19

Ero sdraiato in un luogo imprecisato, all’aperto, su un terreno roccioso. Avevo ancora il velo di Veronica: riuscivo a sentirne il volume, ma non osavo infilare una mano sotto la giacca per estrarlo ed esaminarlo.

Vidi Memnoch in piedi a una certa distanza da me, nella sua completa forma glorificata, le ali imponenti raccolte dietro di lui, e vidi Dio Incarnato, risorto, le ferite ancora rosse sulle caviglie e sui polsi, ma gli avevano fatto il bagno e lo avevano ripulito, e il suo corpo aveva le stesse dimensioni di quello di Memnoch, cioè più grandi di quelle umane. La sua veste era bianca e fresca di bucato, i suoi capelli scuri ancora striati di sangue essiccato, ma ben pettinati. Sembrava che la luce che filtrava dalle cellule epidermiche del suo corpo fosse più cospicua rispetto a prima della crocifissione, e Lui emanava un intenso fulgore che faceva appa­rire leggermente fioca, per contrasto, la radiosità di Memnoch. Tuttavia le due luminosità non si contrastavano ed erano, in linea di massima, dello stesso tipo.

Rimasi disteso, guardando in su e ascoltando la loro discus­sione. E solo con la coda dell’occhio — prima di riuscire a sentire distintamente le loro voci — notai che questo era un campo di battaglia disseminato di morti. Non ci trovavamo ancora all’epo­ca della quarta crociata — non c’era bisogno che qualcuno me lo dicesse —, bensì in un tempo precedente; i cadaveri indossavano armatura e vesti che, se interrogato in proposito, avrei potuto collocare nel III secolo, pur non potendone essere sicuro. Di cer­to era un’epoca antica, molto antica.

I cadaveri puzzavano. L’aria era piena di insetti che banchet­tavano, e c’erano persino alcuni avvoltoi che calavano goffi dal cielo, per lacerare l’orrenda carne gonfia dei morti; da lontano mi giunsero i suoni dell’acre contesa, fatta di ringhi e latrati, dei lupi in lotta.

«Sì, capisco!» dichiarò Memnoch pieno d’ira. Stava usando una lingua che non era né inglese né francese, eppure la capivo perfettamente. «Le porte del paradiso sono aperte per tutti coloro che muoiono nella consapevolezza e accettazione dell’armo­nia del creato e della bontà di Dio! E gli altri? Gli altri milioni?»

«Te lo chiedo ancora una volta», disse il Figlio di Dio, «per­ché mai dovrei preoccuparmi degli altri? Di coloro che muoiono senza la consapevolezza, l’accettazione e la conoscenza di Dio. Perché? Cosa sono per me?»

«I tuoi figli creati, ecco cosa sono! Con la capacità di arrivare in paradiso, se solo riuscissero a trovarne la strada! E il numero dei perduti supera di miliardi quello dei pochi che hanno la saggezza, la guida, l’esperienza, l’intuito, il dono. E lo sai! Come puoi permettere che così tanti di loro svaniscano ancora una vol­ta nelle ombre di Sheol o si disintegrino o restino aggrappati alla terra diventando spiriti maligni? Non sei forse venuto per salvar­li tutti?»

«Sono venuto per salvare coloro che volevano essere salva­ti!» rispose Dio. «Te lo ripeto: tutto fa parte di un ciclo naturale, e per ogni anima che adesso entra liberamente nella luce del pa­radiso, migliaia di altre devono fallire. Altrimenti quale valore avrebbe capire, accettare, conoscere, vedere la bellezza? Cosa dovrei fare, secondo te?»

«Aiutare le anime perse! Aiutarle e non lasciarle nella tromba d’aria, non lasciarle a Sheol a lottare per millenni per ottenere la comprensione grazie a ciò che possono ancora vedere sulla terra! Hai peggiorato le cose, ecco cos’hai fatto!»

«Come osi?»

«Hai peggiorato la situazione! Osserva questo campo di bat­taglia. La tua croce è apparsa nel cielo prima di questa battaglia e adesso diventa il simbolo dell’impero! Sin dalla morte dei testi­moni che videro il tuo corpo risorto, solo una minima parte dei defunti ha raggiunto la luce dalla terra, e varie moltitudini si so­no smarrite in discussioni, battaglie, malintesi, languendo nell’o­scurità!»

«La mia luce è destinata a coloro che vogliono riceverla.»

«Non basta.»

Dio Incarnato colpì con violenza il viso di Memnoch. Lui in­dietreggiò, barcollando, le ali che si allargavano come di riflesso, per consentirgli di spiccare il volo. Tuttavia si richiusero, qualche elegante piuma bianca che mulinava nell’aria, e Memnoch alzò una mano per toccare l’impronta della mano di Dio che sfolgora­va sulla sua guancia. Io la vidi distintamente, rosso sangue come le ferite sulle caviglie e le mani di Cristo.

