20

Il grande malanno chiamato Aids può avere avuto origine in Africa, anche se ciò non è mai stato stabilito con certezza. L’unica cosa certa è che ebbe fine proprio in Africa, e che portò via con sé l’intera popolazione del continente. Quando iniziarono le Guerre Stellari, decine di migliaia di persone morivano di Aids tutti i giorni in tutto il pianeta Terra. L’anno successivo, le morti erano giunte a oltre centomila al giorno. Poi arrivò il vaccino, che salvò milioni di persone dalla morte sicura. Solo che in Africa non vi erano le strutture necessarie per la rapida diffusione del vaccino, e così, mentre l’America si dava da fare a costruire dighe e a scavare trincee per salvare le sue coste, mentre l’Europa tentava di salvare i suoi raccolti agricoli dai forti venti, dalle improvvise gelate e dagli inclementi raggi ultravioletti, nessuno trovò il tempo per salvare i “paesi emergenti” del Terzo mondo. Questi infatti vennero abbandonati a se stessi e alle loro risorse, e naturalmente non possedevano risorse a sufficienza per cavarsela da soli. Ora, gli elefanti, i gorilla, i rinoceronti e le mosche tze-tze del continente africano possono finalmente riprendersi i loro territori. Non devono più preoccuparsi per i cacciatori di frodo o per le fattorie recintate, perché gli esseri umani sono tutti morti. Non è stato l’Aids a uccidere gli africani. E’ stata la negligenza.


Per la prima volta da quando era arrivato sulla Terra, Sandy dormì profondamente per tutta la notte. Quando si svegliò era pieno giorno, e se non lo avesse svegliato Polly avrebbe certamente continuato a dormire. Polly non fu molto delicata. — Svegliati Lisandro! — gli gridò in un orecchio mentre lo scuoteva. — ChinTekki-tho desidera parlarti, immediatamente e senza ulteriori ritardi. Avanti, sbrigati!

Senza alcuna fretta, Sandy aprì gli occhi e la fissò. — Verrò — disse — perché ho delle domande da porre a ChinTekki-tho. Digli che arrivo fra qualche minuto.

— Digli? Domande da porre? Lisandro, sei tu che devi rispondere alle domande dell’Anziano, e non il contrario! ChinTekki-tho è molto deluso dal tuo comportamento!

Sandy si stiracchiò, producendosi in un ampio sbadiglio. — Così siamo in due — ribatté in inglese. — Adesso va’.

— Per questa offesa — promise Polly — dovrai ingoiare la tua stessa saliva! — Fumante per la rabbia, tornò nella sua stanza.

Sandy se la prese con comodo. Si infilò gli abiti uno per uno con fare metodico, quindi si recò al bagno per le esigenze fisiologiche mattutine e per lavarsi la faccia. Quando giunse finalmente nella stanza di Polly, sapeva già ciò che avrebbe detto a ChinTekki-tho. Polly era accovacciata accanto alla radio e vi stava borbottando qualcosa dentro. Quando vide entrare Sandy gli rivolse uno sguardo carico d’ira, ma questo si trasformò presto in un’espressione di stupore totale, non appena Sandy le ordinò: — Lasciaci soli. Voglio parlare con ChinTekki-tho in privato.

— Che cosa stupida e inadeguata che hai appena detto, Lisandro! — sbottò con furia. — Perché mai dovrei lasciarti solo?

— Perché se non lo farai — rispose Sandy con calma, — mi rifiuterò di parlare con ChinTekki-tho. — Attese con pazienza che Polly uscisse dalla stanza, leccandosi le labbra per la rabbia, quindi si girò verso la radio.

Parlò in inglese, e ignorò totalmente il titolo onorifico. — ChinTekki — esordì — perché non mi è stato detto che volevate compiere un altro atterraggio in Africa?

La risposta venne solo dopo un paio di secondi, ma quando arrivò il tono dell’Anziano era a dir poco glaciale. — Parla in hakh’hli e non in lingua terrestre! — ordinò perentoriamente. — Per quale motivo ti permetti di pormi una simile domanda e con un simile tono?

— Perché mi sono state tenute nascoste molte informazioni — rispose Sandy. — Possibile che io debba apprendere notizie dei piani degli hakh’hli dagli esseri umani e non dagli stessi hakh’hli?

La pausa che seguì fu superiore al tempo richiesto dalla trasmissione nei due sensi. — Non mi hai mai parlato a questo modo, Lisandro — disse infine ChinTekki-tho scandendo le parole molto lentamente. — Per quale motivo sei cambiato tanto?

— Forse sono cresciuto un po’ — disse Sandy.

— Forse sei diventato un po’ più terrestre — ribatté l’Anziano hakh’hli lentamente. — Mi è stato detto che hai danneggiato una femmina terrestre attraverso l’anfilassi, Lisandro. Per quale motivo hai fatto ciò?

Sandy divenne paonazzo in volto. — Non le ho causato alcun danno permanente. Del resto, non è forse un privilegio dell’essere umano di sesso maschile quello di unirsi in anfilassi a un essere umano di sesso femminile? Non sono forse io un essere umano di sesso maschile?

— A quanto pare — replicò ChinTekki-tho con un sospiro — lo sei a tutti gli effetti. Certamente non sei più un hakh’hli, poiché un vero hakh’hli non si rivolgerebbe mai in questo modo a un Anziano.

— Forse — ribatté Sandy — un hakh’hli non ne avrebbe motivo. Sono solo io che non sono stato informato sui piani hakh’hli riguardo la visita in Africa.

— Ma perché mai non dovremmo farlo? — domandò ChinTekki-tho con tono paziente. — In fondo, che valore ha l’Africa per gli esseri umani della Terra?

— È loro!

