8

Mi alzai tutto tremante, mi rassettai gli abiti e notai, senza stu­pirmene, che la stanza era impeccabile come quando eravamo entrati. Ovviamente, la battaglia era stata combattuta in qualche altro regno. Ma quale?

Oh, se solo fossi riuscito a trovare David! Mi restavano meno di tre ore prima dell’alba invernale, perciò uscii subito a cercarlo.

Ormai, non avendo più la capacità di leggere nel pensiero di David o di chiamarlo, disponevo di un solo strumento telepati­co, potevo cioè esaminare a caso le menti dei mortali cercando un’immagine di David che passava in un luogo riconoscibile.

Avevo camminato per meno di tre isolati quando mi resi con­to che non solo stavo captando una sua nitida immagine, ma che arrivava dalla mente di un altro vampiro.

Chiusi gli occhi e tentai, con tutta l’anima, di stabilire un con­tatto significativo. Nel giro di qualche secondo i due si accorsero di me, David tramite il compagno che aveva accanto, e io vidi e riconobbi il luogo.

Ai miei tempi, Bayou Road aveva attraversato questa zona raggiungendo poi la campagna, ed era poco più in là che una vol­ta Claudia e Louis, dopo aver tentato di uccidermi, avevano but­tato i miei resti nelle acque della palude.

Adesso l’area era occupata da un grande parco ben curato e probabilmente affollato, durante il giorno, da mamme e bambi­ni; includeva un museo di dipinti assai interessanti, e nel buio della notte il bosco appariva impenetrabile.

Alcune delle querce più antiche di New Orleans erano situate in questa zona, e una mirabile laguna, lunga, sinuosa, apparente­mente interminabile, si snodava sotto un ponte pittoresco, al centro.

Li trovai lì, i due vampiri che comunicavano a vicenda nella fitta oscurità, lontani dal sentiero battuto. David era elegante e azzimato come al solito.

Ma la vista del suo compagno mi sbalordì.

Era Armand.

Sedeva sulla panchina di pietra del parco, con l’aria da ragazzino, disinvolto, una gamba ripiegata, guardandomi dal basso con la prevedibile innocenza, tutto impolverato, i capelli un ammasso lungo e intricato di riccioli ramati. Vestito di pesanti indu­menti di denim, pantaloni attillati e giacca con la cerniera, pote­va benissimo passare per un mortale, magari un vagabondo, ben­ché adesso il suo viso fosse bianco come pergamena e addirittura più liscio dell’ultima volta in cui ci eravamo visti. In un certo sen­so, mi fece pensare a una bambola, con brillanti occhi di vetro di un tenue castano rossiccio... una bambola trovata in un solaio. Avrei voluto ripulirlo a forza di baci, sistemarlo, renderlo più ra­dioso di quanto non fosse.

«È quello che sei sempre tentato di fare», mormorò. La sua voce mi scioccò; se conservava l’accento francese o italiano, non riuscii a capirlo. Il tono era malinconico e assolutamente privo di malizia. «Quando mi hai trovato sotto il Cimitero degli Innocen­ti, volevi farmi il bagno nel profumo e infilarmi in un abito di vel­luto con ampie maniche ricamate», continuò.

«Sì, e pettinarti i capelli, quei bellissimi capelli fulvi», repli­cai. Il mio tono era irato. «Ti trovo in gran forma, maledetto pic­colo diavolo, perfetto da abbracciare e da amare.»

Ci guardammo per un istante. E poi lui mi sorprese, alzandosi e avvicinandosi a me proprio mentre mi muovevo per prenderlo tra le braccia. Il suo gesto non fu esitante, ma estremamente gentile. Avrei potuto indietreggiare. Non lo feci. Ci stringemmo per un attimo. Il freddo che abbracciava il freddo. Il duro che ab­bracciava il duro.

