12

Luke s’incamminò con passo stanco lungo il corridoio di pietra bianca verso il loro appartamento. Dopo aver parlato con Gaeriel e la signora Belden, aveva passato il resto della mattina e metà del pomeriggio a discutere con i responsabili della manutenzione allo spazioporto. La sua reputazione di Jedi si stava diffondendo, evidentemente. Gli avevano concesso il loro riluttante rispetto quando avevano visto che era disposto a sporcarsi le mani accanto a loro (era stato quello il momento migliore) poi gli avevano promesso che tutti i rimanenti caccia Ala-A sarebbero stati riparati in giornata. Luke sospettava che i migliori meccanici di Bakura stessero già lavorando a tempo pieno sull’incrociatore imperiale Dominant.

Poi, senza il tempo di lavarsi e vestirsi, aveva dovuto aiutare il suo furiere con l’approvvigionamento della flotta, spendendo l’equivalente del bilancio di quello che forse un giorno sarebbe stato il (per ora inesistente) governo alleato. Avrebbe dato parecchio per avere Leia al suo fianco, in quell’occasione. E tutto questo durante una giornata passata a guardarsi dietro le spalle sempre credendo di vedere degli Ssi-ruuk e a chiedersi che cosa voleva dire in realtà quell’avvertimento ricevuto in sogno. C’era da stupirsi che il suo corpo ancora convalescente avesse ripreso a dolere?

Un paio di soldati imperiali erano di guardia nell’ampio corridoio su cui dava l’appartamento, con i fucili blaster sul petto. Stanco com’era sentì comunque che il suo corpo pompava adrenalina nel sangue. La sua mano, precedendo sul cervello, corse alla spada laser.

Poi la ragione sopraggiunse. Lasciò cadere le mani lungo i fianchi, a dita allargate. «Scusate», mormorò alla guardia più vicina. «Non sono abituato a queste cose.»

«Capisco, signore.» L’Imperiale fece un passo indietro. Luke entrò, poi attraversò di corsa il soggiorno e si buttò sul suo letto a repulsione, scaricando la tensione in una risata sonora. Non avrebbe mai immaginato una situazione tanto ridicola. Il suo appartamento sorvegliato da due soldati imperiali «alleati»?

Guardò fuori dalle enormi finestre della sua camera e si chiese quanto avrebbe dato lo zio Owen per la pioggia scrosciante che era appena iniziata là fuori. Quella che su Bakura era una normale estate, su Tatooine sarebbe stato il paradiso.

Una luce ammiccava sulla sua consolle personale: un messaggio. Sospirando lo ascoltò. Il senatore Belden lo invitava a cena.

Luke gemette. Gaeriel doveva avergli dato il suo messaggio, ma lui era tornato troppo tardi. Non avrebbe nemmeno avuto il tempo di lavarsi se decideva di correre subito là. Aveva bisogno di parlare con l’anziano senatore... se non altro per discutere della salute di sua moglie.

Luke compose un messaggio in cui chiedeva educatamente di rimandare il loro incontro al giorno dopo, lo mandò e si chinò per togliersi gli stivali. Il campanello suonò. «Oh, no!» bisbigliò, irritato. Gli avevano mostrato come usare la consolle personale per vedere chi c’era alla porta. Pigiò diversi bottoni ma non riuscì a farla funzionare. Desiderando ardentemente di non sentirsi tanto sporco di grasso, attraversò di corsa il soggiorno e andò ad aprire di persona.

Gaeriel era girata rispetto alla porta, dando l’impressione che avrebbe preferito continuare a camminare piuttosto che parlare con lui. Portava una borsetta di corda sulla gonna blu e, come prima, la sua sola presenza nella Forza lo faceva tremare tutto. «Comandante?» chiese in tono esitante. «Posso parlarle per un paio di minuti?»

Luke indietreggiò sotto lo sguardo curioso delle sentinelle imperiali. «Prego.»