«Benissimo», disse Dio Incarnato. «Visto che ti preoccupi più per quelle anime perdute che per il tuo Dio, il tuo destino sarà quello di radunarle! Sheol sarà il tuo regno! Radunale lì a milioni e istruiscile in vista della luce. Dichiaro che nessuna si dissolverà o disintegrerà travalicando il tuo potere di riportarla in vita; dico che nessuna andrà persa, ma ognuna sarà sotto la tua responsabilità; quelle anime saranno i tuoi studenti, i tuoi segua­ci, i tuoi servi. E fino al giorno in cui Sheol non sarà vuoto, fino al giorno in cui le anime non raggiungeranno direttamente le porte celesti, tu sarai il mio avversario, sarai il mio Diavolo, sarai con­dannato a trascorrere non meno di un terzo della tua esistenza sulla terra che ami tanto, e non meno di un terzo a Sheol o all’in­ferno, comunque tu voglia chiamarlo, il tuo regno. E solo saltua­riamente, per mia graziosa concessione, potrai entrare in paradi­so, e, quando lo farai, bada di assumere la tua forma angelica! Sulla terra lascia che ti vedano come il Demonio! Il dio animale­sco... il dio della danza, delle bevute, dei banchetti, della carne e di tutte le cose che tu ami abbastanza per sfidare me. Lascia che ti vedano come tale, se vuoi avere qualche potere, e le tue ali avran­no il colore della fuliggine e delle ceneri, e le tue gambe saranno zampe caprine, come se tu fossi Pan in persona! Oppure soltanto come un uomo, sì, ti concedo quella misericordia, il poter essere un uomo tra loro, visto che ritieni che essere umani sia un’impre­sa tanto degna. Ma un angelo tra loro, no! Mai! Non userai la tua forma angelica per confonderli e sviarli, per abbagliarli o render­li umili. Tu e i tuoi osservatori lo avete già fatto abbastanza. Ma, quando varchi le mie porte, bada di essere abbigliato nel modo che mi aggrada, bada che le tue ali siano bianche come neve, e così le tue vesti. Ricorda di essere te stesso nel mio regno!»

«Posso riuscirci!» esclamò Memnoch. «Posso istruirli, gui­darli. Se mi lasci gestire l’inferno come voglio, posso recuperarli per il paradiso; posso annullare tutto ciò che il tuo ciclo naturale ha fatto loro sulla terra.»

«Perfetto, allora, mi piacerebbe davvero vedertelo fare!» dis­se il Figlio di Dio. «Mandami altre anime, tramite la tua purifica­zione. Vai avanti. Accresci la mia gloria. Accresci il bene ha elohim. Il paradiso è illimitato e dà il benvenuto ai tuoi sforzi. Ma non tornare nel paradiso finché il compito non sarà conclu­so, finché il passaggio dalla terra al paradiso non coinvolgerà tut­ti coloro che muoiono o finché il mondo stesso non verrà distrut­to — finché l’evoluzione non avrà raggiunto il punto in cui Sheol, per un motivo o per l’altro, rimarrà vuoto —, e, bada alle mie pa­role, Memnoch, quel momento potrebbe non arrivare mai! Non ho promesso nessuna conclusione allo sviluppo dell’universo! Perciò hai una carica a lungo termine tra i dannati.»

«E sulla terra? Quali sono i miei poteri? Dio con sembianze caprine o uomo, cosa posso fare?»

«Quello che dovresti fare! Metti in guardia i mortali. Mettili in guardia affinchè vengano a me e non vadano a Sheol.»

«E posso farlo a modo mio? Spiegando loro che Dio spietato sei, che uccidere in nome tuo è malvagio e che la sofferenza deforma, distorce e danna le sue vittime più spesso di quanto non le riscatti? Posso raccontare loro la verità? Che, se volessero venire a te, dovrebbero abbandonare le tue religioni, le tue guer­re sante e il tuo splendido martirio? Dovrebbero cercare di capi­re cosa dice loro il mistero della carne, cosa dice loro l’estasi del­l’amore? Mi dai il permesso di farlo? Mi dai il permesso di rac­contare loro la verità?»

«Racconta loro ciò che vuoi! E in ogni occasione in cui li al­lontani dalle mie chiese, dalle mie rivelazioni, per quanto possa­no essere fraintese e confuse, in ogni circostanza in cui li distogli, rischi di avere un altro allievo nella tua scuola infernale, un’altra anima che devi redimere. Il tuo inferno sarà pieno zeppo!»

