12

«Dio disse: ‘Aspetta!’ Così mi ritrovai bloccato accanto alle por­te del paradiso, insieme con tutti i miei compagni, gli angeli che di solito si recavano sulla terra come me, e anche altri, come Mi­chele, Gabriele e Uriel.

«‘Memnoch, mio accusatore’,continuò Dio, e le parole ven­nero pronunciate con la consueta gentilezza e accompagnate da un fulgore di luce. ‘Prima di entrare in paradiso e iniziare la tua diatriba, scendi sulla terra a studiare con attenzione e con rispet­to tutto ciò che hai visto — mi riferisco al genere umano —, in mo­do da tornare da me solo dopo esserti concesso ogni possibilità di capire e ammirare tutto ciò che ho fatto. Adesso ti dico che il genere umano è parte della natura, e soggetto alle sue leggi. Nes­suno, se non io, dovrebbe capirlo meglio di te. Ma ora va’,osser­va di nuovo, da solo. Allora, e soltanto allora, indirò in paradiso un’assemblea di tutti gli angeli, di tutti i ranghi e tutti i talenti, e ascolterò ciò che hai da dire. Conduci con te coloro che cercano le tue stesse risposte e lasciami gli angeli che non si sono mai preoccupati, né accorti, né curati di nulla se non di vivere nella mia luce.’» Memnoch s’interruppe.

Costeggiammo lentamente la riva dello stretto mare fino ad arrivare là dove alcuni massi formavano un posto ideale per se­dersi e riposare. Non provavo stanchezza in senso fisico, ma il cambiamento di posizione parve affinare i miei sensi, acuire la mia concentrazione e la mia ansia di ascoltare le sue parole. Lui si sedette accanto a me, si girò verso sinistra per guardarmi e an­cora una volta le sue ali svanirono; ma prima si sollevarono e si stesero, quella sinistra molto al di sopra della mia testa: la loro apertura complessiva mi sbalordì. Poi scomparvero. Non c’era posto per loro quando Memnoch si sedeva, o almeno non abba­stanza spazio perché potessero ripiegarsi dietro di lui.

Riprese a raccontare: «Subito dopo, in paradiso si scatenò un putiferio a proposito di chi voleva scendere a esaminare il creato con me e chi invece preferiva non farlo. Ora, cerca di capire che gli angeli erano già disseminati in tutto il creato, come ti ho detto, e molti avevano già passato anni sulla terra, innamorandosi di ruscelli e vallate, e persino dei deserti che avevano cominciato ad apparire. Ma questo era un messaggio speciale che il Signore mi aveva dato — Va’ e impara tutto ciò che puoi sul genere umano —, perciò sorsero discussioni per stabilire chi fosse interessato quanto me ai misteri della razza umana».

Lo interruppi: «Aspetta un attimo, perdonami, ti prego. Quanti angeli ci sono? Hai appena detto che Dio parlò di ‘tutti i ranghi’ e ‘tutti i talenti’».

«Hai sicuramente appreso dal folklore una parte della ve­rità», considerò. «Dio creò per primi noi arcangeli: Memnoch, Michele, Gabriele, Uriel e molti altri i cui nomi non sono mai stati scoperti, involontariamente o no, quindi preferirei non rive­larteli. Il numero complessivo di arcangeli? Cinquanta. E, come ho detto, fummo i primi a essere creati, anche se l’ordine preciso è diventato un isterico tema di discussione in paradiso e un argo­mento in cui ho perso qualsiasi interesse molto tempo fa. Inoltre, sono convinto di essere comunque il primo. Ma non ha impor­tanza. Siamo quelli che comunicano nel modo più diretto con Dio, e anche con la terra. Ecco perché siamo stati definiti angeli guardiani, oltre che arcangeli; talvolta negli scritti religiosi ci vie­ne erroneamente attribuito un basso rango che non abbiamo af­fatto. Possediamo una grande personalità e una più grande flessibilità tra Dio e l’uomo.»

«Capisco. E Raziel? E Metatron? E Remiel?»

Lui sorrise. «Sapevo che questi nomi ti sarebbero stati fami­liari», commentò. «Ognuno di loro ha un suo posto tra gli ar­cangeli, ma non posso certo spiegarti tutto questo adesso. Lo scoprirai quando sarai morto. Inoltre, ciò travalica la capacità di comprensione di una mente umana, persino di una mente vampiresca come la tua.»

«Benissimo», dissi. «Ma ciò che stai dicendo è che i nomi si riferiscono ad autentiche entità. Sariel è un’entità.»

«Sì.»

«E anche Zagzagel.»

«Sì. Adesso però lasciami continuare. Permettimi di rispetta­re gli schemi. Come ti ho già detto, siamo i messaggeri di Dio, e gli angeli più potenti; e, come vedi, io stavo rapidamente diven­tando l’accusatore di Dio!»

«Infatti Satana significa accusatore, e tutti gli altri nomi terri­bili che tu non ami sono in qualche modo collegati a quel concet­to. Accusatore», dichiarai.

«Precisamente», ammise. «I più antichi scrittori religiosi, co­noscendo solo brandelli della verità, pensarono che io accusassi l’uomo, non Dio; ma esistono motivi ben precisi per questo, co­me presto scoprirai. Si potrebbe dire che divenni il grande accu­satore di chiunque.» Sembrò sull’orlo dell’esasperazione, ma poi riprese a parlare, con voce calma e misurata. «Ma il mio no­me è Memnoch, e non esiste né è mai esistito un angelo più po­tente o intelligente di me», mi rammentò.

«Capisco», dissi, per gentilezza e perché non dubitavo della veridicità della sua affermazione. Perché mai avrei dovuto? «I nove cori?» chiesi.

«Sono tutti là», rispose. «I nove cori, naturalmente, che for­mano il bene ha elohim. Sono stati descritti magistralmente dagli studiosi ebrei e cristiani, grazie a periodi di rivelazioni e forse anche di disastri, anche se sarebbe arduo determinare la natura di ogni avvenimento. La prima triade è costituita da tre cori, i se­rafini, i cherubini e i troni od ophanim, come preferisco chia­marli; e questa prima triade è in genere strettamente legata alla gloria di Dio. Sono suoi servi, prosperano nella luce che può ac­cecare o abbagliare gli altri, e non si allontanano mai molto da essa. Nelle occasioni in cui m’infurio e tengo discorsi a tutto il paradiso, li accuso — se mi perdoni ancora una volta l’espressio­ne — di essere attaccati a Dio come a un magnete e di non avere un libero arbitrio o una personalità come noi. Ma li hanno, dav­vero, persino gli ophanim, che in genere sono i meno loquaci... in realtà, non parlano da miliardi di anni. Qualunque membro di questa prima triade può essere inviato da Dio a fare questo o quello ed è comparso sulla terra, e alcuni serafini si sono persino rivelati, in modo alquanto spettacolare, a uomini e a donne. Va detto a loro credito che adorano Dio in modo totale, sperimen­tano senza riserve l’estasi della sua presenza e Lui li appaga com­pletamente, tanto che non gli fanno mai domande e sono i più docili, oppure i più consapevoli della volontà di Dio, a seconda dei punti di vista. La seconda triade è costituita da tre cori cui gli uomini hanno attribuito il nome di dominazioni, virtù e potestà. Ma, a dire il vero, c’è pochissima differenza tra questi angeli e la prima triade. La seconda è leggermente più lontana dalla luce di Dio e forse non può avvicinarsi oltre, dati i suoi talenti, e magari non è poi così intelligente in fatto di logica o domande. Chi può saperlo? È di sicuro più docile, nel complesso; ma, in fin dei conti, gli andirivieni della seconda triade dalla terra al paradiso sono più frequenti di quelli dei devoti e talvolta arroganti serafi­ni. Capisci benissimo che questo potrebbe provocare parecchie discussioni.»

