7

Dopo pochi secondi, mi ritrovai nel mio cortile del quartiere francese, dietro la casa di rue Royale, guardando dal basso le fi­nestre illuminate, finestre che erano mie da così tanto tempo, sperando e pregando che David fosse là, e temendo che non ci fosse.

Detestavo scappare da quella Cosa! Dovevo fermarmi per un attimo per far sbollire la mia consueta rabbia. Perché mai dove­vo fuggire? Per non essere umiliato davanti a Dora, che forse non avrebbe potuto vedere niente di più del sottoscritto terrorizzato dalla Cosa e scagliato all’indietro sul pavimento?

Forse lei sarebbe riuscita a vederla!

L’istinto mi diceva che avevo fatto la cosa giusta, me n’ero an­dato e avevo tenuto quella Cosa lontano da Dora. Quella Cosa voleva me. Dovevo proteggere Dora. Adesso avevo un ottimo motivo per combattere la Cosa, per il bene di qualcun altro, non per il mio.

Soltanto in quel momento l’assoluta bontà di Dora assunse una forma precisa nella mia mente e solo allora percepii un’im­pressione completa di lei, svincolata dall’odore del sangue tra le sue cosce e dal suo viso da gufo che mi fissava. I mortali arranca­no attraverso la vita, dalla culla alla tomba. Una volta ogni seco­lo, o forse ogni due, qualcuno si ritrova sulla strada di un essere come Dora. Un’intelligenza raffinata e una distinta concezione del bene, e poi, l’altra caratteristica che Roger aveva cercato di descrivere: il magnetismo, che non si era ancora districato dal groviglio di fede e Sacre Scritture.

La nottata era tiepida e benevola.

I banani nel mio cortile non erano stati toccati dalla gelata dell’inverno e crescevano folti e indolenti come sempre contro i muri di mattoni. L’erba selvatica e la lantana risplendevano nelle aiuole troppo piene, e la fontana, col suo cherubino, emetteva una musica cristallina mentre l’acqua schizzava dalla cornucopia dell’angioletto nella vasca.

New Orleans, profumi del quartiere francese.

Salii di corsa la gradinata sul retro che collegava il cortile alla porta posteriore del mio appartamento.

Entrai, percorrendo con passi pesanti il corridoio, come un uomo in preda a un’evidente e ostentata confusione. Vidi un’om­bra attraversare il salotto. «David!»

«Non c’è.»

Mi bloccai sulla soglia.

Era l’Uomo Comune.

Era in piedi e dava la schiena alla scrivania di Louis sistemata tra le due finestre di facciata, le braccia mollemente intrecciate, il viso che rivelava un intelletto paziente e una sorta d’incrollabile compostezza.

«Non scappare anche stavolta. Ti seguirò. Ti avevo pregato di non coinvolgere la ragazza. Non te l’avevo chiesto, forse? Sta­vo solo cercando di convincerti a tagliar corto», disse senza ran­core.

«Non sono mai scappato davanti a te!» protestai, poco sicuro di me e deciso a far sì che la mia affermazione corrispondesse al vero, da quel momento in poi. «Be’,non proprio! Non ti volevo vicino a Dora. Cosa vuoi?»

«Secondo te, cosa voglio?»

«Te l’ho già detto, se sei venuto per portarmi via, sono pronto ad andare all’inferno», replicai, raccogliendo tutte le mie ener­gie.

«Sei fradicio di sudore di sangue, guardati, sei così spaventa­to. Sai, questo è ciò che sono costretto a fare per comunicare con qualcuno come te.» Il suo tono di voce era equilibrato, chiaramente udibile. «Avrei potuto limitarmi ad apparire una sola vol­ta e dire ciò che dovevo dire. Ma tu, no, quella è tutta un’altra faccenda, hai già trasceso troppe fasi, hai in mano troppi elemen­ti con cui negoziare, ecco perché in questo momento hai un valo­re inestimabile per me.»

«Negoziare? Vuoi dire che posso tirarmene fuori? Non stia­mo per andare all’inferno? Possiamo organizzare un processo di qualche tipo? Posso trovare un abile oratore che perori la mia causa?» Lo dissi in tono sprezzante e impaziente, eppure era la domanda logica per la quale volevo subito una risposta logica.

