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Chewbacca sperava tanto di avere fatto tutto nel modo giusto. Il senso estetico di Han non era, ecco, troppo sofisticato. Ma aveva buone intenzioni. Leia di sicuro se ne sarebbe accorta. Sembrava una femmina molto per bene.

3BO continuava a chiacchierare dietro di lui. Chewbacca stava trafficando con l’apparato di comunicazione, tenendo d’occhio di tanto in tanto la battaglia di Luke. In tutta quella confusione aveva perso di vista quale dei puntini luminosi era la Flurry.

«E poi questo è un nascondiglio alquanto precario», aggiunse 3BO. «Il pianeta numero sei giustamente si vede negare la dignità di un nome proprio. D’altra parte, è poco più di un ammasso di ghiaccio. Non c’è nemmeno una colonia, solo i resti di un insediamento militare.» Fece una pausa improvvisa. «Che cos’era quello, Chewbacca? Torna indietro di un paio di chilobit.»

Chewbacca scrollò le spalle e suggerì che 3BO si togliesse dai piedi.

«Non ci penso neanche a ‘togliermi dai piedi’, tappeto pulcioso privo di educazione», squittì il droide. «Che razza di creature si trovano in giro per la galassia. Non hai il minimo rispetto per le mie capacità e la mia esperienza. Ho sentito distintamente qualcosa là dietro.»

Qui, ai margini del sistema? Chewie prese seriamente in considerazione l’idea di strappare via un braccio metallico alla creatura. Questo sì che avrebbe insegnato qualcosa a 3BO. D’altra parte, sarebbe toccato poi a lui, Chewbacca, di saldare di nuovo tutte quelle connessioni.

«Ho avvertito qualcosa che non era un fenomeno naturale. Torna indietro di un paio di chilobit.»

Be’, era anche possibile. Premendosi il ricevitore contro un orecchio, Chewie regolò l’analizzatore della banda corta per ripetere la ricerca di segnali nello spazio circostante. Qualcosa frusciò per un attimo, un segnale troppo debole per far fermare l’analizzatore su quella frequenza. Chewie ruotò una manopola per amplificare la ricezione. Dopo diversi secondi di paziente ricerca il risultato fu un basso ronzio elettronico.

3BO inclinò la testa dorata e assunse un tono esperto. «È molto strano, Chewbacca. Sembra un tipo di codice di comando usato nella comunicazione fra droidi. Ma che cosa ci possono fare dei droidi attivi qui attorno? Forse in quell’installazione imperiale qui sotto è sopravvissuto un droide, o ci sono dei macchinari ancora operativi. Suggerisco che tu accenda il comlink e avverta il generale Solo o la principessa Leia.»

Han aveva chiaramente fatto capire che sarebbe stato molto meglio se, nell’immediato futuro, nessuno fosse venuto a disturbarlo per qualcosa di meno grave di una perdita di pressione di proporzioni veramente catastrofiche. Chewie lo spiegò a 3BO.

«Be’, io non mi sentirò bene finché non avremo accertato l’origine di quel segnale. Siamo, dopotutto, in zona di guerra. Potremmo trovarci in una situazione di considerevole pericolo. Aspetta...» 3BO s’inclinò dall’altra parte. «Questo codice non è in uso in nessun sistema né dell’Alleanza né dell’Impero.»

Gli invasori? Senza esitazioni, Chewie abbatté una grossa mano sul comlink.


Il comlink trillò nel taschino della camicia di Han. «Generale Solo!» intonò la voce belante di 3BO. «Generale Solo!»

Leia si dimenò fra le sue braccia. «Lo sapevo», borbottò Han. Proprio quando Leia cominciava a rilassarsi. Tirò fuori il comlink. «Che cosa c’è?» ringhiò.

«Signore, abbiamo rilevato una trasmissione proveniente dallo spazio circostante. Sembra che ci sia un’unità di controllo droidi in azione nelle vicinanze. Non ne sono sicuro, ma credo che la sorgente del segnale sia in avvicinamento.»

«Uh, oh», disse Leia piano, la faccia contro la sua spalla. Si rimise in piedi.

