17

«‘Scopriti gli occhi e guardami’,disse il Signore.

«Obbedii all’istante, pur sapendo che questo avrebbe potuto significare il mio totale annientamento, che tutto si sarebbe po­tuto trasformare in follia e malinteso. Il fulgore era diventato uniforme, splendido eppure sopportabile, e nel suo centro esat­to, proiettato in esso, vidi distintamente un volto come il mio. Non posso affermare che fosse un volto umano. Viso, persona, espressione... ecco ciò che vidi, e questo volto mi stava fissando direttamente e intensamente. Era così magnifico che non potevo nemmeno immaginare di muovermi o distogliere lo sguardo, ma poi cominciò a farsi più luminoso, costringendomi a battere le palpebre e a sforzarmi di non coprirmi gli occhi per evitare di mettere a repentaglio per sempre le mie facoltà visive. Poi la luce si attenuò, si contrasse e divenne tollerabile, avvolgente, ma non accecante. Rimasi fermo lì, tremando, felicissimo di non aver sol­levato le mani per proteggermi la vista.

«‘Memnoch’,disse Dio. ‘Hai agito bene. Hai portato da Sheol anime degne del paradiso; hai accresciuto la gioia e la bea­titudine del mio regno; hai agito bene.’

«Proruppi in un ringraziamento che in realtà era un inno di adorazione, ripetendo un’owietà, cioè che Dio aveva creato tut­te quelle anime e che, nella sua misericordia, aveva concesso loro di venire a Lui.

«‘Questo ti rende molto felice, vero?’ chiese.

«‘Solo se rende felice te, Signore’,risposi, il che era in parte una menzogna.

«‘Unisciti agli angeli, Memnoch’,disse. ‘Sei perdonato per es­sere divenuto carne e sangue senza la mia autorizzazione, e sei perdonato per aver giaciuto con le figlie degli uomini. Sei con­fortato nelle tue speranze per le anime di Sheol. Adesso lasciami e fa’ ciò che desideri, ma non interferire più con la natura, o con l’umanità, visto che ti ostini a sostenere che essa non fa parte del­la natura, e in questo ti sbagli.’

«‘Signore...’ cominciai a dire timidamente.

«‘Sì?’

«‘Signore, le anime che ti ho portato da Sheol sono meno di un centesimo di quelle che si trovano là; forse sono meno di un centesimo delle anime che si sono disintegrate o sono svanite dall’inizio del mondo. Signore, Sheol è colma di confusione e malintesi. Questi erano soltanto gli eletti.’

«‘Dovrei esserne sorpreso? Come potrei non saperlo?’ do­mandò Dio.

«‘Signore, mi lascerai di certo tornare a Sheol per cercare di far progredire le anime che non hanno ancora raggiunto il livello del paradiso. Mi lascerai di certo tentare di purificarle, emendandole da ciò che le rende indegne della beatitudine celeste.’

«‘Perché?’

«‘Signore, ci sono vari milioni di anime perdute per ogni mi­lione di anime salvate.’

«‘Sai che lo so, vero?’

«‘Signore, abbi pietà di loro! Abbi pietà degli umani della terra che cercano, tramite innumerevoli rituali, di raggiungerti, conoscerti e compiacerti.’

«‘Perché?’

«Non risposi. Ero sbalordito. Dopo aver riflettuto, chiesi: ‘Si­gnore, non t’importa delle anime che stanno andando alla deri­va, vittime della confusione? Che soffrono nell’oscurità?’

«‘Perché dovrebbe?’ domandò.

«Ancora una volta indugiai. Era essenziale che la mia risposta avesse un certo peso.

«Ma nel frattempo lui parlò. ‘Memnoch, puoi contarmi tutte le stelle? Conosci i loro nomi, le loro orbite, il loro destino nella natura? Memnoch, puoi fornirmi una stima approssimativa del numero di granelli di sabbia nel mare?’

«‘No, Signore, non posso.’

«‘In tutto il mondo ci sono creature la cui progenie è nell’or­dine delle migliaia, di cui solo una minuscola parte sopravvive... pesci del mare, tartarughe, insetti alati. Centinaia di migliaia, addirittura milioni di membri di una specie possono nascere sotto l’arco descritto dal sole in un unico giorno, e solo una manciata di loro sopravvive e si riproduce. Non lo sai?’

«‘Sì, Signore, lo so. Lo scoprii in epoche passate, quando gli animali compirono la loro evoluzione. Lo so.’

«‘Quindi, cosa m’importa se solo una manciata di anime giunge alle porte del paradiso? Forse ti rimanderò a Sheol, col passare del tempo. Preferisco non dirtelo.’

«‘Signore, l’umanità è sensibile e sofferente!’

«‘Dobbiamo discutere nuovamente della natura? L’umanità è una mia creazione, Memnoch, e il suo sviluppo, che tu lo sappia o no, segue le mie leggi.’

«‘Ma, Signore, ogni cosa sotto il sole alla fine muore, e queste anime hanno il potenziale per vivere in eterno! Sono al di fuori del ciclo! Sono fatte di volontà e conoscenza invisibili. Signore, sicuramente le tue leggi prevedevano che venissero in paradiso, come potrebbe essere altrimenti? Te lo sto chiedendo, Signore, ti sto chiedendo di dirmelo, perché, per quanto io ti ami, non rie­sco a capire.’

«‘Memnoch, l’invisibile e l’intenzionale sono incarnati nei miei angeli e loro obbediscono alle mie leggi.’

«‘Sì, Signore, ma loro non muoiono. E tu parli con noi, ti ri­veli a noi, ci ami, e ci permetti di vedere le cose.’

«‘Non credi che la bellezza del creato riveli la mia luce all’u­manità? Non credi che queste anime, che tu stesso hai condotto qui, si siano sviluppate da una percezione della gloria di tutto ciò che è stato creato?’

«‘Molte altre potrebbero venire qui, Signore, soltanto con un piccolo aiuto. Adesso sono così poche, qui. Signore, gli animali meno evoluti che cosa riescono a immaginare senza poi poterlo avere? Voglio dire che il leone immagina la carne della gazzella e la ottiene, vero? Le anime umane hanno immaginato Dio Onni­potente e lo desiderano con tutto il cuore.’

«‘Me l’hai già dimostrato’,disse. ‘Lo hai dimostrato al paradi­so intero.’

«‘Ma queste erano pochissime! Signore, se Tu fossi solo carne e sangue, se Tu soltanto fossi sceso laggiù come ho fatto io...’

«‘Attento, Memnoch.’

«‘No, Signore, perdonami, ma non posso negarti i miei sforzi migliori, e i miei sforzi migliori per arrivare alla logica mi dicono che, se Tu scendessi laggiù e diventassi carne e sangue come ho fatto io, conosceresti meglio queste creature che pensi erronea­mente di conoscere!’

«Nessuna risposta.

«‘Signore, la tua luce non penetra nella carne umana. La scambia per carne animale e lo ha sempre fatto! Signore, puoi anche sapere tutto ma non conosci ogni minima cosa! Non puoi conoscerla, altrimenti non potresti lasciare queste anime a lan­guire nell’agonia a Sheol. E non potresti permettere che le soffe­renze di uomini e donne sulla terra non trovino una ragione in un contesto. Non posso crederlo! Non posso credere che lo fare­sti! Non posso.’

«‘Memnoch, a me basta dire qualcosa una volta sola.’

«Non risposi.

«‘Mi sto dimostrando gentile con te’,dichiarò.

