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«Passeggiamo nella foresta mentre parliamo, se non ti dispia­ce», propose.

«Niente affatto.»

Si tolse qualche altro filo d’erba dall’abito, una tunica sottile che appariva semplice e neutra, un indumento che avrebbe po­tuto essere indossato il giorno prima come un milione di anni prima. La figura di Memnoch era poco più grande della mia, e forse più grande di quella della maggior parte degli umani; man­teneva ogni mitica promessa sulle caratteristiche di un angelo, solo che le ali bianche restavano diafane, conservando la loro foggia sotto un’imprecisata cappa d’invisibilità, apparentemente più per comodità che per altro.

«Non ci troviamo all’interno del tempo», mi svelò. «Non preoccuparti degli uomini e delle donne nella foresta. Non pos­sono vederci. Nessuno qui può vederci, ecco perché posso man­tenere la mia forma attuale. Non devo ricorrere allo scuro corpo diabolico che Dio ritiene appropriato alle manovre terrene, né all’Uomo Comune che rappresenta la mia scelta più discreta.»

«Vuoi dire che non avresti potuto apparirmi sulla terra nella tua forma angelica?»

«Non senza parecchie discussioni e suppliche, e, francamen­te, preferivo evitarlo, perché è troppo opprimente. Avrebbe fatto pendere troppo la bilancia in mio favore. In questa forma sem­bro troppo intrinsecamente buono; non posso entrare in paradi­so senza questa forma; Lui non vuole vedere l’altra, e non posso biasimarlo. E poi, sulla terra, è più facile andarsene in giro come l’Uomo Comune», spiegò.

Mi alzai vacillando, accettando la mano che mi offriva, salda e tiepida. In realtà il suo corpo sembrava solido com’era apparso quello di Roger poco prima che la sua visita terminasse. Avevo la sensazione che il mio corpo fosse completo, integro.

Non mi stupì scoprire che avevo i capelli molto aggrovigliati. Mi pettinai frettolosamente per rincuorarmi e mi spazzolai gli abiti... il completo scuro indossato a New Orleans, adesso pieno di minuscoli granelli di polvere e di fili d’erba, ma altrimenti im­peccabile. Il colletto della camicia era strappato, come se lo aves­si lacerato aprendolo concitatamente nel tentativo di respirare meglio. Per il resto, sembravo il solito dandy, fermo nel bel mez­zo di un giardino folto e lussureggiante, quasi una foresta, diver­sa da qualunque altra io avessi mai visto. Persino un esame su­perficiale dimostrava che non era una foresta pluviale ma qual­cosa di meno denso, benché altrettanto primitivo.

«Non all’interno del tempo», mormorai.

«Be’,lo attraversiamo a nostro piacimento, precediamo solo di qualche migliaio di anni la tua epoca, se proprio vuoi saper­lo», spiegò. «Ma, te lo ripeto, gli uomini e le donne che vagano qui nei paraggi non ci vedranno. Quindi non preoccuparti. E gli animali non possono farci del male. Noi qui siamo osservatori e non possiamo influire su niente. Vieni, conosco a menadito la zo­na e, se mi segui, scoprirai un comodo sentiero attraverso que­st’area selvaggia. Ho parecchio da dirti. Le cose intorno a noi co­minceranno a cambiare.»

«E questo tuo corpo? Non è un’illusione? È completo.»

«Noi angeli siamo invisibili per natura, cioè siamo immate­riali in termini di materia terrena o materia dell’universo fisico, o comunque tu voglia definirla. Ma la tua precedente ipotesi era esatta: abbiamo un corpo vero e proprio; e da una vastissima gamma di fonti possiamo trarre materia sufficiente per crearci un corpo completo, perfettamente funzionante, che in seguito possiamo frantumare e disperdere, come riteniamo più oppor­tuno.»

Avanzammo agevolmente sull’erba. I miei stivali, adatti all’in­verno newyorkese, non incontravano ostacoli sul terreno scon­nesso.

«Ciò che voglio dire è che questo non è un corpo preso in prestito né, a rigor di termini, un corpo artificiale. È il mio corpo quando è circondato e permeato di materia. In altre parole, rap­presenta il logico risultato della capacità della mia essenza di atti­rare a sé tutti i vari elementi che le servono», continuò Mem­noch, fissandomi dall’alto — mi superava di sette centimetri — coi suoi enormi occhi a mandorla.

«Vuoi dire che hai questo aspetto perché hai questo aspet­to.»

«Precisamente. Il corpo diabolico è una punizione, mentre l’Uomo Comune è un sotterfugio; invece il mio vero aspetto è questo. C’erano angeli identici a me in tutto il paradiso. La tua attenzione si è concentrata sulle anime umane, lassù, ma c’erano anche gli angeli.»

Cercai di ricordare. C’erano stati esseri più imponenti, alati? Pensavo di sì, ma non ne ero sicuro. Il beatifico tuono del paradi­so mi rimbombò all’improvviso nelle orecchie. Provai la gioia, il senso di sicurezza e soprattutto la soddisfazione di tutti coloro che vi prosperavano. Ma angeli, no, non ne avevo notati.

«Assumo la mia forma attuale quando mi trovo in paradiso o al di fuori del tempo», continuò Memnoch. «Quando sono da solo, per così dire, e non diretto verso la terra. Altri angeli, Mi­chele, Gabriele, chiunque di loro può apparire sulla terra nella propria forma glorificata, volendo. Ancora una volta, sarebbe naturale. La materia attratta dalla loro forza magnetica li forgia in modo che appaiano all’apice della bellezza, come Dio li ha creati. Tuttavia non permettono quasi mai che ciò accada. Se ne vanno in giro come Uomini Comuni e Donne Comuni, semplice­mente perché è molto più facile. Sopraffare di continuo gli esseri umani non serve ai nostri scopi; né a quello del Signore né al mio.»

«È questa la domanda cruciale. Qual è lo scopo? Cosa stai fa­cendo, se non sei malvagio?»

«Lasciami cominciare dalla creazione. Voglio dirti subito che non so da dove sia venuto Dio, o perché, o come. Nessuno lo sa. Gli scrittori mistici, i profeti della terra, induisti, zoroastriani, ebrei, egiziani... tutti hanno riconosciuto l’impossibilità di com­prendere l’origine di Dio. Per me, non è questo il problema e non lo è mai stato, anche se sospetto che alla fine del tempo lo scopriremo.»

«Vuoi dire che Dio non ha promesso che scopriremo da dove è venuto?»

«Sai una cosa?» ribattè lui, sorridendo. «Non credo che lo sappia. Penso che sia questo il vero scopo dell’universo fisico. Dio è convinto che, osservando l’evolversi dell’universo, lo sco­prirà. Ciò che ha messo in moto, capisci, è un gigantesco giardi­no selvaggio, un ciclopico esperimento, per vedere se il risultato finale produce esseri come Lui. Siamo fatti a sua immagine, tutti noi; è antropomorfo, senza alcun dubbio, ma non è materiale.»

«E quando in paradiso è arrivata la luce, quando ti sei ripara­to gli occhi, quello era Dio.»

Lui annuì. «Dio, il Padre, Allah, l’Essenza, Brahma, Aten, il Buon Dio, En Sof, Yahweh, Dio!»

«Allora come può essere antropomorfo?»

«La sua essenza ha una forma, proprio come la mia. Noi, le sue prime creazioni, siamo state fatte a sua immagine. Così ci ha detto. Ha due gambe, due braccia, una testa. Ci ha reso immagi­ni invisibili di questa struttura. E poi ha messo in moto l’univer­so per analizzare lo sviluppo di quella forma attraverso la mate­ria, capisci?»

«Non completamente.»

«Credo che Dio abbia lavorato a ritroso, partendo dall’imma­gine di se stesso. Creò un universo fisico le cui leggi avrebbero prodotto l’evoluzione di creature che gli somigliavano. Sarebbe­ro state fatte di materia. Ma con una notevole, importante diffe­renza. Oh, ma poi ci furono così tante sorprese. Sai già come la penso. Il tuo amico David lo ha scoperto per caso quando era un uomo. Credo che il piano di Dio sia miseramente fallito.»

«Sì, David ha detto così, ha detto che secondo lui gli angeli consideravano gravemente sbagliato il piano di Dio per la crea­zione.»

«Sì. Penso che in origine lo abbia fatto per scoprire cosa sa­rebbe successo se Lui fosse stato fatto di materia. E inoltre credo che stesse cercando un indizio su come fosse arrivato lì dov’è, e sul perché avesse la forma che ha, cioè simile alla mia o alla tua. Osservando l’evoluzione dell’uomo, spera di comprendere la propria, ammesso che una cosa simile si sia davvero verificata. E se ciò abbia funzionato o no come Lui desiderava, be’,soltanto tu puoi giudicarlo.»

«Aspetta un attimo», intervenni. «Ma se Lui è spirituale e fatto di luce, o fatto di niente, allora cosa gli ha dato l’idea inizia­le per la materia?»

«Ah, quello è il mistero cosmico. Secondo me, la sua immagi­nazione ha creato la materia, l’ha prevista o l’ha desiderata con intensità. E credo che il desiderarla fosse una caratteristica assai importante della sua mente. Vedi, Lestat, se Lui stesso ha avuto origine nella materia, allora tutto questo è un esperimento volto a scoprire se essa può evolversi nuovamente in Dio. Se invece Lui non ha dato origine alla materia, se Lui ha proseguito e la materia è qualcosa che Lui ha immaginato e desiderato e agogna­to, be’,gli effetti su Dio sono basilarmente gli stessi. Voleva la materia, non era soddisfatto senza di essa. Altrimenti non l’a­vrebbe creata. Non è stato un caso, te l’assicuro. Ma, bada bene, non tutti gli angeli concordano su quest’interpretazione, alcuni non sentono il bisogno di nessuna interpretazione, e altri hanno teorie molto diverse. Questa è la mia teoria e, visto che sono il Diavolo, e lo sono da secoli, visto che sono il Nemico, il Principe delle Tenebre, il Dominatore del mondo degli uomini e dell’in­ferno, penso che meriti di essere citata. Penso che meriti di esse­re creduta. Così, adesso, conosci il mio credo. Il disegno dell’u­niverso è immenso, per usare un blando eufemismo, ma l’intero processo dell’evoluzione ha rappresentato l’esperimento preme­ditato di Dio, e noi, gli angeli, siamo stati creati molto prima che iniziasse.»

«Com’era, prima che nascesse la materia?»