«Va bene, Chewie. Arriviamo subito.» Han fece in modo che suonasse più come una minaccia che come una promessa.

Con uno sguardo divertito, Leia riversò il vino sciropposo nella bottiglia e la ritappò. Prima di gettarsi a passo di corsa lungo il corridoio, allargò le mani e ripeté a Han con aria contrita le sue stesse parole: «Non è colpa mia!»


Han era appena entrato nella cabina di pilotaggio quando un allarme cominciò a far sentire il suo stridio elettronico dalla consolle principale. «Che cos’è?» chiese Leia.

Grandioso. Veramente grandioso. Chewie stava già scaldando i motori. «Niente di buono, dolcezza», ansimò Han, preso dalla fretta. «Ci hanno appena sondato.»

«Che cosa ci ha sondato?» Leia si lasciò cadere nel sedile dietro al suo.

«Be’?» Han rilanciò la domanda a 3BO da sopra una spalla.

«Signore», cominciò 3BO, «non ho ancora potuto accertare...»

«Okay», lo interruppe Leia, «zitto adesso. Là!» Puntò un dito verso il centro del visore di prua. «Guarda! Che cosa sono?»

Da dietro la massa ghiacciata del deserto pianeta Sei, su uno sfondo di stelle, erano apparse otto o nove piccole sagome che si dirigevano dritte sul Falcon.

«Non ho intenzione di restare qui per scoprirlo», ringhiò Han. «Chewie, carica i cannoni principali.»

Chewie si dichiarò d’accordo con un ruggito a pieni polmoni.

«Sappiamo che gli alieni prendono prigionieri», mormorò Leia. «Non è da una posizione simile che ho intenzione di cominciare i negoziati.»

«Non ti ci troverai. Avanti, Chewie, tu e io ai cannoni quadrinati. Andiamo a vedere come sono fatti dentro. Leia, portaci da qualche parte. Improvvisamente il pianeta Sei mi è diventato antipatico.»

Leia scivolò nel sedile del pilota. Ma non si era appena ripromesso che non sarebbe mai riuscita a portare via il Falcon a lui e a Chewie?

Sì, va bene. Ma questo era un caso particolare. Mentre correva lungo il corridoio curvo, sentì la voce di 3BO che si affievoliva: «E comunque, il Millennium Falcon è configurato di gran lunga meglio per la fuga che per il combattimento con il nemico...»

Han salì sulla torretta e saltò dentro il sedile, poi lasciò andare una raffica di fuoco, tanto per prova. «Stanno arrivando in tutta fretta», disse a Leia attraverso il microfono che indossava. «Il tuo amico d’oro ha degli altri dati? Che cosa sono quelle cose?»

3BO cominciò a rispondere: «A quanto pare, generale Solo, ci troviamo di fronte...» Ma Leia aveva già concluso: «Droidi spaziali. È tutto quello che sa».

I droidi arrivarono a tiro. Tre di loro sfrecciarono verso l’alto, sopra il disco asimmetrico della nave contrabbandiera, dirigendo brevi scariche di energia verso un motore principale. «Analizza quelle scariche, ferraglia dorata», gridò Han mentre sparava. «Sono cannoni laser o che cos’altro?»

Chewbacca ruggì nei suoi auricolari. «È vero», disse Han, «per navi di quella dimensione!»

«Che cosa?» gridò Leia. «Che cosa per navi di quella...»

«Scudi molto resistenti.» Han diresse il suo fuoco contro un unico droide, tenendolo nel tracciante molto più a lungo di quanto ci voleva per fare implodere un TIE. Finalmente il maledetto affare scoppiò.

Il Falcon ondeggiò sotto il fuoco di un altro droide. Han si rilassò nel seggiolino della torretta. Questo era un gioco vecchio per lui. Un altro droide filò via lungo il bordo della nave, proprio sull’orlo del suo campo visivo. «Sono droidi intelligenti», borbottò, «imparano alla svelta.»

Improvvisamente il campo stellato davanti a lui s’inclinò, rivelando il droide nella posizione ideale per un colpo facile. «Meglio?» chiese la voce di Leia al suo orecchio.