«Cherubino», dissi. Feci una mossa audace, forse addirittura insolente: allungai una mano e gli scompigliai i riccioli arruffati. Fisicamente era più piccolo di me, ma non mi sembrò che questo gesto gli dispiacesse. In realtà sorrise, scosse il capo e reclamò i suoi capelli passandovi un paio di volte le dita, con disinvoltura. Improvvisamente, le sue guance divennero perfette e la sua boc­ca si rilassò, e poi lui sollevò il pugno destro e mi colpì al petto, in modo scherzoso ma con forza. Con molta forza. Esibizionista. Adesso toccava a me sorridere e lo feci.

«Non ricordo che sia successo niente di sgradevole tra noi», dissi.

«Ti verrà in mente, e verrà in mente anche a me. Ma che im­portanza ha ciò che ricordiamo?» ribattè lui.

«Già, siamo entrambi ancora qui», risposi.

Lui scoppiò a ridere apertamente, benché in modo assai som­messo, e scosse il capo, scoccando a David un’occhiata che sug­geriva che si conoscevano molto bene, forse troppo. Non mi an­dava la loro confidenza. David era il mio David, e Armand era il mio Armand.

Mi sedetti sulla panchina. «Così David ti ha raccontato tutta la storia», dissi, alzando gli occhi per guardare Armand e poi David.

David fece un cenno di diniego con la testa. «Non senza il tuo permesso, principino viziato», rispose, un po’ sdegnosamente. «Non mi sarei mai preso questa libertà. L’unica cosa che ha con­dotto qui Armand è la preoccupazione per te.»

«Davvero?» chiesi. Inarcai le sopracciglia. «Allora?»

«Sai dannatamente bene che è così», disse Armand. Tutto il suo atteggiamento era improntato alla disinvoltura; aveva impa­rato parecchio, vagando per il mondo, immagino. Non somiglia­va più tanto a una statua ornamentale da chiesa. Teneva le mani in tasca. Un ragazzino robusto.

«Sei di nuovo in cerca di guai», aggiunse, con la stessa lentez­za, senza rabbia né cattiveria. «Il mondo intero non ti basta e non ti basterà mai. Stavolta ho deciso di provare a parlare con te prima che la ruota giri.»

«Non sei forse il più premuroso degli angeli custodi?» chiesi con sarcasmo.

«Sì, infatti», rispose senza battere ciglio. «Allora, cos’hai in­tenzione di fare? Vuoi dirmelo?»

«Venite, voglio addentrarmi ancora di più nel parco», propo­si, ed entrambi mi seguirono mentre raggiungevamo con andatu­ra mortale un boschetto formato dalle querce più antiche, una zona in cui l’erba era alta e trascurata, e dove nemmeno il più di­sperato senzatetto avrebbe cercato un posto in cui riposare.

Ci creammo una piccola radura, tra le nere radici vulcaniche e il fresco terriccio invernale. La brezza che arrivava dal lago vici­no era pungente e tersa, e per un attimo sembrò che vi fosse ben poca traccia dell’aroma di New Orleans o di qualunque altra città; noi tre eravamo insieme, e Armand chiese di nuovo: «Vuoi dirmi che intenzioni hai?» Si piegò verso di me e all’improvviso mi baciò, in modo molto puerile e anche un po’ europeo. «Sei nei guai fino al collo. Avanti, lo sanno tutti.» I bottoni metallici della sua giacca di denim erano gelidi, come se fosse giunto solo pochi istanti prima da un inverno molto più rigido.

Non siamo mai del tutto sicuri riguardo ai poteri degli altri. È tutto un gioco. Non gli avrei mai chiesto com’era arrivato fin lì o in che modo, così come non avrei mai chiesto a un mortale come faceva l’amore con sua moglie.

Lo fissai a lungo, consapevole del fatto che David era sdraiato sull’erba, facendo leva su un gomito, e ci stava studiando.