«Credo di capire.»

«Queste prime due triadi cantano di continuo quando sono in paradiso, e quasi sempre quando sono sulla terra; i loro canti si levano verso il paradiso, spontanei e incessanti; non prorom­pono nel deliberato giubilo del mio canto o del canto di quelli come me. Né restano in silenzio per lunghi periodi come i miei compagni — gli arcangeli — sono propensi a fare. Quando sarai morto, potrai sentire il canto di tutte le triadi. In questo momen­to ti distruggerebbe. Ti ho lasciato ascoltare parte del clamore del paradiso, ma per te non può essere altro che questo, un cla­more... il suono di canti e risate mischiati, e scoppi, all’apparenza capricciosi, di una splendida sonorità.»

Annuii. Ascoltarlo era stato doloroso e magnifico insieme.

«Si presume che la triade inferiore includa principati, arcan­geli e angeli, ma questo è fuorviante, come ho già detto», conti­nuò lui. «Perché in realtà noi, gli arcangeli, siamo i più potenti e i più importanti, quelli dotati di maggiore personalità, e quelli più dubbiosi e preoccupati. Gli angeli ci considerano difettosi, sotto questo punto di vista. Al serafino medio non verrebbe mai in mente d’implorare pietà per il genere umano. Ma eccoti uno schema approssimativo delle cose. Gli angeli sono innumerevoli. E tra loro esiste una certa mobilità, alcuni si avvicinano a Dio più di altri, e poi si ritraggono quando la maestà è troppo grande per loro, e preferiscono scivolare all’indietro e intonare un canto più fioco. Succede di continuo. Ora, la cosa importante è che gli angeli guardiani della terra, gli osservatori, coloro che si concentra­rono sulla creazione, provenivano da ciascuno di questi ranghi! Persino dalle file degli stessi serafini sono arrivati guardiani che hanno trascorso milioni di anni sulla terra e poi sono tornati in paradiso. L’andirivieni è normale. L’inclinazione che ho descritto è innata, ma non immutabile. Gli angeli non sono perfetti. Lo puoi già capire. Sono esseri creati, perciò non sanno tutto quello che sa Dio, questo è evidente per te come per chiunque altro. Ma sanno parecchie cose; sanno tutto ciò che può essere conosciuto nel tempo, se desiderano conoscerlo; ed è proprio in questo che gli angeli differiscono. Alcuni vogliono sapere ogni cosa nel tem­po, altri si preoccupano solo di Dio e del riflesso di Dio nelle sue anime più devote.»

«Capisco. Stai dicendo che in proposito hanno tutti ragione e, in un certo senso, tutti torto.»

«Più ragione che torto. Gli angeli sono individui, è questa la chiave. Noi che siamo caduti non costituiamo una specie a parte, a meno che il fatto di essere i più brillanti, i più intelligenti e i più comprensivi non ci trasformi in una specie, cosa di cui dubito.»

«Continua.»

Scoppiò a ridere. «Credi forse che io intenda fermarmi pro­prio adesso?»

«Non lo so», risposi, confuso. «Qual è il mio ruolo in tutto questo? Non mi riferisco a me, Lestat de Lioncourt, ma a ciò che sono... al vampiro che sono.»

«Sei un fenomeno legato alla terra, proprio come un fanta­sma. Ci arriverò fra un attimo. Quando Dio ci mandò sulla terra per osservare, in particolare il genere umano, nutrivamo la stessa curiosità nei confronti dei vivi e dei morti... la ghirlanda di anime che riuscivamo a vedere e sentire, riunita intorno al mondo, e che chiamammo subito Sheol perché ci sembrò che il regno di queste anime piangenti fosse il regno della tristezza pura. Sheol significa tristezza.»

«E lo spirito che creò i vampiri...»

«Aspetta. È semplicissimo, lascia però che te lo esponga così come l’ho capito io. Altrimenti, come potresti capire la mia posi­zione? Quello che ti chiedo — diventare il mio luogotenente — è talmente intimo e assoluto che non puoi comprenderlo sino in fondo, se non ascolti.»

«Continua, ti prego.»

«D’accordo. Un gruppo di angeli decise di venire con me, di avvicinarsi il più possibile alla materia in modo che potessimo unire tutta la nostra conoscenza, in modo da capire meglio, co­me Dio ci aveva chiesto di fare. Michele venne con me, insieme con una schiera di altri arcangeli; c’erano alcuni serafini, alcuni ophanim e alcuni membri degli ordini più bassi che sono gli an­geli meno intelligenti, ma sempre angeli, profondamente inna­morati del creato e curiosi di scoprire cosa mi rendeva così furi­bondo con Dio. Non so dirti in quanti fossimo. Comunque, quando raggiungemmo la terra, ci allontanammo in direzioni di­verse, per percepire tutto il possibile, e spesso ci riunivamo per discutere di ciò che avevamo visto. Ci accomunava l’interesse per l’affermazione di Dio secondo cui l’umanità era parte della natura. Non riuscivamo a capire come potesse essere vero, per­ciò ci dedicammo all’esplorazione. Appresi in fretta che ormai uomini e donne vivevano in grandi gruppi, in modo molto diver­so dagli altri primati, che si dipingevano il corpo con vari colori, che spesso le donne vivevano separate dagli uomini, e che crede­vano in qualcosa d’invisibile. Ora, di cosa si trattava? Erano le anime degli antenati, i cari estinti ancora prigionieri nell’aria del­la terra, privi di corpo e confusi? Sì, ma gli umani veneravano an­che altre entità. Immaginavano un Dio che aveva creato le bestie selvatiche e gli sacrificavano animali sugli altari, pensando che questo aspetto di Dio Onnipotente fosse una personalità dai li­miti molto precisi e piuttosto facile da compiacere o irritare. Non posso dire che per me questa fosse una grossa sorpresa; in­fatti ne avevo notati i prodromi. Dopotutto, ti ho condensato mi­lioni di anni nelle mie rivelazioni. Eppure quando mi avvicinai a questi altari, quando sentii la specifica preghiera rivolta al Dio degli animali selvatici, quando cominciai a vedere l’accuratezza e il carattere deliberato del sacrificio — l’uccisione di un montone o di un cervo —, rimasi profondamente colpito dal fatto che non solo questi umani fossero giunti a somigliare agli angeli, ma aves­sero anche intuito la verità. L’avevano compresa istintivamente! Esisteva un Dio. Lo sapevano. Ignoravano come fosse, ma ne in­tuivano l’esistenza. E questa conoscenza istintiva sembrava sca­turire dalla stessa essenza da cui sgorgavano le loro anime spiri­tuali capaci di sopravvivere. Lascia che mi spieghi ancora me­glio. La coscienza di sé e la consapevolezza della propria morte avevano creato negli umani un senso di netta individualità, che temeva la morte e l’annientamento! Lo constatavano, sapevano cos’era, lo vedevano accadere. E pregavano per un Dio disposto a impedire che una cosa simile avesse un significato nel mondo. Ed era questa stessa tenacia — la tenacia di questa individualità — a far sì che l’anima umana sopravvivesse dopo aver lasciato il corpo, imitandone la forma, tenendosi insieme, per così dire, ag­grappandosi in un certo senso alla vita, perpetuandosi, plasman­dosi in base all’unico mondo che conosceva.»