«Molto.» Anche quel droide esplose. Altri due arrivarono dal nulla, sempre concentrando il fuoco sul motore, trascurando sia le torrette sia la cabina di pilotaggio. Stavano cercando di fare prigionieri, e come! Ma dov’era la nave madre che controllava questi droidi? O erano programmati per attaccare da soli?

Come se gli avesse letto nel pensiero, Leia mormorò: «Vuoi scommettere che sono qui da quando gli alieni hanno attaccato la base imperiale?» Han riuscì finalmente a sovraccaricare gli scudi del droide più in alto. Un’onda di schegge spedì il suo amichetto fuori portata.

«Perderai di sicuro», disse a labbra strette.

Silenzio.

«Era l’ultimo, Chewie?»

Ruggito affermativo.

Respirando affannosamente, ritornò alla cabina di pilotaggio. «Dove siamo diretti?» chiese a Leia.

Leia sfiorò una leva di comando. «All’interno del sistema. Ce ne potrebbero essere degli altri qui fuori. Non so te, ma io mi sentirei più al sicuro se ci riunissimo al resto della forza d’attacco.» Mentre usciva dalla sedia del capitano, il rombo del motore divenne un gemito prolungato. Le luci delle cabine si affievolirono. «E adesso?» chiese Leia esasperata. «Non si sa mai cosa aspettarsi da questo rottame truccato.»

O dal suo capitano sbruffone? Avanti, principessa, dillo. Han colpì una consolle: sui quadri comando rispuntarono delle spie verdi e le luci della cabina ripresero a brillare. Il motore tornò a ruggire. Si sedette al suo posto con gran dispiego di sicurezza. «Ce l’abbiamo fatta alla grande, non ti pare?»

Leia intrecciò le braccia e assunse un’aria di sfida. «Con tutta la protezione che ho ricevuto in queste ultime ore, mi sembra che potremmo almeno cercare di essere utili a Luke.»

«Be’, allaccia le cinture, dolcezza. Ce ne andiamo di qui in fretta.»


Immobile se non per il movimento frenetico degli occhi, Luke spostava lo sguardo dal visore all’unità ACB. Le navi imperiali del comandante Thanas stavano ritirandosi.

Non perché Luke fosse arrivato. Evidentemente, la sua forza d’attacco era uscita dall’iperspazio proprio nel momento scelto dagli Ssi-ruuk per approfittare del vantaggio acquisito e cercare di scendere su Bakura. Il che voleva dire che per avanzare gli alieni avevano dovuto assottigliare il fronte dell’avanzata. Uno degli incrociatori leggeri era praticamente privo di difesa e creava un varco che la piccola flotta di Luke non avrebbe dovuto avere dei problemi a occupare.

«Delckis, dammi i capisquadriglia.»

I suoi auricolari furono invasi dal fruscio. Li sistemò più comodamente. «Okay, vediamo di attirare la loro attenzione.» Toccò un comando dell’ACB in modo che trasmettesse le sue valutazioni ai computer traccianti ed evidenziasse quell’incrociatore solitario. «Capo Oro, Rogue Uno, è tutto vostro.»

«Ricevuto, Flurry,» Wedge Antilles sembrava sicuro di sé e pieno di esperienza. «Squadriglia Rogue, assumere configurazione d’attacco.»

Seduto dentro un bersaglio cospicuo come la Flurry, Luke si sentiva molto vulnerabile. «Capo Rosso, dividete la squadra. Da Rosso Uno a Rosso Quattro, tenete aperta una via di fuga dietro i gruppi Rogue e Oro. Li costringeremo ad allontanarsi dal pianeta.» Ogni bit di dati che i sensori delle sue navi potevano fornire all’ACB lo avrebbe aiutato ad analizzare il comportamento e le capacità delle navi aliene.

Scosse la testa. Quei puntini giallo-oro sul suo schermo erano caccia imperiali, e lui li stava difendendo.

«Rosso Cinque e il resto della squadra, restate con la Flurry», finì Luke.