Sandy sentì chiaramente il sibilo di rimprovero. — L’Africa non è attualmente in uso — disse ChinTekki-tho con cocciutaggine. — Ciò che chiediamo agli umani della Terra è poco e non è affatto molto. Abbiamo chiesto un’isola per costruire il trampolino affinché ne traessero beneficio sia gli hakh’hli che gli umani, ma gli umani ci hanno detto che non era possibile perché gli abitanti dell’isola erano contrari. Ora potranno forse dire che non possiamo avere l’Africa, un continente completamente privo di umani, perché gli elefanti sono contrari?

Sandy si produsse in una smorfia. — Non riesco a capire — disse. — Che valore può avere l’Africa per gli hakh’hli?

— Questa è una decisione che spetta solo ai Grandi Anziani e a nessun altro — dichiarò ChinTekki-tho seccamente. — Una cosa del genere non può essere decisa da una persona così giovane e non ancora matura. — Seguì un attimo di silenzio, poi la voce riprese, più greve che mai. — Speravo di poter conversare in maniera proficua con te, Lisandro, ma ho capito che ciò sarà impossibile. Di conseguenza, non mi dilungherò in ulteriori discussioni con te. Ora desidero parlare privatamente con Ippolita. E in quanto a te, Lisandro, rifletti bene su ciò che fai, e ricordati che sono stati gli hakh’hli, e non gli esseri umani della Terra, che ti hanno dato la vita!


Quando Sandy giunse all’ospedale, Marguery Darp non si trovava nella sua stanza. Un’infermiera lo scortò fino alla sala solarium, dove Marguery stava parlando con qualcuno al telefono. Era completamente vestita e apparentemente pronta a lasciare l’ospedale, ma non appena smise di parlare al telefono, fece cenno a Sandy di sedersi sul divano al suo fianco. Lo fissò con occhi indagatori. — C’è qualcosa che non va, Sandy? — chiese.

Sandy scoppiò a ridere. — Quale delle tante cose che non vanno vuoi sentire per prima? — le domandò.

— Scegli tu — rispose Marguery, e ascoltò con attenzione mentre Sandy le raccontava della burrascosa conversazione che aveva avuto con ChinTekki-tho. Marguery aveva un aspetto diverso oggi, pensò Sandy; non sembrava malata, assolutamente, e non era nemmeno ostile. Non appariva distante, ma solo per qualche verso più seria di quanto non fosse stata il giorno prima. Quando Sandy ebbe terminato il suo resoconto, commentò: — A quanto pare hanno piani un po’ più grandi rispetto a quelli che ci hanno esposto per quanto riguarda l’Africa. Ti ha per caso detto qualcosa su ciò che stanno costruendo laggiù?

Sandy era esterrefatto. — Costruendo? No. Perché, stanno già costruendo qualcosa?

— A quanto pare — disse Marguery. Ebbe un attimo di esitazione, poi continuò. — Lisandro? Tu sai che abbiamo registrato tutte le trasmissioni hakh’hli fra il modulo di atterraggio e la nave madre. Saresti disposto a tradurne qualcuna per noi?

Sandy fece una smorfia. — Se le trasmissioni sono in hakh’hli — osservò — è perché gli hakh’hli non vogliono che gli umani le capiscano.

— Questo è ovvio. Ma se non stanno facendo nulla di male, perché non dovremmo ascoltare ciò che si dicono?

Un’altra domanda difficile. Mentre Sandy ci rifletteva sopra, Marguery intervenne nuovamente con tono suadente. — Non lo faresti nemmeno come favore personale nei miei confronti? — domandò. L’espressione di Sandy si fece improvvisamente cupa. — Cosa c’è che non va?

— Sono confuso — rispose Sandy con un sommesso borbottio. — Ci stiamo forse innamorando, o cosa?

Marguery rispose in tono molto serio. — Credo che l’unico modo per scoprirlo sia di aspettare e vedere che cosa succede — disse.

— Sì, ma… Insomma, è tutto così complicato! Siamo solo amici? O innamorati? Ci sposeremo? O tutto questo avviene solo perché ti hanno ordinato di mantenermi interessato affinché tu possa spiarmi meglio?

Marguery gli rivolse un’occhiata di fuoco. — Sì, era questo il mio incarico, almeno all’inizio. E allora, che cosa c’è di male? Il tuo incarico non era forse quello di spiare noi?

Sandy fece una smorfia. — Be’, più o meno… credo.

— Allora siamo pari, giusto? Sandy, caro — disse dolcemente prendendogli una mano — abbiamo a che fare con due cose ben distinte fra loro. Una siamo io e te, e per quanto riguarda questa non penso che ci sia altro da fare se non stare a vedere che cosa succede. L’altra invece ritengo che sia un po’ più urgente. Si tratta della razza umana contrapposta alla razza hakh’hli, e tu devi decidere da che parte stare. Adesso.

Sandy le rivolse uno sguardo contrariato. — Perché devo per forza mettermi da una parte piuttosto che un’altra?

— Perché ci sono due parti — ribatté Marguery — e non c’è spazio per nessuno in mezzo fra le due. Hai intenzione di tradurre quelle trasmissioni per noi o no?

Sandy ci rifletté sopra per un lungo istante, poi prese la sua decisione. — Se non c’è nulla di male in ciò che si dicono gli hakh’hli fra loro, certamente non arrecherò loro alcun danno traducendo i messaggi, giusto? E se invece c’è effettivamente qualcosa di male… E va bene — disse, alzandosi in piedi. — Lo farò. Adesso andiamo, che ti porto a casa.

Marguery si alzò in piedi a sua volta. — Così mi piaci — disse, producendosi in un piccolo applauso. — Solo che non andiamo a casa, non adesso almeno.

— Ma credevo di essere venuto qui apposta per questo…

— Caro Sandy — disse Marguery con tono a metà fra l’affettuoso e il serio — più tardi potrai portarmi a casa. Magari lo potrai fare anche un sacco di altre volte, ma al momento dobbiamo andare in un altro posto.