Una volta che la porta si fu chiusa, Gaeriel avvicinò le mani a coppa alla sua bocca e bisbigliò: «Ci ascoltano. Lei sta per sparire». Aprì e sollevò la borsetta. Dentro c’era una scatola grigia simile a quella che avevano visto nell’appartamento dei Belden. Fece scattare un interruttore e poi disse a voce un po’ più alta: «Generatore di campo distorsivo. Non posso lasciarlo in funzione per più di un paio di secondi. Lei è in pericolo».

«Che cosa c’è che non va?»

«Gli Ssi-ruuk si sono fatti avanti con il governatore Nereus.» Tornò a infilare la mano nella borsetta. «Siete comodi qui, comandante?» chiese a voce alta.

Luke dovette pensare velocemente. «La situazione è un po’ scomoda per me», rispose. «Ho una reazione allergica all’armatura dei soldati imperiali.»

Bravo, disse con le labbra Gaeriel. Sollevò un sopracciglio, quello sopra l’occhio verde, poi un’altra torsione del polso e, piano: «Hanno chiesto al governatore Nereus di consegnarla a loro; se lui lo farà, lasceranno Bakura».

L’avvertimento del sonno gli tornò in mente d’un tratto. Quindi avevano intenzione di muoversi attraverso Nereus. «E naturalmente, il governatore è molto tentato.»

«Non penso proprio. Non è stupido. Se la vogliono, farà in modo che non riescano ad averla vivo.» Abbassò lo sguardo e mosse di nuovo la mano. «Tutti noi dobbiamo cercare di dominare le nostre reazioni istintive, suppongo», confidò.

E pensare che Leia era tanto sicura che Nereus non avrebbe fatto loro del male. Adesso sì che comincia la festa. «Ma i nostri appartamenti sono bellissimi.» Fece un gesto verso il salottino. «Sono stato in piedi tutto il giorno. La prego, si sieda, così posso farlo anch’io.»

«Non penso che sarebbe opportuno.»

Luke rivestì la sua voce con l’aiuto della Forza di vibrazioni tranquillizzanti. «Vorrei tanto che lei si fidasse di me.»

Gaeriel fece scivolare di nuovo la mano nella borsetta. «Suppongo che la mia reazione ai Jedi sia simile alla sua per i soldati imperiali.»

«Io sto imparando a dominarla.»

«Anch’io. Eppie dormiva ancora quando sono tornata.» Distolse lo sguardo, poi borbottò: «Grazie. Ora... la mia aiutante e io abbiamo intercettato una trasmissione degli Ssi-ruuk. Il governatore Nereus ha chiesto un giorno di tempo per organizzarsi».

«Un giorno.» Luke annuì. «Grazie.»

Piccolo movimento. «Il vostro alieno ha qualche necessità speciale? Che cosa ha detto che è, un Wook?»

«Un Wookiee. No, niente di speciale, solo doppia razione di qualunque cosa mangiamo noi.»

«Capisco.» Accese di nuovo il generatore. «Non possono semplicemente prelevarla, come farebbero con noi gente comune, sa? Nemmeno il governatore Nereus può farlo. Si guardi le spalle. Si guardi dalle guardie. Stia attento a quello che mangia, che beve e che respira.»

«Che cosa vogliono gli Ssi-ruuk da me?»

Gaeriel scosse le spalle.

«Starò attento», promise a voce bassa. Nereus probabilmente avrebbe cercato di giocare su più tavoli, cercando di convincere gli Ssi-ruuk che aveva l’intenzione di cooperare.

E forse l’aveva davvero.

«Già cenato, stasera?» chiese Gaeriel. «Posso far mandare una cena leggera al mio alloggio e poi farla dirottare quassù.»

Commosso, Luke cercò di togliere una macchia di grasso dalla sua tuta, poi si limitò a coprirla con una mano. «Farebbe questo per me?»