Seduta accanto a lui nella sedia rialzata del comandante, il capitano Manchisco si voltò, trascurando per un attimo il computer principale. Tre grosse trecce nere ricaddero sulle sue spalle, da ciascun lato. «Oh, grazie, comandante.» La sua presenza nella Forza lo stuzzicava. Sicuro della sua nave, del suo equipaggio e di se stessa, era pronta alla battaglia.

Gli squadroni Oro e Rogue si gettarono nella mischia, confondendo la retroguardia aliena con il loro veloce passaggio. Luke tese le sue sensazioni, praticamente ignaro del suo corpo. Nella Forza percepiva i piloti come sciami in movimento, come una mente-alveare. Cercò di individuare gli alieni, ma non li trovò. Le meriti poco familiari erano sempre difficili da raggiungere.

Mentre Wedge si dirigeva verso un minuscolo caccia nemico, che secondo l’ACB non era più lungo di un paio di metri, Luke trattenne il fiato. Una cosa così piccola non poteva che essere un congegno telecomandato, un drone. In caso contrario gli alieni dovevano essere piccolissimi...

Wedge lo colpì. Qualche cosa di debole e di inesplicabilmente putrido urlò di dolore, poi l’urlo si affievolì e scomparve. Luke cercò di dominare la nausea che lo aveva assalito. Aveva davvero sentito due presenze in quell’urlo? Tamburellò le dita sulla poltrona. I caccia nemici non erano affatto navi drone, dunque; avevano un pilota. Una specie di pilota. Di certo, nella distruzione di quel caccia qualcosa era morto.

Prima ancora che potesse terminare la sua catena di ragionamento, un’altra fila di caccia alieni comparve dietro capo Oro. Questa volta si aprì deliberatamente. L’intreccio di disperazione e dolore era tenue come un sospiro mentre svaniva nel nulla... ma era inconfondibilmente umano.

Luke non riusciva a immaginare dei piloti umani imbarcati su caccia alieni di quelle dimensioni. Specialmente non a coppie.

L’ACB emise un segnale sonoro. Sbattendo le palpebre nel tentativo di liberarsi dall’inquietudine, Luke guardò il circolo rosso che rappresentava l’incrociatore alieno. Lampeggiava: era vulnerabile.

«Flurry a Rogue Uno. È il momento di andare all’attacco di quell’incrociatore.»

«Ci penso io», gridò Wedge, la sua voce appena distinguibile al di là di uno strano fischio bitonale. Caccia Ala-X sorvolarono il visore di Luke.

Improvvisamente altre squadriglie di piccole piramidi lucenti uscirono da un’estremità dell’incrociatore alieno. «Torna indietro, Wedge», urlò Luke. «Hanno lanciato un’altra ondata.»

«Sì, l’ho notato.» Il fischio crebbe d’intensità; il nemico stava cercando di disturbarli. Wedge non sembrava troppo preoccupato. «L’ACB non riesce a decidersi, eh?» I caccia Ala-X si dispersero volando appaiati, invitando le piccole navi piramidali a farsi avanti per attaccarli.

Era là fuori che avrebbe dovuto essere. Le sue qualità migliori erano sprecate sul ponte di una nave.

L’ACB richiamò di nuovo l’attenzione di Luke su una stringa di simboli. Aveva contato le navi e notato le loro posizioni, valutando potenza di fuoco, resistenza degli scudi, velocità e altri fattori. La ritirata degli Imperiali si era tramutata in contrattacco all’estremità inferiore del fronte alieno. Evidentemente, Pter Thanas era uno stratega di prim’ordine. Luke si girò verso il suo ufficiale addetto alle comunicazioni. Un vago, sinistro sommovimento nella Forza gli stava facendo rizzare i capelli in testa.

Si chinò sull’ACB. Wedge stava conducendo i suoi uomini in un attacco che girava attorno all’incrociatore leggero per prenderlo alle spalle. Bene. La posizione imperiale si era rafforzata di una quindicina di punti percentuali. Eccellente.

No, un momento.