Non parlai. Ero completamente assorbito dalla narrazione e desideravo solo che lui continuasse. Pensai a Roger; pensai mol­to distintamente a Roger perché era l’unico fantasma che avessi mai conosciuto, e ciò che Memnoch aveva appena descritto era una versione di Roger ben chiara e determinata.

«Oh, sì, proprio così, e forse questo è il motivo per cui è una fortuna che lui sia venuto da te, anche se all’epoca l’ho conside­rata una delle peggiori seccature che potesse capitare», precisò Memnoch.

«Non volevi che Roger venisse da me?»

«Ho osservato, ho ascoltato e sono rimasto sbalordito, pro­prio come te, ma mi era già successo con altri fantasmi prima di lui. Non è stato poi così straordinario; comunque, no, non era sicuramente una cosa orchestrata da me, se è questo che intendi.»

«Ma è accaduto quasi in contemporanea con la tua compar­sa! I due avvenimenti mi sono sembrati collegati!»

«Davvero? Qual è il nesso? Cercalo dentro di te. Non pensi che i morti abbiano già cercato di parlare? Non pensi che i fanta­smi delle tue vittime ti abbiano inseguito, ululando? Certo, i fan­tasmi delle tue vittime di solito spirano in uno stato di beatitudi­ne e confusione totali, senza percepirti come lo strumento della loro morte; ma non sempre succede così. Forse ciò che è cambia­to sei tu! E, come ben sappiamo, volevi bene a questo mortale, a Roger, lo ammiravi, capivi la sua vanità e il suo amore per il sa­cro, il misterioso e il costoso, perché hai i suoi stessi tratti caratterali.»

«Sì, è tutto vero, indubbiamente», ammisi. «Ma continuo a pensare che tu abbia avuto qualcosa a che fare con la sua venu­ta.»

Rimase scioccato. Mi guardò per un lungo istante come se stesse per arrabbiarsi, poi scoppiò a ridere. «Perché?» doman­dò. «Perché mai dovrei preoccuparmi di una simile apparizio­ne? Sai cosa ti sto chiedendo! Sai cosa significa! La rivelazione mistica o quella teologica non ti sono del tutto ignote. Lo sapevi, quand’eri vivo... il ragazzo che, in Francia, si rese conto di poter morire senza scoprire il significato dell’universo e corse dal prete del villaggio per chiedere a quel poveretto: ‘Credete in Dio?’»

«Sì, solo che è successo tutto nello stesso momento. E quan­do sostieni che non esiste nessun legame, io, be’... non ci credo», ribattei.

«Sei la creatura più dannata del mondo! Davvero!» rispose. La sua esasperazione era tenue e paziente, ma comunque degna di questo nome. «Lestat, non capisci che quello che ti ha spinto verso la complessità di Roger e di sua figlia Dora è la stessa cosa che mi ha portato da te? Eri arrivato al punto di protenderti ver­so il sovrannaturale. Stavi implorando il paradiso di distruggerti! Il fatto di prendere David ha forse rappresentato il tuo primo passo verso l’assoluto pericolo morale! Sei riuscito a perdonare te stesso per aver creato la vampira bambina, Claudia, solo per­ché eri giovane e stupido. Ma trasformare David in un vampiro, contro la sua volontà! Prendere la sua anima e renderla vampiresca! Quello è stato il più orrendo dei crimini. Quello è stato un crimine che grida vendetta, per l’amor di Dio. Proprio David, cui un giorno avevamo permesso d’intravederci, tanto eravamo interessati a lui e alla strada che avrebbe potuto imboccare.»

«Ah, quindi l’apparizione a beneficio di David fu delibera­ta.»

«Credevo di avertelo già detto.»

«Ma Roger e Dora rappresentavano un ostacolo banale.»

«Sì. Ovviamente tu hai scelto la vittima più brillante e affascinante! Hai scelto un uomo che nel suo lavoro — l’attività crimina­le, il racket, il furto — dimostrava la stessa abilità che dimostri tu nell’essere ciò che sei. Fu un passo audace. La tua fame sta au­mentando e diventa sempre più pericolosa per te e per chi ti cir­conda. Non prendi più i reietti, i miserabili e i tagliagole. Quan­do ti sei proteso verso Roger, ti sei proteso verso il potere e la glo­ria, e allora?»

«Sono combattuto», sussurrai.

«Perché?»

«Perché ti voglio bene, e questa è una cosa cui bado sempre, come entrambi sappiamo», risposi. «Sono attratto da te. Voglio sapere cos’altro hai da dirmi! Eppure penso che tu stia menten­do su Roger. E su Dora. Penso che sia tutto collegato. E quando ripenso a Dio Incarnato...» M’interruppi, incapace di continua­re. Fui inondato dalle sensazioni provate in paradiso, o, meglio, da quello che riuscivo ancora a rammentare, a sentire, e il respiro mi lasciò immerso in una tristezza molto più grande di quella che avevo mai espresso con le lacrime. Chiusi gli occhi e quando li riaprii mi accorsi che Memnoch mi stava stringendo le mani. Le sue erano tiepide, molto forti e lisce — quanto dovevano sembrar­gli fredde le mie —; erano mani molto grandi, perfette, mentre le mie erano... erano le mie strane, bianche, snelle mani scintillanti. Nel sole le mie unghie brillavano come ghiaccio, come sempre.

Lui si ritrasse, e fu una cosa straziante. Le mie mani rimasero rigide, serrate, sole.

In piedi a qualche metro da me, Memnoch contemplava lo stretto mare e mi dava la schiena. Le sue ali erano visibili, enor­mi, e si muovevano nervosamente, come se una tensione interna lo costringesse a far lavorare l’invisibile apparato muscolare cui erano fissate. Appariva perfetto, irresistibile e disperato.

«Forse Dio ha ragione!» disse a voce bassa ma irata, fissando non me bensì il mare.

«A che proposito?» Mi alzai.

Lui evitava di guardarmi.

«Memnoch, continua, ti prego. Ci sono momenti in cui temo di crollare sotto il peso delle cose che mi stai rivelando. Ma con­tinua. Per favore, per favore, continua.»

«Questo è il tuo modo di scusarti, vero?» chiese gentilmente. Si voltò a guardarmi. Le ali sparirono. Si avvicinò a me, mi oltre­passò e si sedette di nuovo alla mia destra. La sua tunica era orla­ta di polvere raccolta da terra. Assimilai quel dettaglio ancor pri­ma di pensarci davvero. Un minuscolo frammento di foglia, una foglia verde, era imprigionato nel suo lungo e fluttuante groviglio di capelli.

«No, non proprio, non intendevo scusarmi. Di solito dico esattamente quello che penso», dissi.

Studiai il suo viso... il profilo scolpito, l’assoluta mancanza di peli su una pelle che per il resto sembrava umana. Indescrivibile. Se vi girate a guardare una statua in una chiesa rinascimentale e vedete che è più grande di voi e che è perfetta, non vi spaventate perché è di pietra. Ma questa era viva.