L’“altro posto” era un edificio di granito grigio senza finestre sulla cui facciata di pietra erano incise le seguenti parole:


INTERSEC
COMMONWEALTH DI YORK
DIVISIONE GIUSTIZIA CRIMINALE

Sandy non ne fu né sorpreso né rassicurato. Si fermarono davanti alla rampa che conduceva al garage, dove Marguery mostrò un distintivo metallico alla guardia, quindi discesero la rampa fino al garage sotterraneo.

Hamilton Boyle li stava aspettando davanti alla porta dell’ascensore. — Da questa parte — ordinò a Sandy indicando un ingresso dalla volta arcuata. Marguery non disse nulla, limitandosi a fare cenno a Sandy affinché la precedesse. Non appena ebbe passato l’ingresso, Sandy vide una donna in uniforme che scrutava uno schermo, e solo allora si rese conto che lo avevano appena controllato per vedere se non avesse per caso armi addosso.

— Che cos’è questa storia? — domandò.

— Ora vedrai — rispose Boyle. — Dobbiamo salire fino al terzo piano.

Quando furono nell’ascensore, Marguery prese la mano di Sandy e la strinse. Boyle non poté fare a meno di notarlo, ma non disse nulla. Quando si aprirono le porte dell’ascensore, i tre si trovarono di fronte un’altra donna in uniforme, alta e piuttosto anziana, che portava una pistola alla cintura. La donna fece un cenno di assenso a Boyle e premette un pulsante davanti al suo pannello di controllo. Un cancello metallico si aprì silenziosamente alla loro destra, scivolando nel muro, e i tre vi passarono attraverso.

Una guardia armata! Una porta di prigione! Sandy aveva visto certe cose solo alla televisione, ma sapeva benissimo che cosa significassero.

A quel punto lasciò la mano di Marguery e si girò verso Hamilton Boyle. — Mi state arrestando? — domandò.

Boyle gli rivolse uno sguardo perplesso. — E perché mai dovrei fare una cosa del genere? — domandò. — Stiamo dalla stessa parte… o almeno lo spero.

— Allora perché tutto questo?

— Voglio mostrarti una cosa — disse Boyle con tono serio, precedendoli dentro una stanza. Al centro della stanza vi era un grosso tavolo da conferenza circondato da una serie di sedie. Una parete era occupata quasi interamente da un grosso schermo televisivo. — Accomodati — aggiunse mentre prendeva posizione dietro a una console.

Le luci della stanza si spensero, e Sandy rivolse lo sguardo verso Marguery, che gli restituì un piccolo sorriso per niente rassicurante. Poi venne acceso lo schermo.

Stavano nuovamente osservando la grande nave hakh’hli. L’immagine era chiara e nitida come lo era stata in precedenza, solo che la nave era diversa.

Evidentemente perplesso, Sandy si produsse in una smorfia. Una nuova struttura era stata aggiunta alla chiglia della nave, una struttura ancora incompleta che però stava iniziando ad assumere una forma ben definita. Si potevano intravedere anche degli operai extraveicolari hakh’hli che si davano da fare con dei piccoli veicoli per spostare delle paratie o dei gusci metallici.

— Ecco qua, Lisandro — disse Boyle. — Hanno iniziato a costruirlo ieri. Hai per caso idea di che cosa possa trattarsi?

Sandy scosse il capo.

— Non lo hai mai visto prima d’ora? — insistette Boyle.

— No — rispose Sandy. — Ma del resto, come avrei potuto? Qualunque cosa sia, ha un aspetto molto delicato, e quindi non è possibile che sia stato montato mentre la nave era in movimento. Avrebbe avuto bisogno di una serie di sostegni, altrimenti si sarebbe disintegrato nel giro di pochi secondi.

— Può anche darsi che si tratti di qualcosa di cui non hanno avuto bisogno in precedenza — commentò Boyle.

— Ma può anche essere qualcosa di totalmente inoffensivo — intervenne Marguery. — Se non ricordo male, gli hakh’hli hanno anche parlato di proiettare sulla superficie un raggio di energia sotto forma di microonde. Potrebbe trattarsi di un’antenna intesa proprio a questo scopo.

Nella semioscurità della sala, Boyle si girò per fissarla. — E tu ci credi?

Marguery si limitò a scrollare le spalle, rivolgendo lo sguardo in direzione di Sandy.

— Io non credo che sia questo lo scopo — disse Sandy. — La trasmissione di energia non è la mia specializzazione, ma l’ho studiata un poco e credo che usino un’antenna di tipo diverso per quello scopo.

— Allora di che cosa si tratta? — insistette Boyle. — È molto grande, Lisandro. Non ho mai visto un’antenna di quelle dimensioni. È persino più grande del vecchio disco di Arecibo. — Si concesse una pausa, poi sparò la sua domanda in tono brutale: — È un’arma?

— Un’arma? — ripeté Sandy scandalizzato. — Certo che no! Per quel che ne so io, gli hakh’hli non possiedono alcun tipo di armamento. Per loro, uno degli aspetti più negativi degli esseri umani della Terra è proprio il fatto che usino… cioè che usiamo, un sacco di armi. Non riesco a credere che possano farne uso anche loro. — Scosse il capo con vigore. — No. Credo che abbia ragione Marguery: probabilmente si tratta di un trasmettitore di microonde, solo di un tipo diverso rispetto a quelli che ho avuto modo di vedere io…

— Ma Sandy… — disse Marguery con un sospiro allungando nuovamente una mano per prendere la sua — anche un trasmettitore di microonde potrebbe essere usato come un’arma, non credi? Riesci a immaginare i danni che potrebbe provocare un raggio del genere se venisse puntato su Hudson City, Brasilia o Denver?

— Ma perché dobbiamo stare qui a tirare a indovinare — intervenne nuovamente Boyle — quando abbiamo un sacco di nastri che riportano tutte le loro trasmissioni, se solo tu ci aiutassi a tradurli?