«Non posso dirtelo. Lo so, ma, a rigor di termini, non lo ri­cordo. Il motivo è semplice: quando fu creata la materia, fu crea­to anche il tempo. Tutti gli angeli cominciarono a esistere non so­lo nella perfezione paradisiaca con Dio, ma anche per fungere da testimoni ed essere inglobati nel tempo. Ora possiamo uscirne, e fino a un certo punto riesco a rammentare quando non esisteva il richiamo della materia o del tempo; ma ormai non posso più dir­ti come fosse quello stadio iniziale. La materia e il tempo hanno mutato ogni cosa in maniera radicale. Non hanno semplicemen­te cancellato il puro stato che li ha preceduti, lo hanno fatto pas­sare in secondo piano; lo hanno sminuito; lo hanno, come posso dire...»

«Eclissato.»

«Precisamente. La materia e il tempo hanno eclissato il tem­po stesso prima del tempo.»

«Ma ricordi di essere stato felice?»

«Domanda interessante. Ho il coraggio di dirlo?» chiese a se stesso, continuando a meditare. «Ho il coraggio di dire che ri­cordo il desiderio, l’incompiutezza, più di quanto ricordi la feli­cità totale? Ho il coraggio di dire che c’era meno da capire? Non puoi sottovalutare l’effetto che ebbe su di noi la creazione dell’u­niverso fisico. Pensa per un attimo, se ci riesci, a cosa significa il tempo e a come saresti infelice senza di esso. No, non mi sono espresso bene. Quello che voglio dire è che, senza il tempo, non potresti essere consapevole di te stesso, in termini sia di fallimen­to, sia di successo, sia di qualunque spostamento in avanti o all’indietro, sia di qualunque effetto.»

«Capisco. Un po’ come gli anziani che hanno perso così tanta intelligenza da non ricordare l’istante appena trascorso. Sono co­me vegetali, con gli occhi sgranati, ma non sono più umani insieme col resto della razza, perché non hanno più la consapevolezza di niente... né di se stessi né di chiunque altro.»

«Un’analogia perfetta. Ma ti assicuro che individui così an­ziani e feriti hanno ancora un’anima, che a un certo punto ces­serà di dipendere dal loro cervello menomato.»

«Anima!»

Camminavamo lenti ma a ritmo costante, e io cercavo di non lasciarmi distrarre dalla vegetazione e dai fiori; però i fiori mi hanno sempre affascinato e là ne vidi alcuni di dimensioni tali che il nostro mondo avrebbe sicuramente trovato poco pratiche e impossibili da sostentare. Eppure, queste erano specie di alberi che conoscevo; questo era il mondo com’era stato un tempo.

«Sì, hai ragione. Riesci a sentire il tepore intorno a te? Questa è un’epoca di mirabile sviluppo evolutivo sul pianeta. Quando gli uomini parlano di Eden o paradiso, ‘ricordano’ quest’epo­ca.»

«L’Era Glaciale deve ancora arrivare.» «Sta per giungere la seconda. Decisamente. E poi il mondo si rinnoverà e l’Eden tornerà. Durante tutta l’Era Glaciale gli uomini e le donne si evolveranno. Ma, tieni presente, naturalmente, che persino a questo punto la vita come noi la conosciamo esiste già da milioni di anni!»

Mi fermai e mi coprii il viso con le mani, cercando di riflettere sull’intera questione. (Se volete farlo anche voi, vi basta rileggere le ultime due pagine.)

«Ma Lui sapeva cos’era la materia!» esclamai.

«No, non ne sono sicuro», mi contraddisse Memnoch. «Prese quel seme, quell’uovo, quell’essenza e gli diede una forma che di­venne la materia! Tuttavia non so con quanta precisione abbia previsto cosa avrebbe significato tutto ciò. Vedi, è quello il noc­ciolo della nostra grande controversia. Credo che Lui non sia in grado di prevedere le conseguenze delle sue azioni! Credo che non vi presti attenzione! È questo il fulcro della grande disputa!»

«Quindi avrebbe creato la materia, scoprendo cos’era mentre lo faceva.»

«Sì, materia ed energia che, come sai, sono intercambiabili; le ha create, e sospetto che la chiave per comprendere Dio sia rac­chiusa nella parola ‘energia’,sospetto che, se mai l’anatomia umana raggiungerà il punto in cui gli angeli e Dio potranno esse­re spiegati in modo soddisfacente col linguaggio umano, l’ener­gia rappresenterà la chiave.»

«Così Lui era energia e, nel creare l’universo, fece in modo che parte di quell’energia si trasformasse in materia», ricapitolai.

«Sì, e fece in modo di creare uno scambio circolare indipen­dente da Lui. Ma naturalmente nessuno ci disse tutto questo, al­l’inizio. Lui non lo disse. Credo che lo ignorasse. Noi sicuramen­te non lo sapevamo. Sapevamo soltanto che eravamo abbagliati dalle sue creazioni, sbalorditi dal tatto, dal gusto, dal calore, dal­la solidità e dall’attrazione gravitazionale della materia nella sua battaglia con l’energia. Sapevamo solo ciò che vedevamo.»

«Ah, e avete visto l’universo prendere forma. Avete visto il Big Bang.»

«Usa quel termine con scetticismo. Sì, abbiamo visto l’univer­so prendere vita; abbiamo visto ogni cosa mettersi in movimen­to, per così dire. E ne restammo intimiditi! Ecco perché quasi tutte le prime religioni apparse sulla terra celebrano la maestosità, la magnificenza, la grandezza e la genialità del Creatore; ec­co perché i primi inni mai composti sulla terra cantano la gloria di Dio. Restammo impressionati, proprio come lo sarebbero sta­ti in seguito gli umani, e nelle nostre menti angeliche Dio era on­nipotente, meraviglioso e incomprensibile prima che nascesse l’uomo. Ma, ti ricordo, soprattutto mentre camminiamo in que­sto magnifico giardino, che abbiamo assistito a milioni di esplosioni e trasformazioni chimiche, sconvolgimenti che coinvolsero molecole inorganiche prima ancora che la ‘vita’,come noi la co­nosciamo, avesse inizio.»

«Le catene montuose erano qui.»

«Sì.»

«E le piogge?»

«Torrenti su torrenti di pioggia.»

«I vulcani eruttarono.»

«Senza sosta. Non puoi neanche immaginare quanto fossimo affascinati. Guardavamo l’atmosfera addensarsi e svilupparsi, osservandola mentre la sua composizione cambiava. E poi, più tardi, giunsero quelle che per tua comodità chiamerò le Tredici Rivelazioni dell’evoluzione fisica. E per rivelazione intendo ciò che, nel corso del processo, venne rivelato agli angeli, a quelli tra noi che osservavano, a noi. Potrei raccontartelo in modo più det­tagliato, accompagnarti all’interno di ogni specie elementare di organismi che mai abbiano prosperato in questo mondo, ma non te ne ricorderesti. Ti dirò solo ciò che puoi ricordare, in modo che tu possa prendere una decisione mentre sei ancora vivo.»

«Sono vivo?»

«Naturalmente, sì. La tua anima non ha mai sperimentato la morte fisica; non ha mai lasciato la terra, se non con me grazie a una speciale dispensa per questo viaggio. Sai di essere vivo. Sei Lestat de Lioncourt, anche se il tuo corpo è stato modificato dal­l’invasione di uno spirito alieno e alchemico, di cui tu stesso hai messo per iscritto la storia e le sventure.»

«Per venire con te... per decidere di seguirti... devo morire, vero?»

«Certo», rispose.

Mi trovai di nuovo paralizzato, le mani premute con forza sulle tempie. Fissai l’erba sotto i miei stivali. Percepii la luce, simile a uno sciame di insetti radunati nel sole, che scendeva su di noi. Guardai il riflesso del fulgore e della foresta verdeggiante negli occhi di Memnoch.

Lui sollevò una mano molto lentamente, come per lasciarmi la possibilità di scostarmi, e poi me la posò sulla spalla. Amavo si­mili gesti, i gesti rispettosi. Cercavo spesso di farli anch’io.

«Hai la facoltà di scelta, ricordi? Puoi tornare a essere esatta­mente ciò che sei ora.»

Non riuscii a rispondere. Sapevo cosa stavo pensando. Im­mortale, materiale, legato alla terra, vampiro. Ma non lo espressi a parole. Com’era possibile che qualcuno potesse tornare da tutto ciò? E rividi ancora una volta il viso di Dio e risentii le sue paro­le. Non saresti mai mio nemico, vero?

«Stai reagendo benissimo a ciò che ti dico. Me lo immagina­vo, per diversi motivi», dichiarò Memnoch in tono appassio­nato.

«Perché?» chiesi. «Dimmi perché. Ho bisogno di essere ras­sicurato. Sono troppo logorato da tutti i pianti e balbettii prece­denti, pur dovendo confessare che non ho molta voglia di parla­re di me.»

«Ciò che sei fa parte di ciò che stiamo facendo», affermò.

Avevamo raggiunto un’enorme ragnatela, sospesa, grazie a spessi filamenti scintillanti, sopra il nostro ampio sentiero. Ri­spettosamente, Memnoch chinò il capo sotto di essa anziché di­struggerla, abbassando le ali a ridosso del suo corpo, e io lo imi­tai.

«Sei curioso, è questa la tua virtù», continuò. «Vuoi sapere. È quello che ti disse il tuo Marius; disse che, avendo vissuto per migliaia di anni o, be’,quasi... avrebbe risposto alle tue domande di giovane vampiro perché venivano poste davvero! Tu volevi davvero sapere. Ed è questo che ti ha reso così attraente anche ai miei occhi, portandomi da te. Nonostante la tua insolenzà, volevi sapere! Sei stato orribilmente offensivo nei confronti miei e di Dio, di continuo, ma lo stesso si può dire di chiunque altro viva nella tua epoca. Non è certo insolito, solo che nel tuo caso hai manifestato un’incredibile e genuina curiosità e meraviglia. Hai visto il giardino selvaggio, invece di assumere semplicemente un ruolo là. Quindi ciò è legato al motivo per cui ti ho scelto.»

«D’accordo», concessi, sospirando. Era logico. Naturalmen­te ricordavo Marius che mi si rivelava. Lo ricordavo mentre dice­va proprio le cose cui Memnoch aveva accennato. E sapevo an­che che il mio profondo amore per David, e per Dora, era imper­niato su tratti molto simili presenti in entrambi: una curiosità in­trepida e pronta ad accettare le conseguenze delle risposte!

«Dio, la mia Dora sta bene?»

