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«Ma, Memnoch», lo interruppi io. «Dio non ti fornì nessun cri­terio di giudizio! Come avresti dovuto valutare queste anime? Come potevi fare?»

Memnoch sorrise. «Sì, Lestat, è proprio così che si comportò, e, credimi, me ne resi conto; infatti, non appena entrai a Sheol, il problema dei criteri per l’ingresso in paradiso divenne il fulcro delle mie riflessioni e la mia disperata ossessione. È esattamente così che agisce Dio, no?»

«Io glielo avrei chiesto», reagii.

«No, no. Non avevo nessuna intenzione di farlo. Mi misi su­bito al lavoro! Come ho appena detto, questo era il metodo di Dio e io sapevo che la mia unica speranza era escogitare autono­mamente un criterio e trovare il modo di dimostrarne la validità, non capisci?»

«Credo di sì.»

«Io ne sono sicuro», dichiarò. «D’accordo. Cerca d’immagi­nare la situazione di allora. La popolazione mondiale era ormai costituita da vari milioni di persone ed erano sorte alcune città, benché non in molti luoghi differenti ma prevalentemente nella stessa vallata in cui ero disceso e avevo lasciato le mie tracce sulle pareti delle caverne. L’umanità si era spinta a nord e a sud: c’era­no insediamenti, villaggi e forti in varie fasi di sviluppo. Adesso, se non sbaglio, la terra delle città è chiamata Mesopotamia... op­pure Sumer o Ur? I tuoi studiosi fanno nuove scoperte ogni gior­no. Le sfrenate fantasie dell’uomo sull’immortalità e il desiderio di riunirsi coi defunti avevano dato origine ovunque alla religio­ne. Nella valle del Nilo si era sviluppata una civiltà straordinaria­mente stabile, mentre la guerra infuriava di continuo nella terra che definite Santa. Così arrivai a Sheol, che prima avevo osserva­to solo dall’esterno e che era diventata enorme. Tuttora ospita al­cune delle prime anime che abbiano mai crepitato di vita dure­vole, e già allora conteneva milioni di anime le cui credenze e la cui brama di eternità le avevano condotte in questo luogo con grande ostinazione e talvolta ferocia. Folli aspettative avevano gettato innumerevoli anime nella confusione più totale. Alcune erano divenute talmente forti da esercitare una sorta di dominio sulle altre. E altre, sottraendosi all’influenza di altre anime invisi­bili, avevano persino imparato a scendere sulla terra col fine di avvicinarsi alla carne che ancora avrebbero voluto possedere, in­fluenzare, danneggiare o amare, a seconda dei casi. Il mondo era popolato dagli spiriti! Alcuni dei quali, non serbando più nessun ricordo di essere stati umani, erano diventati ciò che uomini e donne chiameranno eternamente demoni, spostandosi furtivi, avidi di possesso, ansiosi di seminare distruzione o zizzania nei limiti consentiti dal loro sviluppo.»

«E uno di loro si introdusse nella madre e nel padre vampireschi della nostra razza», dissi.

«Già. Fu Amel a produrre quella mutazione, ma non fu il so­lo. Sulla terra ci sono altri mostri che vivono nella zona interme­dia tra il visibile e l’invisibile, ma la grande spinta del mondo era ed è sempre stata il destino dei suoi milioni di esseri umani.»

«Le mutazioni non hanno mai influenzato la storia.»

«Be’,sì e no. Un’anima folle che urla per bocca di un profeta di carne e sangue non rappresenta un’influenza, se le parole di questo profeta vengono scritte in cinque diverse lingue e messe in vendita, oggigiorno, sugli scaffali dei negozi di New York? Di­ciamo che il processo che avevo osservato e descritto a Dio era continuato; alcune anime morirono; altre si rafforzarono; altre ancora riuscirono a tornare in nuovi corpi, benché all’epoca non sapessi in che modo.»

«Adesso lo sai?»