Una volta che Gaeriel ebbe ordinato al centro comunicazioni un piatto il cui nome lui non sarebbe riuscito né a pronunciare né a ricordare, scese un silenzio imbarazzato. Luke rimase zitto, chiedendosi che cosa avrebbe detto lei alla fine se aspettava. Alla fine, la ragazza smise di passeggiare su e giù, di guardare fuori della finestra e sul soffitto. Gli lanciò un’occhiata. «Sta ascoltando i miei pensieri?» chiese bruscamente.

La sua borsetta di corda era appoggiata sul divano. «Non posso farlo», disse Luke, prudente. «Alcuni dei suoi sentimenti filtrano attraverso la Forza, ma questo è tutto.» Non proprio tutto.

«Non è comunque giusto. Io non posso sapere che cosa sta provando lei.»

Luke tolse la scatola grigia dalla borsetta e l’accese. «Le piacerebbe sapere che cosa sto provando?»

«Sì.»

Luke respirò a fondo. Una cosa era l’onestà e una cosa l’idiozia. Se solo avesse avuto il dono di Leia con le parole. «Io la conosco già più profondamente di chiunque altro. Naturalmente, questo peggiora le cose, perché tutto quello che lei sa di me è quello che pensa di credere.» Era stato chiaro? Continuò, imperterrito. «I suoi sentimenti verso di me sono forti. E di una forte ambivalenza.»

Gaeriel si avvicinò al salottino. «Non è che io abbia paura di lei, comandante...»

«Luke», insisté lui.

«Ho delle obiezioni di carattere religioso per quello che lei è. Per quello che è diventato. Lei non è nato Jedi. E sarà meglio spegnere quell’affare per un paio di secondi, o saremo nei guai tutti e due.» Fu allora che lui lo percepì: un flusso di attrazione intensa che non proveniva da lui. Cinque anni prima, avrebbe potuto prenderle la mano e lasciare tutto, la flotta, l’Alleanza, la Forza, per seguirla.

Ma quei cinque anni avevano cambiato il suo destino. Forse avrebbe potuto farle cambiare idea.

Un momento, si disse. Che diritto aveva di contestare la sua fede? Partecipava anche lei, come chiunque altro, della Forza, anche se non voleva accettarlo.

Spense velocemente il generatore. «Da quanto tempo è una senatrice?» chiese. Quella certo sarebbe stata considerata una domanda innocente.

«Il senato mi ha eletto cinque anni fa. Da allora ho studiato, qui o al centro imperiale. E non sia troppo impressionato dal titolo.» Picchiettò i pollici l’uno sull’altro. «Più che altro consiste nel trovare nuovi e più ingegnosi metodi per succhiare tasse ai Bakurani. Adesso però otteniamo dall’Impero informazioni e cultura, in cambio. Alcuni sono ottimi», aggiunse, «ma altri hanno qualche attrattiva solo per gente che la pensa come il governatore Nereus.»

In ognuno dei pianeti soggiogati c’era sempre qualcuno che dava il benvenuto all’Impero perché era già in fondo al cuore un Imperiale. «Non credo che lei sia tra questi.»

Gaeriel lanciò un’occhiata al generatore. Forse la conversazione stava diventando troppo personale. «Piove sempre così?» chiese Luke. «Io sono cresciuto su un pianeta desertico.»

Dopo qualche altro generico commento sul tempo, riaccese il generatore. «Rispetterò le sue paure», promise. «E la sua fede.»

Il campanello suonò.


Gaeri saltò in piedi e andò ad aprire, grata dell’interruzione. Non aveva nessun diritto di giocare così con il destino e nessuna speranza di convincere Skywalker a vedere l’universo come lo vedeva lei.

Uno dei suoi aiutanti spinse un carrello a repulsione attraverso la porta. Gaeri fece cenno al ragazzo di parcheggiarlo fra i sedili. Una volta che se ne fu andato, scoprì l’unico piatto. «Spero che le piaccia il pesce.» Cresciuto su un mondo desertico... e questa era la seconda volta in due giorni che gli servivano pesce.

