di acqua in bocca. Il sapore era salato, ma non poteva dire che fosse sgradevole.
— Credo che mi stia piacendo! — gridò a Marguery, che sguazzava a qualche metro di distanza.
— Lascia che ti regoli i pesi — disse lei, avvicinandosi.
Non ci volle molto. Marguery aveva stimato abbastanza bene i rapporti di peso, e infatti dovette aggiungere solo due piccoli rettangoli di piombo per far sì che l’intero corpo di Sandy, compreso di pesi, bombole e giubbotto salvagente raggiungesse la stessa densità dell’acqua in cui stava galleggiando.
A quel punto, Sandy non dovette far altro che imparare a espirare attraverso il naso e a inspirare attraverso un tubo fissato alla bocca. Tossì e sputò diverse volte prima di imparare la procedura esatta.
A quel punto era pronto. Scrutò sotto di sé, attraverso l’acqua. Qui era decisamente meno limpida rispetto ad altri punti della città, o forse semplicemente più profonda. — Che cosa c’è laggiù? — domandò.
— Ora vedrai. Non c’è nulla di cui preoccuparsi. Da queste parti non c’è praticamente nulla che possa farti del male, a parte magari qualche squalo che appare occasionalmente.
— Squalo? — domandò Sandy preoccupato.
— Non ci daranno fastidio — promise Marguery. — Basta che tieni d’occhio i pesciolini piccoli. Finché ne vedi, vuol dire che non ci sono squali nelle vicinanze.
Sandy decise di crederle. O perlomeno tentò di crederle, ma nonostante ciò non poté fare a meno di cacciare la testa sott’acqua per vedere se appariva qualche grossa sagoma grigia e minacciosa.
Marguery lo fermò. — Non andare sotto, non ancora. — Rifletté per un istante, poi aggiunse: — In effetti, forse non fa alcuna differenza. Tanto se non sei pronto adesso non credo che lo sarai dopo. Sai se quel tuo apparecchio acustico è impermeabile o meno?
Sandy ci pensò su per un istante. — Non credo proprio che lo sia — disse.
— Allora dammelo — ordinò. — Credi che riuscirai a sentire almeno qualcosa senza?
— No — rispose Sandy con tono cupo.
— Allora quando te lo segnalo, sputerai sul vetro della maschera in questo modo — diede una dimostrazione pratica — e poi mi seguirai fin sotto. — Infilò con cura il piccolo apparecchio in una tasca della sua cintura subacquea, la sigillò, quindi rivolse a Sandy un sorriso un po’ scarno e disse qualcosa. Sandy si rese conto del fatto che aveva detto qualcosa perché vide le sue labbra che si muovevano, ma non sentì proprio nulla.
— Che cosa? — gridò a voce troppo alta. Marguery fece una smorfia, scrollò le spalle e indicò la maschera. Quando Sandy seguì l’esempio della sua accompagnatrice sputando sul vetro prima di infilarsela ebbe l’impressione che questa stesse emettendo un sospiro, ma alla fine si limitò a fargli cenno con il braccio di seguirla e si tuffò sotto la superficie.
Sandy la seguì nell’oscurità delle acque, nella profondità del canyon sottomarino di Wall Street.
Aggrappato a una caviglia di Marguery, Sandy si lasciò trascinare mentre osservava le meraviglie che li circondavano. Era tanto affascinato che dimenticò la corretta procedura di respirazione e si ritrovò a tossire violentemente prima di riuscire a ristabilire il ritmo giusto. Tuttavia, si disse che ne valeva decisamente la pena!
Al livello della strada vi erano moltissime automobili abbandonate, alcune rovesciate o incagliate dalle maree in punti assurdi. A quella profondità filtrava ben poca luce, ma nonostante ciò Sandy riusciva ugualmente a discernere la maggior parte degli oggetti che lo circondavano; un idrante, un telaio di bicicletta storto e un carretto dai colori vivaci sul quale erano ancora visibili alcune parole dipinte a mano: FRITTELLE — SUCCHI DI FRUTTA — TOFU.
A un certo punto Marguery gli diede una leggera pacca sulla spalla e indicò un grande portone. Vi era una porta girevole al centro del portone, ma era stata scostata e di conseguenza si poteva passare senza alcun problema. Marguery vi si infilò nuotando, trascinando Sandy dietro di sé.