«La reincarnazione non è affatto comune, non pensarlo nem­meno. E ottiene ben poco per le anime coinvolte. Puoi certo im­maginare le situazioni che la rendono possibile. Quando si verifi­ca, comporta invariabilmente l’estinzione di un’anima appena nata, cioè comporta invariabilmente una sostituzione nel nuovo corpo? Questo varia di caso in caso. Coloro che si reincarnano costantemente rappresentano certo qualcosa che non si può ignorare. Ma questo, come l’evoluzione dei vampiri e di altri im­mortali legati alla terra, rientra in un regno limitato. Ripeto, adesso stiamo parlando del destino dell’umanità nel suo com­plesso. Stiamo parlando dell’intero genere umano.»

«Sì, capisco perfettamente, forse più di quanto tu creda.»

«D’accordo. Pur non disponendo di criteri, andai a Sheol e vi trovai un’enorme, estesa replica della terra! Le anime avevano immaginato e proiettato nella loro esistenza invisibile ogni gene­re di edifici, creature e mostri; era un caos d’immaginazione pri­vo di guida celeste e, come sospettavo, c’era ancora una stragran­de maggioranza di anime che non sapevano di essere morte. Ora, m’immersi nel bel mezzo di tutto ciò, cercando di rendermi il più possibile invisibile, di concepire me stesso come del tutto privo di qualunque forma percepibile, ma non era facile. Perché quello è un reame dell’invisibile; lì tutto è invisibile. E così co­minciai ad aggirarmi per le tetre strade nella semioscurità, tra es­seri deformi, semiformati, informi, gemebondi e morenti, men­tre io avevo la mia forma angelica. Eppure, queste anime confuse non badavano troppo a me! Era come se parecchie di loro non riuscissero affatto a vedere chiaramente. Ora, sai bene che que­sta condizione è stata descritta da sciamani, da santi, da coloro che sono arrivati vicini alla morte, l’hanno attraversata e poi so­no stati rianimati e hanno continuato a vivere.»

«Sì.»

«Be’,ciò che le anime umane vedono di questo regno è solo un frammento. Io vidi tutto; vagai a lungo, impavido e senza cu­rarmi del tempo — o al di fuori di esso, benché il tempo continui a trascorrere, com’è naturale —, e andai dovunque volessi.»

«Un manicomio di anime.»

«Quasi, ma all’interno di questo enorme manicomio c’erano molti, moltissimi palazzi, per usare le parole delle Scritture. Le anime che credevano in simili fedi si erano riunite per dispera­zione e ognuna di esse cercava di rafforzare le credenze e anche i timori altrui. Ma la luce della terra era troppo fioca per scaldare qualcuno, in quel luogo! E la luce del paradiso non vi penetrava. Quindi, sì, hai ragione, era una sorta di manicomio, la valle del­l’ombra della morte, il terribile fiume di mostri che le anime han­no paura di attraversare per raggiungere il paradiso. E, natural­mente, nessuna si era mai spinta fin là. La prima cosa che feci fu ascoltare: ascoltai il canto di qualsiasi anima fosse disposta a can­tare per me, cioè a parlare, nel mio linguaggio; captai ogni di­chiarazione, domanda o supposizione coerente che raggiungesse le mie orecchie. Cosa sapevano queste anime? Cos’erano diven­tate? Dopo breve tempo scoprii che questo orribile luogo colmo di tristezza era diviso in strati, creati dalla volontà delle anime di trovare loro simili. Ormai il luogo era stratificato, in modo al­quanto approssimativo e lugubre, ma vi regnava un ordine scatu­rito dal livello di consapevolezza, accettazione, confusione o ira di ciascuna anima. Le più vicine alla terra erano le più dannate, quelle che continuavano a lottare per mangiare, bere o possede­re le altre, o quelle che non riuscivano ad accettare l’accaduto o non lo capivano. Subito dopo di loro c’era uno strato di anime che non facevano altro che combattere fra loro, urlare, strepitare, spingere, premere, cercare strenuamente di danneggiare, so­praffare, invadere o fuggire, immerse in una disperata confusio­ne. Queste anime non riuscirono nemmeno a vedermi. Ma, an­cora una volta, i tuoi umani hanno visto tutto ciò e lo hanno de­scritto in molti, moltissimi manoscritti nel corso dei secoli. Sono sicuro che niente di quanto sto dicendo ti sorprende. Poi, a mag­giore distanza da questa lotta, più vicino alla quiete del paradiso — anche se non sto parlando di direzioni reali —, c’erano le anime arrivate a capire di aver lasciato la natura e di trovarsi altrove. E queste anime, alcune delle quali risiedevano lì sin dall’inizio, era­no divenute pazienti nel loro atteggiamento, pazienti nella loro osservazione della terra e anche con le anime circostanti, che cer­cavano di aiutare, per amore, ad accettare la morte.»