Sandy fissò prima Boyle poi Marguery, dopodiché tornò a fissare l’immagine sul grande schermo. — Lo sapevate — disse con un tono da normale conversazione da salotto — che quegli hakh’hli che lavorano fuori dall’astronave sono stati generati in modo particolare, che posseggono una struttura e una forza fisica superiore a quelle di qualsiasi altro hakh’hli? Così possono svolgere tranquillamente quel tipo di lavoro. Solo che non vivono molto a lungo. Quando ero piccolo, desideravo diventare uno di loro.

Nessuno dei due rispose alcunché. Si limitarono a fissarlo entrambi.

— Hai detto che lo avresti fatto — intervenne infine Marguery.

Sandy emise un sospiro. — Va bene — disse. — Spegnete pure lo schermo, e andiamo ad ascoltare questi nastri.


Non era così facile. O almeno, non era un lavoro rapido come Sandy si era aspettato. A quanto pareva, gli hakh’hli che si trovavano sulla Terra erano rimasti in comunicazione con la nave madre per tutto il tempo in cui la nave si trovava al di sopra dell’orizzonte del Commonwealth dell’Inuit. Anche eliminando tutte le conversazioni in inglese e quelle che Sandy aveva già avuto modo di sentire, vi erano quasi 12 ore di nastri da tradurre. Alcuni erano solo audio, mentre altri erano anche video.

Nessuno sembrava contenere informazioni particolarmente interessanti.

Dopo mezz’ora di ascolto, Sandy si scostò dallo schermo. — Fermate il nastro — ordinò. — Avete sentito quello che ho appena tradotto?

— Certo — rispose Boyle. — Aspetta un attimo. — Premette dei tasti che fecero tornare indietro il nastro, poi ne premette un altro. La voce di Sandy risuonò negli altoparlanti:

— “ChinTekki dice che procederanno con la terza alternativa. Chiappa dice che hanno portato a termine la ristrutturazione degli schermi protettivi del modulo di atterraggio e che sono pronti a ripartire da un momento all’altro. ChinTekki dice che può essere necessario un rifornimento di carburante affinché possano volare nell’atmosfera fino al Sito Doppio-Dodici. Chiappa dice che farà una richiesta di carburante ai terrestri.”

— Ha già fatto richiesta — intervenne Boyle. — Abbiamo detto loro che ci serve un campione del loro alcol e del loro perossido di idrogeno per poterli duplicare. Ma che cos’è questa “terza alternativa”?

— È proprio questo il fatto — rispose Sandy con tono cupo. — Non ho mai sentito parlare di una terza alternativa. E non ho nemmeno mai sentito parlare del Sito Doppio-Dodici.

Boyle assunse un’aria pensierosa per un attimo, poi si alzò in piedi. — Ho delle cose da fare. Voi intanto continuate; può darsi che più avanti ci sia qualcosa di interessante.

Sandy continuò. Continuò per un bel po’, per quasi tutta quella lunghissima giornata. Per tutto il tempo, vi era sempre qualcuno al suo fianco, o Boyle o Marguery Darp. Gli portarono anche dei panini, che Sandy mangiò mentre osservava lo schermo e traduceva contemporaneamente parlando nel microfono con la bocca piena. Tanto non aveva alcuna importanza, poiché realmente non vi era un granché di interessante in quei nastri.

Nel tardo pomeriggio gli venne in mente di chiedere se fosse o meno il caso di chiamare Polly per avvertirla che stava bene. — Non ce n’è bisogno — gli disse Marguery. — Ham l’ha già avvertita che sei con me.

— Sì, ma si domanderà che cosa ho fatto per tutto questo tempo — obiettò Sandy.

— Sandy — rispose Marguery con un sorriso — lei è convinta di sapere benissimo che cosa stiamo facendo. Ma adesso andiamo avanti, altrimenti non finiamo più.

Dopo questa constatazione l’umore di Sandy migliorò un poco, anche se per il resto non vi era molto di che stare allegri. Quando ebbe terminato di tradurre l’ultimo nastro, si appoggiò allo schienale della poltrona strofinandosi gli occhi. — Non so che cosa stiano combinando gli hakh’hli — disse con tono sobrio. — Non mi va di credere che abbiano in mente qualcosa di sinistro, ma d’altra parte non ci sono dubbi sul fatto che sono impegnati in un sacco di attività delle quali non mi hanno mai detto nulla.

Marguery gli appoggiò una mano sulla spalla come per confortarlo. — Non c’è nessun problema, Sandy — gli disse.

— Io invece credo di sì — rispose.

— Be’ — intervenne Boyle con filosofia — almeno ora ne sappiamo un po’ più di prima. — Colse un rapido sguardo interrogativo di Marguery Darp e si produsse in un sorriso, annuendo. — Mi sento in dovere di dirti, Sandy, che i nostri esperti di linguistica sono riusciti a elaborare una buona parte del vocabolario hakh’hli basandosi su queste trasmissioni. Ebbene, sarai felice di sapere che mi hanno appena riferito che le tue traduzioni sono assolutamente esatte.

— Perché, pensavate che vi avrei mentito? — domandò Sandy con tono rabbioso.

L’espressione di Boyle divenne subito seria. — Dovevamo essere sicuri — disse. — Questo non è un gioco, Lisandro. Potrebbe trattarsi della sopravvivenza dell’intera razza umana. E noi siamo disposti a fare qualsiasi cosa per garantire la nostra sopravvivenza. — Sembrava che stesse per andarsene così, ma poi cambiò idea. Il sorriso tornò a illuminare il suo volto. — Direi che è tutto, per oggi — disse con tono affabile. — Io me ne vado.

— Anche noi — disse Marguery Darp alzandosi in piedi a sua volta. — Sandy… se hai veramente intenzione di accompagnarmi a casa, penso che sia giunto il momento adatto.