«Ah, la facilità con cui ti lasci distrarre continua a sorpren­dermi. Proprio quando penso di averti davvero sbalordito e di aver completamente catturato la tua attenzione, tu fai un passo indietro ed esigi che ti risponda, alle tue condizioni. Non è una violazione alla tua curiosità, ma un mezzo per assumere il con­trollo delle domande, per così dire.»

«Mi stai dicendo che devo dimenticarmi di Dora, per il mo­mento?»

«Farò di meglio. Non hai motivo di preoccuparti. I tuoi ami­ci, Armand e David, l’hanno trovata e stanno badando a lei, sen­za rivelarsi.» Sorrise con aria rassicurante e fece un lieve, dub­bioso, forse ammonitore, cenno del capo. «Ah, non devi dimen­ticare che la tua preziosa Dora dispone di straordinarie risorse fi­siche e mentali. Potresti benissimo aver già esaudito i desideri di Roger. La fede di Dora in Dio l’ha differenziata dagli altri, anni fa; adesso ciò che le hai mostrato ha semplicemente rafforzato la sua dedizione a tutto ciò in cui crede. Non voglio più parlare di lei. Voglio continuare a descrivere la creazione», dichiarò.

«Sì, te ne prego.»

«Dov’eravamo rimasti? C’era Dio e noi eravamo con Lui. Avevamo forme umane, ma non le definivamo tali perché non le avevamo mai viste in forma materiale. Eravamo consapevoli del­le nostre membra, delle nostre teste, delle nostre figure, e di una sorta di movimento, che è puramente celestiale ma che riunisce tutte le nostre parti in un insieme armonioso, fluido. Eppure non sapevamo nulla della materia o della forma materiale. Poi Dio creò l’universo e il tempo. Be’,restammo sbigottiti e nel contem­po affascinati! Completamente affascinati! Dio ci disse: ‘Osservate, perché ciò che vedrete sarà magnifico e supererà le vostre idee e aspettative, così come le mie’.»

«Dio disse questo?»

«Sì, a me e agli altri angeli. ‘Osservate.’ E se riesamini le Scrit­ture, scoprirai che uno dei primi appellativi usati per noi, gli an­geli, era osservatori.»

«Sì, in Enoch e in molti testi ebraici.»

«Esatto. E considera le altre religioni del mondo, i cui simbo­li e il cui linguaggio ti sono meno familiari; noterai che nelle di­verse cosmologie ricorrono esseri simili, un’antica razza di crea­ture simili a Dio che esaminarono o precedettero gli esseri uma­ni. È tutto alquanto confuso, ma, in un certo senso, è già tutto spiegato. Eravamo i testimoni della creazione di Dio. L’avevamo preceduta, quindi non avevamo assistito alla nostra. Ma eravamo là quando Lui creò le stelle!»

«Stai dicendo che le altre religioni hanno la stessa validità di quella cui ci stiamo riferendo? Stiamo parlando di Dio e di No­stro Signore come se fossimo cattolici europei...»

«È tutto alquanto confuso, in innumerevoli testi disseminati nel mondo intero. Ci sono testi, ormai irrecuperabili, che conte­nevano informazioni molto accurate sulle tesi cosmologiche; e testi conosciuti dagli uomini; e altri che sono stati dimenticati ma che possono essere riscoperti, col tempo.»

«Ah, col tempo.»

«Essenzialmente è la stessa storia. Ma ascolta qual è la mia opinione in proposito e non avrai nessuna difficoltà a conciliarla coi tuoi punti di riferimento e con la simbologia che ti è più familiare.»

«Ma la validità delle altre religioni! Stai dicendo che l’essere che ho visto in paradiso non era Cristo!»

«Non ho detto una cosa del genere. In realtà, ho detto che Lui era Dio Incarnato. Abbi pazienza che ci arriviamo!»

Eravamo usciti dalla foresta e ci trovavamo su quello che sem­brava il limitare di un veldt. Per la prima volta, intravidi gli uma­ni il cui odore mi aveva distratto: una banda lontana di nomadi vestiti in modo succinto che avanzavano a ritmo costante sull’er­ba. Dovevano essere una trentina, forse meno.

«E l’Era Glaciale deve ancora arrivare», ripetei. Ruotai più volte su me stesso, cercando di assorbire e memorizzare i dettagli degli enormi alberi. Ma persino mentre lo facevo, mi resi conto che la foresta era cambiata.

«Osserva attentamente gli esseri umani», mi suggerì Memnoch. «Guarda.» Indicò con un dito. «Cosa vedi?»

Strinsi gli occhi ed evocai i miei poteri vampireschi per studia­re la scena più da vicino. «Uomini e donne, che sembrano molto simili a quelli odierni. Sì, direi che questo è l’Homo sapiens sapiens. Direi che appartengono al mio stadio evolutivo.»

«Esatto. Cosa noti di peculiare nei loro volti?»

«Che ostentano espressioni ben distinte che sembrano mo­derne, o almeno leggibili per una mente moderna. Alcuni sono accigliati; altri stanno parlando; altri due sembrano immersi nel­le loro riflessioni. L’uomo dai capelli arruffati che rimane indie­tro sembra infelice. E una donna, la donna col seno enorme... sei sicuro che non possa vederci?»

«Non può. Sta solo guardando in questa direzione. Cosa la differenzia dagli uomini?»

«Be’,il seno, ovviamente, e il fatto che sia glabra. Gli uomini hanno la barba. I capelli di lei sono più lunghi, naturalmente, e be’,è carina; ha un’ossatura minuta e tratti femminei. Al contra­rio delle altre, non stringe a sé un bimbo di pochi mesi; dev’esse­re la più giovane oppure non ha ancora partorito.»

Lui annuì.

Sembrava che lei potesse vederci; stava strizzando gli occhi come facevo io. Il suo viso era allungato, ovale, quello che un ar­cheologo avrebbe definito cromagnoniano; non c’era niente di scimmiesco in lei o nella sua stirpe. Non aveva la carnagione chiara, la sua pelle era color oro scuro, simile a quella dei popoli semitici o arabi, simile alla pelle di Dio nell’alto dei cieli. I suoi capelli scuri fluttuavano in modo leggiadro nel vento, mentre si voltava e avanzava.

«Queste persone sono tutte nude», osservai.

Memnoch emise una breve risata.

Rientrammo nella foresta e il veldt svanì. L’aria era densa, umida e profumata.

Sopra di noi svettavano immense conifere e felci. Non avevo mai visto felci di quelle dimensioni, le enormi fronde nettamente più grandi delle foglie dei banani; quanto alle conifere, potevo paragonarle soltanto alle gigantesche, barbariche sequoie delle foreste della California occidentale, alberi che hanno sempre su­scitato in me un senso di solitudine e timore.

Lui continuò a guidarmi, dimentico di quella brulicante giun­gla tropicale che stavamo attraversando. Alcuni esseri ci sfreccia­vano accanto; si udivano ruggiti in lontananza. La terra era rico­perta di uno strato di vegetazione verde, vellutata, irregolare, e talvolta sembrava costellata di rocce vive!

All’improvviso, percepii una brezza piuttosto fredda e voltai la testa per guardarmi alle spalle. Il veldt e gli umani erano svani­ti da tempo. Le felci nell’ombra si levavano così folte dietro di noi che mi ci volle un istante per capire che la pioggia stava ca­dendo dal cielo, molto più su, colpendo il fogliame più in alto e toccandoci solo col suo rumore fioco, rilassante.

Gli esseri umani non erano mai stati in questa foresta, ne ero sicuro, ma che tipo di mostri vi abitavano, pronti a balzare fuori dalle ombre?

«Ora, permettimi di passare ai dettagli o a ciò che ho ordina­tamente suddiviso nelle Tredici Rivelazioni dell’evoluzione, così come gli angeli le hanno percepite e comprese dal disegno divi­no. Tieni presente che parleremo sempre e solo di questo mon­do; pianeti, stelle, altre galassie non hanno nulla a che vedere con la nostra conversazione», precisò Memnoch, scostando age­volmente col braccio destro il fitto fogliame mentre continuava­mo a camminare.

«Vuoi dire che siamo l’unica forma di vita presente nell’intero universo?»

«Voglio dire che il mio mondo, il mio paradiso e il mio Dio rappresentano tutto ciò che so.»

«Capisco.»

«Come ti ho già detto, assistemmo a complessi processi geo­logici; vedemmo sorgere le montagne, formarsi i mari, spostarsi i continenti. I nostri inni di lode e di meraviglia erano intermina­bili. Non puoi immaginare il canto in paradiso; ne hai avuto un semplice assaggio in un paradiso pieno di anime umane. All’epo­ca c’erano solo i nostri cori celesti, e ogni nuovo sviluppo susci­tava relativi salmi e cantici. Il suono era diverso. Non migliore, no, solo diverso. Nel frattempo, eravamo molto indaffarati, ca­landoci nell’atmosfera terrestre, ignari della sua composizione, e perdendoci nella contemplazione dei vari dettagli. Le minuzie della vita ci richiedevano un livello di concentrazione che non esisteva nel reame celeste.»

«Vuoi dire che lassù era tutto semplice e chiaro.»

«Illuminato accuratamente e completamente; l’amore di Dio non era affatto accentuato, ampliato o complicato da questioni legate a minuzie.»

Avevamo raggiunto una cascata impetuosa, che precipitava in uno specchio d’acqua gorgogliante. Mi fermai per un attimo, rin­frescato dal vapore acqueo che mi colpiva viso e mani. Memnoch parve apprezzarla quanto me.

Notai per la prima volta che era scalzo. Fece scivolare un pie­de nell’acqua, che guardò mulinare intorno alle dita. Le unghie del suo piede erano color avorio, perfettamente curate. Mentre fissava l’acqua gorgogliante, le sue ali divennero visibili, solle­vandosi sino a formare enormi picchi sopra di lui, e io vidi scin­tillare l’umidità che a poco a poco rivestiva le piume. Ci fu un improvviso trambusto; le ali parvero serrarsi, proprio come quel­le di un uccello, e ripiegarsi dietro di lui per poi scomparire.

«Adesso prova a immaginare le legioni di angeli, le moltitudi­ni di ogni rango — perché vi è una gerarchia celeste — che scendo­no su questa terra per innamorarsi di qualcosa di semplice come l’acqua spumeggiante che vediamo dinanzi a noi, o il colore can­giante della luce solare mentre penetra nei gas che circondano il pianeta», riprese.

«Era più interessante del paradiso?»