Una cannoniera aliena, molto più piccola dell’incrociatore ma senza dubbio armata di tutto punto, aveva lasciato il campo di battaglia. Stava dirigendosi verso la squadriglia di Wedge da ore sei, bassa, coperta dall’incrociatore; da quell’angolazione non c’era modo che Wedge la vedesse o la potesse evitare. Luke scommetteva che il capitano della cannoniera era appunto rimasto in attesa del momento in cui Wedge e i suoi gli avrebbero voltato le spalle. «Rogue Uno», scattò Luke, «Wedge, guarda sotto di te. Un pezzo grosso che arriva da sotto.» Pensandoci meglio, aggiunse: «Rosso Cinque è il tuo gruppo. Andate laggiù e liberate la coda di Wedge da quei caccia».

«Che succede?» riusciva a malapena a sentire la voce di Wedge fra i disturbi. I caccia Ala-X si dispersero. Il vettore di due di loro passò giusto entro il raggio di fuoco della nave vedetta. Lo schermo di Luke lampeggiò.

Due esplosioni di angoscia umana, dolorosamente familiare, trafissero la spina dorsale e lo stomaco di Luke mentre i due piloti alleati morivano. Non Wedge, si assicurò subito; ma uomini, comunque. Gente che aveva amici. Che mancherà a qualcuno. Per cui qualcuno porterà il lutto.

Chiamò a raccolta tutta la sua freddezza e cercò di proteggersi meglio. Non era quello il momento di piangere i caduti. Sullo schermo dell’ACB la nave vedetta lampeggiava ma era ancora saldamente dietro a Wedge.

Dietro Luke, il capitano Manchisco si schiarì la gola. «Mi scusi, comandante, ma così lei lascia la Flurry scoperta...»

Stava per voltare la testa quando sul quadro controlli dell’ACB comparve un riquadro rosso, lampeggiante. La Flurry stava per essere attaccata. Caccia alieni che riflettevano folli girandole di luci attraversarono lo schermo. «E a quanto pare», notò Luke, «anche loro se ne sono accorti. Bene, capitano Manchisco. Faccia del suo meglio con il suo equipaggio.»

Gli occhi neri di Manchisco si illuminarono. Si voltò di scatto e abbaiò una serie di ordini ai suoi uomini. Il Duro gorgogliò una domanda mentre le sue lunghe mani nodose si muovevano sui controlli della navigazione. Manchisco rispose con un altro gorgoglio. La Flurry aveva un uomo per ogni compito, dai cannonieri agli addetti agli scudi. Luke si concentrò sul pericolo che Wedge stava correndo e cercò di dimenticare il suo.

I minuscoli caccia alieni avevano quasi completamente circondato Wedge e la sua squadriglia, intrappolandoli in una rete di scudi e raffiche di energia da cui non avevano alcuna possibilità di uscire. Luke cercò di combattere il panico e di dirigere tutta la sua energia emotiva nella Forza che lo circondava e lo penetrava.

Tese il suo punto di consapevolezza verso la navicella aliena che si trovava proprio di fronte al muso del caccia Ala-X di Wedge. Lo toccò e avvertì chiaramente le due presenze quasi umane a bordo del piccolo scafo. Cercando di lottare contro il terribile, nauseante senso di perversione che le due presenze gli comunicavano, le sfiorò. Una era al controllo degli scudi, l’altra pilotava e gestiva gli armamenti. Luke si concentrò sulla seconda, cercando di introdurre dentro di essa le energie della Forza. Anche se era debole, quasi inavvertibile, la presenza reagì con forza straziante. L’infelicità di quell’entità era tanto potente da spingere lui stesso verso la disperazione: nessuno si meritava di vivere libero, urlava la presenza con tutto il suo essere. Secondo quella voce disperata, Luke non poteva fare niente per salvare Wedge e niente per salvare se stesso e niente nemmeno per salvare l’uno o l’altro degli umani a bordo del caccia nemico. Erano tutti condannati.

