22

Tremila anni di storia sono parecchi. Tremila anni fa, la storia dell’umanità non era nemmeno iniziata. A quell’epoca la civiltà umana consisteva in una collezione di piccoli regni nel fertile Medio Oriente, e né la Cina né l’Antica Grecia erano state ancora inventate. La storia degli hakh’hli è almeno altrettanto lunga, e certamente altrettanto vaga nelle sue origini. Gli hakh’hli sanno solo che prima di allora i loro antenati vivevano su un pianeta piuttosto che un altro di un certo consorzio di pianeti (composto da quattro mondi, ognuno dei quali si trovava in un sistema solare differente) e che avevano a disposizione immensi poteri. Poteri che permisero loro di costruire una dozzina di navi come quella in cui erano venuti sulla Terra e di mandarle a spasso per la Galassia alla ricerca di nuove case per la razza hakh’hli. Ma quella era la loro Epoca d’Oro, e gli hakh’hli ne sono perfettamente consapevoli. E sanno altrettanto bene che i tremila anni trascorsi dal momento in cui la loro nave è stata lanciata fra le stelle non sono stati affatto dorati, caratterizzati unicamente da lunghi e monotoni viaggi e da faticose ricerche senza frutti. Per essere precisi, si può parlare di tremila anni di fallimenti ininterrotti.


Il volo per raggiungere il sito di atterraggio della navetta hakh’hli non fu tranquillo e confortevole come quello in dirigibile. Questa volta avevano fretta, e di conseguenza avevano deciso di usare un aereo supersonico in grado di attraversare il continente nordamericano nel giro di un’ora e 40 minuti volando a 19 chilometri di altezza. Non si trattò di un volo piacevole. L’accelerazione del decollo appiccicò persino Sandy al suo sedile, e tutti i passeggeri rimasero immobilizzati nei loro posti finché il velivolo non raggiunse la sua quota di crociera.

Anche allora però non vi fu alcuna conversazione. Marguery Darp sembrava persa nei suoi pensieri, e Sandy, che sedeva accanto a uno dei piccoli finestrini, passò gran parte del tempo a scrutare fuori per cercare di cogliere quel poco di paesaggio visibile che sfrecciava sotto di loro.

Per l’occasione, Hamilton Boyle aveva indossato la sua uniforme, con tanto di stivali di cuoio, fondina con pistola, cappello e tutto il resto. Era come se avesse bisogno di una conferma alla sua posizione ufficiale. Quando raggiunsero la quota di crociera, si girò verso Sandy e gli domandò senza alcun preambolo: — Sai quello che devi fare?

Sandy scostò lo sguardo dal finestrino. — Come potrei averlo dimenticato? — domandò. — Me lo hai ripetuto almeno cento volte. Il mio compito consiste nel fare uscire gli hakh’hli dalla navetta. A quel punto entrate in azione voi, che li arrestate.

— È per il bene della razza umana, Lisandro — gli ricordò Boyle.

— Ciò che non mi avete ancora spiegato, invece — continuò Sandy — è ciò che farete con la navetta una volta che l’avrete catturata.

— Non abbiamo ancora deciso. — ribatté Boyle. — Prima dobbiamo scoprire con che tipo di tecnologia abbiamo a che fare.

Sandy annuì, come se si fosse aspettato proprio una risposta del genere. Quel gesto però non significava che stava accettando ciò che gli aveva detto Boyle, ma piuttosto che si era aspettato che non gli venisse detta la verità. Increspò le labbra, scrutando Hamilton Boyle con espressione innocente. — Sai — gli disse — una persona particolarmente sospettosa potrebbe anche pensare che il vostro vero scopo sia un altro. Potrebbe pensare che avete intenzione di usare il modulo di atterraggio per speronare la grande nave hakh’hli.

L’espressione di Boyle fu più che sufficiente come risposta per Sandy. Quando si girò verso Marguery, si trovò davanti un volto dall’aria lugubre. — Oh, al diavolo — disse lei. — Tanto vale che iniziamo veramente a fidarci l’uno dell’altro, Ham! Sandy, hai quasi azzeccato. L’InterSec ha una mezza dozzina di testate nucleari nascoste, da usare solo in casi estremi. Quando ci avrai consegnato la navetta, Ham ha intenzione di caricarvi sopra una di queste testate e di decollare immediatamente. Ma non per speronare la grande nave, Sandy! Non vogliamo farlo, a meno che non siamo assolutamente costretti.