Si ritrovarono a nuotare attraverso ciò che sembrava essere uno di quei luoghi che gli umani chiamavano “banca”. Da un lato, era decisamente più facile muoversi là dentro, soprattutto per Sandy che non sapeva nuotare, poiché vi erano un sacco di banconi e ringhiere a cui attaccarsi. Ciò nonostante, all’interno dell’edificio non filtrava quasi nessuna luce, e di conseguenza si discernevano a malapena i contorni degli oggetti.
Marguery non sembrava per niente preoccupata da ciò. Toccò con la mano un oggetto fissato con una cinghia attorno alla sua testa dal quale scaturì un potente fascio di luce e continuò a nuotare, attraversando le massicce porte di una cella e facendo cenno a Sandy di seguirla. A quel punto gli occhi di Sandy stavano iniziando ad abituarsi all’oscurità, tanto che riuscì a discernere una serie di cassette metalliche allineate lungo le pareti della cella, tutte aperte e completamente vuote. In fondo alla cella vi era una scala a chiocciola di metallo. Marguery vi si avvicinò e iniziò a issarsi, aggrappandosi alla ringhiera. Sandy la seguì, e quando giunse a metà delle scale…
Marguery non stava più nuotando. Stava salendo le scale a piedi, come se nulla fosse. Il livello dell’acqua giungeva fin quasi alla sommità della cella, ma la scalinata conduceva a una stanza buia che, chissà come, non era allagata.
Quando la testa di Sandy spuntò fuori dall’acqua, Marguery si stava già togliendo la maschera. Stupito, Sandy seguì il suo esempio e si rese conto che si trovavano in una stanza con tanto di divani e poltrone… tutti ammuffiti e marciscenti, con un odore di stantio dominante che però Sandy non trovò totalmente sgradevole.
Marguery intanto si stava guardando attorno, puntando il fascio della sua lampada dappertutto, sulle pareti, sul soffitto, sugli infissi… A un certo punto trovò una grossa lampada, la accese e tutto risultò più chiaro. Si trovavano in una stanza in cui vi era una bolla d’aria e nella quale si poteva respirare tranquillamente nonostante si trovasse al di sotto del livello dell’acqua. Quando la luce si accese Sandy si rese conto che Marguery gli stava dicendo qualcosa, solo che lui non riusciva a sentire nulla. — Non… ti… sento — disse ad alta voce.
Marguery allora aprì il taschino stagno della sua cintura, ne tirò fuori il piccolo apparecchio acustico, lo asciugò su una tovaglia che si trovava sul tavolo e glielo porse. Non appena Sandy lo ebbe sistemato, gli domandò: — Ti piace questo posto?
Si guardò attorno. — Che cos’è?
— E un luogo dove la gente dei vecchi tempi teneva gli oggetti di valore. Quelle si chiamavano cassette di sicurezza. — Indicò le pareti, costituite da tante piccole cellette, quasi tutte aperte. — Qui era dove la gente riponeva il proprio denaro, i gioielli, i testamenti, i documenti di cause legali o di divorzi… insomma, qualsiasi cosa a cui tenessero particolarmente. Quando ne avevano bisogno, venivano qui e staccavano le loro cedole, o quel che era.
— Cosa significa “staccare le cedole”?
Marguery emise una risata. — Be’, è una lunga storia. La gente che veniva qui, i ricchi, avevano tutti quel che si chiamano “azioni” o “buoni”. Così, se loro avevano dei soldi le “azioni” gliene facevano guadagnare ancora di più, solo che ogni tanto dovevano venire qui, strappare via un pezzo di certificato, una cedola, e spedirlo per ottenere i soldi veri e propri. — Mentre parlava, prese degli asciugamani da un appendiabiti, ne lanciò uno a Sandy e si asciugò i capelli con un altro. L’asciugamano era umidiccio, ma certamente più asciutto del suo corpo. Sandy si ritrovò a rabbrividire, tutto infreddolito. — Aspetta un attimo — disse Marguery non appena notò che stava tremando. Accese un altro interruttore, e immediatamente si illuminò un anello color rosso-arancione incassato in un disco metallico che si trovava al centro del pavimento. — Qui dentro c’è sempre un’umidità terribile — osservò — ma a me piace lo stesso. Questo apparecchio elettrico ci scalderà un pochino. Mi sono dimenticata di cambiargli le batterie, ma credo che funzionerà ancora almeno per un paio d’ore.
— Perché ha bisogno di “batterie”?
— Perché non c’è energia elettrica quaggiù, naturalmente. Qui non esiste alcun tipo di contatto con il mondo esterno.