«Resta con me?»

«Perdoni la mia vigliaccheria, Luke, ma...»

Senza dire una parola Luke sganciò dalla sua cintura un oggetto cilindrico e lo appoggiò sul carrello. Era lungo quanto basta per poterlo impugnare a due mani e sembrava la metà di un’arma.

«È quello che penso che sia?» chiese a bassa voce.

«Probabilmente lei sarebbe più al sicuro qui che a casa sua.» La sua faccia divenne tutta rossa. «Mi dispiace», aggiunse. «Sembro uno di quei soldati spacconi delle truppe d’assalto.»

Almeno sapeva ridere di se stesso. Gaeriel esitò. Sarebbe probabilmente stata al sicuro per un paio di minuti. «Ci sono due di loro là fuori nel corridoio», gli ricordò, «e se fossi in lei, io non mi fiderei più molto di loro. Però... questo ha l’aspetto di essere molto fresco. Sì, le farò compagnia.»

Evidentemente il pesce gli piaceva perché mangiò come se stesse per morire di fame. Lei si limitò a prenderne qualche morso. Dopo pochi minuti, Luke tornò ad allungare la mano verso il generatore, che ora giaceva sul carrello accanto alla spada laser. «La sua fede è condivisa da molti Bakurani?»

Sollevata dal fatto che fosse stato lui a sollevare l’argomento, rispose: «Molti sono più ortodossi di me. Mia sorella è un’asceta. Vive quasi di nulla, per lasciare di più agli altri. Io sono meno... devota. Siamo una minoranza, ma l’universo intero potrebbe stare in equilibrio su un atomo, se disposto nel modo giusto».

«Sento attraverso la Forza che lei è una donna profonda. Di sentimenti profondi.»

«E io che credevo di aver convinto tutti di essere una carrierista senza scrupoli.»

«Tutti gli altri ne sembrano convinti.»

«Bene», disse in tono leggero. Non devo guardare nei suoi occhi... ma sono di un azzurro così delicato.

«Là fuori ci sono gli Ssi-ruuk.» Fece un gesto con la forchetta. «E ho un giorno al massimo per prepararmi ad affrontarli.»

«Di meno.»

«Una volta che avrò sistemato questa faccenda con loro, tornerò... per parlarti, per vedere se c’è qualche speranza che tu cambi idea su di me. Sui Jedi. Avevi ragione solo in parte quando hai detto che non sono nato Jedi. La Forza scorre potente nella mia famiglia.»

Sorpresa, Gaeriel prese un sorso d’acqua dal suo bicchiere. Con la mente si era quasi aspettata di sentirgli dire qualcosa del genere, con il cuore lo aveva quasi sperato.

Perché non ammetterlo? si chiese. Vediamo come reagisce. «Grazie per essere stato... onesto. Non c’è tempo per l’educazione. E io sono molto attratta da te, il che è pericoloso.»

Luke scosse la testa. «Io non...»

«Sì, lo faresti. Se solo ti incoraggiassi.» Abbassò lo sguardo sulle mani intrecciate. «Sarebbe facile per te manipolare una persona, se volessi.»

«Non lo farei mai», rispose lui, arrossendo. «Sarebbe disonesto. Non ci sarebbe futuro per una relazione basata su simili inganni.»

Gaeriel toccò il suo pendente. «Chi sei, Luke Skywalker? Chi ti dà il diritto di avere questi poteri?»

«Sono un...» esitò. «Un ragazzo di campagna, suppongo.»

«Una famiglia di campagnoli nei quali la Forza scorre tanto potente?» chiese lei, sarcastica.

Il colore svanì dal suo volto. Doveva aver toccato un nervo scoperto. «Mettiamola così», mormorò Luke, finendo il piatto. «Ci saranno sempre persone forti e malvagie. Se il solo modo di proteggere gli altri è che alcuni di noi divengano potenti nella Forza per fare del bene, non sarebbe giusto farlo? Anche se le tue convinzioni sono giuste, questo significa che qualcun altro ne verrà diminuito? La gente si sacrifica continuamente per una buona causa. Io non ho chiesto a nessuno di morire per me.»