Alla fine parlai: «Il Diavolo è venuto a chiedermi di andare con lui a vedere il paradiso e l’inferno».

Armand tacque, poi si accigliò quasi impercettibilmente.

«È lo stesso Diavolo in cui ti ho confessato di non credere, quando tu credevi in lui, secoli fa. Avevi ragione almeno su una cosa: esiste. L’ho incontrato», aggiunsi. Guardai David. «Mi vuole come assistente. Mi ha concesso stanotte e domani notte per chiedere consiglio ad altri. Mi accompagnerà in paradiso e poi all’inferno. Sostiene di non essere malvagio.»

David distolse lo sguardo da me per fissare il buio. Armand si limitò a osservarmi, assorto e silenzioso.

Ripresi a parlare. Raccontai tutto. Ripetei la storia di Roger e del suo fantasma a beneficio di Armand, e poi riferii a entrambi, in modo dettagliato, la mia goffa visita a Dora, il mio colloquio con lei, e come l’avessi lasciata, e come il Diavolo mi avesse inse­guito e infastidito, e come ci fossimo azzuffati. Non tralasciai nessun particolare. Aprii la mia mente, senza premeditazione, lasciando che Armand vedesse autonomamente qualunque cosa potesse vedere. Alla fine mi appoggiai allo schienale della pan­china. «Non dirmi cose umilianti. Non chiedermi perché sono scappato via da Dora o perché mi sono lasciato sfuggire di bocca tutte quelle informazioni su suo padre. Non riesco a liberarmi dalla presenza di Roger, dalla sensazione che mi sia amico e che ami profondamente sua figlia. E questo Memnoch il Diavolo è un individuo ragionevole e dai modi gentili, molto convincente. Quanto alla zuffa, non so cosa sia successo, so solo che gli ho for­nito qualcosa su cui riflettere. Fra due notti tornerà e, se la me­moria non m’inganna — cosa che non fa mai —, ha detto che verrà a prendermi ovunque io mi trovi in quel momento.»

«Sì, questo è chiaro», commentò Armand sottovoce.

«Non stai godendo della mia infelicità, vero?» domandai con un lieve sospiro amareggiato.

«No, certo che no, solo che, come al solito, non sembri dav­vero infelice. Stai per dare inizio a una nuova avventura, e sei so­lo un po’ più cauto, stavolta, di quando hai permesso a quel mor­tale di svignarsela col tuo corpo e poi hai preso il suo.»

«No, non più cauto, terrorizzato. Credo che questa creatura, Memnoch, sia il Diavolo. Se anche tu avessi avuto simili visioni, saresti dello stesso avviso. Non sto parlando di incantesimi. Tu li sai fare, Armand, li hai fatti su di me. Io ho lottato con quella Co­sa. Ha un’imprecisata essenza capace di dimorare in corpi reali! È oggettiva e incorporea, ne sono sicuro. E il resto? Forse si è trattato di semplici incantesimi. Lui ha insinuato di poterli lan­ciare e che anch’io ne sono capace.»

«Stai descrivendo un angelo, naturalmente, e questo sostiene di essere un angelo caduto», dichiarò David all’improvviso.

«Il Diavolo in persona», mormorò Armand in tono medita­bondo. «Cosa ci stai chiedendo, Lestat? Vuoi il nostro consi­glio? Se fossi in te, non seguirei questo spirito di mia spontanea volontà.»

«Cosa ti spinge a dire una cosa del genere?» chiese David prima che io potessi aprire bocca.

«Senti, sappiamo che esistono esseri legati alla terra che noi non possiamo classificare, localizzare o controllare. Sappiamo che esistono varie specie di immortali, e vari tipi di mammiferi che sembrano umani ma non lo sono. Questa creatura potrebbe essere qualunque cosa. E c’è qualcosa di altamente sospetto nel modo in cui ti corteggia... le visioni e poi il garbo», spiegò Armand.