L’appartamento di Marguery si trovava al 35esimo piano di un vecchio edificio che dava su ciò che lei chiamava il Lago Jersey. — Una volta era tutta una palude — spiegò a Sandy — ma poi l’hanno riempita di terra e ci hanno costruito un sacco di cose. Guarda, laggiù puoi vedere il vecchio stadio del football. Naturalmente, quando è salito il livello del mare tutta la zona è stata nuovamente sommersa.

Sandy annuì mentre si guardava attorno. Nonostante tutti i problemi che gli affollavano il cervello, riuscì ugualmente a trovare il tempo per stupirsi del fatto che una persona solitaria come Marguery avesse a disposizione una simile quantità di spazio. Nell’appartamento vi era una “cucina”, un “bagno”, un “salotto” e una “camera da letto”. Sandy rimase sulla soglia di quest’ultima per un certo tempo, guardandosi attorno con vivo interesse. Ma del resto era tutto interessante per lui. Era la prima volta che entrava nella casa di un terrestre… non contando gli allevatori dell’Alaska, naturalmente.

— È un palazzo molto vecchio — disse Marguery come per scusarsi. — Lo si può notare dal fatto che è così alto; adesso non li costruiamo più a questo modo. Io comunque lo uso poco, perché di solito sono sempre in missione da qualche parte. Perché non ti siedi?

Sandy si guardò attorno, valutando la resistenza di ognuna delle sedie e poltrone del salotto, ma non se la sentì di metterle alla prova. Marguery lo notò e sorrise, battendo il palmo sul divano sul quale era seduta. — Questo dovrebbe essere abbastanza resistente da reggerti — disse. Quando Sandy si sedette al suo fianco, Marguery alzò lo sguardo verso di lui con un’espressione carica di aspettativa. Sandy non ne era del tutto certo, ma ebbe la netta sensazione che desiderasse essere baciata.

Fece ciò che ci si aspettava da lui, ma evidentemente il risultato non fu molto soddisfacente, perché dopo un attimo Marguery si scostò e lo fissò con aria decisa. — Cosa c’è che non va? — gli domandò.

Sandy si appoggiò allo schienale del divano. Pensò a tutte le cose che non andavano in quel momento e ne scelse una. — Ho fame — disse.

— Non sono una grande cuoca — rispose Marguery — ma possiamo sempre telefonare per farci portare una pizza. — Lo fissò con attenzione, avvicinandosi un poco. — È davvero questo il tuo problema?

— È uno dei tanti. Ce ne sono almeno un milione di altri, però, compreso il fatto che sto tradendo la stessa gente con la quale sono cresciuto. Quelli che mi hanno salvato la vita, permettendomi di essere qui adesso.

— Non hai tradito nessuno — osservò Marguery.

— Vuoi dire che non vi sono stato di alcun aiuto. Così è ancora peggio, perché non sono nemmeno un traditore utile!

Marguery ci rifletté sopra un poco. — Sandy — disse infine — tu sei molto utile, almeno per me. — Ebbe un attimo di esitazione, poi continuò. — C’è una cosa che non ti ho ancora detto. Non sapevo come l’avresti presa.

— Oh, cavolo — grugnì Sandy. — Vuoi dire che alla fine hai deciso che non saremo più innamoratini?

Marguery scoppiò a ridere. — Oh, no. È un’altra cosa. È che… Be’, hai presente quegli esami per i quali ho dovuto passare la notte in ospedale? Insomma, non era per i miei esami.

— E per che cos’era?

— No, era per i tuoi esami — spiegò. — Quel campione cellulare che ti hanno preso in ospedale. Quando sono arrivati finalmente i risultati, hanno saputo dirmi a che cosa ero allergica. Sandy, dolcezza mia, ero violentemente allergica a te.

Sandy la fissò sconvolto. Poi si riebbe e fece per allontanarsi, ma Marguery lo attirò a sé.

— Non hai ascoltato bene — lo accusò. — Ho usato la parola ero. Ho detto che ero allergica a te, ma adesso non lo sono più, perché si tratta di una cosa facilmente curabile. Mi hanno dato questi antistaminici, più altre cose, e adesso non credo che tu possa nemmeno farmi starnutire.

Rimase seduta dove era, fissandolo in maniera placida. Sandy si produsse in una smorfia di perplessità, sforzandosi di capire a che cosa volesse arrivare. Lei non gli suggerì nulla, limitandosi a rimanere seduta in silenzio a fissarlo. Dopo un po’, Sandy iniziò a rendersi conto del motivo per il quale Marguery rimaneva in silenzio a quel modo. Quando infine si allungò verso di lei e iniziò a baciarla, divenne improvvisamente tutto molto chiaro ed evidente.

Marguery scostò il capo per fissarlo negli occhi. — Penso che la pizza possa anche aspettare un poco — disse con tono assennato. — Mi domando se il mio letto sia abbastanza resistente. Però ritengo che dovremmo, come dire, assicurarci che quegli antistaminici che mi hanno dato funzionino.


Gli antistaminici funzionavano. Anche il letto. E anche il servizio di pizze a domicilio. Sandy non apprezzò molto la miscela di pomodoro e formaggio, ma ebbe ugualmente modo di apprezzare la compagnia.

Marguery con una vestaglietta di seta e nulla sotto era ancora più carina di Marguery in bikini, pensò Sandy. Mentre lei si alzava per andare a prendere piatti, bicchieri di latte e due coppette con dentro noci e olive, Sandy si rese conto che si era quasi completamente dimenticato di tutti i problemi che lo ossessionavano fino a poco prima. Osservò Marguery con attenzione. In effetti, non riusciva a ricordarsi se l’aveva sentita muggire come una mucca o meno, ma per quel che riusciva a ricordare Marguery aveva dato segno di apprezzare appieno ciò che avevano fatto assieme, e ora sembrava piuttosto felice, anche se forse un po’ distratta, mentre si dava da fare nella sua piccola cucina.