Sandy si accomodò sul divano di pelle, controllandolo prima per verificare se avrebbe sostenuto il suo peso. Quando vi si sedette il divano emise un piccolo scricchiolio, ma si trattava di un mobile di quelli solidi. A quel punto, Sandy si guardò attorno con rinnovata curiosità. — E per che cosa lo usi questo posto? — domandò.
Marguery ebbe un attimo di esitazione. — Be’ — disse, parlando lentamente. — Più che altro, si tratta di un luogo dove mi piaceva rifugiarmi. — Lo fissò per un istante, poi continuò. — Inoltre, è forse l’unico luogo al mondo dove sono assolutamente sicura che nessuno mi stia osservando o ascoltando. Mi passi la tua bombola, per favore?
Sandy la slacciò e gliela passò mentre Marguery apriva la valvola dell’altra bombola e la lasciava aperta al minimo. — Bisogna aggiungere un po’ di ossigeno ogni tanto — spiegò. — Ma a parte questo, è veramente come una casa, non trovi?
Sandy non rispose. Si ritrovò a desiderare ardentemente di avere una maggiore abilità nel valutare le espressioni e i toni di voce umani. Per qualche verso, infatti, era sicuro che Marguery fosse diversa dal solito in quell’occasione… Le sue parole sembravano quasi forzate, e i suoi movimenti erano decisamente più rapidi rispetto ai giorni precedenti.
— Non sapevo che tu trascorressi tanto tempo in questa città — le disse, osservandola attentamente.
— Il quartier generale dell’InterSec si trova a Hudson City — rispose Marguery. — Ma a me piace l’idea di avere un posticino privato solo per me.
Ancora quella parola, “privato”. E poi sembrava essere talmente agitata… Quasi, pensò Sandy, come si sentiva lui quando era in sua presenza.
Era forse possibile che, in fondo, le femmine umane e quelle hakh’hli non fossero poi tanto diverse? Era forse possibile che Marguery stesse reagendo al suo crescente eccitamento?
C’era un solo modo per scoprirlo. Era un modo un po’ rischioso, ma a quel punto il bisogno di sapere di Sandy era diventato superiore alla paura di essere nuovamente rifiutato. Si avvicinò a lei sul divano e la strinse a sé in un abbraccio. Marguery si irrigidì. — Aspetta un attimo, Sandy — disse. — Credi forse che ti abbia portato fin qui per un’avventura amorosa?
Le baciò un orecchio. — Credo? In effetti no — disse, tentando di essere preciso. — Forse sarebbe più adatto il termine “spero”.
Marguery si divincolò dalla sua presa. — Smettila! Ti stai comportando in maniera infantile, proprio come gli hakh’hli!
Sandy si sentì offeso. — Gli hakh’hli non sono infantili — protestò.
— Be’, allora come li definiresti? È come essere a un campeggio dei boy scout, o… — Ebbe un attimo di esitazione. — Sai, una volta qui avevamo ciò che chiamavamo “eserciti”.
— Ho sentito parlare degli eserciti, certo — disse Sandy mentre tentava nuovamente di avvicinarsi.
— Certo che ne hai sentito parlare. Probabilmente ne sai anche più di me in proposito, solo che io ho avuto un nonno che ha fatto effettivamente parte di uno di questi eserciti. E per quel che ho potuto capire in proposito, le usanze degli eserciti sono molto simili a quelle che avevate voialtri sulla nave hakh’hli. Quando mio nonno era nell’esercito, lo facevano svegliare all’alba e lo mandavano subito a far colazione di corsa. Poi andava avanti così per tutto il giorno; gli facevano fare cose, e ogni cosa che gli dicevano era un ordine da eseguire alla lettera senza discutere. In pratica, trattavano i soldati come dei bambini. E dato che venivano trattati come dei bambini, è solo logico che si comportassero come tali. Capisci ciò che voglio dire?
— No — ribatté Sandy abbracciandola nuovamente. — Gli hakh’hli non hanno eserciti.
— Eppure si comportano proprio a quel modo, non trovi?
— Se lo dici tu… — rispose Sandy mentre le baciava la bocca.
Marguery tentò quasi di togliere le labbra, ma solo quasi. — Dico sul serio, sai… — continuò, ma a quel punto Sandy la stava baciando di nuovo.
Marguery lo baciò a sua volta, poi gli gettò improvvisamente le braccia al collo. Era piuttosto forte per un essere umano, e Sandy rimase meravigliato dalla potenza della sua stretta.