«Lestat», ribattè col suo tipico modo indulgente, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi e facendo un passo calmo ver­so di me. «Risale a David e alla sua visione nel caffè di Parigi. La breve storia che ti ha raccontato. Io sono il Diavolo, e ho bisogno di te. Non sono qui per portarti a viva forza all’inferno, del qua­le, comunque, non sai assolutamente niente. Non è ciò che im­magini. Sono venuto a chiedere il tuo aiuto! Sono stanco e ho bi­sogno di te. Sto vincendo la battaglia, ed è essenziale che non la perda.»

Ero sbalordito.

Per un lungo istante, mi fissò e poi cominciò a cambiare: la sua forma sembrò dilatarsi, scurirsi, le ali sollevarsi ancora una volta come fumo che salga in spire verso il soffitto, il chiacchierio di voci diventò rapidamente assordante, e la luce si levò all’im­provviso dietro di lui. Vidi le sue pelose zampe caprine avvicinarmisi. I miei piedi non avevano nessun posto su cui poggiare, le mie mani niente da toccare se non lui, mentre urlavo. Riuscii a vedere lo scintillio delle piume nere, l’arco formato dalle ali che salivano sempre più in alto! E il chiacchierio sembrò una mesco­lanza di musica quasi squisita e di voci!

«No, non stavolta, no!» Mi scagliai contro di lui. Cercai di af­ferrarlo e vidi le mie dita serrarsi sul suo polso corvino. Fissai il suo viso immenso, il viso della statua di granito, ma adesso ani­mato ed espressivo, l’orripilante frastuono di salmodie, canti e urla che montava e sovrastava le mie parole. Vidi la sua bocca aprirsi, le grandi sopracciglia corrugarsi, gli enormi e innocenti occhi a mandorla diventare immensi e riempirsi di luce.

Rimasi aggrappato a lui con la mano sinistra serrata sul suo braccio possente, sicuro che stesse cercando di staccarsi da me senza riuscirci! Ah! Non ci riusciva! E poi gli sferrai un destro sul viso. Sentii la durezza, la durezza soprannaturale, come se avessi colpito un altro della mia razza. Ma questa non era una so­lida forma vampiresca.

L’intera figura guizzò, nonostante la sua densità e il suo atteg­giamento difensivo; l’immagine indietreggiò e si raddrizzò e ri­cominciò a ingigantirsi; gli diedi un ultimo violento spintone nel petto con tutta la forza che mi era rimasta, le mie dita allargate sulla sua armatura nera, la scintillante corazza decorata, i miei occhi così vicini in quel primo istante che notai gli intagli che la decoravano, le scritte nel metallo, e poi le ali batterono sopra di me come per spaventarmi. D’un tratto, lui si ritrovò lontano da me, sempre gigantesco, sì, ma l’avevo respinto, dannazione a lui. Era stato davvero un bel colpo. Lanciai un grido di battaglia pri­ma di potermi frenare e mi scaraventai contro di lui, anche se non avrei potuto dire su quale base feci leva e con che forza.

Ci fu un turbinare di piume nere, lucide e scintillanti, e poi cominciai a cadere; non avrei urlato, me ne infischiavo, non l’a­vrei fatto. Stavo cadendo. Precipitando. Come in un abisso che solo un incubo potrebbe restituire. Un vuoto così perfetto che non possiamo concepirlo. E stavo cadendo rapidamente.

Restava solo la luce. La luce cancellò ogni cosa visibile e al­l’improvviso fu così splendida da farmi perdere la percezione delle mie membra o parti corporee od organi o qualunque cosa di cui io sia fatto. Non avevo forma né peso. Solo la velocità della mia caduta continuava a terrorizzarmi, come se rimanesse la gra­vita ad assicurare il totale annientamento. Il brusio delle voci s’innalzò energicamente.

«Stanno cantando davvero!» gridai. Poi rimasi immobile, di­steso. Percepii il pavimento sotto di me. La superficie leggermente ruvida della moquette. Odore di polvere, cera, casa mia. Sapevo che ci trovavamo nella stessa stanza.

Lui aveva preso la sedia della scrivania di Louis, e io ero sdraiato lì, supino, fissando il soffitto, il petto che scoppiava di dolore. Mi misi seduto, incrociai le gambe e lo fissai con aria di sfida.

Era perplesso. «È perfettamente logico», disse.

«Che cosa?»

«Sei forte come uno di noi.»

«No, non credo. Non posso farmi spuntare le ali; non posso evocare la musica», risposi, furibondo.