Marguery finì la sua pizza molto prima di Sandy. Rimase seduta davanti a lui, sorseggiando una tazza di caffè e osservandolo con espressione critica. — Hai mangiato parecchio — osservò. — Ora ti coricherai per il periodo d’intontimento?

Sandy decise che doveva trattarsi di una “battuta”, ma rispose comunque come se si trattasse di una domanda seria. — Oh, no. Solo gli hakh’hli lo fanno.

— Capisco. E allora quando sono nel loro periodo d’intontimento sono veramente come delle pietre, vero? Voglio dire, sono proprio andati, no?

Pur non riuscendo a capire esattamente di che tipo di battuta si trattasse, Sandy continuò a rispondere. — Sì, dormono profondamente — disse. — Sono andati, come dici tu. Non c’è veramente alcun modo per svegliare un hakh’hli quando è nel suo periodo di intontimento.

— Giusto. È proprio quel che pensavo — disse Marguery con espressione pensierosa.

— Ma io non ho bisogno del periodo di intontimento, perché sono un essere umano — concluse Sandy. Rimase in attesa della battuta conclusiva di Marguery.

A quanto pareva, non vi era nessuna battuta finale da aspettare. Marguery lo fissò con aria dubbiosa per un po’, poi domandò a bruciapelo: — Perché tu sei realmente un essere umano, vero?

Sandy sorrise. — Non lo abbiamo forse appena provato?

Marguery non ricambiò il sorriso. — No, non lo abbiamo provato affatto. Voglio dire, che cosa farai se le cose vanno storte? Sei veramente disposto a metterti dalla parte degli umani in un conflitto contro gli hakh’hli?

— Ma se l’ho appena fatto!

— Hai tradotto dei messaggi per noi — ribatté Marguery. — Penso che si possa considerare tutt’al più come un’indicazione. Non credo che si possa considerare una prova.

La pizza era peggio che mai. Lisandro mandò giù il boccone gommoso che stava masticando e appoggiò il resto della fetta sul piatto. — Sai — disse con tono tranquillo — ho come l’impressione che tu mi stia di nuovo interrogando.

Marguery raddrizzò la schiena e lo fissò dritto negli occhi. Anche da seduta, era più alta di Sandy di almeno venti centimetri. — Ho ancora qualche domanda da farti — ammise. — Hai voglia di rispondere a qualcuna?

— È un piacere per me — ribatté Sandy con una smorfia, giusto per mostrarle che aveva imparato anche lui l’arte dell’ironia.

Marguery però ignorò questo particolare. — Va bene — disse. — A proposito di tutte quelle uova che gli hakh’hli conservano nei loro frigoriferi. Immagino abbiano intenzione di farle schiudere prima o poi, giusto?

— Certo che hanno intenzione di farle schiudere, solo che non possono.

— E perché no?

— Questa è una domanda davvero sciocca, Marguery — disse Sandy solennemente. — Lassù ci sono milioni e milioni di uova. Alcune di queste sono rimaste congelate per secoli, o anche di più. Il motivo per il quale non possono essere schiuse è che non vi sarebbe abbastanza spazio nell’astronave.

— In Africa però ci sarebbe un sacco di spazio — ribatté Marguery.

— Di nuovo questa storia dell’Africa! — esclamò Sandy. — Voialtri diventate completamente irragionevoli quando si parla di Africa! Gli hakh’hli non possono semplicemente scendere e prendersi l’Africa! Che razza di persone credete che siano?

Marguery allontanò lo sguardo, e quando tornò a voltarsi verso di lui Sandy rimase esterrefatto nel constatare che una lacrima le scorreva lungo una guancia. — Giusto per essere precisi, Sandy — domandò — che tipo di persone credi che siamo, noialtri?

Sandy scosse il capo, sempre più perplesso. — Stai parlando a indovinelli — la accusò. — Che cosa intendi dire?

— Non sai come desidererei conoscere le risposte a questi indovinelli — disse lei. — Senti, Sandy, in passato mi hai detto che gli hakh’hli mostravano film terrestri a tutta la nave più o meno ogni settimana…

— Una volta ogni dodigiorno, sì — la corresse. Marguery agitò la mano in un gesto di impazienza.

— E mi hai anche detto i titoli di alcuni di questi film. Il Dottor Stranamore, Quell’ultimo ponte, La Battaglia d’Inghilterra… I titoli ci sono sembrati abbastanza particolari, così siamo andati a controllare. Ti ricordi per caso i titoli di altri film che vi facevano vedere, Sandy? Sandy fece una smorfia. — Ce n’erano a centinaia! Vediamo un po’. Be’, mi ricordo che ce n’era uno chiamato La Grande guerra. Era pieno di carri armati e di prigionieri che venivano fucilati. Poi me ne ricordo uno che si chiamava All’ovest niente di nuovo e un altro chiamato I giovani leoni… Poi, ah già, ce ne era anche qualcuno che non era americano. Alcuni erano in altre lingue, come quello intitolato Il giovane hitleriano Quex, che parlava di uccidere i russi e gli americani perché erano dei criminali di guerra…

— Sandy — lo interruppe Marguery in tono gentile — non ti sei reso conto che mi stai elencando esclusivamente film di guerra? Gli hakh’hli non mostravano mai alla loro gente dei film che non si limitassero a dipingere il popolo della Terra come puramente guerrafondaio?