«Avevi trovato le anime che amavano.»

«Oh, tutte amano», rispose Memnoch. «Tutte. Non ce n’è nemmeno una che non ami nulla. Lui o lei ama sempre qualcosa, persino se questo qualcosa esiste solo nella memoria o sotto for­ma di ideale. Ma, sì, avevo trovato anime che esprimevano in modo armonioso e sereno immense quantità di amore per le altre e per i viventi sottostanti. Ne trovai alcune che avevano lo sguar­do totalmente rivolto verso la terra e la cui unica aspirazione era rispondere alle preghiere che si levavano dai disperati, dai biso­gnosi e dagli infermi. E a quel punto la terra, come ben sai, aveva assistito a guerre inenarrabili e alla distruzione di intere civiltà a causa di un terribile cataclisma. La varietà e le possibilità di sof­ferenza aumentavano costantemente, e non solo in proporzione all’apprendimento o allo sviluppo culturale. Quando guardavo la terra, non cercavo nemmeno di capire cosa dominasse le pas­sioni di coloro che vivevano in una giungla e si opponevano ai gruppi residenti in un’altra, o perché mai una popolazione impi­lasse pietre per generazioni. Naturalmente, conoscevo più o me­no tutto, ma al momento non ero impegnato in una missione le­gata alla terra. I defunti erano diventati il mio regno. Mi avvicinai alle anime che guardavano in basso con misericordia e compas­sione, nel tentativo d’influenzare positivamente gli altri col pen­siero. Dieci, venti, trenta, ne vidi migliaia. Migliaia, ti dico, in cui qualunque speranza di rinascita o di generosa ricompensa era ormai svanita; anime caratterizzate da una totale accettazione del fatto che quella fosse la morte, l’eternità; anime innamorate della carne e del sangue che riuscivano a vedere, proprio come noi an­geli eravamo stati innamorati e lo eravamo tuttora. Mi sedetti in mezzo a loro e cominciai a parlargli, ogni volta che riuscivo ad attirarne l’attenzione, e ben presto divenne evidente che la mia forma li lasciava piuttosto indifferenti perché presumevano che io l’avessi scelta così come loro avevano scelto la propria; alcune anime assomigliavano a uomini e donne, mentre altre non si cu­ravano affatto dell’aspetto. Quindi sospetto che mi considerasse­ro appena arrivato a Sheol, visto che avevo bisogno di fare pla­teali esibizioni di braccia, gambe e ali. Tuttavia, avvicinandole molto educatamente, riuscivo a distoglierle dalla concentrazione sulla terra; cominciai quindi a interrogarle, rammentando a me stesso di cercare unicamente la verità, senza però mai dimostrar­mi sgarbato. Devo aver parlato con milioni di anime. Vagai in lungo e in largo per Sheol, discutendo con loro. E, ogni volta, il compito più arduo era distogliere dalla terra o da un fantasma di esistenza perduta l’attenzione dell’individuo prescelto, oppure scuoterlo da uno stato di eterea contemplazione in cui la sua ca­pacità di concentrarsi era ormai così estranea e richiedeva un tale sforzo da non poter essere indotta. Le anime più sagge, più amo­revoli, non volevano badare alle mie domande; solo poco per volta si rendevano conto che non ero un uomo mortale, bensì fatto di una sostanza assai diversa, e che le mie domande rac­chiudevano un significato legato a un luogo al di là della terra. Sai, era questo il dilemma. Loro si trovavano a Sheol da così tan­to tempo che non formulavano più ipotesi sullo scopo della vita o della creazione; non maledicevano più un Dio che non cono­scevano, né cercavano un Dio che si nascondeva a loro. E quan­do cominciai a interrogarle, pensarono che io mi trovassi laggiù insieme con le nuove anime, sognando di castighi e ricompense che non sarebbero mai giunti. Queste anime sagge contemplava­no la loro vita passata come in un lungo sogno privo di ansie e cercavano di esaudire le preghiere che arrivavano dal basso, co­me ho già detto. Si prendevano cura dei familiari, dei membri del loro clan, delle loro nazioni; si prendevano cura di quanti at­tiravano la loro attenzione con esperte e spettacolari dimostra­zioni di religiosità; osservavano