Si voltò come se si fosse accorto solo allora che lo stavo fissan­do. Mi guardò negli occhi. Poi si piegò in avanti, gli occhi limpi­dissimi e colmi di una miriade di colori, e sentii le sue labbra, li­sce, umide, toccarmi la guancia. Percepii un bruciante guizzo di vita attraversare la dura freddezza del mio essere. Sentii una fiamma impetuosa che inglobava ogni mia particella, come solo il sangue riesce a fare, sangue vivente. Provai una fitta al cuore. Forse mi posai un dito sul petto, in quel punto preciso.

«Tu cosa senti?» chiesi, rifiutandomi di mostrarmi distrutto.

«Sento il sangue di centinaia di creature», sussurrò. «Sento un’anima che ha conosciuto un migliaio di anime.»

«Conosciuto o distrutto?»

«Vuoi scacciarmi solo perché odi te stesso? Oppure posso continuare con la mia storia?»

«Ti prego, ti prego, continua.»

«L’uomo aveva inventato o scoperto Dio», spiegò. Adesso la sua voce era pacata e aveva riacquistato un tono didascalico, educato, quasi modesto. «E in alcuni casi le tribù veneravano più divinità, che presumevano avessero creato questa o quella parte del mondo. Inoltre gli umani sapevano che le anime dei morti sopravvivevano; infatti si protendevano verso di loro e fa­cevano offerte. Portavano doni sulle loro tombe. Invocavano queste anime, le supplicavano di aiutarli nella caccia, o durante la nascita di un bambino, o in qualunque altro evento. E mentre noi angeli sbirciavamo all’interno di Sheol, mentre vi entravamo, invisibili, senza che la nostra essenza causasse interferenze in un regno che a quel punto era costituito unicamente da anime... ani­me e nient’altro che anime... ci rendemmo conto che queste trae­vano la forza per sopravvivere dalle attenzioni di quanti vivevano sulla terra, dall’amore inviato loro dagli umani, dalle menti uma­ne che pensavano a loro. Era un processo ininterrotto. E proprio come accadeva per gli angeli, queste anime erano individui ca­ratterizzati da vari livelli d’intelletto, interesse o curiosità. Ospi­tavano anche tutte le emozioni umane, benché in molti di loro, misericordiosamente, ogni emozione si stesse affievolendo. Alcu­ne anime, per esempio, sapevano di essere morte ma cercavano di rispondere alle preghiere dei figli, tentando di consigliarli, parlando con tutta l’energia che riuscivano a radunare in una vo­ce spirituale. Si sforzavano di apparire ai figli. Talvolta riuscivano ad arrivare dall’altra parte per fugaci momenti, attirando a sé turbinanti particelle di materia con la mera forza della loro es­senza invisibile. Altre volte si manifestavano nei sogni, quando l’anima dell’umano addormentato si apriva ad altre anime. Rac­contavano ai figli dell’amarezza e dell’oscurità della morte, e li esortavano a essere coraggiosi e forti nella vita. Li consigliavano. E, almeno in alcune occasioni, davano l’impressione di sapere che la fede e l’attenzione di figli e figlie le rendevano più forti. Chiedevano offerte e preghiere, ricordavano ai figli quale fosse il loro dovere. Queste anime erano, fino a un certo punto, le meno confuse, se non fosse stato per un particolare: credevano di aver visto tutto quello che c’era da vedere.»

«Nessuna traccia del paradiso?» chiesi.

«No, e nessuna luce proveniente dal paradiso penetrava a Sheol, né musica di sorta. Da Sheol si vedevano solo il buio, le stelle, e la popolazione della terra.»

«Insopportabile.»

«No, se pensi di essere un dio per i tuoi figli e riesci ancora a trarre energia dal semplice spettacolo delle libagioni versate sulla tua tomba. No, se provi riconoscenza verso quanti ascoltano il tuo consiglio e rabbia verso coloro che non lo fanno, e no, se occasionalmente riesci a comunicare, talvolta con risultati spetta­colari.»

«Capisco. E ai loro figli sembravano dei.»

«Dei ancestrali; non il creatore di tutto. Gli esseri umani ave­vano idee ben precise su entrambe le cose, come ho già detto. Ri­masi affascinato dall’intera questione di Sheol. Alcune di queste anime non sapevano di essere morte, sapevano soltanto di essere smarrite, cieche e infelici, e piangevano di continuo, come neo­nati. Erano talmente deboli che non penso nemmeno che perce­pissero la presenza di altre anime. Altre ancora erano palesemen­te vittime di un’illusione. Si credevano ancora vive! Assillavano i loro congiunti, tentando invano di farsi ascoltare dal figlio o dal­la figlia ignari, quando naturalmente i loro familiari non poteva­no sentirle né vederle; e queste, queste, che pensavano di essere ancora vive, be’,non avevano la presenza di spirito di attirare a sé la materia per poter apparire ai vivi o d’introdursi nei loro so­gni, perché non sapevano di essere morte.»

«Capisco.»

«Alcune anime sapevano di essere dei fantasmi quando rag­giungevano i mortali. Altre credevano di essere vive e che il mon­do intero si fosse rivoltato contro di loro. Altre ancora andavano alla deriva, vedendo e sentendo i suoni prodotti da altri esseri vi­venti, ma restandone lontane e distaccate, come se fossero im­merse nel torpore o in un sogno. E alcune anime morivano. Da­vanti ai miei stessi occhi, alcune morivano. Ben presto mi resi conto che erano molte quelle che stavano morendo. L’anima mo­ribonda resisteva per una settimana, forse un mese, di tempo umano, dopo essersi separata dal corpo conservandone la forma, e poi cominciava a svanire. L’essenza si disperdeva gradualmen­te, proprio come faceva quella di un animale quando quest’ulti­mo spirava. Scompariva nell’aria, forse riunendosi all’energia e all’essenza di Dio.»

«È questo che accadeva?» chiesi in tono disperato. «La loro energia tornava nel Creatore, la luce di una candela tornava nel fuoco eterno?»

«Non lo so. Io non vidi fiammelle che salissero in paradiso fluttuando, attirate da un fulgore potente e amorevole. No, non vidi niente del genere. Da Sheol non si vedeva la luce di Dio. Per Sheol non esisteva la consolazione di Dio. Eppure questi erano esseri spirituali, creati a immagine nostra e di Dio, che si aggrap­pavano a quell’immagine e desideravano ardentemente una vita dopo la morte. Era quello lo strazio: il desiderio di una vita dopo la morte.»

«Se questo desiderio era assente nel momento della morte, l’anima veniva annientata?» domandai.

«No, niente affatto. Il desiderio sembrava innato. Il desiderio doveva morire a Sheol prima che l’anima si disintegrasse. In realtà, le anime affrontavano molte, moltissime esperienze a Sheol; e quelle diventate più forti erano le anime che si percepi­vano come dei oppure umani passati nel regno del buon Dio, ed erano premurose nei confronti degli umani; acquisivano potere persino per influenzare le altre anime e talvolta rafforzarle e im­pedire loro di svanire.» S’interruppe, quasi che non sapesse co­me continuare; dopo poco, riprese a raccontare: «C’erano alcu­ne anime che concepivano le cose in modo diverso. Sapevano di non essere dei, ma umani defunti; sapevano di non avere nessun diritto di cambiare il destino di coloro che le pregavano; sapeva­no che le libagioni erano essenzialmente simboliche, un concet­to, quest’ultimo, che queste anime arrivavano a comprendere. Si percepivano come smarrite, sarebbero rientrate nella carne, se avessero potuto, perché nella carne c’era tutta la luce e il tepore e il conforto che avessero mai conosciuto e che percepivano anco­ra. E a volte riuscivano a farlo! Lo vidi succedere in molti modi diversi. Vidi queste anime scendere e impossessarsi di un morta­le stordito, impadronirsi delle sue membra e del suo cervello e vivere dentro di lui finché l’uomo non trovava la forza di scaccia­re l’anima. Tu conosci questi fenomeni, tutti gli uomini li cono­scono: sanno cosa comporta la possessione. Tu hai posseduto un corpo non tuo, e il tuo corpo è stato posseduto da un’altra ani­ma».