Sandy la fissò. — Be’, alla nostra coorte mostravano trasmissioni di qualsiasi genere. Abbiamo visto un sacco di film in cui si canta e si balla, e poi diverse situation comedy per famiglie…

Marguery lo interruppe con un cenno della mano. — Non sto parlando dei film che mostravano a voi della coorte. Sto parlando di quelli che venivano proiettati per tutta la nave. La mia impressione, Sandy, è che gli hakh’hli stessero facendo propaganda contro di noi, capisci? Cercando di convincere la loro gente che gli esseri umani non erano altro che dei pazzi guerrafondai assetati di sangue. E allora te lo voglio chiedere di nuovo, Sandy: che impressione hanno gli hakh’hli dei terrestri? E se sono convinti che siamo degli spietati assassini, non credi che potrebbero ritenere una mossa prudente colpire noi prima che noi colpiamo loro?

Sandy la fissò con orrore. — Non posso credere che i Grandi Anziani abbiano in mente una cosa del genere — disse infine.

— Davvero non ci riesci? O è semplicemente che non vuoi? — Lo fissò per un istante con grande intensità. Poi balzò in piedi e si allungò sul tavolo per abbracciarlo. Lo baciò con trasporto, e Sandy sentì le sue lacrime che gli bagnavano le guance.

A quel punto la allontanò da sé e la implorò: — Marguery? A che gioco stiamo giocando adesso? È il gioco io-spio-te o è il gioco noi-ci-amiamo?

— A volte — rispose Marguery con tono cupo — i due giochi si mischiano.

Si fissarono in silenzio per un istante, poi Sandy emise un sospiro. — Io preferisco il gioco noi-ci-amiamo, decisamente — disse.

— Va bene — ribatté Marguery senza alcuna esitazione. — Allora parliamo di fare l’amore. — Sandy si produsse in una smorfia, più perplesso che mai. L’espressione del volto di Marguery non sembrava essere in sintonia con l’argomento che aveva scelto. — Avrei qualche domanda da porti anche a questo proposito — continuò. — A proposito del modo in cui lo fanno gli hakh’hli. Se non sbaglio, mi hai detto che le femmine sono sempre pronte, e che quando uno dei maschi è pronto, ci danno subito dentro.

— Esatto — disse Sandy, non sapendo se assumere un atteggiamento imbarazzato o irritato. Parlare di sesso appena dopo averlo fatto gli poteva anche andare bene, ma perché Marguery doveva essere per forza così esplicita?

Ma Marguery continuò come se nulla fosse, diventando addirittura più esplicita di prima. — E i maschi hakh’hli hanno lo stesso birillo che hai tu?

Sandy divenne paonazzo in volto, incapace di credere che avesse capito bene. — Birillo?

— Va bene, lo stesso tipo di pene, allora.

— Ah, l’organo sessuale. A dir la verità, non ho mai avuto l’opportunità di vederne uno molto da vicino… — In verità però, quando un maschio hakh’hli entrava nel suo periodo di fertilità, chiunque si trovasse nelle vicinanze aveva la possibilità di vedere di che cosa si trattava. Quando glielo spiegò, Marguery insistette per conoscere ogni piccolo dettaglio fisiologico. Ogni piccolo dettaglio a proposito dell’organo maschile hakh’hli in stato di eccitazione. Poi volle sapere dell’organo femminile nonché dell’atto sessuale in se stesso, l’anfilassi, pretendendo anche in questo caso una spiegazione dettagliata; come si svolgeva, quanto durava e come ogni singola femmina della nave fosse sempre e invariabilmente ben disposta, poiché il fatto di deporre uova fertilizzate era la più grande gioia per lei.

Nel corso della spiegazione Marguery assunse un’espressione quasi disgustata, ma rimase comunque stranamente determinata. — E come fanno le femmine a sapere quando il maschio è in calore? — domandò. — Sentono i ferormoni o semplicemente vedono che ce l’ha duro?

Quando gli ebbe spiegato il significato di quegli ultimi due termini, Sandy scosse il capo con fare dubbioso. — Non penso che sia nessuna delle due cose — disse. — È che loro sono sempre pronte, capisci? Voglio dire, per loro non rappresenta un problema. Non devono prepararsi in nessun modo per farlo. Si limitano a compiere l’anfilassi, a farsi fertilizzare le uova, e circa mezz’ora dopo vanno a deporle. Tutto qui.

— Capisco che sia un’ottima cosa per i maschi — osservò Marguery — ma che vantaggio ne traggono le femmine?

— Te l’ho appena detto! — spiegò Sandy. — Loro depongono le uova!

Marguery assunse un’aria pensierosa. — Detto così, parrebbe che il fatto di deporre le uova sia addirittura più importante dello scop… dell’anfilassi, volevo dire.

— Immagino che sia proprio così. Sono le uova che contano… almeno per le femmine. — Emise una risatina. — La peggior cosa che si possa fare a una femmina hakh’hli è rubare le sue uova e buttarle nella tazza del bagno. In quel caso, diventerebbe furiosa. Una cosa del genere non si può nemmeno dire a una femmina hakh’hli, a meno che non si abbia un motivo più che legittimo. Se dicessi una cosa del genere a Polly, mi darebbe un calcione tale da farmi rientrare le budella.

Marguery ci rifletté sopra un istante, poi assunse un’espressione decisamente più rilassata. — Be’ — disse — tutto ciò è molto interessante.

Lisandro non rispose nemmeno. Attese l’arrivo della prossima bordata di domande, ma apparentemente la curiosità di Marguery si era improvvisamente placata. Gli rivolse un sorriso. — Vuoi ancora caffè? — domandò. Sandy scosse il capo. Nemmeno Marguery lo prese, e assunse invece un’aria pensierosa. — Per certi versi — disse — penso che vada decisamente meglio alle femmine umane.

— Davvero? — domandò Sandy. Aveva i suoi dubbi in proposito, poiché sapeva benissimo del lungo processo implicato nell’allevamento di un piccolo di razza umana, e gli sembrava decisamente più faticoso rispetto all’efficace sistema hakh’hli basato sul congelamento immediato e sul nutrimento programmato. — E perché?