«Sì che puoi, hai già creato delle immagini per i mortali. Sai di poterlo fare. Li hai imprigionati in incantesimi. Sei forte come noi. Hai raggiunto una fase di sviluppo davvero interessante. Sapevo di aver sempre avuto ragione sul tuo conto. M’ispiri un ti­more reverenziale.»

«Timore di cosa? Della mia indipendenza? Senti, lasciati dire una cosa, Satana o chiunque tu sia.»

«Non usare quel nome, lo odio.»

«Questo probabilmente m’indurrà a disseminarlo in tutti i miei discorsi.»

«Mi chiamo Memnoch», dichiarò tranquillamente, con un piccolo gesto implorante. «Memnoch il Diavolo. Voglio che tu lo ricordi così.»

«Memnoch il Diavolo.»

«Esatto. È così che mi firmo.»

«Bene, lascia che ti dica una cosa, Sua Altezza Reale dell’O­scurità: non intendo aiutarti in nessun caso! Non sono un tuo servitore!»

«Credo che riuscirò a farti cambiare idea», rispose in tono pacato. «Credo che arriverai a capire perfettamente le cose guar­dandole dal mio punto di vista.»

Fui assalito da un’improvvisa debolezza, un totale sfinimento e un senso di disperazione.

Tipico.

Mi misi bocconi e infilai un braccio sotto la testa e cominciai a piangere come un bambino. Stavo morendo di spossatezza. Ero esausto e infelice, e adoravo piangere. Non potevo fare nient’altro, mi abbandonai completamente. Sentii il profondo sollievo di chi è annientato dal dolore. Non m’importava un fico secco di chi poteva vedermi o sentirmi. Piansi come una fontana.

Sapete cosa penso del piangere? Penso che alcune persone so­no costrette a imparare come si fa. Però, una volta che l’hai im­parato, una volta che sai davvero piangere, non c’è niente di me­glio. Mi dispiace per coloro che non conoscono il trucco. È come saper fischiare o cantare.

Comunque sia, ero troppo infelice per trarre vero conforto da quel momentaneo senso di benessere, in un tumulto di tremiti e lacrime salate, chiazzate di sangue.

Ripensai a quel giorno di tanti anni prima, quando ero entrato a Notre-Dame, e quei diabolici piccoli vampiri erano rimasti in agguato ad aspettarmi, Servitori di Satana; pensai al mio io mor­tale, a Dora, all’Armand di quei tempi, l’immortale capo adole­scente degli Eletti di Satana riuniti sotto il cimitero, che si era trasformato in un santo oscuro, inviando i suoi cenciosi bevitori di sangue a tormentare i mortali, a uccidere, a diffondere la pau­ra e la morte come una pestilenza. Ero soffocato dai singhiozzi.

«Non è vero! Non esiste nessun Dio e nessun Diavolo. Non è vero!» credo di aver urlato.

Lui non rispose. Rotolai su me stesso per mettermi seduto. Mi asciugai il viso sulla manica. Niente fazzoletto; certo, l’avevo da­to a Dora. Un tenue effluvio del profumo di Dora si levò dai miei vestiti, dal mio petto contro cui si era posata, dolcezza di sangue. Dora. Non avrei mai dovuto lasciarla in preda a una simile ango­scia. Santo cielo, ero destinato a vegliare sul suo equilibrio mentale! Dannazione.

Lo guardai. Era ancora seduto lì, il braccio posato sulla spal­liera della sedia di Louis, e mi stava osservando.

Sospirai. «Non hai intenzione di lasciarmi in pace, vero?»

Fu colto alla sprovvista e scoppiò a ridere. La sua espressione era cordiale, piuttosto che neutra. «No, certo che no», rispose sottovoce, come se cercasse di non sconvolgermi ulteriormente. «Lestat, ho aspettato per secoli qualcuno come te. Ho tenuto d’occhio proprio te per secoli. No, temo che non ti lascerò in pa­ce. Ma non voglio che tu sia infelice. Cosa posso fare per tranquillizzarti? Un piccolo miracolo, un dono, qualunque cosa, in modo che poi possiamo procedere.»

«E come diavolo procederemo?»

«Ti racconterò tutto, e dopo capirai perché devo assoluta­mente vincere», annunciò, stringendosi leggermente nelle spal­le, le mani aperte.

«Il sottinteso... è che posso rifiutarmi di collaborare con te, giusto?»