«Sì», ammisi.

«Ma qui si era agli albori di una simile conquista. E osservare queste anime intelligenti che ne imparavano le regole, vederle diventare addirittura più potenti, fu un vero spettacolo. E ciò che non potevo non trovare spaventoso — essendo l’accusatore che sono ed essendo orripilato dalla natura, così come la chiama Dio —, ciò che non potevo ignorare, era che queste anime sorti­vano un effetto sulle donne e gli uomini viventi! C’erano umani ancora vivi che erano diventati degli oracoli. Fumavano erbe o bevevano una pozione per rendere passiva la propria mente, in modo che l’anima di un defunto potesse parlare con la loro vo­ce! E poiché questi potenti spiriti — perché adesso dovrei chia­marli spiriti — conoscevano solo ciò che la terra e Sheol potevano insegnare loro, rischiavano d’indurre gli esseri umani a commet­tere terribili errori. Li vidi ordinare agli uomini di scendere in battaglia; li vidi ordinare delle esecuzioni; li vidi esigere sacrifici umani.»

«Hai assistito alla creazione della religione da parte dell’uo­mo», osservai.

«Sì, nei limiti in cui l’uomo può creare qualcosa. Non dimen­tichiamo chi ha creato tutti noi.»

«Gli altri angeli cosa pensavano di queste rivelazioni?»

«Ci riunivamo, ci scambiavamo resoconti, sbalorditi, e poi ci allontanavamo per riprendere le rispettive esplorazioni; eravamo più che mai assorbiti dalla terra. Ma le reazioni degli angeli erano molto varie. Alcuni, soprattutto i serafini, ritenevano meraviglio­so l’intero processo; pensavano che Dio meritasse un migliaio di inni in lode per il fatto che la creazione aveva dato luogo a un es­sere capace di sviluppare da se stesso una divinità invisibile che poi gli avrebbe imposto sforzi addirittura più strenui nel campo della sopravvivenza o della guerra. Poi c’erano coloro che pensa­vano: ‘Questo è un errore, un abominio! Queste sono le anime di umani che fingono di essere dei! È una cosa inqualificabile e dev’essere subito fermata!’

«E infine c’era la mia reazione appassionata: Tutto ciò è dav­vero orrendo e condurrà a catastrofi sempre più gravi! È l’inizio di una fase completamente nuova della vita umana, incorporea, eppure risoluta e ignorante, che sta guadagnando impeto di se­condo in secondo e sta colmando l’atmosfera del mondo di po­tenti entità che interferiscono e sono ignoranti quanto gli umani intorno ai quali turbinano’.»

«Alcuni degli altri angeli erano sicuramente d’accordo con te», ipotizzai.

«Sì, alcuni si mostravano altrettanto veementi ma, come disse Michele: ‘Memnoch, confida in Dio, che ha fatto questo. Lui co­nosce il disegno divino’. Michele e io intavolammo le conversa­zioni più esaustive. Raffaele, Gabriele e Uriel non erano scesi per prendere parte a questa missione. E il motivo era piuttosto sem­plice, non succede quasi mai che quei quattro vadano nella stessa direzione. Per loro è una legge, un’usanza, una... una vocazione, che due restino in paradiso pronti a rispondere alla chiamata di Dio; non se ne allontanano mai tutti e quattro contemporanea­mente. In questo caso, Michele fu l’unico che scelse di venire.»

«L’arcangelo Michele esiste tuttora?»

«Certo! Lo incontrerai. Potresti incontrarlo subito, volendo, anzi no, lui non verrebbe adesso. Preferirebbe evitarlo, perché sta dalla parte di Dio. Ma, se ti unisci a me, non sarai certo uno sconosciuto per lui. In realtà, forse ti stupirebbe scoprire quanto Michele possa dimostrarsi solidale coi miei sforzi, sforzi che non sono irriconciliabili col paradiso, altrimenti non mi sarebbe con­cesso di fare ciò che faccio.» Mi fissò intensamente. «Tutti i membri del bene ha elohim che ti descrivo sono vivi. Sono im­mortali. Come potresti pensare altrimenti? In quell’epoca a Sheol c’erano anime che adesso non esistono più, almeno non in una forma da me conosciuta, forse sopravvivono in una forma nota a Dio.»

«Capisco. Era una domanda stupida», ammisi. «Mentre os­servavi tutto questo, mentre un simile spettacolo ti colmava di paura, come lo collegavi all’affermazione di Dio secondo cui avresti capito che l’umanità era parte della natura?»

«Non ci riuscivo, se non nei termini dell’incessante scambio di energia e materia. Le anime erano energia, eppure conservava­no una conoscenza derivante dalla materia. A parte questo, non riuscivo a conciliare le due cose. Tuttavia Michele vedeva la si­tuazione da un altro punto di vista. Ci trovavamo su una scala, giusto? Le più umili molecole di materia inorganica costituivano i gradini più bassi. Le anime prive di corpo occupavano i gradini situati sopra l’uomo, ma sotto gli angeli. Secondo Michele, il tutto rappresentava un’unica processione fluttuante, ma, te lo ripe­to, Michele era sicuro che Dio stesse facendo tutto ciò delibera­tamente e che lo volesse proprio così com’era. Non riuscivo a crederci! Perché la sofferenza delle anime mi riempiva di orrore; feriva anche Michele, che si tappava le orecchie. E la morte delle anime mi riempiva di orrore. Se le anime potevano vivere, allora perché non far sì che tutte lo sapessero? Ed erano condannate a esistere in eterno in questa tristezza? Cos’altro, in natura, restava così statico? Erano diventate come asteroidi senzienti che orbiti­no in eterno intorno a un pianeta, lune capaci di urlare e piange­re? Chiesi a Michele: ‘Cosa succederà? Le tribù pregano anime diverse. Queste anime diventano i loro dei. Alcune sono più forti di altre. Osserva la guerra che infuria ovunque’.

«Mi rispose: ‘Ma, Memnoch, i primati hanno fatto tutto ciò prima di avere l’anima. Tutto, nella natura, divora e viene divo­rato. È questo che Dio sta cercando di dirti sin da quando hai cominciato a protestare a gran voce per il suono della sofferen­za proveniente dalla terra. Questi anime-divinità-spiriti sono espressione degli umani e parte dell’umanità, nati dagli umani e tenuti in vita dagli umani; e persino se questi spiriti diventano tanto forti da poter manipolare mirabilmente gli esseri viventi, sono comunque scaturiti dalla materia e sono parte della natura, come ha detto Dio’.