— Be’, hai detto che alle femmine importa solo il fatto delle uova. Quindi deve aspettare di averne di nuove prima di… be’, di farlo di nuovo.

— Sì, ma non trascorre molto tempo. In verità dipende tutto dal maschio. Le uova si riformano ogni giorno, e nel giro di una settimana qualunque femmina è di nuovo pronta per l’anfilassi.

— Mentre le femmine umane — intervenne Marguery con un sospiro — possono rifarlo anche immediatamente. Sempre ammesso che il maschio umano sia in grado, naturalmente.

Lo fissò in un modo che lo turbò. Qualsiasi cambiamento di argomento tanto improvviso metteva Sandy decisamente a disagio. Ciò nonostante, pensò, chi non risica, non rosica… — Be’ — disse — se ti interessa sapere come stanno le cose riguardo a questo particolare soggetto, credo che il maschio umano in questione sia perfettamente in grado.


In effetti, era in grado. E di fatto, ebbe modo di dimostrarlo con grande orgoglio. Solo che prima dovette attendere un periodo di tempo apparentemente interminabile mentre Marguery era al bagno. Sandy non riusciva a capire per quale motivo vi rimanesse così a lungo. Sentiva l’acqua che scorreva, ed ebbe anche l’impressione di sentire la voce di Marguery, per quanto molto debole. Ma del resto chi poteva sapere quali cose intime le femmine umane facevano prima, durante o fra un’anfilassi e l’altra? Decise che glielo avrebbe domandato non appena fosse uscita, ma quando questo avvenne Marguery era talmente splendida… No, forse non era questa la parola adatta; era talmente disponibile, che Sandy si dimenticò di tutto il resto.

Poi ebbe una sorpresa.

Fra le molte cose che Lisandro Washington non aveva mai saputo a proposito dei costumi sessuali dei terrestri, vi era anche il fatto che, una volta terminato l’atto sessuale in sé stesso, era d’uso che l’uomo e la donna dormissero abbracciati nello stesso letto per il resto della notte.

Sandy si rese conto di questo fatto solo quando scoprì che si era addormentato. Quando aprì gli occhi, infatti, notò che Marguery Darp si trovava al suo fianco. Quando fece per spostarsi, lei mormorò: — Non te ne andare — stringendolo a sé con entrambe le braccia.

Come conseguenza più o meno inevitabile, fecero nuovamente l’amore, rimanendo quasi addormentati ma gustando ugualmente la sensazione. Quando Sandy si risvegliò nuovamente era pieno giorno e Marguery era in cucina.

Tornò in camera da letto con un sorriso un po’ diffidente, ma avvicinò ugualmente la guancia alle labbra di Sandy affinché gliela baciasse, come se stessero assieme da anni.

— C’è un pacco per te — disse, indicando il tavolo della cucina alle sue spalle.

Sandy si alzò ed esaminò il pacchetto con curiosità. In effetti, si trattava di una spessa busta marrone con il suo nome stampato sopra. — È arrivata stamattina — disse Marguery. — Sono i nastri e le trascrizioni delle traduzioni che hai fatto ieri. Ham vuole che tu riascolti tutto per controllare se ci sono delle inesattezze. Ora ti mostro come funziona l’apparecchio.

A malincuore, Sandy prese il pacco. Era molto pesante. Aveva sperato di trascorrere una giornata più interessante. — Forse farei meglio a fare un salto in albergo, prima — disse. — Immagino che Polly sarà preoccupata per me.

— No — disse Marguery con tono cupo. — Polly non si preoccuperà affatto. — Rivolse lo sguardo al suo orologio. — Guarda che ore sono! — esclamò improvvisamente. — Devo fare una telefonata.

Vi era un telefono sul tavolo davanti a loro, ma Marguery non lo usò. Si infilò invece nel bagno, sbattendosi la porta alle spalle.

Un attimo dopo, Sandy sentì l’acqua che scorreva e capì tutto. Allora anche la sera precedente, prima di fare l’amore, Marguery non aveva fatto altro che parlare al telefono, evidentemente con un telefono privato che teneva proprio lì nel bagno.

Così, quando Marguery uscì dal bagno, Sandy era già pronto per qualche brutta notizia.

E infatti la ricevette. — Devo uscire per fare alcune cose — disse Marguery con il volto privo di espressione. — Forse ci metterò un po’ di tempo, ma ti prego di non andartene. Aspetta, adesso ti mostro come funziona il registratore.

Prima ancora che Sandy riuscisse a rendersi pienamente conto di ciò che stava succedendo, Marguery era già uscita.

Non aveva mentito. Rimase fuori effettivamente “per un po’ di tempo”; quanto bastava perché Sandy ascoltasse quasi tutti i nastri e inserisse una serie di piccole, inutili correzioni sui fogli stampati della sua traduzione come gli era stato ordinato. Sandy venne colto da ben tre attacchi di fame, e in tutti e tre i casi non trovò praticamente nulla di commestibile all’interno del frigorifero.

Ciò nonostante, rimase sul posto. Fece come gli era stato ordinato. Era un po’ stanco, si disse fra sé, di fare sempre e solo ciò che gli veniva ordinato da qualcuno.

Quando sentì finalmente il rumore della chiave di Marguery che si infilava nella porta, era passato da uno stato d’ira a uno di depressione. A giudicare dall’espressione del suo volto, anche Marguery era piuttosto depressa. Entrò senza dire una parola, con il cappello e gli occhiali da sole in mano. Non li appoggiò mentre fissava Sandy in silenzio. — Oh, diavolo, Sandy — disse infine con tono triste, — Come vorrei che tu sapessi più di quanto sai.

— Cosa c’è che non va? — domandò Sandy con tono preoccupato.

— Temo che dobbiamo giocare al gioco io-spio-te — disse con un sospiro. — Avanti, preparati che andiamo subito al quartiere generale. C’è una cosa che Ham vuole mostrarti.

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