tristemente le sofferenze degli umani, provavano il desiderio di aiutarli e, ove possibile, cerca­vano di farlo attraverso il pensiero. Quasi nessuna di queste ani­me tanto forti e pazienti cercava di nuovo la carne. Alcune però lo avevano fatto, in passato; erano scese, erano rinate e avevano scoperto, in ultima analisi, di non poter conservare il ricordo di una vita carnale quando passavano alla successiva, avevano sco­perto che in realtà non c’era motivo di continuare a nascere! Me­glio indugiare lì, nell’eternità che conoscevano, e ammirare la bellezza del creato, che a loro appariva davvero splendido come era parso a noi. Be’,fu da queste domande, da queste incessanti e ponderate conversazioni coi defunti che scaturirono i miei criteri di giudizio. Prima di tutto, per essere degna del paradiso — per avere una minima opportunità al cospetto di Dio —, l’anima doveva capire la vita e la morte nell’accezione più semplice. Ne trovai parecchie che ci riuscivano. Poi doveva esserci, in questa loro comprensione, la consapevolezza della bellezza dell’opera di Dio, dell’armonia del creato dal punto di vista di Dio, una vi­sione della natura avviluppata in cicli infiniti e sovrapposti di so­pravvivenza, riproduzione, evoluzione e sviluppo. Parecchie ani­me erano giunte a capire tutto ciò, parecchie; ma molte tra quelle che giudicavano bellissima la vita sentivano che la morte era triste, interminabile e terribile e, se avessero avuto la possibilità di scegliere, avrebbero preferito non essere mai nate! Non sapevo come reagire a quella convinzione, che era pure molto diffusa. ‘Perché ci ha creato, chiunque Lui sia, se dobbiamo restare qui così per sempre, fuori dal mondo e mai più parte di esso, a meno che non vogliamo calarci giù e patire di nuovo tutto quel tor­mento solo per qualche istante di gloria, che la prossima volta non apprezzeremo più di quanto abbiamo fatto l’ultima volta, vi­sto che, se rinasciamo, non possiamo portare con noi la cono­scenza?’ Era a questo punto che molte anime avevano cessato di evolversi o mutare. Provavano una preoccupazione e una com­passione profonde per quanti erano vivi, conoscevano la tristez­za, mentre la gioia era qualcosa che ormai non riuscivano nem­meno a immaginare. Avanzavano verso la pace; e la pace sembra­va quasi la condizione più sublime cui potessero aspirare. La pa­ce, interrotta dallo sforzo di rispondere alle preghiere, risultava particolarmente ardua, ma per me, come angelo, assai attraente. E rimasi in compagnia di queste anime per molto, moltissimo tempo. Se soltanto potessi dirglielo, pensavo, se soltanto potessi cominciare a istruirle, forse riuscirei a portarle con me, a prepa­rarle, a far sì che siano pronte per il paradiso, ma in questo stato non sono pronte e non so neppure se crederanno alle mie parole. E se anche ci credono e vengono colmate dal desiderio del para­diso, ma poi Dio non le lascia entrare? No, dovevo stare molto attento. Non potevo proclamare la conoscenza dalla cima di un masso come avevo fatto durante il mio breve soggiorno sulla ter­ra. Se proprio dovevo intromettermi nel progresso di una di que­ste anime morte, dovevano esserci ottime probabilità che essa mi seguisse fino al trono di Dio. Capire la vita e la morte? Non ba­stava. Accettare la morte? Non bastava. E sicuramente nemme­no l’indifferenza nei confronti della vita e della morte era suffi­ciente. Una serena confusione e un quieto andare alla deriva. No. Quel tipo di anima aveva perso il suo carattere; era distante da un angelo tanto quanto la pioggia che cadeva sulla terra. Alla fine, raggiunsi una regione più piccola delle altre e popolata sol­tanto da poche anime. Ovviamente sto parlando in termini rela­tivi, ricorda che sono il Diavolo e trascorro parecchio tempo in paradiso e all’inferno. Perciò, quando dico ‘poche’ è per evocare un’immagine che la tua mente possa comprendere. Per il bene del racconto diciamo qualche migliaio o poco più, ma parlo co­munque di grosse cifre, non dubitarne.»