Luke si sforzò di vedere attraverso gli occhi dello sconosciuto. L’intera sfera dello spazio circostante si aprì ai suoi occhi. I suoi sensi furono sopraffatti. Dovette concentrarsi al massimo per riuscire a individuare il caccia Ala-X di Wedge. Ai lati della sua coscienza proiettata altre due piramidi erano sospese, apparentemente immobili, in perfetta formazione. Dal centro di ogni faccia triangolare un grappo di analizzatori e sensori guardava all’esterno come l’occhio sfaccettato di un insetto. Da ogni vertice spuntavano le bocche di cannoni laser.

Rabbia, paura, violenza: sono loro il lato oscuro. Yoda gli aveva insegnato che i mezzi erano importanti quanto i fini. Se avesse usato il potere oscuro, anche solo per difendersi, il prezzo per la sua anima avrebbe potuto essere disastrosamente alto.

Si rilassò, scivolando nella Forza. Confidando nel suo controllo perché assicurasse la salvezza della sua anima e della sua mente, amplificò quella volontà torturata. Per un attimo il senso di umanità della presenza culminò, una vittoria disperata per uno spirito tanto straziato. Era stato vivo una volta... e libero. Con tutta l’intensità di un’anima dannata, lottava per continuare a vivere.

Luke seminò un suggerimento in quella consapevolezza malata. Morire bene è meglio che vivere schiavi dell’odio; la pace è meglio della disperazione.

Con un’immediatezza che lo sorprese, la nave aliena cambiò rotta e si diresse verso uno dei suoi compagni di squadriglia. Accelerò, con l’evidente intento di speronarla. Luke si liberò con un senso di lacerazione dalla volontà dell’altro e rimase seduto ad ansimare e inghiottire. Si scostò dalla fronte una ciocca di capelli madidi di sudore.

Il suo cervello fu perforato da un rombo proveniente dagli auricolari. Gli ci volle un secondo buono per convincersi che era di nuovo sul ponte della Flurry e un altro per riacquistare una visione chiara e uno stomaco fermo.

Il caccia Ala-X di Wedge sfrecciò verso la salvezza attraverso il varco creato dalla distruzione dei due scafi nemici.

«Signore», chiamò il capitano Manchisco. Luke si scosse a uno stato di coscienza localizzato. «Si sente bene?»

«Fra un minuto starò benissimo.»

«Potremmo non avere un minuto a disposizione, signore.» L’ACB continuava a lampeggiare il suo avvertimento. La Flurry si scuoteva sotto il fuoco. I cannonieri di Manchisco avevano distrutto uno stormo intero di minuscoli caccia, ma nel frattempo ne erano arrivati molti altri, assieme a tre navi vedetta nemiche. In un angolo del pannello di controllo sei triangoli rossi si erano illuminati, segnalando un’erosione degli schermi. Aveva attirato l’attenzione degli alieni, eccome. La disperazione rifluì dal suo essere.

«La sala macchine non riesce a darci altra potenza», disse Manchisco. «Pensa di avere qualche asso nella manica... signore?»

In altre parole, poteva il famoso Jedi tirarli fuori da questo pasticcio? Manchisco appariva ancora spavalda, ma anche lei stava raggiungendo un picco nella produzione di adrenalina.

Il navigatore le gorgogliò qualcosa. «No», ordinò il capitano, in tono allarmato. «Resta al tuo posto.» Il navigatore si passò una lunga mano grigia sul cranio nudo.

«A tutte le squadriglie», chiamò Luke. «La Flurry ha bisogno di rinforzi.»

La nave si scosse di nuovo. Lungo tutto il ponte di comando delle spie avevano preso a lampeggiare. «Ecco», annunciò un membro dell’equipaggio dalla sua stazione. «Abbiamo appena perso gli scudi. Adesso vedremo quanto è forte lo scafo.»

Caccia piramidali ruotavano freneticamente sul visore. Luke strinse i pugni. Nella sua mente era una girandola di idee, tutte inutili.

Qualcosa luccicò in mezzo alla battaglia, il disco asimmetrico di un trasporto leggero che usciva dall’iperspazio proprio fra lo sciame di caccia alieni. Una nave vedetta si trovò nel suo raggio di fuoco. Un secondo dopo, niente più nave vedetta.

«Ho pensato che un po’ di aiuto poteva farti comodo», disse una voce familiare nei suoi auricolari.