«‘Sì, lo sei, ma puoi sbagliare, e anche in quello ti sbagli per­ché sentiresti gli inni in tua lode cantati incessantemente e in eterno. E, Signore, queste anime potrebbero venire a te e cantare quegli inni.’

«‘Non ho bisogno degli inni, Memnoch.’

«‘Allora perché cantiamo?’

«‘Di tutti i miei angeli sei tu l’unico che mi accusa! Che non confida in me. Le anime che hai portato da Sheol confidano in me come tu non riesci a fare! È stato questo il criterio in base al quale le hai scelte! Il fatto che confidassero nella saggezza di Dio.’

«Mi ostinai a rispondere. ‘Quando ero carne e sangue, Signo­re, ho scoperto qualcosa che ha rafforzato tutti i sospetti che ave­vo nutrito fino ad allora e che conferma tutto ciò che ho visto da quel momento in poi. Cosa posso fare, Signore, raccontarti bu­gie? Dire con la mia lingua cose che non sono altro che menzo­gne? Signore, con l’umanità hai creato qualcosa che nemmeno tu comprendi sino in fondo! Non può esserci altra spiegazione, perché, se c’è, allora non esiste nessuna natura e non esistono leggi.’

«‘Scompari dalla mia vista, Memnoch. Scendi sulla terra e al­lontanati da me e non interferire con niente, mi hai sentito?’

«‘Metti alla prova ciò che dico, Signore. Diventa carne e san­gue come ho fatto io. Tu che puoi fare qualunque cosa, rivestiti di carne...’

«‘Silenzio, Memnoch.’

«‘Oppure, se non osi fare una cosa simile, se non è degno del Creatore comprendere la sua creazione fino all’ultima cellula, al­lora zittisci tutti gli inni degli angeli e degli uomini! Zittiscili, visto che dici di non averne bisogno, e poi guarda cosa significa per Te la tua creazione!’

«‘Ti bandisco, Memnoch!’ tuonò Dio e, in un attimo, l’intero paradiso riapparve intorno a me, l’intero bene ha elohim, e con esso i milioni di anime salvate. Michele e Raffaele erano in piedi davanti a me, osservando orripilati mentre venivo spinto all’indietro, fuori delle porte, nella tromba d’aria.

«‘Sei spietato con le tue creazioni, mio Signore!’ urlai il più forte possibile, per sovrastare il frastuono del penoso cantare. ‘Gli uomini e le donne fatti a tua immagine hanno ragione di disprezzarti, perché nove decimi di loro starebbero meglio se non fossero mai nati! ‘» Memnoch interruppe il suo racconto e si ac­cigliò, solo un minuscolo e momentaneo cipiglio perfettamente simmetrico, poi chinò il capo come se stesse ascoltando qualco­sa. Infine si voltò verso di me.

Sostenni il suo sguardo.

«È quello che avresti fatto anche tu, vero?» mi chiese.

«Dio mi aiuti, non lo so davvero», risposi.

Il paesaggio stava cambiando. Mentre ci guardavamo, il mon­do intorno a noi si riempì di nuovi suoni. Mi resi conto che c’era­no degli umani nei paraggi, uomini con greggi di capre e pecore, e, molto in lontananza, riuscii a scorgere le mura di una città e, su una collina, un piccolo insediamento. Ci trovavamo in un mondo popolato, ormai, antico ma non così distante dal nostro. Sapevo che queste persone non potevano vederci né sentirci; non c’era più bisogno che lui me lo dicesse.

Memnoch continuò a fissarmi, come se mi stesse chiedendo qualcosa, e io ignoravo di cosa si trattasse. Il sole picchiava su en­trambi. Mi accorsi che le mie mani erano madide di sudore di sangue, ne alzai una per asciugarmi il sudore dalla fronte e poi guardai il sangue sulla mia mano. Lui era ricoperto di un tenue scintillio, niente di più. Continuava imperterrito a fissarmi.

«Cos’è successo? Perché non me lo dici? Cos’è successo? Perché non continui?» lo incalzai.

«Sai dannatamente bene cos’è successo», rispose. «Guarda come sei vestito. Adesso porti una tunica, più adatta al deserto. Voglio che tu venga là, subito, oltre quelle colline... con me.»

Si alzò e io lo seguii. Ci trovavamo in Terra Santa, non c’erano dubbi. Superammo dozzine e dozzine di gruppi di persone, pe­scatori vicino a un paesino in riva al mare, altri che badavano a pecore o capre oppure guidavano piccole greggi verso insedia­menti e luoghi cintati poco distanti.

Ogni cosa mi appariva familiare in modo inquietante, non un semplice déjà vu o la sensazione di aver già vissuto lì. Familiare come se fosse cablato nel mio cervello. E mi riferisco a ogni co­sa... persino un uomo nudo con le gambe storte, che urlava e far­neticava mentre ci oltrepassava senza vederci, una mano serrata su un rudimentale bastone da passeggio. Sotto gli strati di sabbia che ricoprivano tutto, ero circondato da forme, stili e comporta­menti che conoscevo bene... grazie alle Sacre Scritture, alle inci­sioni, alle illustrazioni ornate e alle rappresentazioni cinematografiche. Quello era — in tutta la sua gloria ridotta all’essenziale e ardente — un terreno sacro, oltre che familiare.

Riuscimmo a vedere gente in piedi davanti alle caverne in cui viveva, su tra le colline. Qua e là dei gruppetti sedevano all’om­bra sotto le piante di una macchia, sonnecchiando, chiacchieran­do. Dalle città cinte di mura giungeva una pulsazione lontana. L’aria era piena di sabbia, che veniva spinta dal vento nelle mie narici e mi si appiccicava su labbra e capelli.

Memnoch non aveva ali. La sua tunica era sudicia, come la mia. Credo che fossero di lino: il tessuto era leggero e lasciava fil­trare l’aria. Le nostre vesti erano lunghe e modeste. La nostra pelle, le nostre forme erano immutate.

Il cielo era di un azzurro luminoso e il sole riversava la sua lu­ce abbagliante su di me, come avrebbe potuto riversarla su qua­lunque creatura. Il sudore sembrava ora gradevole ora insoppor­tabile. E fugacemente pensai che, in qualsiasi altro momento, avrei potuto stupirmi anche unicamente del sole, la meraviglia del sole negato ai Figli delle Tenebre; ma in tutto quel tempo non ci avevo mai pensato, nemmeno una volta, perché, dopo aver visto la luce di Dio, il sole aveva cessato di essere la Luce, per me.

C’inerpicammo sulle colline rocciose, salendo ripidi sentieri e attraversando affioramenti di roccia e rade macchie di alberi, e infine, sotto e davanti a noi, apparve un’ampia distesa di sabbia, che scottava e si spostava, lenta, nel vento fastidioso.

Memnoch si fermò proprio sul limitare di quel deserto, per così dire, nel punto in cui avremmo lasciato il terreno solido ben­ché roccioso e sconnesso, passando nella soffice ma disagevole sabbia. Lo raggiunsi dopo essere rimasto un po’ indietro. Lui mi cinse col braccio sinistro e le sue dita si allargarono, salde e massicce, sulla mia spalla. Fui felice di quel gesto perché ero vittima di una prevedibile apprensione; a dire il vero, dentro di me stava montando la paura, la più orrenda premonizione che avessi mai avuto.