«Giustissimo. Nessuno può davvero aiutarmi se non decide spontaneamente di farlo. E sono stanco, stanco del lavoro. Ho bisogno di aiuto. Il tuo amico David ha udito correttamente quando ha sperimentato a Parigi quell’epifania accidentale.»

«L’epifania di David era accidentale? Cosa ne è stato di quell’altra parola? Cos’era... non ricordo. Non era previsto che Da­vid vedesse o sentisse te e Dio che parlavate?»

«È quasi impossibile da spiegare.»

«Ho sconvolto uno dei vostri piani prendendo David, tra­sformandolo in uno di noi?»

«Sì e no. Ma il fatto è che David ha udito correttamente quel­la parte. Il mio compito è arduo e io sono stanco! Alcune delle altre supposizioni di David riguardo a quella visione, be’...» Scosse il capo. «Il punto è che adesso è te che voglio, ed è terri­bilmente importante che tu veda tutto prima di prendere una de­cisione.»

«Sono davvero tanto malvagio, giusto?» sussurrai, le labbra tremanti. Stavo per rimettermi a piangere. «In tutto il mondo, con tutte le cose che gli umani hanno fatto, tutti gli indicibili or­rori che gli uomini hanno inflitto ai loro simili, le inimmaginabili sofferenze di donne e bambini causate dall’umanità nel mondo intero... E io sono così malvagio! Tu vuoi me! David era troppo buono, presumo. Non è diventato crudele come ti aspettavi. È così?»

«No, certo che non sei così malvagio. È proprio questo il punto», rispose in tono rasserenante. Emise di nuovo un lieve sospiro.

Stavo cominciando a notare dettagli più chiari del suo aspet­to, non perché stessero diventando più nitidi, come era successo con Roger, ma perché mi stavo calmando. I suoi capelli erano di un biondo cenere piuttosto scuro, morbidi e ricciuti. E le sue so­pracciglia avevano la stessa tonalità, non proprio nere, niente af­fatto, ma disegnate molto accuratamente per conservare un’e­spressione che non mostrava traccia di vacua vanità o arroganza. E non sembrava nemmeno stupido. Gli abiti erano dozzinali. Dubito che fossero davvero degli abiti. Erano reali, certo, ma la giacca era troppo lineare e priva di bottoni, e la camicia bianca troppo semplice.

«Sai, hai sempre avuto una coscienza! È proprio questo che cerco, non capisci? Coscienza, ragione, scopo, dedizione. Dio santo, per me sarebbe stato impossibile non notarti. E voglio dir­ti un’altra cosa. È come se tu mi avessi chiamato», disse.

«Mai.»

«Avanti, ripensa a tutte le sfide che hai lanciato al Diavolo.»

«Quella era poesia, o poesia burlesca, a seconda dei punti di vista.»

«Non è vero. E poi ripensa a tutte le cose che hai fatto, per esempio risvegliare l’antica Akasha, e per poco non scatenarla contro l’umanità.» Emise una breve risata. «Come se non aves­simo già abbastanza mostri creati dall’evoluzione. E poi la tua avventura col Ladro di Corpi. Reincarnarsi, avere quella possibi­lità, e rifiutarla in favore di ciò che eri prima. Sai che la tua amica Gretchen adesso fa la santa nella giungla, vero?»

«Sì. L’ho letto sui giornali.»

Gretchen, la mia suora, il mio amore quando ero stato per co­sì breve tempo mortale, non aveva più detto una parola dalla notte in cui, per sfuggirmi, era corsa nella cappella della sua mis­sione ed era crollata in ginocchio davanti al crocifisso. Rimaneva in preghiera notte e giorno in quel villaggio, quasi senza mangia­re, e ogni venerdì la gente viaggiava per chilometri attraverso la giungla, e talvolta veniva addirittura da Caracas e Buenos Aires, solo per vedere le sue mani e i suoi piedi sanguinanti. Quella era stata la fine di Gretchen.

Ma all’improvviso ebbi un’illuminazione, per la prima volta, proprio nel bel mezzo di tutto questo: forse Gretchen era davve­ro con Cristo!

«No, non credo», considerai freddamente ad alta voce. «Gretchen ha perso la ragione; è prigioniera di uno stato d’iste­ria, ed è tutta colpa mia. Così il mondo ha un altro mistico che sanguina come Cristo. Ce ne sono già stati migliaia.»