«Sì. Si è costretti a rispondere di sì. Certo, al rientro, ci si sen­te pienamente soddisfatti del paradiso, soprattutto quando Dio è contento; ma presto si riaffaccia il desiderio, l’innata curiosità, e i pensieri sembrano accumularsi nelle nostre menti. In questo mo­do acquistiamo la consapevolezza di avere una mente, ma lascia­mi arrivare alle Tredici Rivelazioni.

«La Prima Rivelazione fu la trasformazione delle molecole inorganiche in molecole organiche; il passaggio dalla roccia alla minuscola molecola vivente, per così dire. Dimentica questa fo­resta, all’epoca non esisteva. Osserva piuttosto lo specchio d’ac­qua. Fu in pozze come questa, intrappolate nelle mani della montagna, tiepide, agitate e piene di gas provenienti dalle forna­ci della terra, che nacquero queste cose... che apparvero le prime molecole organiche. Un clamore si levò verso il cielo. ‘Signore, guarda cos’ha fatto la materia.’ E l’Onnipotente fece il suo con­sueto, radioso sorriso di approvazione.

«‘Aspettate e osservate’,disse di nuovo e, mentre guardava­mo, giunse la Seconda Rivelazione; le molecole cominciarono a riunirsi in tre diverse forme di materia: cellule, enzimi e geni. In realtà, non appena comparve la forma unicellulare di queste particelle, cominciarono ad apparire anche le forme pluricellulari; e ciò che avevamo intuito grazie alle prime molecole organiche di­venne allora evidente: una scintilla di vita animava queste cose; avevano uno scopo, per quanto rudimentale, ed era come se po­tessimo distinguere quella scintilla di vita e riconoscerla come una minuscola prova dell’essenza di vita che noi già possedeva­mo in abbondanza! In breve, il mondo fu invaso da uno scompi­glio di tipo completamente nuovo; e mentre guardavamo questi minuscoli esseri pluricellulari che andavano alla deriva nell’ac­qua, si fondevano per formare le alghe più primitive o i funghi, riuscimmo a vedere verdi cose viventi aggrapparsi alla terra stes­sa! Dall’acqua affiorò la fanghiglia che si era abbarbicata per mi­lioni di anni alle sue sponde. E da questi esseri verdi e striscianti spuntarono le felci e le conifere che vedi tutt’intorno a noi, cre­scendo fino a raggiungere dimensioni ragguardevoli. Ora, gli an­geli hanno proprie dimensioni. Potemmo camminare sotto que­sti elementi nel mondo ricoperto di vegetazione. Se vuoi, riascol­ta, nella tua immaginazione, gli inni di lode che si levarono verso il cielo; se vuoi, ascolta la gioia di Dio, percependo tutto tramite il Suo intelletto e tramite i cori, i racconti e le preghiere dei suoi angeli! Gli angeli cominciarono a diffondersi su tutta la terra e a trarre diletto da determinati luoghi; alcuni preferivano le montagne, altri le profonde vallate; alcuni le acque, altri le foreste piene di ombre e verdi sfumature.»

«Così divennero come gli spiriti dell’acqua o quelli dei bo­schi: gli spiriti che in seguito gli uomini giunsero a venerare», os­servai.

«Proprio così. Ma stai precorrendo i tempi. La mia reazione a queste prime due Rivelazioni fu come quella di molti apparte­nenti alle mie legioni; non appena percepimmo una scintilla di vita emanata da questi organismi vegetali pluricellulari, comin­ciammo anche a percepirne la morte, quando un organismo ne divorava un altro oppure lo depredava e gli rubava il cibo; no­tammo molteplicità e distruzione! Ciò che prima era stato sem­plice cambiamento — scambio di energia e materia — adesso as­sunse una nuova dimensione. Cominciammo a vedere l’inizio della Terza Rivelazione. Solo che non lo capimmo finché i primi organismi animali non si differenziarono dalle piante. Mentre os­servavamo il loro movimento energico, determinato, la loro gam­ma di scelte che sembrava più ampia, sentimmo che la scintilla di vita che mostravano era davvero molto simile alla vita dentro di noi. E cosa stava succedendo a queste creature? A questi minu­scoli animali e a queste piante? Morivano, ecco cosa stava succe­dendo. Nascevano, vivevano e morivano, e cominciavano a decomporsi. E quella fu la Terza Rivelazione dell’evoluzione: deca­dimento e morte.» Il viso di Memnoch divenne più cupo di quanto non l’avessi mai visto. Conservò l’innocenza e la meravi­glia, ma venne rannuvolato da qualcosa di terribile che sembrava un misto di paura e delusione; forse si trattava semplicemente dell’ingenuo stupore che anticipa una orribile conclusione.

«La Terza Rivelazione fu decadimento e morte», gli feci eco. «E tu ne eri disgustato.»

«No, non disgustato! Mi limitai a supporre che doveva trat­tarsi di un errore! Salii fulmineo in cielo! Dissi a Dio: ‘Guarda, questi esseri minuscoli possono cessare di esistere, la scintilla può lasciarli — quando invece non potrebbe mai lasciare te o noi —, e poi la materia che si lasciano alle spalle marcisce’. Non fui l’unico angelo a volare fino a Dio con questo grido. Ma credo che i miei inni di meraviglia fossero maggiormente soffusi di sospetto e paura. La paura era nata nel mio cuore. Non lo sapevo, ma mi era giunta con la percezione del decadimento e della morte; e alla mia mente quella percezione sembrava punitiva.» Mi guardò. «Ricorda che siamo angeli. Fino a quel momento non c’era stato niente di punitivo per la nostra mente; niente che provocasse sof­ferenza nei nostri pensieri! Capisci? E io soffrivo; e la paura rap­presentava una minuscola componente di tutto ciò.»

«E cosa rispose Dio?»

«Secondo te, cosa rispose?»

«Che faceva tutto parte del piano.»

«Esatto. ‘Osserva. Osserva e guarda, e vedrai che essenzial­mente non sta succedendo niente di nuovo; c’è lo stesso scambio di energia e materia.’»

«E la scintilla, allora?» gridai io.

«‘Siete creature viventi’,disse Dio. ‘La tua capacità di perce­pire una cosa simile fa onore al tuo intelletto sopraffino. Adesso osserva. Non è ancora finita.’»

«Ma la sofferenza, il carattere punitivo...»

«Venne tutto risolto in una grande discussione. La discussio­ne con Dio comporta non solo parole coerenti ma anche l’im­menso amore di Dio, la luce che hai visto, che ci circonda e per­mea tutti. Ciò che Lui ci fornì fu una rassicurazione, forse la ras­sicurazione richiesta da quel pizzico di sofferenza dentro di me: che non c’era niente di cui aver paura

«Capisco.»

«Adesso arriva la Quarta Rivelazione (ricorda che questa mia elaborazione è arbitraria). Non posso illustrarti i dettagli, come ti ho già detto. Definisco la Quarta la Rivelazione del colore. Eb­be inizio con le piante che fiorivano. La creazione dei fiori; l’in­troduzione di un metodo di accoppiamento stravagante e splen­dido degli organismi. Ora, tieni presente che l’accoppiamento avveniva da sempre, persino tra gli organismi unicellulari. Ma i fiori! I fiori introdussero a profusione colori che fino a quel mo­mento non erano mai apparsi in natura, se non nell’arcobaleno! Colori che noi avevamo conosciuto in paradiso e consideravamo meramente paradisiaci, e adesso vedevamo che non lo erano, ma che potevano svilupparsi, per motivi naturali, in quel grande laboratorio chiamato terra. Lasciami sottolineare, a questo punto, che colori spettacolari si stavano sviluppando anche nelle creatu­re marine, nei pesci che vivevano nelle acque tiepide. Ma i fiori, in particolare, mi apparivano di una bellezza squisita, e quando divenne evidente che le specie sarebbero state innumerevoli, che i disegni formati dai fiori sarebbero stati infiniti, i nostri inni si levarono nuovamente verso il paradiso, creando una musica tale che tutto ciò che l’aveva preceduta parve inferiore o non altret­tanto profondo. Naturalmente, questa musica era già stata tinta da qualcosa di scuro... ho il coraggio di dirlo? Dall’esitazione o dall’ombra prodotta in noi dalla rivelazione del decadimento e della morte. E adesso, coi fiori, questo elemento scuro divenne ancora più forte nei nostri canti e nelle nostre esclamazioni di meraviglia e gratitudine, perché, quando i fiori morivano, per­dendo i petali, cadendo sul terreno, questa ci sembrava una per­dita terribile. La scintilla di vita era scoccata davvero energica­mente da questi fiori, e dagli alberi e dalle piante più grandi che stavano crescendo ovunque, a profusione; e così il canto assunse note cupe. Ma eravamo affascinati più che mai dalla terra. In realtà, direi che a quel punto il carattere del paradiso era mutato in modo radicale. Tutto il paradiso, Dio, gli angeli di ogni rango erano adesso concentrati sulla terra. Era impossibile restare in paradiso, cantando semplicemente lodi a Dio, come prima. Il canto avrebbe dovuto includere un accenno alla materia, al pro­cesso e alla bellezza. E, naturalmente, gli angeli autori dei canti più elaborati intrecciarono questi elementi — morte, decomposi­zione, bellezza — in inni più coerenti di quelli prodotti da me. Io ero preoccupato. Avevo una mente insonne nell’anima, credo. Dentro di me c’era qualcosa che era già diventato insaziabile...»

«Queste sono le parole che ho detto a David quando gli ho raccontato di te, dopo che mi hai pedinato per la prima volta», dichiarai stupefatto.

«Sono tratte da un antico poema imperniato su di me, scritto in ebraico, e che adesso è diventato difficile da trovare in tradu­zione. Sono le parole con cui la sibilla ha descritto gli osservatori, gli angeli che Dio aveva inviato a studiare ogni cosa. La sibilla aveva ragione. Mi piacque la sua poesia, per questo la ricordo. L’ho adottata nella definizione di me stesso. Dio solo sa perché mai gli altri angeli siano più prossimi alla contentezza.»

Adesso tutto l’atteggiamento di Memnoch era malinconico. Mi chiesi se la musica del paradiso che io avevo sentito includes­se il carattere cupo che lui mi stava descrivendo oppure se la sua gioia pura fosse stata ristabilita.

«No, ora senti la musica delle anime umane del paradiso, ol­tre a quella degli angeli. I suoni sono del tutto diversi. Ma lascia­mi proseguire con le rivelazioni perché so che non sono facili da comprendere se non come un insieme omogeneo.