«Dopo che Dio mi ebbe scacciato, vagabondai», riprese Memnoch. Il suo sguardo si perdeva nel deserto e in quelle che sembravano brulle, brillanti scogliere rocciose in lontananza, ostili come il deserto stesso. «Errai come spesso hai fatto tu, Lestat. Senza ali e col cuore spezzato, vagai senza scopo per le città e le nazioni della terra, su continenti e distese sterili. Un giorno ti racconterò tutto, se vuoi. Adesso è irrilevante. Lasciami dire solo ciò che è importante, e cioè che non avevo il coraggio di render­mi visibile o noto all’umanità, ma mi nascondevo tra gli umani, invisibile, non osando assumere la forma carnale per paura di far infuriare di nuovo il Signore; e non osando unirmi alla lotta uma­na adottando un travestimento, per paura di Dio e per paura dei mali che avrei potuto procurare agli uomini. A causa di questi stessi timori, non tornai a Sheol. Non volevo in nessun modo au­mentarne le sofferenze. Solo Dio poteva liberare quelle anime. Quali speranze avrei potuto offrire loro? Tuttavia riuscivo a ve­dere Sheol, a percepirne l’immensità, e sentivo il dolore delle anime che vi abitavano, e mi stupivo dei nuovi e intricati e sem­pre cangianti schemi di confusione creati dai mortali mentre abbandonavano una fede, una setta o un credo dopo l’altro in favo­re di quel penoso margine di tristezza. Una volta fui colpito da un’idea arrogante: se fossi penetrato a Sheol, avrei potuto istrui­re le anime in modo così esauriente che forse loro stesse sarebbe­ro riuscite a trasformarlo, a creare al suo interno forme inventate dalla speranza anziché dalla disperazione, e, col passare del tem­po, se ne sarebbe potuto ricavare un giardino. Di certo gli eletti, i milioni di anime che avevo portato in paradiso, avevano trasfor­mato drasticamente la loro porzione di quel luogo. Ma se avessi fallito, riuscendo solo ad accrescere il caos? Non osavo. Non osavo, per paura di Dio e per paura dell’incapacità di trasforma­re in realtà un simile sogno. Durante le mie peregrinazioni for­mulai diverse teorie, ma non cambiai idea su niente di ciò che credevo, sentivo o avevo detto a Dio. In realtà lo pregavo spesso, nonostante il suo totale silenzio, dicendogli con quanta sicurezza continuavo a pensare che avesse abbandonato la sua creatura meglio riuscita. E talvolta, estenuato, cantavo soltanto le sue lo­di. A volte rimanevo zitto. Guardando, ascoltando... osservan­do... Memnoch, l’osservatore, l’angelo caduto. Non sospettavo minimamente che la mia discussione con Dio Onnipotente fosse soltanto all’inizio. Ma, a un certo punto, mi ritrovai a dirigermi verso le stesse vallate che avevo visitato all’inizio, là dove erano state edificate le prime città dell’uomo. Quella per me era la terra dei primordi perché, sebbene in molte nazioni fossero sorti gran­di popoli, era lì che avevo giaciuto con le figlie degli uomini. Ed era lì che avevo imparato, sulla carne, qualcosa che continuavo a ritenere che Dio ignorasse. Dunque, mentre raggiungevo quel luogo, entrai a Gerusalemme — che tra l’altro si trova solo dieci o dodici chilometri più a ovest del punto in cui ci troviamo adesso — e capii subito in quale epoca ci trovavamo: i Romani governa­vano questa terra, gli ebrei avevano subito una lunga e terribile cattività e le tribù risalenti al tempo dei primissimi insediamenti — che avevano creduto nel Dio Unico — erano sottomesse ai poli­teisti, i quali non attribuivano nessuna importanza alle loro cre­denze. Le stesse tribù di monoteisti erano divise su molte que­stioni; alcuni ebrei erano strettamente farisei, altri sadducei, mentre altri ancora avevano cercato di creare comunità nelle caverne situate sulle colline retrostanti. Se c’era una caratteristica che, ai miei occhi, rendeva quell’epoca degna di nota — cioè del tutto diversa da ogni altra — era il potere dell’Impero Romano, più esteso di qualsiasi altro impero occidentale io avessi mai vi­sto e che, in un certo senso, continuava a ignorare il Grande Im­pero Cinese, come se non appartenesse allo stesso mondo. Ma qualcosa in questo luogo mi attirò, e già lo sapevo. Percepivo una presenza che non era una vera e propria chiamata, ma era come se qualcuno mi stesse gridando di venire eppure non voles­se sfruttare sino in fondo la potenza della propria voce. Dovevo cercare, dovevo indagare. Forse questo qualcosa mi pedinò e mi sedusse, come io ho fatto con te. Non lo so. Comunque venni qui e mi aggirai per Gerusalemme, ascoltando ciò che le lingue degli uomini avevano da dire. Parlavano dei profeti e dei santoni del deserto, di discussioni imperniate sulla legge, sulla purificazione e sulla volontà di Dio. Parlavano di testi sacri e tradizioni sacre. Parlavano di uomini che andavano a farsi ‘battezzare’ nell’acqua per essere ‘salvati’ agli occhi del Signore. E, infine, parlavano di un uomo che da poco si era ritirato nel deserto dopo il battesimo perché, nel momento in cui era entrato nel Giordano e l’acqua gli era stata versata sulla testa, i cieli si erano aperti sopra di lui ed era apparsa la luce proveniente da Dio. Naturalmente si pote­vano ascoltare racconti simili in tutto il mondo; non era affatto insolito per me, eppure mi attirava. Sembrava dirmi che quello era il mio Paese; e, come se qualcuno mi stesse guidando, mi ri­trovai a lasciare Gerusalemme, dirigendomi a est, nel deserto. I miei acuti sensi angelici m’informavano che mi trovavo vicino al­la presenza di qualcosa di misterioso, qualcosa che faceva parte del sacro in un modo che un angelo avrebbe compreso non ap­pena lo avesse visto, e che invece un uomo avrebbe potuto non capire. La mia ragione lo rifiutava, eppure continuai a cammina­re, nella calura diurna, privo di ali e invisibile, nel deserto.»

Memnoch mi prese con sé e c’incamminammo sulla sabbia, che non era profonda come avevo immaginato, ma calda e piena di ciottoli. Ci addentrammo in canyon, risalimmo pendii e infine raggiungemmo una sorta di radura dove erano stati disposti or­dinatamente dei sassi, come se qualcuno avesse l’abitudine di recarsi lì di tanto in tanto. Aveva un aspetto del tutto naturale co­me l’altro luogo in cui avevamo scelto di restare così a lungo.

Un punto di riferimento nel deserto, per così dire, un impre­cisato monumento, forse.

Aspettai nervosamente che Memnoch ricominciasse a parlare. Il mio senso di disagio si stava acuendo. Lui rallentò finché non ci trovammo a poca distanza dal piccolo cumulo di sassi.