«Non ho espresso nessun giudizio sull’avvenimento», ribattè lui. «Se potessimo tornare a ciò che stavo dicendo... Stavo dicen­do che praticamente hai fatto di tutto tranne che chiedermi di venire! Hai sfidato ogni forma di autorità, hai cercato di fare ogni tipo di esperienza. In due occasioni ti sei sepolto vivo e una volta hai tentato di raggiungere il sole per essere ridotto in cenere. Cosa ti restava da fare, se non chiamarmi? È come se tu stesso avessi chiesto: ‘Memnoch, cosa posso fare, adesso?’»

«Ne hai parlato con Dio?» chiesi in tono gelido, rifiutando di lasciarmi coinvolgere; rifiutando di essere così curioso ed ec­citato.

«Sì, naturalmente», rispose.

Fui troppo stupito per parlare, non riuscii a trovare niente d’intelligente da dire. Piccoli rompicapi teologici e domande a trabocchetto mi balenarono nel cervello, per esempio: «Come mai Dio non lo sapeva già?» e così via. Ma eravamo ben oltre questo punto, ovviamente. Dovevo riflettere, concentrarmi su quanto mi stavano dicendo i miei sensi.

«Tu e Cartesio. Tu e Kant», dichiarò lui.

«Non accomunarmi ad altri. Sono il vampiro Lestat, l’unico e il solo», replicai.

«Se lo dici tu», concesse.

«Quanti siamo noi vampiri adesso, nel mondo intero, voglio dire? Non sto parlando di altri immortali e mostri e spiriti o esse­ri maligni, qualunque cosa tu sia, per esempio, ma dei soli vampiri. Siamo meno di cento e nessuno di loro è uguale a me. Le­stat.»

«Sono pienamente d’accordo. Infatti io voglio te. Ti voglio come aiutante.»

«Non ti dà fastidio che io non ti rispetti, non creda in te e non ti tema, nemmeno dopo tutto questo? Che ci troviamo nel mio appartamento e io mi stia facendo beffe di te? Non credo che Satana sarebbe disposto a tollerare una cosa simile. Di solito io non la tollero; mi sono paragonato a te, sai. Lucifero, Figlio del Mat­tino. Ho detto ai miei detrattori e inquisitori che ero il Diavolo, oppure che, se mi fossi imbattuto in Satana in persona, lo avrei messo in fuga.»

«Memnoch», mi corresse lui. «Non usare il nome Satana, te ne prego. Non usare nessuno di questi nomi: Lucifero, Belzebù, Azazel, Sammael, Marduk, Mefistofele, eccetera. Mi chiamo Memnoch. Scoprirai ben presto, di persona, che gli altri nomi rappresentano vari compromessi lessicali presenti nelle Sacre Scritture. Memnoch vale per questa epoca e per ogni altra. Ap­propriato e gradevole. Memnoch il Diavolo. E non andarlo a cercare in un libro perché non lo troveresti mai.»

Non risposi. Stavo cercando di capire. Lui poteva cambiare forma, ma doveva esserci un’essenza invisibile. Mi ero scontrato con la forza dell’essenza invisibile quando gli avevo sferrato un pugno in faccia? Non avevo sentito nessun contorno concreto, solo una forza che opponeva resistenza. E dovevo ghermirlo adesso? Questa forma umana sarebbe stata colmata dall’essenza invisibile per potermi respingere con un’energia pari a quella dell’angelo scuro?

«Sì», disse. «Immagina di provare a convincere un mortale di queste cose. Ma in realtà non è per questo motivo che ti ho scelto. Ti ho scelto non tanto perché ti sarebbe più facile com­prendere ogni cosa, ma perché sei perfetto per l’incarico.»

«L’incarico di aiutante del Diavolo.»

«Sì, quello di essere il mio braccio destro, per così dire, fare le mie veci quando sono esausto. Essere il mio principe.»

«Come puoi aver commesso un errore così grossolano? Trovi divertente l’autoinflitta sofferenza della mia coscienza? Pensi che il male mi piaccia? Che io pensi al male quando guardo qual­cosa di bello come il viso di Dora?»

«No, non penso che il male ti piaccia», rispose. «Non più di quanto piaccia a me.»

«Non ti piace il male», ripetei, socchiudendo gli occhi.