«‘Quindi, la natura è questo indescrivibile orrore che si sta sviluppando’,ribattei pronto. ‘Non è sufficiente che uno squalo inghiotta tutt’intero un delfino appena nato o che la farfalla ven­ga stritolata dai denti del lupo che la mastica, indifferente alla sua bellezza. Non è sufficiente. La natura deve procedere oltre, e far nascere dalla materia questi spiriti tormentati. La natura arri­va così vicino al paradiso, ma gli è talmente estranea che il solo nome adatto a questo luogo è Sheol.’ Questo discorso fu davvero troppo per Michele. Non si può parlare così a quell’arcangelo, è controproducente. Quindi mi diede subito le spalle, non per rabbia, non per il codardo timore che la saetta di Dio potesse mancarmi per un pelo e frantumargli l’ala sinistra; mi diede le spalle in silenzio, come per dire: Memnoch, sei impaziente e pri­vo di buonsenso. Poi si voltò e disse con misericordia: ‘Memnoch, non osservi abbastanza in profondità. Queste anime han­no appena cominciato la loro evoluzione. Chi può sapere quanto possono diventare forti? L’uomo ha messo piede nell’invisibile. E se volesse diventare come noi?’

«‘Ma come può accadere, Michele?’ chiesi. ‘Come possono scoprire, queste anime, cosa sono gli angeli e cos’è il paradiso? Pensi che se ci rendessimo visibili ai loro occhi e dicessimo loro che sono...’ M’interruppi. Persino io sapevo che questo era im­pensabile. Non avrei mai osato, neanche in svariati milioni di an­ni. Eppure, non appena concepimmo quest’idea e cominciammo a riflettervi sopra, altri angeli si unirono a noi e dissero: ‘Guarda­te, gli esseri viventi sanno che siamo qui’.

«‘Com’è possibile?’ domandai. Nonostante la mia compas­sione per l’umanità, non consideravo molto intelligenti gli uomi­ni e le donne mortali. Tuttavia questi angeli me lo spiegarono: ‘Alcuni hanno percepito la nostra presenza, nello stesso modo in cui percepiscono la presenza di un’anima morta. Si tratta della stessa sezione del cervello che capta altre cose invisibili; siamo stati intravisti e adesso verremo immaginati da queste persone. Vedrete’.

«‘Questo non può essere il volere di Dio’,replicò Michele. ‘Propongo di tornare subito in paradiso.’ La maggioranza si mo­strò d’accordo con lui, così come fanno gli angeli, cioè senza emettere nessun suono. Rimasi fermo, da solo, a osservare la moltitudine.

«‘Allora? Dio mi ha affidato una missione. Non posso tornare prima di aver capito. E, per il momento, non capisco’,insistetti. Seguì un’accesa discussione, ma alla fine Michele mi baciò alla maniera degli angeli, teneramente sulle labbra e le guance, e tornò in paradiso; l’intera coorte salì con lui. Io rimasi lì sulla ter­ra, da solo. Non pregai Dio; non osservai gli uomini; guardai dentro me stesso e pensai: cosa devo fare? Non voglio essere vi­sto come un angelo. Non voglio essere venerato come queste ani­me che sopravvivono. Non voglio irritare Dio, però devo obbe­dire al comandamento che mi ha dato. Devo capire. Ora, sono invisibile. E se potessi fare ciò che fanno queste anime intelligen­ti, cioè attirare a me della materia per crearmi un corpo, riunire abbastanza minuscole particelle prese dal mondo intero? E chi meglio di me sa di cosa è fatto un uomo, chi meglio di me cono­sce la composizione di tessuti, cellule, ossa, fibre e materia cere­brale? Chi meglio di me, tranne Dio?’ Così lo feci. Concentrai il mio essere e tutta la mia energia nel tentativo di crearmi un invo­lucro vivente di carne umana, completo in ogni sua parte, e scelsi — senza nemmeno pensarci — di essere un maschio. Questo ri­chiede una spiegazione?»

«Non proprio», risposi. «Immagino che tu avessi visto abba­stanza stupri, parti e lotte impotenti per fare la scelta più saggia. So che per me è stato così.»

«Esatto. Ma talvolta mi chiedo... se le cose sarebbero state di­verse nel caso io avessi scelto di essere femmina. Avrei potuto be­nissimo farlo. Le donne ci assomigliano di più, in realtà. Ma se noi siamo entrambe le cose, allora siamo sicuramente più ma­schio che femmina. Le due componenti non sono presenti in parti uguali.»

«In base a quello che mi hai mostrato di te, sono propenso a darti ragione.»

«Bene. Mi rivestii di carne. Il processo richiese un po’ più tempo di quanto si potrebbe pensare. Fui costretto a evocare ogni brandello di conoscenza racchiuso nella mia memoria ange­lica; dovetti plasmare il corpo e poi introdurvi la mia essenza nel­lo stesso identico modo in cui la naturale essenza della vita sareb­be stata presente al suo interno; e dovetti arrendermi, cioè avvol­germi in questo corpo, entrarvi e colmarne le lacune senza farmi prendere dal panico. Infine dovetti guardare attraverso i suoi oc­chi.»

Annuii, con un lieve accenno di sorriso. Avendo rinunciato al mio corpo vampiresco in cambio di un corpo umano, potevo forse immaginare in minima parte ciò che Memnoch aveva sperimentato, tuttavia non volevo vantarmi del fatto che capivo.

«Il processo non comportò dolore», spiegò. «Solo sottomis­sione. E senza nessun motivo valido, in realtà — o forse dovrei di­re semplicemente per natura, tanto per usare il termine preferito di Dio —, rivestii di carne il mio io, la mia essenza. Esclusi dal progetto solo le ali, ed eccomi lì, alto come un angelo. Quando raggiunsi l’acqua limpida di una pozza poco distante e abbassai lo sguardo, vidi per la prima volta Memnoch in forma materiale. Vidi esattamente me stesso, i miei capelli biondi, i miei occhi, la mia pelle, tutti i doni a me concessi da Dio in forma invisibile, adesso resi manifesti nella carne. Capii subito che era troppo! Ero troppo imponente; sfavillavo dell’essenza dentro di me! Non poteva funzionare. Così cominciai subito a dare una nuova forma al corpo e a rimpicciolirlo finché le mie dimensioni non furono più simili a quelle umane. Scoprirai come fare tutto ciò quando ti unirai a me, se scegli di venire, e morire, ed essere il mio luogotenente. Ma, per il momento, lasciami dire che ciò, pur non essendo impossibile, non è semplice; non è come premere i tasti di un complicato programma informatico, appoggiarsi allo schienale e osservare la macchina che esegue i comandi l’uno do­po l’altro. D’altra parte, non è faticoso né troppo consapevole, richiede semplicemente conoscenza, pazienza e volontà angeli­che. Così, accanto allo specchio d’acqua c’era un uomo, nudo, con capelli biondi e occhi chiari, assai simile a molti degli abitan­ti della regione, benché forse più vicino alla perfezione, e dotato di organi fisici dalle dimensioni ragionevoli ma non splendide. Mentre la mia essenza s’introduceva in questi organi, nello scro­to e nel pene, per la precisione, provai qualcosa che mi era stato del tutto ignoto, nella mia qualità di angelo. Del tutto ignoto. Era costituito da molte percezioni diverse. Conobbi il genere, la ma­scolinità, e una certa vulnerabilità umana, direttamente anziché tramite l’osservazione e la percezione; e rimasi stupito da quanto mi sentivo potente. Mi ero aspettato di tremare per l’umiltà, in questa forma! Di rabbrividire di vergogna per la mia piccolezza, per la mia immobilità e per una miriade di altre cose: sensazioni che hai provato anche tu quando hai scambiato il tuo corpo vampiresco con quello di un uomo.»

«Lo rammento bene.»