Solo allora parlò. «Mi avvicinai sempre più a quei segnali che vedi laggiù e coi miei occhi angelici, potenti quanto i tuoi, spiai da un’enorme distanza un essere umano solitario. I miei occhi mi dissero subito che non era un umano, bensì colmo del fuoco di Dio. Non ci credevo, eppure continuai ad avvicinarmi, sempre più, incapace di fermarmi; mi bloccai in questo punto esatto, fissando la figura seduta su quel masso di fronte a me, intenta a guardarmi. Era Dio! Non c’erano dubbi in proposito. Era rive­stito di carne, cotto dal sole, bruno, e aveva gli occhi scuri della gente del deserto, ma era Dio! Il mio Dio! Ed eccolo, seduto lì con quel corpo di carne, che mi guardava con occhi umani e gli occhi di Dio. Vidi la luce che lo riempiva tutto ed era racchiusa dentro di lui, nascosta al mondo esterno dalla carne di Dio, come se quest’ultima fosse la più resistente membrana tra il paradiso e la terra. Se qualcosa di più terribile di quella rivelazione esisteva, era il fatto che Lui mi stesse guardando, mi conoscesse e mi stes­se aspettando, e che tutto ciò che provavo per Lui, mentre lo fis­savo, fosse amore. Noi angeli cantiamo continuamente canzoni d’amore. È quella la canzone dedicata a tutto il creato? Lo guar­dai, assalito dal terrore per le sue parti mortali — la carne bruciata dal sole, la sete, il vuoto nello stomaco e la sofferenza dei suoi oc­chi nella calura — e per la presenza di Dio Onnipotente dentro di lui; ciò che provai non fu altro che un amore soverchiante.

«‘Ecco, Memnoch, sono venuto’,disse con la lingua e la voce di un uomo.

«Mi prostrai dinanzi a Lui. Fu un gesto istintivo. Mi limitai a restare steso lì, allungando le braccia e toccando la punta della fascetta di pelle del suo sandalo. Sospirai e il mio corpo tremò per il sollievo provocato dalla fine della solitudine, per l’attrazio­ne verso Dio e la soddisfazione che suscitava. Cominciai a piangere di gioia per il semplice fatto di stargli vicino e vederlo, e mi meravigliai per ciò che questo doveva significare.

«‘Alzati, vieni a sederti accanto a me’,disse Dio. ‘Adesso so­no un uomo e sono Dio, ma ho paura.’ La sua voce mi sembrò indescrivibilmente commovente, umana eppure colma della sag­gezza del divino. Lui parlava col linguaggio e l’accento di Geru­salemme.

«‘Oh, Signore, cosa posso fare per alleviare la tua pena?’ chiesi, perché la pena era evidente. Mi alzai. ‘Cosa hai fatto e perché?’

«‘Ho fatto esattamente quello che tu mi hai sfidato a fare, Memnoch’,rispose, e il suo volto ostentava il più sognante e ac­cattivante dei sorrisi. ‘Mi sono incarnato. Solo che ti ho supera­to. Sono nato da una donna mortale, piantando io stesso il seme dentro di lei; per trent’anni ho vissuto su questa terra prima co­me bambino, poi come uomo, e per lunghi periodi ho dubitato — no, persino dimenticato e cessato di credere — di essere davvero Dio!’

«‘Ti vedo, ti riconosco. Sei il Signore mio Dio’,sussurrai. Ero così colpito dal suo viso, dal fatto di riconoscerlo nella maschera di pelle che ricopriva le ossa del suo cranio. In un attimo treman­te rievocai la sensazione provata quando avevo intravisto il suo viso nella luce, e allora notai la stessa espressione in quel viso umano. M’inginocchiai. ‘Sei il mio Dio’,ripetei.

«‘Adesso lo so, Memnoch, ma cerca di capire che ho permes­so a me stesso d’immergermi completamente nella carne, di di­menticarlo, così da poter scoprire, come hai detto tu, cosa signi­fichi essere umano e cosa soffrano gli umani, cosa temano e cosa desiderino, e cosa siano in grado d’imparare qui o lassù. Ho fatto ciò che mi hai detto di fare, e l’ho fatto meglio di te, Memnoch: l’ho fatto come deve farlo Dio, portandolo alle estreme conse­guenze!’

«‘Signore, a stento posso sopportare la visione della tua soffe­renza’,proruppi, non riuscendo a staccare gli occhi da Lui eppu­re sognando acqua e cibo da offrirgli. ‘Lascia che ti asciughi il su­dore. Lascia che ti prenda dell’acqua. Lascia che ti porti fino all’acqua in un istante angelico. Lascia che ti conforti, ti lavi e ti aiuti a indossare una veste consona al Dio sulla terra.’

«‘No’,rifiutò. ‘Nei giorni in cui mi credevo pazzo, in cui ri­cordavo a malapena di essere Dio, in cui avevo rinunciato volutamente alla mia onniscienza per soffrire e conoscere i limiti, for­se saresti riuscito a convincermi che la strada era quella. Avrei potuto accettare la tua offerta. Sì, fa’ di me un re. Fa’ che sia quello il modo in cui Io mi manifesto a loro. Ma non adesso, non più. So Chi sono e Cosa sono, e so cosa succederà. E hai ragione, Memnoch, a Sheol ci sono anime pronte per il paradiso e Io stes­so le accompagnerò là. Ho appreso ciò che mi hai sfidato ad ap­prendere.’

«‘Signore, stai morendo di fame. Stai soffrendo una sete terri­bile. Ecco, col tuo potere trasforma queste pietre in pane, così da poter mangiare. Oppure lascia che io ti procuri del cibo.’

«‘Per una volta mi ascolterai!’ ribattè, sorridendo. ‘Smettila di parlare di cibo e bevande. Chi è umano, qui? Io! Tu, avversa­rio impossibile, Diavolo polemico! Per il momento, taci e ascol­ta. Mi sono fatto carne. Almeno abbi pietà e lasciami dire ciò che devo dire.’ Rise guardandomi, il volto colmo di gentilezza ed em­patia. ‘Ecco, incarnati anche tu, con me’,aggiunse. ‘Sii mio fra­tello e siediti accanto a me, Figlio di Dio con Figlio di Dio, e par­liamo.’

«Obbedii subito, creando con facilità un corpo identico a quello che vedi ora, perché mi era naturale come il pensare, e, mentre mi rivestivo di una tunica simile, mi resi conto di essere seduto su quel masso laggiù, al fianco di Dio. Ero più imponente di Lui, non avevo pensato a ridurre le dimensioni delle mie membra, perciò mi ci dedicai finché non fummo due uomini di proporzioni più o meno uguali. Io ero totalmente angelico nella mia forma, quindi non affamato né assetato né stanco.

«‘Da quanto tempo ti trovi in questo deserto?’ chiesi. ‘La gente di Gerusalemme dice da quasi quaranta giorni.’

«Lui annuì. ‘È quasi il numero giusto. E ormai è tempo che Io dia inizio alla mia missione, che durerà tre anni. Insegnerò le grandi lezioni che è necessario imparare per essere ammessi in paradiso: la consapevolezza della creazione, la comprensione del suo deliberato sviluppo; una conoscenza della sua bellezza e del­le sue leggi che renda possibile l’accettazione della sofferenza, dell’apparente ingiustizia e di ogni forma di dolore; prometterò una gloria finale a quanti riescono ad approdare alla compren­sione, a quanti riescono a dedicare la loro anima alla compren­sione di Dio e di ciò che ha fatto. La concederò a uomini e don­ne, il che è precisamente, credo, quello che tu volevi che Io fa­cessi.’

«Non osai fiatare.

«‘Amore, Memnoch, ho imparato ad amarli come mi avevi preannunciato. Ho imparato ad amare e a voler bene come fan­no uomini e donne, e ho giaciuto con donne e conosciuto quel­l’estasi, quella scintilla di esultanza di cui hai parlato in maniera così eloquente quando non riuscivo a immaginare di poter desi­derare una cosa tanto infima. Parlerò più dell’amore che di ogni altro argomento. Dirò cose che gli uomini e le donne potranno forse travisare e interpretare male. Tuttavia, amore, sarà quello il messaggio. Tu mi hai convinto e Io mi sono convinto che sia ciò che eleva l’umano al di sopra dell’animale, benché l’animale sia ciò che è l’umanità.’