«La Quinta Rivelazione fu quella dell’encefalizzazione. Qual­che tempo prima, gli animali si erano differenziati dalle piante nell’acqua, e adesso queste creature gelatinose stavano comin­ciando a sviluppare un sistema nervoso e uno scheletro. Con questo sviluppo giunse il processo dell’encefalizzazione: le crea­ture cominciarono a sviluppare la testa! E non ci sfuggì, neanche per un istante divino, che noi, in quanto angeli, avevamo la testa! I processi di pensiero di questi organismi sempre più evoluti era­no concentrati nella testa. E lo stesso valeva per noi, ovviamente! Non c’era bisogno che qualcuno ce lo dicesse. La nostra intelli­genza angelica sapeva com’eravamo strutturati. Gli occhi ne era­no la prova. Avevamo gli occhi, che facevano parte del nostro cervello, e la vista ci guidava nei movimenti, nelle reazioni e nella nostra ricerca di conoscenza più di qualunque altro senso. Scop­piò un tumulto in paradiso. ‘Signore, cosa sta succedendo? Que­ste creature stanno sviluppando forme... membra... teste’,pro­ruppi. E ancora una volta si levarono gli inni, ma stavolta mi­schiati alla confusione oltre che all’estasi, al timore di Dio perché potevano accadere cose simili, perché dalla materia potevano sorgere esseri dotati di testa.

«Poi, ancora prima che i rettili cominciassero a uscire dal ma­re strisciando sulla terra, ancora prima che succedesse questo, giunse la Sesta Rivelazione, che in me suscitò nientemeno che or­rore. Queste creature, con la loro testa e i loro arti, per quanto bizzarre o dalla struttura variegata, avevano un volto! Volti come i nostri. Persino l’antropoide meno evoluto aveva due occhi, un naso e una bocca: cioè un volto, come quello che ho io! Prima la testa, adesso il volto, espressione dell’intelligenza racchiusa nella mente! Ero scioccato! Diedi inizio alle più accese discussioni.

«‘È qualcosa che Tu vuoi che succeda? Come finirà tutto que­sto? Cosa sono queste creature? La scintilla di vita che emanano diventa più forte, brilla più intensamente e muore lottando! Stai prestando attenzione alla cosa?’ Alcuni degli altri angeli inorridi­rono.

«Dissero: ‘Memnoch, stai esagerando con Dio! Ovviamente c’è un’affinità tra noi — magnifici come siamo, i Figli di Dio, gli abitanti del bene ha elohim — e queste creature. La testa, il volto, sì, è evidente. Ma come osi contestare il piano di Dio?’

«Ero inconsolabile. Ero stato assalito da troppi sospetti, così come coloro che la pensavano come me. Eravamo sbigottiti e tornammo sulla terra, decisi a indagare. Finalmente potevo mi­surare le mie dimensioni in base alla scala delle cose, come ho già accennato, e potevo restare sdraiato tra soffici pergolati di pian­te, ascoltandole crescere e riflettendo su di esse, e lasciando che i loro colori mi riempissero gli occhi. Eppure, il presagio di un di­sastro continuava a tormentarmi. Poi accadde un evento eccezio­nale: Dio venne da me. Quando fa una cosa del genere, Dio non lascia il paradiso, semplicemente, per così dire, si espande. La sua luce scese a prendermi lì dov’ero, m’inglobò e mi portò da Lui, che cominciò a parlarmi. Ne trassi un’immediata consola­zione. A lungo mi ero negato la beatitudine del paradiso, e allora il fatto che questa beatitudine fosse scesa ad avvilupparmi in un amore e una quiete perfetti mi colmò di soddisfazione. Tutte le mie obiezioni e i miei dubbi mi lasciarono, il dolore mi abban­donò. L’effetto punitivo del decadimento e della morte sulla mia mente venne alleviato. Dio parlò. Ero fuso con Lui e in quel mo­mento non avevo nessuna consapevolezza della mia forma; era­vamo stati così vicini diverse volte, in passato, quando ero stato creato ed ero sgorgato da Dio. Ma il fatto che succedesse allora rappresentò un dono profondo, misericordioso.

«‘Tu vedi più degli altri angeli’,disse. Tu pensi in termini di futuro, concetto che loro stanno a malapena iniziando ad ap­prendere. Loro sono come specchi che riflettono la magnificenza di ogni passo della creazione, mentre tu nutri dei sospetti. Tu non hai fiducia in me.’ Queste parole mi colmarono di tristezza. Non hai fiducia in me. Non avevo mai considerato i miei timori come una mancanza di fiducia. E, non appena me ne resi conto, questa consapevolezza fu sufficiente per Dio, che mi richiamò in paradiso e dichiarò che dovevo osservare più spesso le cose da quella posizione privilegiata senza addentrarmi così a fondo nel brulichio del mondo.»

Non potevo far altro che fissare Memnoch mentre mi spiega­va tutto ciò. Eravamo fermi sulla riva del ruscello. Lui non sem­brava confortato adesso, mentre mi parlava di conforto, bensì solo ansioso di continuare il suo racconto.

«Tornai in paradiso, ma, come ti ho già detto, la sua intera composizione era ormai cambiata. Il paradiso era concentrato sulla terra. La terra era il discorso paradisiaco. E non ne fui mai tanto consapevole come quando vi tornai. Mi recai presso Dio, m’inginocchiai in adorazione, gli rivelai tutto ciò che avevo nel cuore, i miei dubbi, soprattutto la mia gratitudine perché era ve­nuto da me. Gli chiesi se ero di nuovo libero di tornare nel mon­do sottostante. Mi diede una delle sue risposte tanto sublimi quanto vaghe, che significava: ‘Non ti è vietato. Sei uno degli os­servatori e il tuo compito è osservare’. Perciò scesi...»

«Aspetta, voglio farti una domanda», lo interruppi.

«Certo», rispose in tono paziente. «Ma vieni, continuiamo il nostro viaggio. Passa sui sassi per attraversare il ruscello.»

Lo seguii senza difficoltà e nel giro di pochi minuti ci lasciam­mo alle spalle il suono dell’acqua per ritrovarci in una foresta an­cora più fitta e popolata di creature, credo, anche se non riuscii a stabilirlo con sicurezza.

«La mia domanda è questa», insistetti. «Il paradiso sembra­va noioso in confronto alla terra?»

«Oh, no, mai; solo che la terra era al centro dell’attenzione generale. Era impossibile restare in paradiso e scordarsi della terra perché tutti, lì, la stavano guardando e cantando. Ecco tut­to. No, il paradiso era affascinante e delizioso come sempre; in realtà, la nota cupa che era stata introdotta, il solenne riconosci­mento del decadimento e della morte, aveva ampliato l’infinita gamma di cose che potevano essere dette, cantate e prese in esa­me in paradiso.»

«Capisco. Con le Rivelazioni il paradiso si espandeva.»

«Sempre! E ricorda la musica, non pensare mai e poi mai che sia un cliché della religione. La musica continuava a raggiungere nuove vette nella sua celebrazione della meraviglia. Sarebbero passati millenni prima che gli strumenti fisici raggiungessero un livello tale da poter imitare, seppure vagamente, i suoni della musica degli angeli... le voci che si mescolavano al battito delle ali, e un’interazione coi venti che salivano dalla terra.»

Feci un gesto col capo.

«Cosa c’è? Cosa vuoi dire?» chiese.

«Non riesco a esprimerlo a parole! Solo che la nostra com­prensione del paradiso viene continuamente meno perché non ci viene insegnato questo, cioè che il paradiso è concentrato sulla terra. Per tutta la vita non ho sentito altro che il contrario, la de­nigrazione della materia, e la convinzione che rappresenti la pri­gione dell’anima.»

«Be’,hai visto tu stesso il paradiso», mi ricordò. «Ma lascia­mi continuare. La Settima Rivelazione fu che gli animali usciro­no dal mare. Entrarono nelle foreste che ormai coprivano il terreno e trovarono il modo di viverci. Nacquero i rettili. Divenne­ro grandi lucertole, mostri, esseri di tali proporzioni che nemme­no la forza degli angeli avrebbe potuto fermarli. E queste creatu­re avevano testa e faccia, e usavano le zampe — simili alle nostre gambe — non solo per nuotare ma anche per camminare; alcuni camminavano su due zampe anziché su quattro, tenendo acco­state al petto le altre due, minuscole e simili alle nostre braccia. Osservai questo sviluppo così come qualcuno osserva un fuoco che si espande. Partendo dalla minuscola fiammella che produce calore, vidi una conflagrazione! Si svilupparono insetti di ogni forma. Alcuni si sollevarono in aria con un tipo di volo assai di­verso e mostruoso rispetto al nostro. Il mondo brulicava di tutte queste nuove specie di creature viventi e mobili, creature affa­mate, perché si cibavano l’una dell’altra com’era sempre accadu­to, ma adesso, con gli animali, il banchetto e l’uccisione erano molto più appariscenti e comportavano lotte non soltanto di modesta entità, ma talvolta immani, tra lucertole che si dilaniavano, e grandi uccelli simili a rettili che potevano scendere in picchiata sulle creature più piccole e striscianti per ghermirle e portarle nei loro nidi. La modalità di riproduzione cominciò a cambiare. Le creature nascevano all’interno di uova. Poi alcuni piccoli uscirono direttamente dalla madre. Per milioni di anni studiai questi esseri, parlandone a Dio più o meno distrattamente, cantando quando venivo sopraffatto dalla bellezza, e scoprendo che tutti gli altri erano turbati dalle mie domande, come prima. Nac­quero grandi dibattiti. Non dovremmo mettere in dubbio nien­te? Guardate, la scintilla di vita risplende enorme e incandescen­te nella lucertola gigante che sta morendo! E più volte, proprio quando pensavo che la mia irrequietezza non mi avrebbe dato pace, venni accolto nel grembo di Dio.

«‘Osserva più attentamente lo schema delle cose. Ne stai ve­dendo, volutamente, solo alcune parti’,mi ammonì. Sottolineò, come aveva fatto sin dall’inizio, che niente andava sprecato nel­l’universo, che il decadimento procurava cibo per altri, che il mezzo di scambio era diventato: uccidi e divora, digerisci ed eli­mina.

«‘Quando sono con te, vedo la bellezza della cosa. Ma non appena scendo laggiù e mi rotolo tra l’erba alta, ne ho una visio­ne diversa’,gli spiegai.