— Che diavolo — gli sussurrò Marguery in un orecchio. — In fondo, perché no?
Non aveva nulla a che vedere con l’anfilassi degli hakh’hli. Tanto per iniziare c’era molto più movimento, proprio come promesso dalle scene televisive in cui si vedevano solo le lenzuola che si agitavano misteriosamente in maniera convulsa.
E non era nemmeno come la masturbazione. Era decisamente molto meglio. Era talmente meglio che nel momento culminante Sandy si ritrovò a ululare come un hoo’hik quando viene macellato. La stessa Marguery non rimase certo in silenzio. Alla fine, rimasero entrambi sdraiati, esausti, sul vecchio divano che puzzava di stantio, anche se per Sandy sembrava ricoperto di petali di rose.
Sentendosi finalmente felice e in pace con il mondo, Sandy si girò per guardare la donna con la quale aveva appena fatto con successo l’amore. Osservò attentamente il suo volto. Non avendo mai visto in precedenza un essere umano di sesso femminile immediatamente dopo un rapporto sessuale completo, non sapeva assolutamente come leggere la sua espressione. Il volto di Marguery era meno sudato di quanto non si fosse aspettato (certamente molto meno sudato del suo) però vi era una macchia che non gli sembrava di aver notato in precedenza.
Sandy frugò disperatamente fra le sue scarne conoscenze alla ricerca di una frase adatta. — È stato bello per te? — domandò infine con tono ansioso.
Marguery lo sorprese. Prima gli rivolse uno sguardo penetrante, come per capire se stesse prendendola in giro o meno. Poi, quando capì che non era così, scoppiò a ridere sguaiatamente.
— Caro ragazzo — disse con tono affettuoso — quando mi senti muggire come una mucca, è come se stessi dicendo “sissignore, è stato favoloso”. Solo che la prossima volta faresti meglio a stare un po’ più attento a non stringermi così forte. — Detto questo, si girò per guardarsi la spalla in cerca di eventuali lividi.
Nell’enfasi del momento, Sandy si era evidentemente dimenticato della differenza di forza e di stazza fisica che vi era fra lui e la media degli abitanti della Terra. Effettivamente, sulle spalle e sulle braccia di Marguery vi erano diversi lividi. Ed era tutta colpa sua! — Mi dispiace — disse.
— Sandy, ti prego, smettila. — Marguery si alzò in piedi, barcollando leggermente, e allungò una mano per prendere un asciugamano. — Passami la bombola — ordinò.
Sandy la prese, e si rese conto che non emetteva più alcun sibilo. Marguery gliela tolse dalle mani, diede un’occhiata all’indicatore e la scosse con espressione contrariata. Trovò subito l’altra bombola, da cui usciva ancora aria.
Chiuse la valvola con un sorriso. — Probabilmente abbiamo fatto bene a lasciarle aperte — disse con filosofia. — Credo che abbiamo consumato un bel po’ di ossigeno. Comunque sia, posso trattenere il fiato quanto basta per uscire di qui.
— Trattenere il fiato? — chiese Sandy preoccupato.
— L’ho già fatto altre volte — disse Marguery. Poi tornò a sedersi, fissando Sandy negli occhi. — Anche se è stato molto bello — sussurrò — non era per questo che ti ho portato qui. Volevo parlarti.
Sandy la fissò a sua volta. Nella luce soffusa la macchia sul viso di Marguery sembrava essere diventata più grande ed evidente. — Ma se non abbiamo fatto altro che parlare per giorni e giorni… — obiettò.
Marguery scosse il capo. — Certo, abbiamo parlato parecchio — disse con tono sconsolato — solo che ogni singola parola che ci siamo detti è stata registrata dall’InterSec. In tutti i luoghi in cui siamo stati. In qualsiasi momento, a prescindere da ciò che stavamo facendo. Ebbene, è proprio per questo che ci tenevo a parlare con te in privato, senza nessuno che ci ascolti. Tanto più che ci sono delle cose che non sarei nemmeno autorizzata a riferirti.
Allarmato da questa rivelazione, Sandy aprì la bocca per dire qualcosa, ma Marguery lo bloccò appoggiandogli un dito sulle labbra. — Mi hanno già rimproverata per averti riferito che avevamo individuato la vostra nave fin dall’inizio — aggiunse — e non ti ho nemmeno raccontato tutto in proposito.