«‘Hai intenzione di lasciare loro specifiche istruzioni su come amare? Su come fermare le guerre e allearsi in una forma di ve­nerazione...’

«‘No, niente affatto. Sarebbe un intervento assurdo e distrug­gerebbe il magnifico schema che ho messo in moto. Blocchereb­be le dinamiche dello sviluppo dell’universo. Memnoch, per me gli esseri umani sono ancora parte della natura, come ho già det­to, solo che gli umani sono meglio degli animali. È una questione di gradazioni. Sì, gli umani inveiscono contro la sofferenza e ne sono consapevoli quando soffrono, ma, in un certo senso, si comportano proprio come gli animali meno evoluti, perché la sofferenza li migliora e li conduce verso il progresso evolutivo. Sono abbastanza pronti d’ingegno per capirne il valore, mentre gli animali imparano semplicemente a evitare d’istinto la soffe­renza. Ma fanno comunque parte della natura. Il mondo si svi­lupperà come ha sempre fatto, pieno di sorprese. Alcune di que­ste sorprese saranno orribili, altre stupefacenti, altre ancora splendide. Ma quel che è certo è che il mondo continuerà a cre­scere e la creazione a sbocciare.’

«‘Sì, Signore, ma la sofferenza è sicuramente un male.’

«‘Cosa ti ho insegnato, Memnoch, la prima volta che sei ve­nuto da me dicendo che il decadimento era sbagliato, che la morte era sbagliata? Non riesci a vedere la magnificenza nella sofferenza umana?’

«‘No’,replicai. ‘Vedo la rovina della speranza, dell’amore e della famiglia; la distruzione della serenità mentale; vedo un do­lore intollerabile; vedo l’uomo piegarsi sotto questo fardello e piombare nell’amarezza e nell’odio.’

«‘Non hai guardato abbastanza a fondo, Memnoch. Sei solo un angelo. Ti rifiuti di capire la natura, e questo è stato il tuo at­teggiamento fin dall’inizio. Porterò la mia luce nella natura, attraverso la carne, per tre anni. Insegnerò le cose più sagge che posso conoscere e dire con questo corpo di carne e sangue e con questo cervello; e poi morirò.’

«‘Morirai? Perché? Cosa intendi per “morire"? La tua anima lascerà...’ Mi bloccai, incerto.

«Lui sorrise.

«‘Hai un’anima, vero, Signore? Voglio dire che sei il mio Dio all’interno di questo Figlio dell’Uomo, e la luce riempie ogni tua particella, ma Tu... Tu non hai un’anima, vero? Non hai un’ani­ma umana!’

«‘Memnoch, queste distinzioni non hanno nessuna impor­tanza. Io sono Dio Incarnato. Come potrei avere un’anima uma­na? L’importante è che resterò in questo corpo mentre viene tor­turato e ucciso; e la mia morte sarà la prova del mio amore per coloro che ho creato e ho lasciato soffrire così tanto. Condivi­derò e conoscerò il loro dolore.’

«‘Ti prego, Signore, perdonami, ma ho l’impressione che ci sia qualcosa di sbagliato in tutta quest’idea.’

«Lui parve divertito. Nei suoi occhi scuri brillava una risata comprensiva e silenziosa. ‘Sbagliato? Cosa c’è di sbagliato, Memnoch, nel fatto che assumerò la forma del Dio Morente del bosco che gli uomini e le donne immaginano, sognano e cantano da tempo immemorabile, un dio morente che simboleggia il ciclo della natura in cui tutto ciò che nasce deve poi morire? Mo­rirò e risorgerò, così come quel dio è risorto in ogni mito dell’e­terno ritorno della primavera dopo l’inverno, nelle nazioni del mondo intero. Sarò il dio distrutto e il dio assurto al cielo, solo che in questo caso succederà davvero, a Gerusalemme, non in una cerimonia o con sostituti umani. Il Figlio di Dio in persona trasformerà i miti in realtà. Ho scelto di santificare quelle leggen­de con la mia morte reale. Sorgerò dalla tomba. La mia resurre­zione confermerà l’eterno ritorno della primavera dopo l’inver­no. Confermerà che nella natura tutte le cose che si sono evolute hanno un loro posto. Ma, Memnoch, sarà per la mia morte che verrò ricordato. La mia morte. Sarà terribile. Non mi ricorderan­no per la mia resurrezione, puoi starne certo, perché quello è un evento che molti non vedranno o cui non crederanno mai. Inve­ce la mia morte, la mia morte, si trasformerà, in tutto il suo splen­dore, in una conferma della mitologia, sottolineata da tutti i miti che l’hanno preceduta, e sarà un sacrificio fatto da Dio per cono­scere il suo Creato. Proprio quello che tu mi hai esortato a fare.’

«‘No, no, Signore, aspetta, c’è qualcosa di sbagliato!’

«‘Dimentichi sempre chi sei e con chi stai parlando’,sottoli­neò gentilmente Lui, il misto di umano e divino che continuava a ossessionarmi mentre lo guardavo, ammaliato dalla sua bellezza e sbalordito dalla sua divinità, e sempre più sopraffatto dalla mia incrollabile certezza che tutto ciò fosse sbagliato. ‘Memnoch, ti ho appena detto quello che nessuno, a parte me, sa’,dichiarò. ‘Non parlarmi come se Io potessi avere torto. Non sprecare que­sti istanti col Figlio di Dio! Non puoi imparare da me nella carne così come hai imparato dagli umani nella carne? Non ho niente da insegnarti, mio amato arcangelo? Perché stai seduto qui a in­terrogarmi? Quale può mai essere il significato della tua parola, sbagliato?’

«‘Non lo so, Signore, non so cosa rispondere. Non riesco a trovare le parole necessarie. So solo che non funzionerà. Prima di tutto, chi compirà queste torture e questa uccisione?’

«‘Gli abitanti di Gerusalemme’,rispose. ‘Riuscirò a offendere tutti, gli ebrei tradizionalisti, i Romani insensibili... Tutti trove­ranno offensivo l’accecante messaggio del puro amore e di ciò che l’amore pretende dagli umani. Mostrerò disprezzo per gli usi e i costumi degli altri, per i loro rituali e le loro leggi. E cadrò pri­gioniero dei meccanismi della loro giustizia. Sarò condannato per tradimento perché parlo della mia natura divina, perché so­stengo di essere il Figlio di Dio, Dio Incarnato... e a causa del mio stesso messaggio verrò torturato in modo così elaborato da non poter essere mai dimenticato; e lo stesso dicasi della mia morte per crocifissione.’

«‘Crocifissione? Signore, hai mai visto degli uomini morire in questo modo? Sai quanto soffrono? Vengono inchiodati al legno e soffocano; penzolano dalla croce, a poco a poco s’indebolisco­no, incapaci di sollevare il proprio peso facendo leva sui piedi in­chiodati, e alla fine vengono asfissiati dal sangue e dal dolore.’

«‘Certo che li ho visti. È una diffusa forma di pena capitale. È ripugnante e molto umana.’

«‘Oh, no, no!’ gridai. ‘Non può essere. Non vorrai certo por­tare al culmine i tuoi insegnamenti con un fallimento e un’esecu­zione tanto spettacolari, con una simile crudeltà e con la morte stessa!’