«‘Sei il mio angelo e il mio osservatore. Supera questa con­traddizione’,m’incitò. Tornai sulla terra. E allora arrivò l’Ottava Rivelazione dell’evoluzione: la comparsa di uccelli dal sangue caldo dotati di ali piumate

Sorrisi, in parte per la sua espressione saputa e paziente, in parte per l’enfasi con cui aveva nominato le ali.

«Ali piumate!» ripetè. «Prima vediamo il nostro volto sulla testa di insetti, lucertole e mostri! E poi, guardate: c’è una crea­tura dal sangue caldo, una creatura nettamente più fragile e che pulsa di vita precaria, e ha ali piumate! Vola come noi. Si solleva, allarga le ali, schizza verso l’alto. Be’,una volta tanto la mia pro­testa non fu l’unica, in paradiso. A migliaia gli angeli rimasero sbalorditi, scoprendo che piccoli esseri fatti di materia avevano ali tanto simili alle nostre. Delle piume, proprio come quelle che rivestivano le nostre, rendevano soffici le loro ali e permettevano loro di spostarsi nel vento... tutto ciò aveva ora il suo corollario nel mondo materiale! La pace del paradiso venne quindi agitata da canti, esclamazioni, proteste. Alcuni angeli spiccarono il volo dietro agli uccelli, circondandoli in aria, imitandoli e seguendoli fino ai loro nidi e restando a guardare mentre i pulcini nascevano dalle uova e diventavano adulti. Ora, sai che avevamo già osser­vato il processo di nascita, crescita e maturità in altre creature, ma in nessuna che somigliasse tanto a noi.»

«Dio rimase in silenzio?» chiesi.

«No. Stavolta ci convocò tutti insieme e ci chiese come mai, a questo punto, non avessimo già imparato abbastanza per essere immuni da emozioni quali l’orrore e l’orgoglio. L’orgoglio, disse, era ciò che ci faceva soffrire; ci riempiva d’indignazione che si­mili creature, gracili e dalla testa minuscola, creature che in realtà avevano davvero un volto molto limitato, fossero dotate di ali piumate. C’impartì una severa lezione e un duro monito: ‘Ve lo ripeto ancora una volta, questo processo continuerà e vedrete cose che vi sbalordiranno, ma siete i miei angeli e appartenete a me, e la vostra fiducia è mia!’

«La Nona Rivelazione fu dolorosa per tutti gli angeli. Per al­cuni fu fonte di orrore, per altri di paura; in realtà fu come se, per noi, rispecchiasse le emozioni che suscitò nel nostro cuore. Fu l’arrivo dei mammiferi sulla terra, mammiferi le cui spavento­se grida di dolore salivano più in alto di quanto avesse mai fatto qualunque suono legato a sofferenza e morte emesso da qualsiasi altro animale! Oh, il presagio di paura che avevamo visto nel de­cadimento e nella morte veniva così orrendamente concretizza­to. La musica che saliva dalla terra si trasformò; e tutto ciò che potevamo fare, spaventati e sofferenti, era cantare con uno stu­pore ancora maggiore; il canto s’incupì e divenne più complesso. L’espressione di Dio, la luce di Dio, rimase immutata. Finalmen­te, la Decima Rivelazione dell’evoluzione. Le scimmie antropo­morfe camminavano erette! Dio stesso non veniva forse deriso da questo evento? Eccola lì, in forma pelosa e brutale, la creatura eretta con due gambe e due braccia in base alla cui immagine noi stessi eravamo stati creati! Le mancavano le nostre ali, per l’amor del cielo; le creature alate non si avvicinarono nemmeno un po’ al suo livello di sviluppo, mai. Ma eccola arrancare pesantemente sulla terra, stringendo una clava, brutale, selvaggia, lacerando la carne dei nemici coi denti, picchiando, mordendo, uccidendo a coltellate tutto ciò che le si opponeva — l’immagine di Dio e degli orgogliosi Figli di Dio, i suoi angeli —, con una forma pelosa e materiale, capace d’impugnare utensili! Sbigottiti, ne esaminam­mo le mani. Aveva i pollici? Quasi. Sbigottiti, circondammo le sue adunanze. Dalla sua bocca usciva il linguaggio, l’udibile ed eloquente espressione dei pensieri? Quasi. Quale poteva mai es­sere il piano di Dio? Perché aveva fatto una cosa del genere? Questo non avrebbe dovuto suscitare la sua ira? Ma la luce di Dio fluiva eterna e incessante, come se l’urlo del primate moren­te non potesse raggiungerla, come se la scimmia fatta a pezzi da aggressori più massicci non avesse nessun testimone per la gran­de scintilla sfavillante che scoppiettava prima di morire.

«‘No, è impensabile, è inconcepibile’,proclamai. Ancora una volta tornai pieno di rabbia in paradiso, e Dio, molto semplice­mente e senza fornirmi nessuna consolazione, disse: ‘Memnoch, se io non mi sento deriso da questo essere, che è una mia creazio­ne, come puoi sentirti deriso tu? Sii soddisfatto, Memnoch, go­diti lo stupore nella tua soddisfazione, e non infastidirmi più. Tutt’intorno a te si levano inni che mi raccontano ogni dettaglio della mia creazione. Tu vieni da me con domande che sono accu­se, Memnoch! Basta così!’ Ero umiliato. La parola ‘accuse’ sco­raggiò le mie riflessioni. Sai che in ebraico Satana significa ‘l’ac­cusatore’?»

«Sì», risposi.

«Lasciami continuare. Per me, questo era un concetto del tutto nuovo, eppure mi resi conto di aver sempre lanciato accuse contro Dio. Avevo dichiarato con insistenza che tale processo evolutivo non poteva essere ciò che Lui desiderava o intendeva. Quella volta mi disse chiaramente di smetterla e di esaminare la situazione. E mi permise anche di comprendere nuovamente, in una prospettiva ampia, l’immensità e la diversità degli sviluppi cui assistevo. In breve, mi trasmise uno sprazzo della sua pro­spettiva, che non avrebbe mai potuto essere la mia. Come ho già detto, ero umiliato. ‘Posso unirmi a te, Signore?’ chiesi. E Lui ri­spose: ‘Certo’. Ci riconciliammo e sonnecchiammo nella luce di­vina, eppure io continuavo a svegliarmi come potrebbe fare un animale, sempre all’erta per paura del nemico in agguato, de­standomi spaventato, Ma adesso cosa sta succedendo laggiù? Guardate e stupite! Sono quelle le parole che dovrei usare, op­pure parlerò come l’autore del libro della Genesi, e dirò: ‘Guar­date!’ con tutto il suo feroce potere. I pelosi esseri eretti avevano dato inizio a uno strano rituale. Avevano cominciato a palesare ogni genere di schemi di comportamento complesso. Per il mo­mento, ti parlerò del più significativo. I pelosi esseri eretti aveva­no cominciato a seppellire i loro morti.»

Strinsi gli occhi, guardando Memnoch, perplesso. Era tal­mente assorbito dalla narrazione che, per la prima volta, sembra­va davvero infelice, eppure il suo viso conservava la consueta bellezza. Non si poteva dire che l’infelicità lo alterasse, niente ci sarebbe riuscito.

«Quindi fu questa l’Undicesima Rivelazione dell’evoluzione? Il fatto che seppellivano i loro morti?» chiesi.

Mi studiò a lungo, e io percepii la sua frustrazione, la consa­pevolezza di non potermi comunicare nemmeno vagamente tut­to ciò che voleva trasmettermi.

«Cosa significava? Cosa significava il fatto che seppellissero i loro morti?» insistetti, impaziente e ansioso di capire.

«Molte cose», sussurrò, agitando enfaticamente l’indice. «Perché questo rituale della sepoltura era abbinato ad aspetti che raramente avevamo notato in qualsiasi altra specie per più di un istante: i forti che curavano i deboli, i sani che aiutavano e nu­trivano gli storpi, e infine la sepoltura con fiori. Lestat, fiori! Dei fiori venivano posati sul defunto, coprivano dalla testa ai piedi il corpo depositato sul terreno, tanto che l’Undicesima Rivelazione dell’evoluzione fu che l’uomo moderno aveva cominciato a esi­stere. Irsuto, curvo, goffo, coperto di peli scimmieschi, ma con un viso più simile che mai al nostro, l’uomo moderno cammina­va sulla terra! E conosceva l’affetto come solo gli angeli lo aveva­no conosciuto nell’universo, gli angeli e Dio che li aveva creati; l’uomo moderno riversava quell’affetto sui suoi parenti, e amava i fiori come li avevamo amati noi, e si affliggeva mentre — con ghirlande di fiori — seppelliva i suoi morti.»

Rimasi a lungo in silenzio, riflettendo, e considerando soprat­tutto il punto di partenza di Memnoch: la certezza che lui, Dio e gli angeli rappresentassero l’ideale verso il quale questa forma umana si stava evolvendo davanti ai loro stessi occhi. Non avevo mai esaminato la faccenda da una simile angolazione. E ancora tornò l’immagine di Dio che, accanto alla balaustrata, si voltava verso di me e mi chiedeva con tanta convinzione: Non saresti mai mio nemico, vero?

Memnoch mi fissava. Distolsi lo sguardo, perché nei suoi con­fronti provavo già la più profonda lealtà, scaturita dalla storia che mi stava narrando e dalle emozioni che la impregnavano, e insieme ero confuso dalle parole di Dio Incarnato.

«E ne hai ben donde», disse Memnoch. «Perché la domanda che devi porti è questa: conoscendoti, Lestat, come di sicuro Lui ti conosce, perché non ti considera già un suo nemico? Riesci a indovinarlo?»

Sbalordito. Ammutolito.

Lui aspettò che fossi pronto a sentire il resto, e ci furono mo­menti in cui dubitai che lo sarei mai stato. Attratto com’ero da lui, che tanto mi affascinava, sentii un desiderio tutto mortale di fuggire da qualcosa di soverchiante, qualcosa che minacciava le fondamenta stesse della mia mente raziocinante.

«Quando ero con Dio, vedevo come vede Dio», continuò Memnoch. «Vidi gli umani con le loro famiglie; vidi gli umani che si riunivano per assistere alla nascita e agevolarla; vidi gli umani coprire le tombe con pietre cerimoniali. Vedevo come ve­de Dio, e vidi come se vedessi in eterno e in ogni direzione; vidi la mera complessità di ogni aspetto del creato, ogni molecola di umidità e ogni sillaba sonora che usciva da becchi di uccelli o da bocche umane, e tutto ciò non sembrava altro che il prodotto dell’assoluta grandezza di Dio. Dal mio cuore si levarono canti che non ho mai più eguagliato.