Sandy continuò a fissarla. Marguery continuò, un po’ paonazza in volto ma evidentemente determinata. — Non appena i primi osservatori hanno rilevato le emissioni gamma dei motori della vostra nave, tutti quanti si sono messi subito a controllare le loro vecchie fotografie del cielo e sono riusciti a stimare che vi trovavate, non so, a circa 300 U.A. (unità astronomiche) di distanza. Sì sono resi conto immediatamente del fatto che non poteva essere altro che una nave. A quel punto hanno iniziato ad analizzare lo spettro dei residui di carburante. Sappiamo perfettamente con che tipo di carburante viene alimentata la nave hakh’hli; si tratta di ciò che gli scienziati chiamano “materia anomala”. Sapevamo questo, conoscevamo la massa della nave, le sue dimensioni esatte e tutto il resto. Inoltre, eravamo anche pronti a ricevere il modulo di atterraggio, non appena avesse toccato terra. Se abbiamo impiegato dieci ore invece di mezz’ora per arrivarci, è stato solo per via della tempesta.
La sensazione di esuberanza post-amplesso stava dissipandosi rapidamente. — Non ci avete detto tutto questo.
— No. Non ve l’abbiamo detto. Abbiamo deciso di tenervi sotto osservazione. Sei sempre stato osservato e registrato, Sandy, fin dal momento in cui sei arrivato alla fattoria.
— Ma io credevo di piacerti! — piagnucolò Sandy.
— Maledizione, Sandy, possibile che tu non ti renda conto che mi piaci veramente? Credi forse che farei l’amore con una persona che non mi piacesse? Non sono mica una specie di Mata Hari, sai?
— Mata…
— Oh, lascia perdere — disse Marguery con impazienza. — Cerchiamo di essere seri. Lascia che ti faccia una domanda. Hai riferito a Polly qualcosa a proposito di quanto ti ho detto?
— Vuoi dire come il motivo per il quale non mi ricordo niente di Alfa Centauri? — Sandy assunse un’espressione sconcertata e risentita allo stesso tempo, ma alla fine rispose. — Sì, l’ho detto a Polly. Lei mi ha detto di parlarne con ChinTekki-tho, ma io non l’ho fatto.
— Ah — Marguery assunse un’espressione compiaciuta. — E perché non l’hai fatto?
Quella magnifica sensazione di poco prima si era ormai del tutto dissipata, e Sandy reagì con stizza. — Devo per forza avere un motivo per non averlo fatto? Non l’ho fatto e basta.
Marguery annuì, gratificata. — Sono contenta che tu non lo abbia fatto, Sandy.
— Se non volevi che glielo dicessi, perché non me l’hai chiesto fin dall’inizio? — domandò Sandy.
— Volevo vedere come ti saresti comportato tu, autonomamente. Perché… — Ebbe un attimo di esitazione e cambiò posizione con fare nervoso sul divano. — Perché c’è anche un’altra cosa di cui vorrei parlarti — aggiunse infine con evidente riluttanza.
Sandy la guardò con espressione preoccupata. Per quel che ne sapeva lui del sesso fra esseri umani, Marguery in quel momento avrebbe dovuto sentirsi perfettamente rilassata e a suo agio. Invece, sembrava nervosa e a disagio. — Sei sicura di stare bene? — le domandò.
— Certo che sto bene! Perché mai non dovrei stare bene? È solo che… — Sorrise. — Forse è solo per via del fatto che tu sei un po’ più forte di quanto non mi aspettassi… Non so se mi capisci…
Sandy lo accettò come un complimento e si permise addirittura di pavoneggiarsi per un istante, ma anche quella gradevole sensazione scemò rapidamente. — Veramente — disse dispiaciuto — non c’era bisogno che ci spiaste. Bastava che domandaste…
— Abbiamo domandato, Sandy. Stiamo ancora domandando. Io stessa sto ancora domandando. Ma se ci fosse qualche domanda alla quale gli hakh’hli non hanno intenzione di rispondere?
Sandy scrollò le spalle. Marguery continuò, però con tono più pacato, come se volesse essere perdonata. — Così, abbiamo preso le nostre normali precauzioni. Abbiamo messo microfoni nelle vostre stanze, ovunque vi trovaste. Abbiamo registrato ogni vostra parola. Abbiamo persino ascoltato le trasmissioni fra il modulo di atterraggio e la nave madre…
Sandy assunse un’espressione esterrefatta. — Non credevo che poteste fare una cosa del genere…
— In effetti, non è stato per niente facile. Gli hakh’hli utilizzano una frequenza veramente stretta, tanto che non riusciamo a captare nulla a più di un chilometro di distanza dal modulo di atterraggio. Questo però non è un problema, dato che abbiamo una stazione ricevente proprio lì vicino. E per sicurezza abbiamo anche un aereo che sorvola ad alta quota per captare meglio le risposte trasmesse dalla navetta.