«Lo odio. E se tu non mi aiuti, se lasci che Dio continui a fare le cose a modo suo, sappi che il male — che in realtà non è nulla — potrebbe distruggere il mondo.»

«È la volontà di Dio che il mondo venga distrutto?»

«Chi può dirlo?» rispose in tono gelido. «Ma credo che Dio non alzerebbe un dito per impedire che accada. Io non lo voglio, questo lo so. Ma i miei metodi sono quelli giusti, mentre i metodi di Dio sono sanguinari e catastrofici ed eccessivamente pericolo­si. Lo sai anche tu. Devi aiutarmi. Sto vincendo, te l’ho già detto. Ma l’ultimo secolo si è dimostrato quasi insopportabile per tutti noi.»

«Quindi mi stai dicendo che non sei malvagio...»

«Precisamente. Ricordi cosa ti ha chiesto il tuo amico David? Ti ha chiesto se, mentre eri con me, hai percepito la presenza del male, e tu sei stato costretto a rispondere negativamente.»

«Il Diavolo è un famoso bugiardo.»

«I miei nemici sono famosi detrattori. Né Dio né il sottoscrit­to diciamo menzogne fini a se stesse. Ma, senti, non pretendo certo che tu mi creda sulla fiducia. Non sono venuto qui per convincerti di determinate cose solo conversando. Ti accompagnerò all’inferno e in paradiso, se vuoi; puoi parlare con Dio finché Lui lo consente e tu lo desideri. Non esattamente Dio Padre, non En Sof, ma... Be’,presto tutto ciò ti sarà chiaro. Ma è tutto inutile se non posso contare sulla tua reale intenzione di scoprire la verità, sul tuo spontaneo desiderio di trasformare la tua vita priva di scopo e di significato in una battaglia cruciale per il destino del mondo.»

Non risposi. Non sapevo cosa dire. Distavamo ormai anni lu­ce dal punto in cui avevamo iniziato la discussione. «Vedere il paradiso e l’inferno?» sussurrai, assimilando lentamente l’intera prospettiva.

«Sì, naturalmente», rispose paziente.

«Voglio una notte intera per rifletterci.»

«Cosa?»

«Ho detto che voglio una notte per rifletterci.»

«Non mi credi. Vuoi un segno.»

«No, comincio a crederti; ecco perché devo riflettere, devo soppesare il tutto.»

«Sono venuto per rispondere a qualsiasi domanda, per mo­strarti subito qualsiasi cosa.»

«Allora concedimi due notti. Stanotte e domani notte. È una richiesta piuttosto semplice, no? Lasciami solo.»

Era palesemente deluso, forse addirittura un po’ diffidente. Ma io dicevo sul serio e non potevo affermare niente di diverso da quanto avevo detto. Scoprii la verità nel momento stesso in cui la pronunciavo, data la rapidità con cui pensiero e parola si fondevano nella mia mente.

«È possibile ingannarti?» chiesi.

«Naturalmente, sì. Faccio affidamento sui miei doni così co­me sono, proprio come tu fai affidamento sui tuoi. Ho dei limiti, come tu hai dei limiti. Ti si può ingannare. Proprio come si può ingannare me», concluse.

«E Dio?»

«Bah!» esclamò in tono disgustato. «Se tu soltanto sapessi com’è irrilevante questa domanda. Non puoi neanche immagi­nare quanto io abbia bisogno di te. Sono stanco», ammise, rive­lando un’emozione leggermente più intensa. «Dio è... al di sopra della possibilità di essere ingannato, questo posso dirlo con be­nevolenza. Ti concedo stanotte e domani notte. Non ti distur­berò, non ti pedinerò, come dici tu. Ma posso chiederti cos’hai intenzione di fare?»

«Perché? Ho a disposizione due notti oppure non le ho?»

«Sei famoso per la tua imprevedibilità», mi provocò. Fece un ampio sorriso, molto accattivante, e qualcos’altro di lui, piutto­sto evidente, mi colpì. Non solo sfoggiava proporzioni perfette, non aveva difetti visibili; era l’archetipo dell’Uomo Comune.

Non reagì affatto a questa mia valutazione, che potesse o no leggermela nel pensiero. Si limitò ad aspettare una mia risposta, cortesemente.

«Dora. Devo tornare da Dora», dissi.

«Perché?»

«Mi rifiuto di fornirti ulteriori spiegazioni.»