«Capisco.»

«E queste anime mi sbalordirono con la loro radiosità, la loro serenità e i vari livelli della conoscenza che avevano ottenuto e conservato. Per prima cosa, quasi tutte avevano una completa forma umana, cioè avevano realizzato nell’invisibile le loro for­me originali o forse ideali. Sembravano angeli! Erano uomini, donne e bambini invisibili, ed erano dotate dei corredi che ave­vano amato in vita. Alcune erano nuove nuove, giunte dalla mor­te meditabonde, impegnate nella ricerca e aperte al mistero. Al­tre avevano appreso tutto a Sheol, grazie a secoli di osservazione e timore di perdere la propria individualità, a prescindere da quanto sembrasse terribile la situazione. Ma tutte erano distinta­mente visibili! E antropomorfe, benché fossero diafane come tutti gli spiriti; alcune poi erano più pallide di altre, ma, in linea di massima, tutte risultavano chiaramente visibili alle altre e a se stesse. Mi addentrai in mezzo a loro, aspettandomi di venire snobbato, invece mi resi subito conto che queste anime mi vede­vano in modo diverso dalle altre. Valutavano tutto in modo di­verso. Erano più in sintonia con le sottigliezze dell’invisibile per­ché ne avevano accettato le condizioni. Se desideravo essere ciò che ero, benissimo, pensavano, e mi giudicavano molto seria­mente in base all’abilità con cui riuscivo a essere questa creatura alta, alata, dai capelli lunghi e vestita di una tunica fluttuante. Pochi istanti dopo il mio arrivo, percepii la felicità tutt’intorno a me. Percepii l’accettazione, un’assoluta mancanza di opposizio­ne e un’acuta curiosità. Sapevano che non ero un’anima umana; lo sapevano perché erano arrivate al punto di riuscire a vederlo! Potevano vedere parecchie cose di qualsiasi altra anima osservas­sero. E potevano vedere parecchie cose del mondo sottostante. Una di queste anime aveva la forma di una donna, e non era af­fatto la mia Lilia, a proposito, perché non la rividi mai più, in nessuna forma. Si trattava di una donna morta, credo, nella mez­za età, dopo aver avuto numerosi figli, alcuni dei quali si trovavano già con lei mentre altri erano ancora sulla terra. Quest’anima era immersa in una serenità che stava diventando quasi lumino­sa. La sua evoluzione, cioè, aveva raggiunto un livello così alto nell’invisibile che stava iniziando a generare qualcosa di simile alla luce di Dio!

«‘Cosa ti rende tanto diversa? Cosa rende tanto diversi tutti voi che siete riuniti in questo luogo?’ le chiesi.

«Con un’acutezza che mi sbalordì, lei mi chiese chi fossi. Di solito, le anime defunte non pongono quella domanda, s’immer­gono subito nelle loro preoccupazioni e ossessioni impotenti. Invece lei chiese: ‘Chi sei e cosa sei? Non ho mai visto un essere co­me te, qui. L’ho visto solo quando ero viva’.

«‘Preferisco non dirtelo, per ora’,risposi. ‘Ma voglio impara­re da te. Vuoi dirmi come mai sembri felice? Sei felice, vero?’

«‘Sì, sono con coloro che amo, e guarda giù, guarda tutto’,m’incitò.

«‘Quindi non hai nessuna domanda da fare in proposito?’ in­sistetti io. ‘Non desideri sapere come mai sei nata e perché hai sofferto, o cosa ti è successo quando sei morta, o perché ti trovi qui?’ Accrescendo il mio stupore, la donna scoppiò a ridere. Una risata che non avevo mai sentito a Sheol. Era una risata fio­ca, rasserenante, gaia, una risata dolce, simile a quella degli ange­li, e credo di aver reagito cantando sommessamente, in modo piuttosto naturale; a quel punto la sua anima si schiuse come un bocciolo, così come si erano schiuse le anime carnali sulla terra quando avevano imparato ad amarsi l’un l’altra! Cominciò a tro­varmi simpatico e diventò più espansiva.

«‘Sei bellissimo!’ sussurrò in tono rispettoso.