— Ah no? — chiese Sandy con tono forzatamente cordiale. — E allora che intenzioni avete?

— Vogliamo solo minacciare di speronarli! Tutto qui. E a quel punto dovranno arrendersi per forza. La nave hakh’hli è sospesa lassù come un bersaglio immobile, con i motori spenti.

— Capisco — disse Sandy senza lasciar trasparire alcuna emozione. Non aggiunse altro.

Boyle attese circa dieci secondi, poi intervenne nuovamente. — Che cosa c’è che non va, Sandy? Credi che non funzionerebbe?

Sandy ci rifletté sopra con attenzione. — Non ho mai sentito parlare di un hakh’hli che si arrende — disse. — Anche se dicono che c’è sempre una prima volta. Come ha appena detto Marguery, in effetti non avrebbero molta scelta, giusto? Inoltre — continuò, come se fosse stato improvvisamente colto da un’illuminazione — con ogni probabilità non avete nemmeno bisogno di portarvi dietro una bomba. Basterebbe solo speronare la nave madre con la navetta nel punto in cui si trovano i propulsori principali e sarebbe fatta. Immaginatevi che cosa succederebbe se la materia anomala si mettesse a schizzare fuori dalla nave! Naturalmente, morirebbe anche chiunque stia pilotando la navetta in quel momento.

— Credi che questo sia un problema? Ci sono sempre un sacco di esseri umani disposti a morire per motivi patriottici.

— Così mi hanno detto — ammise Lisandro. — Solo che…

— Cosa? — domandò Boyle perentorio.

Sandy scrollò le spalle. — Solo che a quel punto non vedo proprio quale possa essere la vostra mossa successiva. Che cosa ne farete degli hakh’hli una volta che si saranno arresi?

— Li prenderemo prigionieri!

— Sì, fin qui ci ero arrivato. Ma poi?

— Poi dipenderà da ciò che decideranno le autorità civili — ribatté Boyle. — Non devi preoccuparti per questo, Lisandro! Non li ammazzeremo di sicuro. Abbiamo delle leggi ben precise per quanto riguarda i prigionieri di guerra.

— Sì, li mettete in campi di concentramento — disse Sandy annuendo. — E per quanto tempo avreste intenzione di tenerli lì?

— Per il tempo necessario — rispose Boyle a denti stretti.

Sandy rifletté per un minuto. — C’è anche un’altra possibilità, che non avete nemmeno menzionato — osservò. — Potreste semplicemente mandarli via, dicendo loro di andare a cercarsi un’altra stella. Ma immagino che abbiate già preso in considerazione questa ipotesi, e che abbiate deciso che non funzionerebbe.

— Esatto — si limitò a rispondere Boyle. A quel punto però intervenne Marguery, ignorando completamente l’espressione irata che le rivolse il suo collega.

— Non possono andarsene, Sandy — disse. — Come ti abbiamo già detto, si trovano in una situazione disperata. Polly ci ha detto che i propulsori centrali della nave stanno iniziando a perdere colpi… ha qualcosa a che vedere con un indebolimento della struttura a causa delle radiazioni. Comunque sia, Polly dice che il problema sta diventando sempre più grave e che non sanno se la struttura potrà reggere ancora per qualche centinaio di anni o solo per una decina.

— Di conseguenza — intervenne Boyle — non possono muoversi da lì.

— Capisco — disse Sandy annuendo. — Poveri hakh’hli — aggiunse. — Bene. C’è qualche altra cosa della quale dobbiamo parlare?

— Voglio solo essere sicuro che tu sappia esattamente ciò che devi fare… — iniziò Boyle.

— Lo so, Boyle — lo interruppe Sandy. — Allora siete convinti che vi saranno solo due hakh’hli nel modulo di atterraggio?

— Di solito rimangono dentro in due. Fanno a turno. Due vengono fuori per parlarci, mentre gli altri due rimangono nella navetta. — Boyle ebbe un attimo di esitazione. — Almeno — disse — spero che vada così. Potrebbe anche insorgere un piccolo problema.