— Ma i messaggi sono in hakh’hli!
— Vero — ammise lei con tono torvo. — Questo rende le cose ancor più difficili. Siamo riusciti a cogliere qualche parola da te, e abbiamo un sacco di esperti di linguistica che ci lavorano sopra facendo analisi e correlazioni. Non riusciamo a capire proprio tutto, ma quanto basta per indurci a essere piuttosto preoccupati. — Lo scrutò con attenzione. — Dobbiamo farlo, capisci? Non credi che gli hakh’hli avrebbero fatto esattamente la stessa cosa?
Sandy pensò alle centinaia di hakh’hli che non avevano fatto altro per mezzo secolo almeno, che non si erano occupati di altro per tutto quel tempo se non di analizzare con attenzione ogni dato captato dalle trasmissioni terrestri, tentando di comprendere a fondo e di penetrare in ogni parte nascosta delle attività umane.
— Be’, può darsi — disse con riluttanza. — Ma non ha alcuna importanza. Comunque sia, non scoprirete nulla di male.
— Tu credi? — domandò Marguery facendosi improvvisamente più triste.
Sandy trasalì, colpito dal tono di quell’ultima domanda. — Che cosa stai cercando di dirmi? — domandò.
— Iniziamo da tua madre — disse Marguery cupa. — Quella foto che hai prestato a Ham Boyle.
— Ebbene?
— Be’… — Esitò. — Tu ti ricordi qualcosa di tua madre?
— No. Te l’ho già detto. È morta nel momento in cui sono nato.
— Eppure hai una sua foto. Ebbene, Ham l’ha fatta trasmettere alla televisione per vedere se qualcuno la riconosceva. Hanno chiamato un sacco di persone, sai? Solo che non l’hanno riconosciuta come un’astronauta, ma come un’attrice di cinema del ventesimo secolo. Si chiamava Marilyn Monroe.
— È impossibile!. — sbottò Sandy.
— Invece è vero, Sandy. E non è tutto. Hai detto che lei e tuo padre erano astronauti americani, che erano rimasti dispersi nello spazio a causa della guerra.
— Sì, ho detto così. E così che è andata…
Marguery lo interruppe con un sospiro. — Sandy — disse — non è andata così. L’InterSec ha controllato tutti i dati disponibili con la massima attenzione. Ogni volo spaziale, come saprai, veniva registrato sugli schedari. Anche durante la guerra. E sappiamo per certo che non vi era alcun veicolo spaziale americano con uomini a bordo nello spazio nel corso della guerra.
— Ma doveva essercene almeno uno per forza — insistette Sandy. — Perché è lì che gli hakh’hli hanno trovato i miei genitori…
Marguery scosse il capo. — Secondo gli schedari, in quel momento vi era un solo veicolo nello spazio — disse. — Uno solo. Si trattava di una navetta orbitale che circolava attorno a Marte. Avevano mandato una sonda sulla superficie del pianeta e stavano aspettando che facesse ritorno con i campioni raccolti. Solo che non si trattava di una nave americana. Era russa.
Sandy spalancò la bocca. — Russa? Oh, no. È impossibile, deve esserci qualche errore. Gli hakh’hli mi hanno detto chiaramente che i miei genitori erano americani. I Grandi Anziani non commetterebbero mai un errore simile. Voglio dire, quando sono arrivati nel sistema solare della Terra, gli hakh’hli vi stavano osservando già da una cinquantina d’anni. Non posso credere che abbiano commesso un errore del genere, scambiare dei russi per americani.
— Ne sono convinta anch’io — lo interruppe Marguery.
— È chiaro, quindi è impossibile che i miei genitori fossero russi!
— A dir la verità — disse Marguery con tono triste — Sono d’accordo con te. Si trattava dell’unico veicolo spaziale russo presente nello spazio, e a bordo vi erano solo due persone. Tuttavia non credo proprio che possano essere stati i tuoi genitori, perché l’Intersec ha controllato e ricontrollato i dati, e risulta al di là di ogni dubbio che i due astronauti in questione erano entrambi di sesso maschile.