Quasi persuasa, Gaeriel cercò di resistere a quella che sembrava la sua genuinità. «Il cosmo deve restare in equilibrio.»

«Sono d’accordo. Il lato oscuro è sempre in agguato, e chiede violenza, vendetta, tradimento. Più si diventa forti, più è grande la tentazione.»

Gaeriel sentì che la mano le tremava. «Allora se tu, tu amassi qualcuno, diventerebbe ancora più facile per te odiarlo.»

Luke abbassò gli occhi sul generatore e sollevò un sopracciglio.

Gaeriel si obbligò a non vedere la ferita nei suoi occhi. «Non c’è bisogno di spegnere il generatore», disse. «Per quanto ne sanno, potremmo mangiare in silenzio.»

«Ecco un altro equilibrio.» Si appoggiò una mano sulla fronte sporca di grasso. «Come le montagne del mio mondo natale sono equilibrate dalle gole che le attraversano. Io ho perso degli amici, dei parenti, dei maestri. L’Impero ha ucciso la maggior parte di loro. Se non avessi mai cominciato il mio addestramento di Jedi, sarebbero morti comunque.» Si accigliò. «E sarei morto anch’io. Il giorno in cui ho incontrato il primo dei miei maestri, l’Impero ha colpito la nostra fattoria. Hanno ucciso mio zio Owen e mia zia Beru mentre io ero lontano. Tutti quelli che si trovavano a casa sono morti. Non hanno fatto lo stesso qui? Ti piace l’impero?»

«È una domanda sleale.»

«Ti piace?» incalzò.

Ma certo. Non era così? «L’Impero ha più potere di quanto sia necessario a qualunque governo», ammise. «Eppure la sudditanza che impone è compensata da molti vantaggi. Uno dei vantaggi del vivere sotto l’Impero è che le possibilità di avere un’educazione sono molto aumentate. Gli studenti migliori possono proseguire gli studi al centro imperiale.»

Luke fece una smorfia. «Mi hanno detto che quelli più brillanti non tornano più a casa.»

Come lo sapeva? Certo, molti restavano, perché gli venivano offerti impieghi allettanti. Altri svanivano. Lei aveva preferito tornare a casa. «Diciamo che abbiamo tutti imparato a tenere qualcosa per noi. Ma su Bakura il governo imperiale è stato un bene. Ha riportato l’ordine quando eravamo vicini alla guerra civile. Ha degli svantaggi, ma sono sicura che la vostra gente ti dirà che anche l’Alleanza ha dei problemi.»

«Sono i problemi della libertà.»

Questo faceva male. «Ci avete spaventati quando è arrivata la vostra forza d’attacco. La reputazione che ha l’Alleanza Ribelle è di essere una forza che distrugge, non che costruisce.»

«Suppongo che da un punto di vista imperiale, sia vero. Ma non siamo dei distruttori. Lo giuro.»

Di certo non è un diplomatico. «Grazie per averne parlato con me», disse. «Adesso mi sento meglio...»

«Vorrei sentirmi meglio anch’io.»

«... E più sicura di me stessa», mentì con fermezza. Infilò la mano nella sua borsa, mosse il polso e si passò la borsetta su una spalla. «Combatteremo insieme contro gli Ssi-ruuk.»

Luke fece un gesto con il polso. Gaeriel accese il generatore un’ultima volta. «Sarebbe possibile che noi... che io... possa procurarmi qualcuno di quegli aggeggi?» Indicò la borsetta.

Scosse la testa. «Questo è di Eppie. Ce ne sono solo pochi su Bakura, e sono di proprietà delle famiglie che arrivarono qui per prime. Siamo riusciti a tenere segreta la loro esistenza al governatore Nereus.»

«Peccato.»