«Grazie, Han», mormorò. «Carino da parte tua venirci a trovare.»

Caccia dopo caccia l’intero sciame sfrecciò davanti alla Flurry, fuggendo in direzione dello spazio aperto. «Quante me ne devi con questa, ragazzo?»

«Tante», rispose. O forse era a Leia che doveva qualcosa. Forse anche lei stava imparando a dar retta a intuizioni provenienti dalla Forza.

Il vortice della battaglia rallentò piano piano. Numeri e cifre scorrevano sullo schermo dell’ACB, ma Luke li ignorò. Più tardi avrebbe potuto usare quelle informazioni per spiegare ai suoi piloti quali erano le caratteristiche delle navi nemiche. Ma per adesso, si limitò a guardare il campo stellato nel visore considerando la situazione. Affidarsi alla forza richiedeva calma, ma non l’abiura della ragione.

«Squadriglia Rossa», ordinò Luke, «mettetevi in posizione sotto quell’incrociatore. Passategli di prua. Costringetelo a dirigersi verso l’interno del sistema.»

Si accarezzò un’unghia con il pollice, sovrappensiero, mentre aspettava che la grande nave si voltasse, poi, accorgendosene, strinse la mano sulla coscia. Lentamente il puntino rosso cominciò a girare sul suo schermo. Avanzò piano e come aveva previsto, del tutto cieco alla presenza della Squadriglia Rossa. Ancora un po’ e la Squadriglia Rossa avrebbe potuto...

«Squadriglia Rossa?» trasmise Luke.

«Attacchiamo ora», squittì una giovane voce.

Luke dovette stringere l’altra mano sull’orlo del suo quadro. La prossima volta avrebbe lasciato che Ackbar affidasse il comando a qualcun altro. Era ridicolo. Odiava il comando. Avrebbe dato le dimissioni appena possibile.

Attraverso la Forza, avvertì la distruzione dell’incrociatore. Qualche millisecondo più tardi un lampo invase il suo schermo. «Sì!» urlò Wedge. «Benfatto, capo Rosso!»

Luke immaginò il più giovane dei suoi capisquadriglia che sorrideva dietro la cupola trasparente, scurita dal lampo, del suo caccia. «Benfatto», fece eco Luke. «Ma non abbassate la guardia. Ce ne sono ancora parecchi là fuori.»

«Agli ordini, Flurry.» Il gruppo di puntini blu che rappresentava i caccia Ala-X si divise in quattro gruppetti che si allontanarono, raccogliendo dati attraverso i sensori di bordo per raggiungere in formazione i computer tattici della flotta. Be’, valeva la pena di provarci, Dodonna, pensò rivolto all’inventore dell’ACB. Con tutta la sua sofisticazione era uno strumento tanto utile, e altrettanto limitato, del computer tracciante di un caccia.

«Signore», offrì la voce soffice del tenente Delckis al suo fianco. «Sorso d’acqua?»

«Grazie.» Luke afferrò un tubetto d’acqua a fondo piatto. Sull’ACB si stava sviluppando una nuova configurazione che lo incuriosiva. Qualcuno dall’altra parte doveva aver dato un ordine importante, perché su tutto lo schermo i puntini rossi si stavano sganciando. «Capisquadriglia, stanno preparandosi al salto nell’iperspazio. Tenetevi lontani, ma colpiteli se vi attaccano.» Era cresciuto nella Forza: il suo primo istinto ora era di spaventare, non di uccidere, specialmente se si trattava di un nemico che un giorno avrebbe potuto essere usato contro l’Impero in rovina. Aprì un altro canale. «Li vede anche lei, comandante Thanas?»

Nessuna risposta: il comandante Thanas, in quel momento, doveva essere molto occupato. Luke rimase a guardare, sollevato, mentre squadriglia dopo squadriglia i caccia nemici svanivano. «Ecco fatto», disse piano fra sé. «Per adesso abbiamo finito. Attivate i sensori a lungo raggio, Delckis. Scommetto che non sono andati lontano.»

«Sì, signore.»