«Ma io non provai tutto ciò. Non ero mai stato fatto di mate­ria, né avevo mai e poi mai pensato di diventarlo. Non avevo mai e poi mai pensato di voler vedere come sarei potuto apparire in uno specchio terrestre. Conoscevo la mia immagine grazie al suo riflesso negli occhi di altri angeli. Conoscevo le mie parti perché potevo vederle coi miei occhi angelici. Ma adesso ero un uomo. Sentivo il cervello all’interno del cranio. Sentivo i suoi deboli, in­tricati e quasi caotici meccanismi; i vari strati di tessuto, il fatto che includa i primi stadi dell’evoluzione e li unisca a una profu­sione di più elaborate cellule della corteccia in un modo che ap­pariva illogico eppure naturale... se sapevi ciò che io, in quanto angelo, sapevo.»

«Per esempio?» chiesi, col tono più educato possibile.

«Per esempio, che le emozioni suscitate nella sezione limbica del mio cervello potevano impadronirsi di me senza essersi pri­ma palesate alla mia coscienza», rispose. «Questo non può succedere a un angelo. Le nostre emozioni non possono eludere la nostra mente cosciente. Non possiamo provare un terrore irra­zionale. Almeno non credo, e, in ogni caso, sicuramente non lo credevo in quel momento, mentre ero fermo sulla terra, rivestito dalla carne di un uomo.»

«Non avresti potuto essere ferito o ucciso, in quella forma?» chiesi.

«No. Ci arriverò fra un minuto, in realtà, perché, mentre mi trovavo in un’area selvaggia e boschiva — nella vallata che è la Pa­lestina, se proprio vuoi saperlo, prima ancora che venisse chiamata così —, mentre mi trovavo lì, sapevo benissimo che il mio corpo poteva essere cibo per gli animali selvatici, perciò creai tutt’intorno a me uno scudo resistentissimo, fatto di essenza an­gelica. Funzionava elettricamente: quando un animale si avvici­nava a me, cosa che successe quasi subito, veniva respinto dallo scudo. Così protetto, decisi di attraversare tutti i vicini insedia­menti umani e osservare le cose, sapendo che nessuno poteva farmi del male, scacciarmi, attaccarmi o qualunque altra cosa. Anzi, avrei dato l’impressione di schivare gli eventuali colpi e avrei cercato di comportarmi in modo che nessuno notasse la mia presenza. Aspettai che calasse la sera, poi raggiunsi l’insedia­mento più vicino, che era il più ampio della zona ed era diventa­to talmente potente da esigere tributi da altri agglomerati poco distanti. Era un enorme luogo di raduno circolare e cinto di mu­ra, pieno di capanne individuali in cui vivevano uomini e donne. In ogni capanna ardeva un fuoco. C’era una sezione centrale dove tutti si riunivano. C’erano recinzioni da chiudere durante la notte. Sgattaiolai dentro, mi coricai di fianco a una capanna e per ore osservai quello che gli abitanti dell’accampamento facevano al crepuscolo e poi nel buio. Sbirciai all’interno delle strette so­glie. Osservai parecchie cose. Il giorno dopo, rimasi a guardare dalla foresta. Seguii un gruppo di cacciatori, in modo da non es­sere visto ma da poterli vedere. Ogni volta che mi avvistavano, scappavo, comportamento che sembrava accettabile e prevedibi­le. Nessuno m’inseguì. Indugiai intorno alla prospera esistenza di questi umani per tre giorni e tre notti, e durante quel lasso di tempo scoprii i loro limiti, i loro bisogni e dolori corporei, e arri­vai a conoscere la loro lussuria perché tutt’a un tratto la sentii ar­dere dentro di me. Ecco come successe. Crepuscolo. Il terzo giorno. Ero giunto a una miriade di conclusioni, riguardo al mo­tivo per cui queste persone non potevano essere considerate par­te della natura. Ero ormai pronto a esporre il mio caso davanti a Dio ed ero sul punto di andarmene. Ma una cosa che aveva sem­pre affascinato gli angeli e che io non avevo sperimentato nella carne era l’unione sessuale. Ora, in qualità di angelo invisibile, ti puoi avvicinare parecchio ai due che si accoppiano, e guardare nei loro occhi semichiusi, udire i loro gemiti, persino toccare la pelle arrossata del seno della donna e sentire il battito concitato del suo cuore. Io lo avevo fatto innumerevoli volte. Solo allora mi resi conto che l’unione appassionata — la possibilità di sperimentarla realmente — poteva rivelarsi decisiva per il mio caso. Conoscevo la sete, conoscevo la fame, conoscevo il dolore, cono­scevo la stanchezza, sapevo come questa gente viveva, sentiva, pensava e conversava. Ma, in realtà, non sapevo cosa succedesse nell’unione sessuale. Così, al crepuscolo del terzo giorno, mentre ero fermo accanto a questo stesso mare, qui, a notevole distanza dall’accampamento, osservandolo per diversi chilometri sulla nostra destra, vidi avvicinarsi, come sbucata dal nulla, una don­na bellissima, una figlia dell’uomo. Avevo visto decine di donne splendide! Come ti ho già detto, quando vidi per la prima volta la bellezza delle donne, prima che gli uomini diventassero quasi altrettanto lisci e glabri, per me fu uno degli shock dell’evoluzio­ne fisica. E naturalmente, durante quei tre giorni nella carne, avevo osservato da lontano molte donne stupende; però, impe­gnato com’ero nel mio piano, non avevo osato avvicinarmi trop­po. Dopotutto, ero rivestito di carne e stavo cercando di non far­mi notare. Da tre giorni, bada bene, avevo questo corpo, e i suoi organi, essendo perfetti, reagirono immediatamente alla visione della donna che si avvicinava camminando con aria spavalda lungo la riva del mare; una donna ribelle, non accompagnata da un guardiano o da altre donne, una ragazza giovane, audace, leggermente irata e bellissima. Era vestita solo di una rozza pelle d’animale, chiusa da una cintura di pelle masticata, era scalza e aveva le gambe nude dal ginocchio in giù. I capelli erano lunghi e scuri, gli occhi azzurri: un abbinamento davvero accattivante. Il suo viso era molto giovane eppure pieno di carattere, il carattere conferito dalla rabbia e dalla ribellione: una ragazza colma di do­lore, d’imprudenza e di un vago desiderio di farsi del male. Mi vide. Si fermò, rendendosi conto della propria vulnerabilità. E io, non essendomi mai preoccupato degli indumenti, ero nudo, intento a fissarla. E il mio organo la voleva, la voleva immediata­mente e violentemente; allora cominciai a intuire come avrebbe potuto essere quell’unione, sentii cioè il primo moto di autentico desiderio. Per tre giorni avevo vissuto solo cerebralmente, come un angelo. A quel punto il corpo parlò e io lo ascoltai con le orecchie di un angelo. Lei non fuggì, si avvicinò invece di parec­chi passi; e, nel suo animo avventato, prese una decisione. Non potevo sapere su quale esperienza la basasse, ma la prese: decise che mi avrebbe accolto a braccia aperte, se la volevo. E col più fluido e aggraziato movimento dei fianchi, e sollevandosi i capelli per poi lasciarli ricadere con un gesto della mano destra, me lo fece capire. La raggiunsi; lei mi prese la mano e mi guidò su per quelle rocce, là, verso la caverna che puoi vedere subito dietro la tua spalla sinistra e in alto sul pendio. Mi portò da quella parte e quando raggiungemmo l’entrata capii che mi desiderava con lo stesso ardore con cui io desideravo lei. Non era vergine, questa ragazza. Quale che fosse il suo passato, conosceva la passione, sapeva cos’era e la voleva. Il movimento dei suoi fianchi verso di me era deliberato, e quando mi baciò e infilò la lingua nella mia bocca sapeva benissimo cosa cercava. Ero sopraffatto. Per un attimo la tenni scostata da me, solo per guardarla, guardarla nella sua misteriosa bellezza materiale, una cosa di carne e decadimen­to che tuttavia rivaleggiava con qualsiasi angelo io avessi mai vi­sto, e poi ricambiai i suoi baci, brutalmente, spingendola a ridere e a premere il seno contro di me. Dopo qualche secondo erava­mo già caduti insieme sul suolo muschioso della caverna, così co­me avevo visto fare un migliaio di volte ai mortali. E quando il mio organo entrò in lei, quando sentii la passione, seppi ciò che nessun angelo poteva sapere! Non aveva nulla a che fare con la ragione, l’osservazione, l’empatia, l’ascolto, l’apprendimento o il tentativo di comprendere. Mi trovavo all’interno della sua carne ed ero consumato dalla passione, e lei anche; i teneri muscoli della sua piccola, pelosa bocca vaginale si serrarono su di me co­me se lei volesse divorarmi, e quando mi spinsi dentro di lei, an­cora e ancora, la ragazza diventò rosso sangue nell’appagamento, e gli occhi le si rovesciarono all’interno delle orbite e il suo cuore smise quasi di battere. Io venni nello stesso istante. Sentii lo sperma schizzare dal mio corpo al suo. Lo sentii riempire la tiepida, stretta cavità. Il mio corpo continuò a dimenarsi con lo stesso ritmo, e poi quella sensazione, indescrivibile e del tutto nuova, si affievolì e scomparve. Rimasi steso, esausto, al suo fian­co, il mio braccio sopra il suo; la mia bocca cercò la sua guancia e la baciò, e nel suo linguaggio, in un flusso concitato di parole, dissi: ‘Ti amo, ti amo, ti amo, dolce e bellissima creatura, ti amo!’ E lei rispose con un sorriso remissivo e rispettoso, si rannicchiò accanto a me, e parve sul punto di piangere. La sua avventatezza l’aveva portata alla tenerezza! La sua anima soffriva, e io lo sentii attraverso il palmo delle sue mani! Ma in me c’era un tumulto di conoscenza! Avevo provato l’orgasmo! Avevo provato le sensa­zioni fisiche altamente sviluppate che giungono all’apice quando gli umani si accoppiano sessualmente! Fissai il soffitto della ca­verna, incapace di muovermi o di parlare. Poi mi accorsi che qualcosa l’aveva spaventata. Si aggrappò a me, s’inginocchiò e scappò via. Mi misi seduto. La luce era scesa dal paradiso! Stava scendendo dal paradiso ed era la luce di Dio che mi stava cercan­do! Con estrema rapidità m’inginocchiai, mi alzai e corsi fuori nella luce. ‘Eccomi, Signore!’ gridai. ‘Signore, trabocco di gioia! Signore, Dio, cosa ho provato, Signore!’ E proruppi in un gran­de inno e, mentre lo facevo, le particelle materiali del mio corpo si dissolsero tutt’intorno a me, mi vennero strappate di dosso, quasi come dal potere della mia voce angelica, e io mi levai in tutta la mia altezza e spalancai le ali e cantai per ringraziare il pa­radiso per ciò che avevo appena conosciuto tra le braccia di quella donna. La voce di Dio risuonò calma eppure colma d’ira. ‘Memnoch!’ chiamò. ‘Sei un angelo! Cosa ci fa un angelo, un fi­glio di Dio, con una figlia degli uomini?’ Prima che potessi ri­spondere, la luce si ritrasse e mi lasciò nella tromba d’aria, e, vol­tandomi, le mie ali imprigionate nel vortice, vidi che la donna mortale era lì vicino, sulla riva del mare, e che aveva visto e senti­to qualcosa che trovava inspiegabile, e aveva preso a fuggire, ter­rorizzata. Lei corse via e io venni trasportato su fino alle porte del paradiso, e, per la prima volta, quelle porte assunsero altezza e forma per me come hanno fatto per te, e mi si chiusero in fac­cia. La luce mi colpì e caddi, venni spinto giù, precipitando co­me hai fatto tu, stretto tra le mie braccia, soltanto che io ero solo, solo, mentre, invisibile ma contuso, avvilito e piangente, venivo scaraventato di nuovo sulla terra umida.