— Qualcosa che avete deciso di non riferirmi? — domandò Sandy con ironia.

— Qualcosa che ti sto riferendo adesso — ribatté Boyle freddo. — Ormai sono circa dieci ore che non riescono a comunicare con la nave madre per via di certe interferenze.

— Che tipo di interferenze?

— Abbiamo piazzato un dirigibile ad alta quota proprio sopra le loro teste che continua a trasmettere segnali di disturbo — spiegò Boyle. — Non possono comunicare con la nave madre, e la nave non può comunicare con loro. È inutile che mi guardi a quel modo, Lisandro, non avevamo alternative! Non volevamo che combinassero qualche guaio solo perché non ricevevano più notizie tue e di Polly. È possibile quindi che si siano preoccupati fino al punto di rimanere tutti all’interno della navetta, anche se credo che attribuiranno la cosa a qualche causa naturale, come le macchie solari.

— Questo è ciò che speri — ribatté Sandy. — Be’, non si sta molto comodi là dentro, quindi credo che usciranno comunque non appena ne avranno l’occasione. — Rifletté per un istante, poi aggiunse: — Credo di essere in grado di fare ciò che mi chiedete, solo che mi riuscirebbe molto più facile se potessi entrare nella navetta da solo.

— No. Faremo le cose a modo mio. Marguery verrà con te.

Sandy scrollò le spalle. — E voi li farete prigionieri non appena escono?

— Naturalmente.

— Va bene — disse Sandy. — Allora c’è solo un piccolo particolare ancora. Avrò bisogno di una di quelle. — Indicò la pistola alla cintura di Boyle.

Boyle sollevò un sopracciglio in un’espressione sorpresa. — Per farne cosa? Sei stato tu stesso a dire che è inutile minacciare un hakh’hli.

Sandy gli rivolse un sorriso gioviale. — Però lo si può sempre uccidere — replicò. — E ora vorrei avere una penna e un foglio di carta. E vi prego di non rivolgermi la parola per un certo tempo. Penso che scriverò una poesia.


I finestrini dell’aereo erano talmente piccoli e appannati che i passeggeri non riuscirono a scorgere nulla del piccolo accampamento che si era formato attorno alla navetta hakh’hli, nemmeno in fase di atterraggio. L’unico a bordo che avesse un minimo di visibilità era il pilota.

Scrutando da dietro le spalle del pilota, Sandy vide per un istante una montagna, poi nuvole, cielo e ancora nuvole. Un attimo dopo il velivolo toccò la pista, con i propulsori che ruggivano più forte che mai in una violenta decelerazione. Sandy si ritrovò schiacciato contro il sedile.

Quando l’aereo si fermò, Sandy si slacciò rapidamente le cinture di sicurezza e allungò una mano per aprire lo sportello, ma Boyle lo fermò afferrandogli una spalla. — Mi avevi chiesto questa? — domandò, offrendogli la propria pistola.

Sandy si rigirò il pesante oggetto piatto fra le mani con aria meravigliata. Era un oggetto talmente piccolo, eppure talmente sinistro… — Questa è in grado di uccidere una persona? — domandò.

— Vuoi dire se è in grado di uccidere un hakh’hli? Potrebbe abbattere un elefante, Sandy. È caricata con pallottole esplosive.

— Mostrami come usarla — disse Sandy. Con una certa riluttanza, Boyle aprì lo sportello e condusse Sandy dietro l’aereo, dove non potevano essere visti dal modulo di atterraggio. Sandy guardò la navetta solo di sfuggita: la nuova pellicola protettiva era già stata installata e, più che altro, assomigliava a una mantide religiosa impacchettata per Natale.

Boyle non impiegò molto tempo per spiegare a Sandy della sicura, del mirino e del grilletto. Prima di lasciarlo sparare, lo avvisò del rinculo, consigliandogli di tenersi il braccio mentre sparava. Ciò nonostante, il rinculo fu una sorpresa per Sandy. Il colpo però risultò meno rumoroso di quanto non si fosse aspettato. Si era immaginato una violenta esplosione, ma invece sentì solo un secco schiocco. Molto più forte invece fu il boato provocato dalla pallottola esplosiva nel momento in cui colpì il bersaglio, o meglio il pezzo di asfalto della pista che Sandy casualmente colpì. Quando si dissipò il fumo, c’era un cratere di almeno 30 centimetri di profondità.