«‘Questo non è un fallimento’,ribattè. ‘Memnoch, diventerò un martire in nome di ciò che insegno! L’agnello innocente è stato sacrificato al buon Dio fin da quando esistono gli umani! Restituiscono istintivamente a Dio ciò che considerano prezio­so, per dimostrargli il loro amore. Chi può saperlo meglio di te, che hai spiato i loro altari e ascoltato le loro preghiere e insistito perché le ascoltassi anch’Io? In loro il sacrificio e l’amore sono legati.’

«‘Signore, compiono i sacrifici per paura! Questo non ha niente a che vedere con l’amore di Dio. I sacrifici di ogni genere? I bambini sacrificati a Baal, e un centinaio di altri orrendi rituali sparsi per il mondo. Lo fanno per paura! Perché mai l’amore do­vrebbe richiedere un sacrificio?’ Mi ero tappato la bocca con le mani. Non riuscivo più a ragionare. Ero orripilato. Non potevo separare il filo del mio orrore dalla soffocante tessitura comples­siva. Poi ripresi a parlare, riflettendo ad alta voce. ‘È tutto sba­gliato, Signore. Il fatto che Dio debba essere tanto degradato nella forma umana è di per sé indicibile, ma che si permetta agli uomini di fare una cosa simile a Dio... Ma sapranno cosa stanno facendo, sapranno che sei Dio? Voglio dire che non potrebbe­ro... Signore, dovrà necessariamente essere fatto nella confusio­ne e nel malinteso. Questo significa caos, Signore! Oscurità!’

«‘Naturalmente’,disse. ‘Chi mai, nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, crocifiggerebbe il Figlio di Dio?’

«‘Allora cosa significa?’

«‘Significa che mi sono sottomesso all’umano per amore di coloro che ho creato. Mi sono fatto carne, Memnoch. Mi trovo nella carne da trent’anni. Vuoi spiegarti?’

«‘Morire in quel modo è sbagliato, Signore. È un’uccisione ripugnante, un sanguinoso e orribile esempio da offrire alla razza umana! E Tu stesso dici che ti ricorderanno per questo? Più che per la tua resurrezione dalla morte, per la luce di Dio che sgor­gherà dal tuo corpo umano e cancellerà questa sofferenza?’

«‘La luce non sgorgherà da questo corpo’,precisò. ‘Questo corpo morirà. Conoscerò la morte. Andrò a Sheol e per tre gior­ni rimarrò con coloro che sono morti, poi rientrerò in questo corpo e risorgerò. E, sì, sarà la mia morte che ricorderanno, per­ché come posso risorgere se non muoio?’

«‘Basta che tu non faccia nessuna delle due cose’,lo implorai. Te ne supplico. Non compiere questo sacrificio. Non immerger­ti nei loro peggiori rituali di sangue. Signore, ti sei mai almeno avvicinato al puzzo dei loro altari sacrificali? Sì, ti chiedevo sem­pre di ascoltare le loro preghiere, ma non volevo certo consi­gliarti di scendere dalla tua grande altezza per annusare il tanfo del sangue e dell’animale morto, o per vedere la muta paura nei suoi occhi mentre gli tagliano la gola! Hai visto i neonati scagliati all’interno del crudele dio Baal?’

«‘Memnoch, questo è l’atteggiamento nei confronti di Dio che l’uomo stesso ha sviluppato. In tutto il mondo i miti cantano lo stesso canto.’

«‘Sì, ma solo perché non sei mai intervenuto per fermare tut­to ciò, hai lasciato che accadesse, hai lasciato che questa umanità si evolvesse, e questi umani guardavano con orrore i loro antena­ti animali, osservavano la loro mortalità e cercavano di propiziar­si un dio che li ha lasciati in balia di tutto ciò. Signore, cercano un significato, ma non ne trovano nessuno in tutto questo. Nes­suno.’

«Mi guardò come se fossi completamente pazzo. Mi fissò in silenzio. ‘Mi deludi’,disse in tono sommesso e delicato. ‘Mi feri­sci, Memnoch, ferisci il mio cuore umano.’ Protese le mani irru­vidite e me le posò sul viso, le mani di un uomo che aveva lavora­to in questo mondo, faticato come io non avevo mai fatto duran­te la mia breve visita. Chiusi gli occhi. Non parlai. Ma qualcosa mi aveva colpito! Una rivelazione, un’intuizione, un’improvvisa comprensione di tutto ciò che c’era di erroneo; sarei riuscito a esprimerla in modo razionale? Sarei riuscito a parlare? Riaprii gli occhi, lasciando che Dio mi stringesse, sentendo i calli sulle sue dita, fissando il suo viso scarno. Quanto aveva digiunato, quanto aveva sofferto in questo deserto e quanto aveva faticato in quei trent’anni! Oh, no, tutto ciò era sbagliato!

«‘Cos’è sbagliato, mio arcangelo, cosa?’ mi chiese con infinita pazienza e desolazione umana.

«‘Signore, scelgono questi rituali che comportano sofferenza perché non possono evitare la sofferenza nel mondo naturale. È il mondo naturale che va superato! Perché mai qualcuno do­vrebbe patire ciò che patiscono gli umani? Signore, le loro anime giungono a Sheol deformate, contorte dal dolore, nere come tiz­zoni a causa dell’intenso calore della perdita, dell’infelicità e del­la violenza cui hanno assistito. La sofferenza è un male in questo mondo. La sofferenza è il decadimento e la morte. È terribile. Si­gnore, non puoi credere che soffrire in questo modo possa gio­vare a qualcuno. Questa sofferenza, questa indicibile capacità di sanguinare e conoscere il dolore e l’annientamento è ciò che dev’essere superato in questo mondo, se si vuole che qualcuno arrivi a Dio!’

«Lui non rispose subito. Abbassò le mani. ‘Mio angelo, susci­ti in me ancora più affetto, adesso che ho un cuore umano. Come sei ingenuo! Come sei estraneo alla vasta creazione materiale!’ esclamò poi.

«‘Ma sono stato io a sollecitarti a scendere qui! Come posso essere estraneo? Io sono l’osservatore! Vedo ciò che gli altri angeli non osano guardare per paura di piangere e per il timore che Tu possa infuriarti con loro.’

«‘Memnoch, semplicemente non conosci la carne. Il concetto è troppo complesso per te. Cosa pensi che abbia insegnato alle tue anime di Sheol la loro perfezione? Non è stata forse la sofferenza? Sì, forse vi entrano contorte e bruciate se non sono riusci­te a guardare al di là della sofferenza sulla terra, e alcune posso­no anche disperare e svanire. Ma a Sheol, nel corso di secoli di sofferenza e desiderio, altre vengono purgate e purificate. Mem­noch, la vita e la morte fanno parte del ciclo, e la sofferenza è il suo sottoprodotto. La capacità umana di conoscerla non dispen­sa nessuno! Memnoch, il fatto che le anime illuminate che hai portato da Sheol lo sapessero, il fatto che avessero imparato ad accettarne la bellezza, è ciò che le ha rese degne di varcare le por­te celesti!’

«‘No, Signore, non è vero!’ reagii. ‘Hai capito male. Hai capi­to male. Oh, ora so cos’è successo.’

«‘Davvero? Cosa stai cercando di dirmi? Che Io, il Signore Iddio, dopo aver trascorso trent’anni in questo corpo umano non ho scoperto la verità?’

«‘Ma è proprio questo il punto! Tu hai sempre saputo di esse­re Dio. Hai parlato di occasioni in cui ti credevi pazzo o lo di­menticavi quasi, ma erano periodi brevi! Troppo brevi! E ades­so, mentre pianifichi la tua morte, sai chi sei e non lo dimentiche­rai, vero?’