«L’unica alternativa è che tutto sia perfettamente logico. Lui è il Diavolo, è ragionevole come tu hai sempre ipotizzato, Lestat, non un idiota morale, ma un vero angelo, e desidera la tua collaborazione. Non vuole continuare a usare la forza con te. L’ha già utilizzata per presentarsi», ribattè David.

«Fossi in te, non gli crederei», incalzò Armand. «Cosa signi­fica il fatto che desidera il tuo aiuto? Che cominceresti a esistere simultaneamente su questa terra e all’inferno? No, io lo eviterei come la peste, non foss’altro che per le sue metafore, il suo voca­bolario. Per il suo nome. Memnoch. Ha un suono malvagio.»

«Oh, queste sono tutte cose che una volta io ho detto a te, più o meno», gli ricordai.

«Non ho mai visto il Principe delle Tenebre coi miei occhi», confessò Armand. «Ho visto secoli di superstizione, e i prodigi compiuti da esseri demoniaci come noi. Tu hai visto qualcosa in più di me, ma hai ragione: questo è ciò che mi dicevi un tempo e che adesso io dico a te. Non credere nel Diavolo o nel fatto di es­sere una sua creatura. Ed è quello che ho detto una volta a Louis, quando venne da me a cercare spiegazioni su Dio e l’universo. Non credo in nessun Diavolo. Quindi, te lo rammento. Non cre­dere in lui. Voltagli le spalle.»

«Quanto a Dora, hai agito in modo sventato, ma forse si può porre rimedio a quella violazione del decoro sovrannaturale, in un modo o nell’altro», aggiunse David pacatamente.

«Non credo.»

«Perché?» chiese lui.

«Lasciate che vi faccia una domanda: credete a ciò che vi sto dicendo?»

«So che stai dicendo la verità», rispose Armand. «Tuttavia, te l’ho già spiegato, non penso che questa creatura sia il Diavolo in persona o che ti porterà in paradiso o all’inferno. E in tutta sincerità, se è vero... Be’,allora, motivo di più per non andare con lui.»

Lo studiai per un lungo istante, lottando contro le tenebre che avevo volutamente cercato, tentando di captare il suo atteggia­mento mentale a questo proposito, e mi resi conto che era since­ro. In lui non c’era nessuna invidia, nessuna traccia di un antico rancore nei miei confronti; non c’era la sensazione di aver subito un torto, nessun inganno o altro. Si era ormai lasciato alle spalle tutte queste cose, sempre ammesso che lo avessero mai ossessio­nato. Forse erano state solo mie fantasie.

«Forse è vero», disse, rispondendo direttamente ai miei pen­sieri. «Ma hai ragione nel ritenere che io ti stia parlando in modo sincero e, te lo ripeto, se fossi in te, non mi fiderei di questa crea­tura né della sua insinuazione che tu debba in qualche modo cooperare.»

«Un concetto medievale del patto», mormorò David.

«Cosa vorresti dire?» chiesi, in tono più sgarbato del voluto.

«Fare un patto col Diavolo, sai, stipulare un accordo con lui. È questo che Armand ti sta sconsigliando. Non fare patti», spiegò lui.

«Precisamente», confermò Armand. «M’insospettisce non poco la sua tendenza a trasformare il tuo consenso in una fonda­mentale scelta morale.» Il suo viso giovanile era turbato, i begli occhi per un attimo sembrarono estremamente brillanti nell’om­bra. «Perché devi accettare la sua proposta?»

«Non so se tu abbia colpito o no nel segno», dissi. Ero confu­so. «Ma hai ragione. Io stesso gli ho detto qualcosa, qualcosa sul fatto che stessimo giocando secondo le regole.»

«Voglio parlare con te di Dora», mormorò David. «Devi ri­mediare in fretta a ciò che hai fatto là o almeno prometterci che non...»

«Non intendo promettervi niente riguardo a Dora, non pos­so», ribattei.