«Non per colpa mia, Signore. Sarà pieno zeppo, ma solo gra­zie a te!» ribattè Memnoch.

«Come osi?»

«Lascia che si sviluppi, mio Signore, come hai detto che do­vrebbe sempre fare. Solo che adesso io sono parte di esso, e l’in­ferno è parte di esso. E sei disposto a concedermi gli angeli che la pensano come me e lavoreranno per me e sopporteranno l’oscu­rità insieme con me?»

«No! Non ti darò nemmeno uno spirito angelico! Recluta i tuoi aiutanti tra le anime legate alla terra. Trasformali nei tuoi de­moni. Gli osservatori che sono caduti con te sono pentiti. Non ti darò nessuno. Sei un angelo. Resta da solo.»

«Benissimo, resterò da solo. Ostacolami pure nella mia forma terrestre, se vuoi, ma trionferò comunque. Porterò più anime in paradiso attraverso Sheol di quelle che tu vi farai entrare direttamente dalle tue porte. Porterò più anime redente e che cantano del paradiso di quelle che tu radunerai mai attraverso il tuo stret­to tunnel. Sono io che riempirò il paradiso e magnificherò la tua gloria. Vedrai.»

Si zittirono, Memnoch furibondo e Dio Incarnato furibondo, o apparentemente tale, le due figure che si fronteggiavano, di pari dimensioni, solo che le ali di Memnoch si allargarono all’indietro e verso l’esterno nella parvenza di una forma di potere, e da Dio Incarnato arrivò la luce più potente e dalla bellezza straziante.

All’improvviso, Dio Incarnato sorrise. «Comunque vada, vin­co io, vero?» chiese.

«Ti maledico!» urlò Memnoch.

«No, non lo fai», disse Dio, con mestizia e dolcezza. Allungò una mano e sfiorò il viso di Memnoch: l’impronta della sua mano infuriata scomparve dalla pelle angelica. Si chinò in avanti e lo baciò sulla bocca.

«Ti amo, mio coraggioso avversario!» disse. «E un bene che io ti abbia creato, così come è un bene che io abbia creato ogni altra cosa. Portami delle anime. Sei solo parte del ciclo, parte della natura, meraviglioso come una saetta o l’eruzione di un grande vulcano, come una stella che esploda all’improvviso, a chilometri e chilometri di distanza nelle galassie, tanto che passa­no migliaia di anni prima che gli abitanti della terra ne vedano la luce.»

«Sei spietato, Dio», sussurrò Memnoch, rifiutando di cedere di un solo millimetro. «Insegnerò loro a perdonarti per come sei: maestoso, infinitamente creativo e imperfetto.»

Dio Incarnato rise sommessamente e lo baciò sulla fronte. «Sono un Dio saggio e un Dio paziente. Sono Colui che ti ha creato», disse.

Le immagini svanirono, non sbiadirono, scomparvero sempli­cemente.

Ero sdraiato sul campo di battaglia, solo.

Il tanfo era uno strato gassoso che aleggiava sopra di me, av­velenando ogni mio respiro, perché ovunque c’erano cadaveri, a perdita d’occhio. Un rumore mi fece trasalire. La figura magra e ansante di un lupo mi si avvicinò, avanzando velocemente a testa bassa. M’irrigidii. Vidi i suoi occhi stretti e obliqui mentre allun­gava con arroganza il muso verso di me. Sentii il suo fiato caldo, puzzolente. Girai il viso dall’altra parte. Lo udii annusarmi l’o­recchio, i capelli; emise un ringhio cupo. Mi limitai a chiudere gli occhi e, infilando la mano destra sotto la giacca, tastai il velo. I denti del lupo mi graffiarono il collo. Mi voltai di scatto, mi alzai e lo scaraventai lontano, facendolo rotolare, guaire e infine scap­pare. Fuggì, calpestando i cadaveri.

Trassi un respiro profondo. Mi resi conto che il cielo sopra di me era il cielo diurno della terra e guardai le nubi bianche, le semplici nubi bianche, e il fioco, lontano orizzonte, e ascoltai lo sciame di insetti — i moscerini e le mosche che si sollevavano e vorticavano qua e là sopra i corpi — e i grossi, ingobbiti e brutti avvoltoi che banchettavano guardinghi.

Da molto lontano giunse il suono di un pianto umano. Ma il cielo era splendidamente sereno, le nubi si diradarono, tanto da svelare il sole in tutto il suo potere, e il tepore si riversò sulle mie mani e sul mio viso, sui corpi gassosi che esplodevano in­torno a me.

Credo di aver perso i sensi. Volevo farlo. Volevo ricadere all’indietro sul terreno e mettermi bocconi, giacere con la fronte a terra e infilare la mano sotto la giacca per sentire che il velo era ancora lì.

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