Sandy si girò verso Boyle scuotendo il capo. — Non va bene — commentò. — Se sbaglio mira, potrei far saltare in aria l’intera navetta.

— Be’ — disse Boyle — se vuoi ti posso anche dare delle pallottole normali invece di quelle esplosive, ma non so se sono sufficienti a uccidere un hakh’hli.

— Tanto loro non lo sapranno — rispose Sandy. — Dammi le pallottole normali.


Nemmeno un hakh’hli assolutamente ligio al dovere sarebbe stato disposto a passare interi giorni o settimane all’interno di un modulo di atterraggio se poteva farne a meno. Era troppo stretto, troppo essenziale, troppo scomodo, e sicuramente troppo noioso. Per ovviare a questo problema, gli umani avevano gentilmente trasportato fino a lì una specie di casupola prefabbricata per il loro uso. Era decisamente più piccola della sala comune che la coorte condivideva sulla nave, pensò Sandy con tristezza, ma del resto anche la coorte stessa era decisamente più piccola di quanto non fosse stata prima. Vide Chiappa che scrutava fuori dallo sportello della navetta, appena sotto la scaletta. Sandy lo salutò agitando una mano, ma non gli rivolse alcuna parola. Continuò a camminare fino alla casupola degli hakh’hli, dove si fermò sulla porta per guardare dentro.

Elena e Tania erano accovacciate l’una contro l’altra davanti a uno schermo televisivo. Fortunatamente però lo schermo non era in modalità di trasmissione; le due stavano semplicemente guardando i noiosi programmi televisivi terrestri, già da tempo depurati da ogni tipo di notizia che avrebbe potuto disturbare in qualunque modo gli hakh’hli. Tania si girò di scatto per fissare Sandy con espressione sorpresa. — Che cosa ci fai tu qui?

— Adesso ve lo mostro — rispose Sandy in hakh’hli appoggiandosi un dito sulle labbra.

— Ci mostri cosa? — intervenne Elena con tono ostile. — E poi che cos’era quel rumore che abbiamo sentito poco fa?

— Non lo so — disse Sandy a bassa voce e assumendo un’aria circospetta. — Qualcosa che stanno facendo gli umani, credo. Ma non perdete tempo, adesso. — Scrutò fuori dalla porta. — Seguitemi, e cercate di non farvi notare. Tutt’e due. Anche tu, Tania. E non fermarti per usare il comunicatore, vieni e basta.

Non attese la loro risposta, limitandosi a uscire dalla casupola con fare volutamente indifferente e a incamminarsi in direzione della coda della navetta. In quel caldo pomeriggio estivo le ombre erano molto lunghe, e Sandy vide senza bisogno di girarsi che le due hakh’hli lo stavano effettivamente seguendo.

Marguery si trovava dietro al modulo di atterraggio, e stava guardando verso l’alto, come le era stato ordinato. Tania si fermò improvvisamente accanto a Sandy. — Perché hai portato qui la femmina terrestre? — domandò con tono sospettoso leccandosi un labbro.

— Guarda e capirai — disse Sandy con tono tranquillo. Indicò un punto lontano assolutamente privo di particolari caratteristiche. — Proprio lì.

— Che cosa? — borbottò Elena.

Tania emise a sua volta un grugnito di stizza mentre si allungava quanto poteva sulle lunghe zampe posteriori. — Io non vedo proprio nu…

Non riuscì a dire altro. Piombò a terra a faccia in giù prima ancora che Sandy avesse sentito lo schiocco del fucile ad aria compressa. Elena riuscì a girarsi su se stessa quanto bastava per vedere i cecchini di Boyle, ma non abbastanza velocemente per poter fare qualcosa. Si trattava di un sonnifero ad azione rapida, e dopo un attimo entrambe le hakh’hli giacevano a terra in stato di incoscienza.