«‘Ma come mai tutte le altre anime presenti in questo luogo sono così infelici e invece voi poche che vi trovate qui siete così colme di pace e di gioia? Sì, lo so, ho guardato giù. E tu sei con coloro che ami. Ma questo vale anche per tutti gli altri.’

«‘Non proviamo più rancore verso Dio. Nessuno di quelli che si trovano qui lo prova. Non lo odiamo’,dichiarò.

«‘Gli altri invece sì?’

«‘Non è che lo odino’,rispose con delicatezza, parlandomi con estrema cautela, come se potessi offendermi facilmente. ‘Ma non riescono a perdonarlo per tutto questo... per il mondo, per ciò che è successo, e per questa condizione di Sheol in cui lan­guiamo. Noi invece ci riusciamo. Lo abbiamo perdonato, e lo abbiamo fatto ognuno per motivi diversi, ma siamo arrivati a perdonare Dio. Accettiamo la consapevolezza che la nostra vita è stata un’esperienza magnifica, per la quale è valsa la pena di pati­re e soffrire, e adesso consideriamo preziosa la gioia che abbia­mo conosciuto e i momenti di armonia; abbiamo perdonato Dio per non averci spiegato tutto ciò, per non averlo giustificato, per non aver punito i malvagi o ricompensato i giusti, e per non aver fatto ciò che queste anime, viventi e morte, si aspettano da Lui. Lo perdoniamo. Non ne siamo certi, ma sospettiamo che Dio sia a conoscenza di un grande segreto che spiega come tutto questo dolore abbia potuto esistere ed essere comunque positivo. E se non vuole rivelarlo, Lui è Dio. Ma comunque sia, lo perdoniamo e lo amiamo nella nostra indulgenza, pur sapendo che potrebbe non curarsi mai di nessuno di noi, non più di quanto si curi dei ciottoli su una spiaggia.’

«Ero ammutolito. Rimasi seduto, immobile, lasciando che queste anime si radunassero spontaneamente intorno a me. Poi un’anima molto giovane, quella di un bambino, disse: ‘All’inizio sembrò davvero terribile che Dio ci conducesse nel mondo affin­chè venissimo uccisi, tutti noi — perché, vedi, noi tre siamo morti a causa della guerra —, ma lo abbiamo perdonato perché sappia­mo che, se è riuscito a creare qualcosa di bello come la vita e la morte, allora deve capire’.

«‘Sai, il succo è proprio questo’,intervenne un’altra anima. ‘Saremmo disposti a patire tutto di nuovo, se vi fossimo costretti. E cercheremmo di essere più buoni col prossimo e più affettuosi. Ma ne è valsa la pena.’

«‘Sì’,dichiarò una terza. ‘Mi ci è voluta tutta la mia vita sulla terra per perdonare Dio per il mondo, ma prima di morire l’ho fatto e così sono venuto a dimorare qui con costoro. E, se guardi bene, vedrai che abbiamo trasformato questo luogo in una sorta di giardino. Non è facile per noi. Lavoriamo solo con la nostra mente, volontà, memoria e immaginazione, eppure stiamo creando un posto in cui ricordare ciò che era buono. E perdoniamo Dio, e lo amiamo, per averci dato così tanto.’

«‘Sì, per averci dato qualcosa’,confermò un’altra ancora. ‘Siamo colmi di gratitudine e di amore per Lui. Perché sicura­mente là fuori nel buio c’è un grande nulla, e abbiamo visto così tanti esseri sulla terra ossessionati dal nulla e dall’infelicità, e che non hanno mai conosciuto le gioie che noi abbiamo conosciuto o conosciamo ora.’

«Tutto ciò non è facile’,spiegò un’altra anima. ‘È stata una strenua lotta. Ma fare l’amore era bello, bere era bello, ballare e cantare era splendido, correre ubriachi sotto la pioggia era esila­rante; e al di là c’è un caos, un’assenza, perciò sono grato che i miei occhi si siano aperti sul mondo circostante e grato di poter­lo ricordare e vedere da qui.’