Ancora una volta rimase stupito dalla mia risposta. «Be’,non vuoi forse tentare di aiutarla con tutto il caos legato a suo padre? Perché non spiegare una cosa tanto semplice? Volevo soltanto chiederti quanto avevi intenzione d’impegnarti, quante informa­zioni progettavi di passare a questa donna. Sto pensando al tes­suto delle cose, tanto per usare la frase di David. Insomma, cosa succederà con questa donna dopo che sarai venuto con me?»

Non risposi.

Lui sospirò. «D’accordo, ho aspettato per secoli qualcuno co­me te. Quindi cosa sono altre due notti, quelle che potresti avere a disposizione? In realtà, stiamo parlando solo di domani notte, vero? Dopo il tramonto, la sera successiva, verrò da te.»

«D’accordo.»

«Voglio farti un regalino che ti aiuterà a credere in me. Non mi è così facile stabilizzare il tuo livello di comprensione; sei pie­no di paradossi e conflitti interiori. Lascia che ti offra qualcosa d’insolito.»

«Va bene.»

«Ecco qua il dono. Ritienilo un segno. Chiedi a Dora dell’oc­chio di zio Mickey. Pregala di raccontarti la verità che Roger non ha mai scoperto.»

«Sembra un gioco di società da spiritista.»

«Pensi? Chiediglielo.»

«D’accordo. La verità sull’occhio di zio Mickey. Adesso vor­rei farti un’ultima domanda. Sei il Diavolo. Sì. Ma non sei malva­gio. Come mai?»

«Domanda irrilevante. Anzi, lascia che formuli la risposta in modo un po’ più misterioso. È assolutamente superfluo per me essere malvagio. Lo vedrai. Oh, per me è così frustrante aspetta­re, dato che hai tante cose da vedere.»

«Ma ti opponi a Dio!»

«Oh, assolutamente sì, sono un suo acerrimo nemico! Lestat, quando vedrai tutto quello che devo mostrarti e sentirai tutto quello che ho da dire, quando avrai parlato con Dio e visto la si­tuazione dalla sua prospettiva e dal mio punto di vista, ti unirai a me come suo avversario. Ne sono sicuro.» Si alzò. «Adesso me ne vado. Vuoi che ti aiuti a rialzarti?»

«Irrilevante e superfluo», dissi in tono seccato. «Sentirò la tua mancanza.» Le parole mi sorpresero mentre mi uscivano di bocca.

«Lo so», rispose.

«Ho tutta domani notte, ricordalo», intimai.

«Non ti rendi conto che se vieni con me adesso non esisterà né notte né giorno?» replicò.

«Oh, sono davvero tentato dalla tua offerta. Ma è proprio quello che i diavoli sanno fare così bene. Indurre in tentazione. Ho bisogno di pensarci su, e di consultare altri per farmi consi­gliare.»

«Consultare altri?» Sembrava genuinamente sorpreso.

«Non ho intenzione di partire col Diavolo senza dirlo a nes­suno», spiegai. «Tu sei il Diavolo! Dannazione, perché mai do­vrei fidarmi del Diavolo? È assurdo. Stai giocando secondo le re­gole, le regole di qualcuno. Come fanno sempre tutti. E io non conosco le regole. Bene. Mi hai concesso la libertà di scegliere, e questa è la mia scelta. Due notti intere, e non prima. Lasciami so­lo per tutto quel tempo! Giurami che lo farai.»

«Perché? Così non dovrai temere di sentire i miei passi?» chiese educatamente, come se si stesse rivolgendo a un bambino testardo.

«Forse.»

«A cosa serve un giuramento, se non credi a tutto il resto di ciò che ho detto?» Scosse il capo come se mi stessi dimostrando stupidamente umano.

«Puoi giurare o no?»

«Te lo giuro», disse, posandosi una mano sul cuore, o là dove avrebbe dovuto trovarsi il suo cuore. «In tutta sincerità, ovvia­mente.»

«Grazie, mi sento molto meglio», dissi.

«David non ti crederà.»

«Lo so.»

«La terza notte tornerò da te. Qui o in qualsiasi altro posto tu ti trovi», sentenziò con un enfatico cenno d’assenso. E con un ultimo sorriso, radioso come il precedente, scomparve. Non lo fece nel modo in cui tendo a farlo io, andandomene con tanta ra­pidità da impedire a qualunque mortale di seguire il movimento; scomparve nel nulla.

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