«Lestat, non distruggere questa giovane mortale!» disse energicamente lui. «Se ci troviamo in un nuovo regno, se gli spiriti dei defunti possono implorarci, allora forse possono an­che farci del male. Ci hai mai pensato?» Si mise seduto, scon­certato, furibondo, l’adorabile voce inglese che si sforzava di mantenere un certo decoro mentre aggiungeva: «Non fare del male alla ragazza mortale. Suo padre ti ha chiesto più o meno di farle da tutore, non di scuotere la sua sanità mentale sino alle fondamenta».

«David, non proseguire col tuo discorso. So cosa vuoi dire, ma, te lo dico subito, sono solo in questa faccenda. Solo. Solo con questo essere, Memnoch il Diavolo. Voi mi siete stati amici, siete stati la mia famiglia! Ma credo che nessuno possa dirmi co­sa fare, se non Dora.»

«Dora!» David era scioccato.

«Hai intenzione di raccontarle tutto?» chiese timidamente Armand.

«Sì. È proprio questa la mia intenzione. Dora è l’unica che crede al Diavolo. Santo cielo, ho bisogno di un credente in que­sto momento, ho bisogno di un santo, e potrei aver bisogno an­che di un teologo, quindi andrò da lei.»

«Lestat, sei perverso, ostinato e congenitamente distruttivo!» esclamò David. La sua frase aveva il tono di una maledizione. «Farai ciò che vuoi!» Era furibondo. Me ne accorsi chiaramen­te. Tutti i motivi che aveva per disprezzarmi era come se fossero surriscaldati dall’interno, e non c’era niente che io potessi dire in mia difesa.

«Aspetta», disse Armand in tono gentile. «Lestat, è una fol­lia. È come consultare la sibilla. Vuoi che la ragazza funga da ora­colo, vuoi che ti dica cosa devi fare secondo lei, una mortale?»

«Non è una semplice mortale, è diversa. Non ha affatto paura di me. Nessuna paura. Non ha paura di niente. È come se rap­presentasse una specie differente, benché appartenga a quella umana. È come una santa, Armand. È come doveva essere Gio­vanna d’Arco quando guidava il suo esercito. Sa qualcosa di Dio e del Diavolo che io ignoro.»

«Stai parlando di fede, ed è molto affascinante, proprio come lo era con la tua amica suora, Gretchen, che adesso è una pazza farneticante», mi ammonì David.

«Una pazza silenziosa», lo corressi. «Non dice niente se non preghiere, o almeno così sostengono i giornali. Ma, prima della mia comparsa, Gretchen non credeva davvero in Dio, tienilo be­ne a mente. Credenza e follia, per Gretchen, sono la stessa co­sa.»

«Non imparerai mai!» proruppe David.

«Imparare cosa?» domandai. «David, voglio andare da Do­ra. E l’unica persona cui io possa rivolgermi. Inoltre, non posso lasciare le cose così come sono, con lei! Devo tornare, e ho intenzione di farlo. Ora, Armand, dovresti farmi una promessa, la più ovvia. Intorno a Dora ho proiettato una luce protettiva. Nessuno di noi può toccarla.»

«Non occorre nemmeno dirlo, non farò del male alla tua pic­cola amica. Così mi offendi.» Sembrava genuinamente ferito.

«Mi dispiace», risposi. «Lo so. Ma so cosa siano il sangue e l’innocenza, e come entrambi possano risultare squisiti. So quan­to la ragazza mi tenta.»

«Allora devi essere tu a cedere a quella tentazione», dichiarò lui, seccato. «Non scelgo più le mie vittime, lo sai. Posso fermar­mi davanti a una casa come sempre, e dalla porta esce chi vuole stare tra le mie braccia. Naturale che non le farò del male. Conti­nui a serbare antichi rancori; pensi che io viva nel passato e non riesci a capire che in realtà io cambio in ogni epoca, l’ho sempre fatto nel miglior modo possibile. Ma cosa mai può dirti Dora che ti sia d’aiuto?»