«Riflettei a lungo senza rispondere a nessuno di loro, e le ani­me continuarono a parlarmi, radunandosi intorno a me, come se la luce in me — ammesso che ci fosse una luce visibile — li stesse attirando. In realtà, più rispondevo alle loro domande, più loro si aprivano e sembravano capire in modo più significativo le pro­prie risposte, e più pregnanti e intense diventavano le loro dichiarazioni. Ben presto notai che queste persone provenivano da ogni nazione e ceto sociale. E benché legami di parentela unisse­ro molti tra loro, ciò non valeva per tutti. Anzi, molti avevano perso di vista i propri parenti in altri regni di Sheol; altri non li avevano mai nemmeno visti; altri ancora invece erano stati accol­ti, al momento della morte, dai loro cari estinti! E costoro erano rappresentanti del mondo e di tutte le sue credenze riuniti in questo luogo, dove la luce cominciava a brillare.

«‘Le vostre vite sulla terra erano legate da un denominatore comune?’ chiesi alla fine. Non riuscirono a rispondere, lo ignora­vano; non si erano interrogati l’un l’altro sulle rispettive vite. Co­sì, quando feci rapide domande a caso, divenne evidente che non c’era stato nessun denominatore comune! Alcune di queste per­sone erano state ricchissime, altre povere; alcune avevano soffer­to indicibilmente, altre non solo non avevano sperimentato nes­suna sofferenza, ma avevano persino conosciuto una prosperità e un ozio dorati in cui erano giunte ad amare il creato prima ancora di morire. Ebbi l’intuizione che, volendo, avrei potuto ri­flettere su queste risposte e valutarle in qualche modo. In altre parole, tutte queste anime avevano imparato a perdonare Dio in vari modi, però era probabile che esistesse un modo migliore di un altro per farlo, un modo più efficace. Forse. Non potevo esserne sicuro. E allora non potevo stabilirlo. Cinsi queste anime con le braccia, le attirai a me. ‘Voglio che facciate un viaggio con me’,spiegai, avendo ormai parlato con ognuna di loro ed essen­do assolutamente sicuro di aver compreso la situazione. ‘Voglio che veniate in paradiso e vi presentiate a Dio. Potrebbe essere una cosa rapida e potreste vederlo solo per un attimo, e forse Dio non vi permetterà affatto di vederlo. Potreste ritrovarvi ri­spediti qui, senza avere imparato nulla ma neanche avere soffer­to. La verità è che non posso dirvi con sicurezza cosa succederà! Nessuno conosce Dio.’

«‘Noi lo conosciamo’,dissero all’unisono.

«‘Ma v’invito a venire da Lui e a dirgli ciò che avete detto a me. E adesso voglio rispondere alla vostra prima domanda: io sono l’arcangelo Memnoch, fatto con lo stesso stampo di altri angeli di cui avete sentito parlare quando eravate vivi! Verrete?’

«Parecchie di loro rimasero sbalordite ed esitarono, ma la maggioranza pronunciò, con un’unica voce, una mescolanza di risposte che consistevano in questa: ‘Verremo. Una fugace visio­ne di Dio, persino un’opportunità di poterla avere, vale qualsiasi sacrificio. Se non è così, allora non ricordo il profumo del dolce ulivo o quale sensazione mi dava l’erba fresca quando mi ci sdraiavo sopra; se non è così, allora non ho mai assaggiato il vino e non ho mai portato a letto chi amavo. Verremo’.

«Molte anime si rifiutarono. Passarono alcuni istanti prima che ce ne accorgessimo, ma molte si erano ritratte. Ormai mi ve­devano per ciò che ero, un angelo, e capivano cos’era stato loro nascosto, quindi in quell’istante avevano perso la tranquillità e la capacità di perdonare. Mi fissavano con orrore o rabbia o en­trambe le cose. Le altre anime cercarono subito di far loro cam­biare idea, ma quelle si dimostrarono irremovibili. No, non vole­vano vedere questo Dio che aveva abbandonato il suo creato e lo aveva lasciato a innalzare dei su altari disseminati in tutto il pianeta e a pregare invano per un intervento o un giudizio finale! No, no, no!

«‘Venite’,dissi alle altre. ‘Cerchiamo di entrare in paradiso. Proviamoci con tutte le forze! Quanti siamo? Mille volte dieci? Un milione di volte dieci? Che importanza ha? Dio ha detto dieci, soltanto dieci. Dio intendeva almeno dieci. Venite, andiamo! ‘»

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