«‘No, non lo dimenticherò. Devo essere il Figlio di Dio In­carnato per poter compiere la mia missione, realizzare i miei mi­racoli. È questo il punto centrale.’

«‘Allora, Signore, non sai cosa significa essere carne!’

«‘Come osi presumere di saperlo tu, Memnoch?’

«‘Quando mi hai lasciato in quel corpo di carne, quando mi hai scaraventato giù perché le figlie degli uomini potessero cu­rarmi e accudirmi, nei primi secoli di vita umana su questa stessa terra, non mi hai promesso di accogliermi nuovamente in paradi­so. Signore, non stai giocando in modo leale in questo esperi­mento. Hai sempre saputo che tornerai indietro, che tornerai a essere Dio!’

«‘E chi meglio di me può capire cosa prova questa carne?’ chiese.

«‘Qualcuno che non ha l’assoluta certezza di essere l’immor­tale Creatore dell’universo’,risposi. ‘Qualsiasi uomo mortale ap­peso a una croce sul Golgota fuori Gerusalemme lo saprebbe meglio di te!’

«I suoi occhi divennero enormi mentre mi guardava. Ma non mi sfidò. Il suo silenzio m’innervosì. E, ancora una volta, la po­tenza della sua espressione e il fulgore di Dio nell’uomo mi acce­carono, e ordinarono all’angelo dentro di me di tacere e pro­strarsi ai suoi piedi. Tuttavia mi rifiutai di farlo!

«‘Signore, persino quando sono andato a Sheol, non sapevo se sarei mai tornato in paradiso. Non capisci? Non pretendo di avere la tua capacità di comprendere tutto. In caso contrario, non ci troveremmo qui a parlare. Però non mi avevi promesso che sarei stato riammesso in paradiso, capisci? Quindi la soffe­renza e l’oscurità mi hanno parlato e istruito, perché ho accettato il rischio di non venirne più fuori. Non capisci?’

«Lui riflette a lungo e poi scosse tristemente il capo. ‘Memnoch, sei tu quello che non ha capito. In quale occasione gli esse­ri umani sono più vicini a Dio di quando soffrono per l’amore re­ciproco, di quando muoiono affinchè un altro possa vivere, di quando si lanciano verso una morte certa per proteggere coloro che si lasciano dietro o le verità sulla vita che la creazione ha loro insegnato?’

«‘Ma il mondo non ha bisogno di tutto questo, Signore! No, no, no. Non ha bisogno del sangue, della sofferenza, della guer­ra. Non è stato questo a insegnare l’amore agli umani! Gli ani­mali s’infliggevano già reciprocamente tutta quella sanguinosa e orrenda sofferenza. Ad ammaestrare gli umani sono stati il calo­re e l’affetto reciproci, l’amore per un figlio, l’amore tra le braccia del compagno, la capacità di comprendere la sofferenza del prossimo e il desiderio di proteggerlo, di levarsi al di sopra dello stato selvaggio mediante la formazione di famiglie, clan, tribù che avrebbe significato pace e sicurezza per tutti!’

«Seguì un lungo silenzio. E poi, molto teneramente, Lui rise. ‘Memnoch, mio angelo. Ciò che hai imparato della vita lo hai im­parato a letto.’

«Per un attimo non risposi. Il commento era carico di di­sprezzo e umorismo, naturalmente. Poi parlai. ‘È vero, Signore. E la sofferenza è così terribile per gli umani, l’ingiustizia è così deleteria per il loro equilibrio mentale che può distruggere le le­zioni imparate a letto, per quanto magnifiche!’

«‘Oh, ma quando l’amore viene raggiunto tramite la sofferen­za, Memnoch, ha un potere che non potrebbe mai acquisire tra­mite l’innocenza.’

«‘Perché dici una cosa simile? Non ci credo! Penso che tu non capisca. Signore, ascoltami. Ho soltanto una possibilità di dimostrartelo a modo mio. Una sola.’

«‘Se pensi per un solo istante d’interferire nella mia missione e nel mio sacrificio, se pensi di poter deviare il corso delle enormi forze che già si stanno muovendo verso questo evento, allora non sei più un angelo, ma un demone!’ rispose.

«‘Non chiedo tanto’,esclamai. ‘Va’ sino in fondo. Predica, of­fendili; fatti arrestare, processare e giustiziare sulla croce, sì, fa’ tutto questo. Ma fallo come un uomo!’

«‘È ciò che intendo fare.’

«‘No, saprai sempre di essere Dio. Quello che ti sto dicendo è: dimentica di essere Dio! Seppellisci nella carne la tua natura divina, così come talvolta hai fatto. Seppelliscila, Signore, lasciando a te stesso solo la tua fede e la tua fiducia nel paradiso, come se ti fosse giunta attraverso la rivelazione, immensa e inne­gabile. Ma seppellisci in questo deserto l’incrollabile certezza di essere Dio. A quel punto, patirai tutto come lo patisce un uomo. A quel punto, scoprirai cos’è davvero questa sofferenza. A quel punto, all’agonia verrà strappata tutta la gloria! E vedrai ciò che vedono gli uomini quando la carne viene squarciata, lacerata, e il sangue scorre, e quel sangue è il tuo. È un’oscenità!’

«‘Memnoch, ogni giorno gli uomini muoiono sul Golgota. L’importante è che il Figlio di Dio muoia consapevolmente sul Golgota nel corpo di un uomo.’

«‘Oh, no, no! Questo è un disastro!’ gridai.

«All’improvviso, Lui parve così triste da farmi temere che potesse piangere per me. Le sue labbra erano riarse e screpolate dalla calura del deserto; le sue mani così magre che riuscivo a ve­derne le vene. Non era neppure un magnifico esemplare di uo­mo, solo un uomo comune, logorato da anni di fatica.

«‘Guardati’,gemetti, ‘affamato, assetato, sofferente, stanco, smarrito nelle tenebre della vita, preda dei concreti mali della natura, e sognando la gloria di quando lascerai questo corpo! Che tipo di lezione può rappresentare, questa sofferenza? E chi lascerai afflitto dal senso di colpa per la tua morte? Cosa ne sarà di tutti quei mortali che ti hanno rinnegato? No, ti prego, Signo­re, ascoltami. Se non rinunci alla tua natura divina, allora non farlo. Modifica questo piano. Non morire. Soprattutto, non farti uccidere! Non lasciarti appendere a un albero come il dio dei boschi nelle leggende greche. Vieni con me a Gerusalemme; im­para a conoscere le donne, il vino, i canti, i balli e la nascita dei bimbi, e tutta la gioia che il cuore umano può contenere ed esprimere! Signore, ci sono occasioni in cui gli uomini più coria­cei stringono tra le braccia un neonato, loro figlio, e la felicità e l’appagamento di questi momenti sono così sublimi che sulla ter­ra non esiste orrore capace di distruggere la serenità che prova­no! È questa la capacità umana di amare e comprendere! Si manifesta quando riesci a raggiungere l’armonia a dispetto di tutto, e gli uomini e le donne ci riescono, Signore. Davvero. Vieni, dan­za col tuo popolo. Canta con lui. Banchetta con lui. Abbraccia le donne e gli uomini, e conoscili carnalmente!’