Luke sorseggiò un po’ di acqua riciclata dal gusto piatto; improvvisamente si rendeva conto di avere la gola terribilmente secca. Aveva respirato con affanno. La prossima volta mi controllerò meglio, promise a se stesso.

«Signore», disse Delckis, «aveva ragione. Stanno già riemergendo, appena fuori dal sistema.»

«Mm-hmm.» Era contento di avere avuto ragione, ma avrebbe preferito che se ne fossero semplicemente andati a casa.

Si stiracchiò. E adesso? Appoggiò il tubetto d’acqua sull’ACB. Era più utile come tavolino che come consulente strategico. «Mandi un messaggio in codice all’ammiraglio Ackbar, Delckis. Abbiamo bisogno di altre navi. E includa le registrazioni che l’ACB ha tenuto della battaglia. Così capirà a che cosa ci troviamo di fronte. Riesce a prepararlo in mezz’ora?»

«Tranquillamente, signore.»

Grazie alla Forza, i trascrittori non mancavano sulle loro navi, dopo Endor. Le navi imperiali sconfitte erano state abbondantemente saccheggiate. «Lo faccia, allora.» Passo successivo: rifornimento e riposo. «Capisquadriglia, qui è la Flurry. Buon lavoro, ragazzi. Tornate alla base.»

Manchisco sospirò, scosse le trecce e diede una robusta pacca sulle spalle del suo navigatore Duro.

Puntini blu-Alleanza convergevano sulla Flurry. La radio di Luke si animò. «Comandante Alleato, qui è il comandante Thanas. Siete in grado di ricevere tramite l’HoloNet?»

«Sì, ma ci vorrà un po’ di tempo. Dateci cinque minuti.»

Il tenente Delckis stava già alacremente regolando comandi e dirottando energia in una serie di componenti istallati molto di recente. Luke spinse la sua poltrona entro un raggio di trasmissione. «Mi avverta quando è pronto.»

«Adesso», disse alla fine Delckis. «Trasmissione a due vie.»

Su per un pannello-strumenti apparve l’immagine di un uomo sulla cinquantina, con una faccia stretta e capelli castani, ricci e radi, cortissimi. «Grazie», disse il comandante Thanas, «e congratulazioni.»

«Non sono andati lontano.»

«Ho visto. Staremo in guardia. Forse, ah, fareste meglio a uscire dalla zona dei combattimenti. Quelle navi aliene si lasciano dietro dei rottami molto caldi.»

«Caldi?» Luke gettò uno sguardo alla temperatura dello scafo su un quadro.

«I droni ssi-ruuvi bruciano combustibile a fusione pesante.»

Nuovo termine: ssi-ruuvi. Ma, più importante, se gli alieni volevano conquistare Bakura, perché disseminare il sistema di ceneri radioattive?

E perché Thanas ha voluto usare l’HoloNet per dirmi queste cose relativamente poco importanti? si chiese Luke mentre l’immagine di Thanas svaniva. O il comandante Thanas voleva vedere che faccia aveva il suo pari grado alleato o, una volta accertato che i ribelli disponevano di equipaggiamento per trasmettere via HoloNet, avrebbe anche avuto buone ragioni di sospettare che possedessero altro materiale di provenienza imperiale.

Luke fissò i puntini dorati che rappresentavano i loro «alleati». «Analisi», ordinò all’ACB. 1 risultati arrivarono subito e Luke spostò il tubetto d’acqua per vedere meglio. L’incrociatore imperiale andava alla deriva, evidentemente danneggiato in modo piuttosto grave. Il resto delle forze di Thanas si era ritirato dalla battaglia e aveva costituito una rete difensiva attorno alla nave ferita... e a Bakura.

Nemmeno lui, probabilmente, si sarebbe fidato del tutto se degli Imperiali comparsi dal nulla si fossero offerti di aiutarlo. Sarebbe stato compito di Leia far sì che imparassero a fidarsi l’uno dell’altro.

«Grazie di nuovo, Falcon», disse sul canale privato. «C’era qualcosa che non andava sul sesto pianeta?»

«Prima o poi te lo racconteremo», rispose la voce di Leia dall’altoparlante vicino al suo gomito.

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