«‘Tu, il mio osservatore! Cosa hai fatto?’ mormorò la voce di Dio, fioca e sicura accanto al mio orecchio.

«Scoppiai a piangere, senza controllo. ‘Signore, Dio, è un ter­ribile malinteso. Lascia... lascia che ti esponga il mio caso...’

«‘Resta coi mortali che ami tanto!’ ribattè Lui. ‘Lascia che siano loro a badare a te, perché io non ti ascolterò finché la mia rabbia non si sarà placata. Abbraccia la carne che brami e da cui sei stato contaminato. Non mi comparirai di nuovo davanti fin­ché non ti manderò a chiamare, e ciò sarà unicamente una mia scelta.’

«Il vento si levò di nuovo, turbinando, e quando guardai die­tro di me mi accorsi di essere privo di ali e di nuovo fatto di car­ne, con le dimensioni di un uomo. Mi trovavo all’interno del cor­po che mi ero creato, generosamente ricostituito per me dall’On­nipotente, fino all’ultima cellula, ed ero steso sul terreno, mal­concio, dolorante, debole, gemebondo e triste. Non mi ero mai sentito piangere con una voce umana, prima, né piansi allora in veste umana. Non ero pieno di desiderio di sfida né di dispera­zione, perché ero ancora troppo sicuro di me come angelo, trop­po sicuro che Dio mi amasse. Sapevo che era adirato, questo sì, ma si era già adirato con me molte, moltissime volte. Ciò che provai fu l’agonia della separazione da Lui! Non potevo salire in paradiso a mio piacimento! Non potevo abbandonare questa carne. E quando mi misi seduto per tentare di sollevare le ali, mi accorsi che stavo cercando di farlo con tutto il mio essere e non ci riuscivo; allora la tristezza mi assalì, così intensa, solitària e to­tale che non potei fare altro che chinare il capo. Era calata la not­te. Le stelle riempivano il firmamento ed erano lontane da me come se io non avessi mai conosciuto il paradiso. Chiusi gli occhi e sentii le anime di Sheol che gemevano. Le udii accalcarsi intor­no a me, chiedendomi cos’ero, a cosa avevano assistito, da dove ero stato scagliato sulla terra. Prima ero passato inosservato, gra­zie alla mia trasformazione pacata e segreta, ma quando Dio mi aveva scaraventato giù, ero caduto in modo spettacolare come angelo ma poi avevo assunto la forma di un uomo. Tutto Sheol stava gridando di curiosità e di agitazione. ‘Signore, cosa devo ri­spondere loro? Aiutami!’ pregai. Infine giunse il profumo della donna vicino a me. Mi voltai e la vidi strisciare verso di me, cau­ta; e quando lei vide il mio viso e le mie lacrime, si avvicinò con audacia, facendo scivolare il suo seno tiepido sul mio petto, e stringendomi la testa con mani tremanti.»

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