«‘Ho pietà di te, Memnoch’,disse. ‘Ti compatisco così come compatisco i mortali che mi uccideranno e quanti fraintenderan­no le mie leggi. Ma sogno coloro che saranno toccati sino in fondo all’anima dalla mia sofferenza e non la dimenticheranno, e sa­pranno che amavo i mortali a tal punto da lasciarmi uccidere in mezzo a loro prima di aprire le porte di Sheol. Ti compatisco. Considerando ciò che provi, il tuo senso di colpa diventerà trop­po terribile per poterlo sopportare.’

«‘Il mio senso di colpa? Quale senso di colpa?’

«‘Sei tu la causa di tutto questo, Memnoch. Sei tu ad aver det­to che dovevo calarmi nella carne. Sei tu che mi hai sollecitato a farlo, che mi hai sfidato, e adesso non riesci a vedere il miracolo del mio sacrificio. E quando lo vedrai, quando vedrai salire al cielo le anime rese perfette dalla sofferenza, cosa penserai delle tue meschine e irrilevanti scoperte fatte tra le braccia delle figlie degli uomini? Cosa penserai? Non capisci? Riscatterò la soffe­renza, Memnoch! Le concederò la sua più grande e completa potenzialità all’interno del ciclo! La porterò a compimento. Le permetterò d’intonare il suo splendido canto!’

«‘No, no, no!’ gli urlai contro, alzandomi. ‘Signore, fa’ ciò che chiedo. Vai sino in fondo, sì, se devi, fonda questo miracolo su un omicidio, fallo in quel modo se è questo che vuoi, ma sep­pellisci la tua certezza della natura divina così da poter morire davvero, Signore, così da poter scoprire, quando ti conficcheran­no i chiodi in mani e piedi, quello che prova un uomo e niente di più, così da poter entrare nella tristezza di Sheol con un’anima umana! Ti prego, Signore, ti prego, te ne supplico. Te ne suppli­co per il bene dell’umanità intera. Non posso prevedere il futu­ro, ma non mi ha mai terrorizzato tanto come adesso.’» Mem­noch tacque improvvisamente.

Eravamo soli, fermi sulla sabbia, il suo sguardo perso in lonta­nanza e io immobile al suo fianco, profondamente scosso.

«Non lo ha fatto, vero, Memnoch? Dio è morto sapendo di essere Dio. È morto e risorto non smettendo mai di saperlo. Il mondo ne discute e s’interroga, ma Lui lo sapeva. Quando ven­nero piantati i chiodi, sapeva di essere Dio», esclamai.

«Sì. Era un uomo, ma quell’uomo non fu mai privo del potere di Dio», confermò Memnoch.

All’improvviso fui distratto da qualcosa. Memnoch sembrava troppo scosso per aggiungere altro, per il momento. Avvenne un cambiamento nel paesaggio. Guardai verso il cerchio di pietre e mi accorsi di una figura seduta lì, un uomo dalla pelle e dagli oc­chi scuri, emaciato e ricoperto dalla sabbia del deserto: ci stava guardando. E senza una sola fibra della sua carne che non fosse umana, era ovviamente Dio.

Rimasi pietrificato. Avevo perso la cognizione del tempo e dello spazio. Non sapevo come procedere o tornare indietro, o cosa fosse situato a destra o a sinistra. Ero pietrificato ma non spaventato, e quell’uomo con gli occhi scuri ci stava guardando con un’espressione di totale, tenera comprensione, manifestan­do la stessa illimitata accettazione di noi che avevo notato in Lui in paradiso, quando si era voltato e mi aveva afferrato le braccia.

Il Figlio di Dio.

«Vieni qui, Lestat», disse sommessamente, sovrastando il vento del deserto, con voce umana. «Avvicinati.»

Guardai Memnoch. Anche lui lo stava fissando, adesso, e fece un sorriso amaro. «Lestat, è sempre consigliabile, a prescindere da come Lui si stia comportando, fare esattamente ciò che dice.»

Bestemmia. Mi voltai, tremando, e mi avvicinai alla figura, consapevole di ogni passo strascicato sulla sabbia rovente, la for­ma scura e magra che mi appariva sempre più distinta, quella di un uomo stanco e sofferente. M’inginocchiai di fronte a Lui, le­vando lo sguardo verso il suo viso.

«Il Signore Vivente», sussurrai.

«Voglio che tu venga a Gerusalemme», disse. Allungò una mano e mi scostò i capelli dal viso, e la mano era come Memnoch l’aveva descritta, asciutta, callosa, scurita dal sole come la sua fronte. Ma la voce restava in un punto imprecisato tra il naturale e il sublime, sfoggiava un timbro che andava al di là dell’angeli­co. Seppur limitata ai suoni umani, era la voce che mi aveva par­lato in paradiso.

Non potevo rispondere. Non potevo fare nulla. Sapevo che non avrei fatto nulla finché non mi fosse stato detto di farlo. Memnoch rimase in disparte, a braccia conserte, osservando. E io rimasi inginocchiato, guardando dritto negli occhi Dio Incar­nato, rimasi inginocchiato completamente solo davanti a Lui.

«Vieni a Gerusalemme», ripetè. «Non ti ci vorrà molto, forse non più di qualche istante, ma vieni a Gerusalemme con Mem­noch nel giorno della mia morte, e osserva la mia Passione; cerca di vedermi incoronato di spine mentre trasporto la mia croce. Fallo per me, prima di decidere se servire Memnoch oppure il Signore Iddio.»

Ogni parte di me sapeva che non potevo farlo. Non potevo sopportarlo! Non potevo guardare. Non potevo. Ero paralizza­to. Disobbedienza, bestemmia, non erano questi i problemi. Non riuscivo a sopportare l’idea! Lo fissai, fissai il suo viso bruciato dal sole, i suoi occhi dolci e affettuosi, la sabbia attaccata a un lato della sua guancia. I suoi capelli scuri erano trascurati, ar­ruffati dal vento, scostati dal viso. No! Non posso farlo! Non rie­sco a sopportarlo!

«Oh, sì che puoi», disse Dio in tono rassicurante. «Lestat, mio audace, che porti la morte a così tanti, vorresti davvero tor­nare sulla terra senza la fugace visione di ciò che offro? Vorresti davvero rinunciare a questa occasione di vedermi incoronato di spine? Quando mai hai rifiutato una sfida? Pensa a cosa ti sto of­frendo. No, non ti tireresti mai indietro, nemmeno se Memnoch ti sollecitasse a farlo.»

Sapevo che aveva ragione, eppure sapevo anche di non poter­lo sopportare. Non potevo andare a Gerusalemme per vedere Cristo che portava la sua croce. Non potevo. Non potevo. Non ne avevo la forza, avrei... Rimasi in silenzio. Una ridda di pensieri mi condannavano a una confusione e a una paralisi totali. «Pos­so forse guardare una cosa simile?» chiesi. Chiusi gli occhi! Poi li riaprii e fissai di nuovo Dio e Memnoch, che si era avvicinato e guardava verso di me con un’espressione intima, fredda, mentre il suo viso era piuttosto sereno.

«Memnoch, portalo là, mostragli la strada, lascia che veda so­lo per un attimo. Fagli da guida, e poi procedi col tuo esame e il tuo appello», disse Dio Incarnato. Mi guardò e sorrise. Sembra­va un ricettacolo davvero fragile per la sua magnificenza. Un uo­mo con gli occhi circondati dalle rughe provocate dal sole arden­te, con i denti consumati, un uomo. «Ricorda, Lestat, questo è soltanto il mondo. Conosci il mondo. Sheol aspetta. Hai visto il mondo e il paradiso, ma non hai visto l’inferno», mi disse Dio.

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