«Non lo so», ammisi. «Ma ho intenzione di andare da lei do­mani sera. Lo farei subito, se ce ne fosse il tempo. Ho intenzione di andare da lei. David, se mi succede qualcosa, se scompaio, se... tutta l’eredità di Dora è tua.»

Lui annuì. «Ti do la mia parola d’onore nell’interesse della ra­gazza, ma non devi andare da lei!»

«Lestat, se hai bisogno di me... Se questo essere cerca di prenderti con la forza...» cominciò a dire Armand.

«Perché ti preoccupi per me? Dopo tutte le cose orrende che ti ho fatto. Perché?»

«Oh, non essere così sciocco», m’implorò dolcemente lui. «Tanto tempo fa mi hai convinto che il mondo era un giardino selvaggio. Ricordi la tua vecchia poesia? Hai detto che le uniche leggi valide erano quelle estetiche, che non si poteva contare su nient’altro.»

«Sì, ricordo benissimo tutto. Temo che sia vero. Ho sempre temuto che fosse vero. Lo temevo quand’ero un bambino morta­le. Una mattina, svegliandomi, ho scoperto di non credere in niente», rammentai.

«Be’,in tal caso, nel giardino selvaggio tu risplendi magnificamente, amico mio», ribattè Armand. «Cammini come se il giar­dino fosse tuo, a tua completa disposizione. E nel corso delle mie peregrinazioni torno sempre da te. Torno sempre a vedere i colo­ri del giardino nella tua ombra, oppure riflessi nei tuoi occhi, magari, o a informarmi delle tue più recenti follie e pazze osses­sioni. Inoltre, siamo fratelli, vero?»

«Perché non mi hai aiutato l’ultima volta, quando ero nei guai, avendo scambiato il mio corpo con quello di un essere umano?»

«Non potrai mai perdonarmi, se te lo dico», replicò.

«Dimmelo.»

«Perché speravo e pregavo che tu restassi in quel corpo mor­tale e salvassi la tua anima. Pensavo che ti fosse stato concesso il dono più grande, quello di essere di nuovo umano, e il mio cuore desiderava ardentemente il tuo trionfo! Non potevo interferire. Non potevo.»

«Sei stato puerile e sciocco, lo sei sempre stato.»

Lui si strinse nelle spalle. «Be’,a quanto pare, ti è stata con­cessa un’altra possibilità di fare qualcosa per la tua anima. Ti con­viene sfruttare sino in fondo la tua forza e le tue risorse, Lestat. Non mi fido di questo Memnoch, assai più pericoloso di qualun­que nemico mortale tu abbia affrontato quando eri intrappolato nella carne. Questo Memnoch sembrerebbe molto lontano dal paradiso. Perché mai dovrebbero lasciarti entrare con lui?»

«Ottima domanda.»

«Lestat, non andare da Dora. Non dimenticare che l’ultima volta il mio consiglio avrebbe potuto risparmiarti parecchia infe­licità!» mi mise in guardia David.

Oh, ci sarebbero stati troppi commenti da fare al riguardo, perché il suo consiglio avrebbe potuto impedirgli in eterno di di­ventare ciò che era adesso, con quella forma leggiadra, e non po­tevo, non potevo davvero, rimpiangere che lui fosse lì, che avesse conquistato il trofeo carnale del Ladro di Corpi. Non potevo. Non potevo assolutamente.

«Non stento a credere che il Diavolo ti voglia», dichiarò Ar­mand.

«Perché?» chiesi.

«Ti prego, non andare da Dora», ripetè David, serissimo.

«Devo farlo, e ormai è quasi mattina. Vi voglio bene.»

Entrambi mi stavano fissando, perplessi, sospettosi, incerti.

Feci l’unica cosa possibile: me ne andai.

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