«E Dio mi disse di nuovo: ‘Memnoch, resta accanto a me in paradiso. Adesso osserva da lontano’.

«‘Devo proprio, Signore?’ chiesi. ‘Desidero così ardentemente osservarli e vegliare su di loro. Voglio toccare con le mie mani invisibili la loro pelle morbida.’

«‘Sei il mio angelo, Memnoch. Va’ e osserva, dunque, e ricor­da che tutto ciò che vedi è creato e voluto da me.’

«Guardai giù una volta prima di lasciare il paradiso — e ades­so sto parlando metaforicamente, lo sappiamo entrambi —, guar­dai giù e vidi il creato brulicare di angeli osservatori, li vidi dap­pertutto, assorbiti dalle cose che più li incantavano e che ho già descritto, dalla foresta alla vallata, al mare. Ma sembrava che l’at­mosfera terrestre contenesse qualcosa che l’aveva cambiata; lo potremmo chiamare un nuovo elemento; un sottile mulinello di minuscole particelle? No, questo farebbe pensare a qualcosa di più grande di ciò di cui parlo. Ma era là. Raggiunsi la terra, e su­bito gli altri angeli mi confermarono che anche loro avevano per­cepito un nuovo elemento nell’atmosfera terrestre, anche se non dipendeva dall’aria come qualunque altro essere vivente.

«‘Com’è possibile?’ chiesi.

«‘Ascolta’,mi disse l’angelo Michele. ‘Ascolta semplicemen­te. Puoi sentirlo.’

«E Raffaele precisò: ‘È qualcosa d’invisibile ma di vivo! E co­sa mai esiste sotto il paradiso che sia invisibile e vivo, a parte noi?’

«Centinaia di altri angeli si radunarono per discuterne, per raccontare come avevano percepito questo nuovo elemento, questa nuova presenza d’invisibilità che sembrava brulicare in­torno a noi, ignara della nostra presenza eppure intenta a pro­durre una vibrazione, o, meglio, un suono inudibile, che noi ci sforzavamo di captare.

«‘Ci sei riuscito!’ mi rampognò uno degli angeli, di cui tacerò il nome. ‘Hai deluso Dio, con tutte le tue accuse e i tuoi scoppi d’ira, e Lui ha creato qualcos’altro, oltre a noi, che è invisibile e dotato dei nostri poteri! Memnoch, devi andare da Lui per sco­prire se intende sbarazzarsi di noi e lasciare che sia questo nuovo essere invisibile a dominare.’

«‘Com’è possibile?’ chiese Michele, che è, tra gli angeli, uno dei più pacati e ragionevoli. Lo afferma la leggenda, così come l’angelologia, il folklore e tutto il resto; ed è vero, Michele è ragionevole. E in quell’occasione fece presente agli angeli afflitti che quelle minuscole presenze invisibili di cui eravamo consape­voli non potevano certo eguagliare il nostro potere. Riuscivano a stento a manifestarsi a noi, e noi eravamo angeli, ai quali niente, sulla terra, poteva sfuggire!

«‘Dobbiamo scoprire di cosa si tratta’,dichiarai. ‘È legato alla terra e ne fa parte; non è un essere celeste, è qui, vive vicino alle foreste e alle colline.’ Erano tutti d’accordo. Eravamo esseri che conoscevano la composizione di qualunque cosa. Potresti impie­gare migliaia di anni a comprendere i cianobatteri o il nitrogeno, invece noi li capivamo! Eppure non capivamo questo. O, me­glio, non riuscivamo a riconoscerlo per ciò che era.»

«Sì, capisco.»

«Restammo in ascolto; protendemmo le braccia. Percepim­mo che era incorporeo e invisibile, sì, ma che possedeva una con­tinuità, un’individualità, anzi; captavamo una moltitudine d’in­dividualità che stava piangendo, e molto gradualmente quel suo­no venne sentito all’interno del nostro stesso reame d’invisibilità, dalle nostre orecchie spirituali.» S’interruppe ancora. «Capisci la distinzione che sto facendo?» chiese poi.

«Erano individui spirituali», affermai.

«Mentre riflettevamo, allargavamo le braccia, cantavamo e cercavamo di consolarli, mentre ci facevamo strada in modo in­visibile e con maestria tra la materia della terra, qualcosa d’im­portante si manifestò a noi, turbandoci e costringendoci a inter­rompere le nostre esplorazioni. La Dodicesima Rivelazione si ab­battè su di noi! Ci colpì come la luce proveniente dal paradiso; distolse la nostra attenzione dal pianto dell’invisibile celato! Mandò in frantumi la nostra ragione e trasformò i nostri canti in risate e gemiti.

«La Dodicesima Rivelazione dell’evoluzione fu che la femmi­na della specie umana, fìsicamente, aveva cominciato a differen­ziarsi in modo più netto dal maschio, con uno scarto tale da non poter essere eguagliato da nessun altro antropoide! La femmina divenne graziosa e seducente ai nostri occhi; i peli scomparvero dal suo viso e le membra si fecero aggraziate; il suo contegno tra­scendeva le esigenze della sopravvivenza; divenne bella come lo sono i fiori, come lo sono le ali degli uccelli! Dall’accoppiamento della scimmia antropoide pelosa era sorta una femmina dalla pelle morbida e dal volto radioso. E benché noi non avessimo il seno e lei non avesse le ali, somigliava A NOI!»

Memnoch e io rimanemmo l’uno di fronte all’altro, immobili.

Nemmeno per un istante il senso delle sue parole mi risultò oscuro. Nemmeno per un istante dovetti sforzarmi di compren­dere. Già sapevo. Guardai Memnoch, il viso stupendo e i capelli fluenti, le membra dalla serica pelle, l’espressione gentile, e seppi che aveva ragione, naturalmente. Non era necessario aver studia­to l’evoluzione per rendersi conto che un simile momento era sicuramente arrivato col perfezionamento della specie, e lui, Memnoch, incarnava il femminino dotato di pieni poteri più di quanto avrebbe potuto fare qualunque altra creatura. Era come gli angeli di marmo, come le statue di Michelangelo; il suo fisico rivelava compiutamente la perfetta armonia del femminino.

Era agitato, come sul punto di torcersi le mani. Mi fissò con intensità, come se volesse guardare dentro e attraverso di me.

«E dopo breve tempo si manifestò la Tredicesima Rivelazione dell’evoluzione», rivelò. «I maschi si accoppiavano con le fem­mine più attraenti e flessuose, con la pelle liscia e la voce soave. E questi accoppiamenti produssero maschi belli tanto quanto le femmine. Apparvero umani con carnagioni diverse; apparvero capelli rossi e biondi, così come capelli neri e riccioli castani, persino di un bianco sorprendente; apparvero occhi di una va­rietà illimitata... grigi, marroni, verdi, azzurri. L’uomo aveva per­so la fronte aggrottata, il volto peloso e l’andatura scimmiesca, e pure lui brillava di una bellezza angelica, proprio come la sua compagna.»

Rimasi in silenzio.

Lui distolse lo sguardo da me, ma non c’era niente di persona­le. Sembrava che avesse bisogno di una pausa per rinnovare la propria energia. Mi ritrovai a fissare le alte ali arcuate, accostate l’una all’altra, con le estremità inferiori che sfioravano il terreno su cui ci trovavamo, ogni piuma iridescente. Lui si voltò a guar­darmi e, sgusciando fuori della forma angelica, il suo viso mi provocò un leggero turbamento.

«Erano lì, Lestat, maschio e femmina; Lui li creò e, a parte il fatto, a parte il fatto... che uno era maschio e l’altra era femmina, erano fatti a immagine e somiglianzà di Dio e dei suoi angeli! A questo si era arrivati! A questo! Dio diviso in due! Angeli divisi in due! Non so per quanto tempo mi trattennero gli altri angeli, ma alla fine non ci riuscirono più e io salii in paradiso, infiamma­to da pensieri, dubbi e congetture. Conoscevo l’ira. Me l’aveva­no insegnata le grida di sofferenza dei mammiferi. Me l’avevano insegnata le urla e i ruggiti delle guerre tra gli esseri scimmieschi. Il decadimento e la morte mi avevano insegnato la paura. In realtà, l’intera creazione di Dio mi aveva insegnato tutto ciò di cui avevo bisogno per poter correre davanti a Lui e prorompere: ‘È questo che volevi? La tua stessa immagine suddivisa in ma­schio e femmina! La scintilla di vita che adesso brilla enorme quando uno dei due muore! Questa cosa grottesca; questa divi­sione impossibile; questo mostro! Era questo il piano?’ Mi senti­vo oltraggiato. La consideravo una catastrofe! Ero furibondo. Allargai le braccia, invitando Dio a ragionare con me, a perdo­narmi, e a salvarmi con rassicurazioni e saggezza, ma da Lui non giunse nulla. Nulla. Nessuna luce. Nessuna parola. Nessun casti­go. Nessun giudizio. Mi resi conto di trovarmi in paradiso cir­condato da angeli, tutti intenti a osservare e ad aspettare. Da Dio Onnipotente non giunse nulla se non la luce più quieta. Stavo piangendo. ‘Guardate, lacrime come le loro’,urlai agli altri, ben­ché naturalmente le mie fossero immateriali. E mentre piangevo e loro mi guardavano, mi resi conto che non stavo piangendo da solo. Chi piangeva con me? Ruotai più volte su me stesso, osser­vandoli: vidi tutti i cori degli angeli, gli osservatori, i cherubini, i serafini, gli ophanim, tutti. Il loro volto era estatico e misterioso, eppure sentivo qualcuno che piangeva! ‘Da dove arriva questo pianto?’ gridai. E poi capii. E anche loro capirono. Ci riunimmo, con le ali ripiegate e a capo chino, e restammo in ascolto; sentim­mo levarsi dalla terra le voci di quegli spiriti invisibili, quelle in­dividualità celate; erano loro — gli esseri immateriali — a piangere! E il loro pianto raggiunse il paradiso mentre la luce di Dio conti­nuava a brillare eterna, senza produrre in noi nessun mutamento.

«‘Vieni e sii testimone, adesso’,disse Raffaele. ‘Vieni a osser­vare, come ci è stato detto di fare’.