Sandy segnalò ai cecchini, che erano accovacciati accanto al modulo di atterraggio, di venire a prendere i corpi. Poi si rivolse verso Marguery e indicò con un cenno del capo lo sportello d’ingresso della navetta. — Vieni allora, se proprio devi — le ordinò.


Mentre salivano la scaletta, la testa di Chiappa spuntò nuovamente dallo sportello. L’hakh’hli fissò Sandy con espressione incuriosita ma niente affatto insospettita. Poi individuò Marguery che saliva alle sue spalle. — Perché stai portando a bordo la femmina terrestre? — domandò in hakh’hli a Sandy.

— Anche Tania mi ha fatto la stessa domanda — replicò Sandy, che ormai si trovava all’altezza dello sportello. — Togliti di mezzo, ti spiace? — disse mentre spingeva da un lato il suo ex compagno di coorte. Non disse altro finché non fu entrata anche Marguery. — E adesso ascoltate! — ordinò a quel punto.

Demetrio apparve alle spalle di Chiappa proprio nel momento in cui gli uomini di Boyle, che si trovavano sotto la navetta, facevano partire il registratore. — Vi prego! — piagnucolò disperatamente in hakh’hli la voce registrata. — Vi prego, aiutatemi!

Il disperato appello si ripeté identico diverse volte, finché Demmy non si rese conto di che cosa si trattasse. — È la voce di Polly, Chiappa! — urlò precipitandosi verso lo sportello. — Avanti, andiamo ad aiutarla!

Marguery si sporse fuori dallo sportello. — Presi — disse. — Sono stati colpiti entrambi con i dardi sonniferi. Be’, Sandy, direi che abbiamo portato a termine il nostro com…

— Togliti da lì — le ordinò Sandy.

— Cosa? Che cosa vuoi dire? — Marguery sbatté le palpebre con aria perplessa. Sandy premette il pulsante di chiusura dello sportello, facendo compiere alla donna un piccolo balzo avanti. — Sandy, che diavolo stai facendo?

— Sto allacciando le cinture di sicurezza del mio sedile — rispose Sandy con tono calmo. — Tu puoi accomodarti su quest’altro.

Ma perché?

— Perché se non lo farai — rispose Sandy con tono perfettamente tranquillo e ragionevole — rischierai di farti male nel momento del decollo. — Detto questo, accese il circuito di preriscaldamento, ben sapendo che i primi sbuffi di gas bollente avrebbero iniziato a scaturire dai propulsori principali quasi immediatamente. Si spostò con un certo disagio sul sedile del pilota, sperando che l’accelerazione del decollo non risultasse eccessivamente violenta. Il sedile era stato fatto su misura per Polly, e naturalmente era sufficiente ad accomodare almeno due o tre persone della sua stazza.

Del resto, non ci si poteva fare nulla.

Premette il pulsante dell’ignizione e aprì il gas al minimo livello possibile. Sentì subito il sibilo glaciale del propulsore acceso, ma la navetta non fremette nemmeno, rimanendo assolutamente immobile. Del resto, l’intenzione di Sandy non era stata quella di partire. Voleva solo avvertire Boyle e gli altri del fatto che nel giro di un attimo i propulsori sarebbero stati a pieno regime, sperando che coloro che si trovavano di sotto avessero abbastanza buon senso da togliersi di mezzo, e da togliere di mezzo anche gli hakh’hli anestetizzati, prima che ciò avvenisse.

— Sandy! — gridò Marguery. — Spegni subito il motore!

— Ti ho detto di sederti e di allacciare le cinture — replicò Sandy.

— Smettila immediatamente! Pensi che ti permetterò di fare una cosa del genere?

Sandy appoggiò una mano sulla pistola che aveva sulle ginocchia. La canna era puntata nella direzione di Marguery, la sicura era in posizione di tiro e il dito indice della sua mano destra era sul grilletto.

— Non puoi farci nulla — disse.

Marguery lo fissò con orrore. — Vuoi dire che mi spareresti? — domandò allibita.

— Non ti ferirei in maniera grave — disse Sandy. — Colpirei solo la tua bella, bellissima gamba, e solo se vi fossi realmente costretto. Solo per impedirti di fermarmi. Ma ti devo confessare che non sono un grande tiratore, Marguery, e che potrei facilmente sbagliare mira.

Загрузка...