«‘Sì, devo vedere di che si tratta!’ convenni e scesi nell’atmo­sfera terrestre. Lo stesso fecero tutti gli altri, trasformando in una tromba d’aria quei minuscoli esseri gemebondi che non riu­scivamo nemmeno a vedere! Poi fummo distratti dalle grida umane! Grida umane mescolate a quelle degli invisibili! Giun­gemmo a terra insieme, condensati ma restando comunque una moltitudine, circondando invisibilmente un accampamento di esseri umani. In mezzo a loro giaceva un giovane moribondo, che si contorceva in preda all’agonia sul letto che gli avevano preparato con erba e fiori. Era stato il morso di un insetto letale a provocare la sua febbre; faceva tutto parte del ciclo, come ci avrebbe detto Dio se glielo avessimo chiesto. I lamenti degli es­seri invisibili aleggiavano su quella vittima in agonia e i gemiti degli esseri umani si levavano più terribili di quanto potessi sop­portare. Ricominciai a piangere.

«‘Zitto, ascolta’,mi ammonì Michele, l’angelo paziente. M’in­dicò di guardare dietro il minuscolo accampamento, dietro il corpo agitato dell’uomo febbricitante, per vedere nell’aria rare­fatta gli spiriti che si radunavano e piangevano! E per la prima volta coi nostri occhi riuscimmo a vedere questi spiriti! Li ve­demmo raggrupparsi e disperdersi, vagare, riunirsi e indietreg­giare, ognuno conservando la vaga forma essenziale di un essere umano. Deboli, confusi, smarriti, insicuri di sé, nuotavano nel­l’atmosfera, allargando le braccia verso l’uomo sdraiato sul giaci­glio e in punto di morte. E quell’uomo morì.»

Silenzio. Stasi.

Memnoch mi guardò come se dovessi essere io a concludere il racconto.

Lo feci: «E uno spirito si levò dall’uomo morente. La scintilla di vita sfavillò e non si spense, ma divenne un essere invisibile che si unì a tutti gli altri. Lo spirito dell’uomo si sollevò, con la forma dell’uomo, e si unì agli altri spiriti, venuti per portarlo via».

«Sì!» Fece un profondo sospiro e poi allargò di scatto le braccia. Inspirò rumorosamente, come se volesse urlare. Guardò verso il cielo tra i giganteschi alberi.

Ero paralizzato.

Intorno a noi la foresta sospirò nella sua pienezza. Riuscivo a sentire il tremito di Memnoch, a sentire il grido che aleggiava dentro di lui e poteva sgorgare in un terribile richiamo, ma che invece si spense, mentre lui chinava il capo.

La foresta era cambiata di nuovo. Adesso era la nostra foresta. Le querce e gli alberi scuri erano quelli della nostra epoca; come i fiori selvatici, e il muschio che conoscevo, e gli uccelli e i minu­scoli roditori che sfrecciavano nell’ombra.

Rimasi in attesa.

«L’aria era addensata da questi spiriti. Infatti, dopo averli vi­sti, dopo essere riusciti a distinguere il loro tenue contorno e la loro voce incessante, non avremmo mai più potuto non vederli: circondavano la terra come una ghirlanda! Gli spiriti dei morti, Lestat! Gli spiriti degli umani morti», riprese lui.

«Anime, Memnoch?»

«Anime.»

«Anime che si erano sviluppate dalla materia?»

«Sì. A immagine di Dio. Anime, essenze, individualità invisi­bili, anime!»

Aspettai di nuovo, in silenzio.

Lui si ricompose. «Vieni con me», m’invitò. Si asciugò il viso col dorso della mano e, mentre la allungava per prendere la mia, sentii, per la prima volta in modo distinto, la sua ala sfiorarmi da capo a piedi: questo provocò in me un brivido che sembrava di paura ma non lo era.

«Le anime erano uscite da questi esseri umani», spiegò. «Erano integre e vive, e aleggiavano intorno ai corpi materiali degli umani dalla cui tribù provenivano. Non potevano vederci; non potevano vedere il paradiso. Chi potevano vedere se non co­loro che li avevano seppelliti, coloro che li avevano amati in vita e rappresentavano la loro progenie, coloro che spargevano il rosso ocra sopra i loro corpi prima di deporli accuratamente, rivolti verso est, in tombe ornate dagli oggetti che avevano posseduto in vita?»

«E gli umani che credevano in loro, quelli che veneravano gli antenati, percepivano la loro presenza? La captavano? Sospetta­vano che gli antenati fossero ancora lì, in forma spirituale?» chiesi.

«Sì», mi rispose lui.

Ero troppo assorbito dalla questione per poter aggiungere al­tro. Sembrava che la mia coscienza fosse inondata dall’odore del bosco e da tutti i suoi colori scuri, le variazioni infinitamente ric­che di marrone, oro e rosso cupo che ci circondavano. Alzai gli occhi verso il cielo, verso la brillante luce fratta, grigia e cupa, eppure maestosa. Ma tutto quello su cui riuscivo a meditare, a ri­flettere, era la tromba d’aria e le anime che ci avevano circondato al suo interno, come se l’aria che saliva dalla terra al paradiso fos­se piena di anime umane. Anime che vagavano in eterno. Dove si va in una simile oscurità? Cosa si cerca? Cosa si può capire? Memnoch stava ridendo? Il suono era fioco e dolente, intimo e colmo di dolore. Forse stava cantando sommessamente, come se la melodia rappresentasse una naturale emanazione dei suoi pen­sieri. Sgorgava dalle sue riflessioni così come il profumo si leva dai fiori; era un canto, il suono degli angeli.

«Memnoch», lo chiamai. Sapevo che stava soffrendo ma non potevo sopportare oltre. «Dio ne era a conoscenza? Sapeva che gli uomini e le donne avevano sviluppato essenze spirituali? Sa­peva, Memnoch, delle loro anime?»

Lui non rispose.

Sentii di nuovo quel suono flebile, il suo canto. Anche lui sta­va fissando il cielo, e adesso cantava più distintamente, un canti­co cupo, estraneo alla nostra musica più coerente e articolata, eppure colmo di eloquenza e di dolore.

Osservai le nubi che si muovevano sopra di noi, più massicce e bianche di qualunque nube io avessi mai visto. La bellezza del­la foresta eguagliava ciò che avevo visto in paradiso? Impossibile rispondere. Ma ciò che sapevo con assoluta certezza era che la vi­sione del paradiso non l’aveva fatta sembrare meno notevole, al confronto! Ed era questa la cosa strana. Questo giardino selvag­gio, questo possibile Eden, questo antico luogo era miracoloso in sé e per sé, pur con tutti i suoi limiti. All’improvviso, trovai insopportabile il fatto di continuare a guardarlo, di vederne le foglioline che fluttuavano verso il basso, d’innamorarmene, senza avere una risposta alla mia domanda. Niente, in tutta la mia vita, sembrava altrettanto cruciale.

«Dio sapeva delle anime, Memnoch? Lo sapeva?» insistetti.

Lui si voltò a guardarmi. «Come avrebbe potuto non saperlo, Lestat?» rispose. «Come avrebbe potuto non saperlo? E chi credi sia volato fino alle vette del paradiso per dirglielo? Ed era mai stato stupito, colto alla sprovvista, ampliato o sminuito, illu­minato od oscurato da qualunque cosa io avessi mai sottoposto alla sua eterna e onnisciente attenzione?» Sospirò di nuovo e parve sull’orlo di un terribile scoppio d’ira, che avrebbe fatto im­pallidire tutti i precedenti; ma poi riassunse un’espressione tran­quilla e meditabonda.

Continuammo a camminare. La foresta mutava, alberi gigan­teschi lasciavano il posto a specie più sottili che si ramificavano in modo aggraziato; qua e là spiccavano chiazze d’erba alta, ondeggiante. La brezza aveva il profumo dell’acqua. La vidi solle­vare i capelli biondi di Memnoch, pesanti com’erano, e lisciarli, scostandoglieli dal viso. La sentii rinfrescarmi la testa e le mani, ma non il cuore.

Ammirammo uno spazio aperto, una vallata profonda e sel­vaggia. Vidi montagne lontane e verdi pendii, un bosco dai con­torni frastagliati e irregolari, che qua e là lasciava il posto al fru­mento mosso dal vento o a qualche altro tipo di grano selvatico. Il bosco s’inerpicava sulle colline e sulle montagne, affondando le sue radici nella roccia; e mentre ci avvicinavamo alla vallata, attraverso gli alberi, vidi lo scintillio e la luce guizzante di un fiu­me o del mare.

Uscimmo dalla foresta più antica. Questo era un terreno me­raviglioso e fertile. Fiori gialli e azzurri crescevano a profusione, catturati da una parte e dall’altra in danzanti lampi di colore. Gli alberi erano ulivi e piante da frutto, e sfoggiavano i rami bassi e contorti tipici delle piante da cui il nutrimento veniva ricavato da parecchie generazioni. La luce del sole si riversava su tutto questo.

Camminammo tra erbe alte — forse grano selvatico — fino al margine dell’acqua, là dove sciabordava molto delicatamente senza marea, credo, ed era limpida e scintillante mentre si ritira­va, mostrando lo straordinario assortimento di ciottoli e sassi.

Non riuscii a vedere, né a destra né a sinistra, dove questo specchio d’acqua avesse fine, però riuscivo a scorgere la riva op­posta e le colline che digradavano verso di essa, quasi fossero vi­ve come le radici dei solitari alberi verdeggianti. Mi voltai. Il pae­saggio che adesso avevamo alle spalle era identico: colline roc­ciose, che alla fine diventavano montagne, con chilometri e chilometri di pendii scalabili, macchie di alberi da frutto, nere im­boccature di caverne.

Memnoch non disse nulla. Era ferito e triste; stava fissando le acque sottostanti e il lontano orizzonte dove le montagne sem­bravano imprigionare le acque, solo per essere costrette a lasciar­le scorrere oltre, là dove non potevamo vederle.

«Dove siamo?» chiesi dolcemente.

Lui prese tempo, prima di rispondere. Poi disse: «Le Rivela­zioni dell’evoluzione, per il momento, sono terminate. Ti ho rac­contato ciò che ho visto; solo un vago contorno di tutto ciò che saprai dopo essere morto. Ciò che rimane adesso è il cuore della mia storia, e mi piacerebbe narrartelo qui, in questo splendido luogo, benché gli stessi fiumi siano da tempo scomparsi dalla ter­ra, così come gli uomini e le donne che vi erravano in quell’epo­ca. Ma lascia che soddisfi la tua curiosità su questo luogo: è qui che Lui alla fine mi scaraventò, scacciandomi dal paradiso. Qui è dove sono caduto».

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