«Sì, peccato», assentì, Gaeri. «Porterò fuori io il carrello.»

Luke tornò ad agganciare la spada laser alla sua cintura.


La accompagnò alla porta. Voleva accarezzarle la mano, ragionare con lei, usare la Forza per erodere le sue difese. Perfino supplicarla gli sembrava un corso d’azione ragionevole. Invece aprì la porta e si infilò i pollici nella cintura.

«Grazie», disse lei. I soldati rimasero a guardare mentre lei spingeva via il carrello e si incamminava per il corridoio senza voltarsi indietro. Una volta che fu scomparsa dietro un angolo, Luke lasciò cadere le mani lungo i fianchi. Le strinse a pugno, le rilassò, le strinse di nuovo. Il suo talento gli aveva aperto delle porte: porte che portavano a terribili pericoli, sia nello spazio sia negli angoli più luminosi, più tenebrosi, più vasti della sua anima, ma era sempre stato libero di scegliere di varcarli.

Gaeriel aveva cercato di chiudergli una porta in faccia, ma non c’era riuscita. Aveva sentito il conflitto che si svolgeva dentro di lei. Non lo avrebbe rifiutato per sempre.

Ma d’altra parte, forse l’avrebbe proprio fatto. Esausto, chiuse la porta dell’appartamento dietro di sé e si diresse lungo il corridoio nella direzione opposta. Sulla sua sinistra si apriva un portello di accesso al tetto. Spinse il portello e salì sul tetto.

Di notte, il giardino pensile avrebbe potuto essere una io-resta, impenetrabile e primitiva. L’aria ferma gli rinfrescò il viso. Famiglie di alberi dal tronco bianco spuntavano da nodosi ammassi di radici, per poi salire e terminare in una chioma di ramoscelli giallo-arancio, ancora umidi ma non più gocciolanti. Due piccole lune rotonde e diverse dozzine di stelle molto brillanti illuminavano con il loro fioco chiarore un sentierino che serpeggiava fra i muschi.

Poco lontano dall’ascensore il sentiero si divideva. Luke si fermò a pochi metri dall’estremità appuntita del complesso. Si inginocchiò su una panchina e appoggiò i gomiti sul parapetto di pietra, guardando giù. La città si allargava sotto di lui nei suoi cerchi concentrici, illuminata da lampioni bianco-azzurri al centro, poi giallo pallido, poi rossastro...

Come un diagramma di tipi stellari, capì all’improvviso. I fondatori di Salis D’aar dovevano aver progettato la città in modo che ricordasse la sequenza dei tipi di stelle, con le case più belle, come la residenza dei Captison, nella zona dei gialli soli ospitali.

Averlo capito lo tirò su di morale. Non era male per un essere umano imparare a sfruttare al meglio i suoi talenti naturali. Se la religione di Gaeriel fosse stata portata alle logiche conseguenze, avrebbe portato tutti indistintamente a diminuirsi e limitarsi da soli.

E poi, la sua vita non era più sua.

Gli parve di riuscire a vedere i puntini di luce in lento movimento sopra di lui, che erano navi impegnate nella rete difensiva orbitale. Erano lassù legate le une alle altre in posizioni prestabilite, unite da ordini comuni, e da un comune nemico.

Molti di quelli lassù avevano dei compagni da cui ritornare, o che almeno, se la loro vita fosse stata reclamata in quest’ora di estremo bisogno, li avrebbero pianti. Più diventava potente nella Forza, più sarebbe diventato difficile trovare una donna disposto ad accettarlo.

Aprì le mani vuote. «Ben?» sussurrò. «Ben, vieni da me, ti prego. Ho bisogno di parlare con qualcuno.»

Nessuno gli rispose, nemmeno la brezza. Lungo la superfide del muro una creaturina lunga quanto il suo mignolo sgattaiolò via su venti frenetiche zampette. Luke si concentrò sul ritmo di quelle zampette, espandendo il suo spirito. Quando fu svanita in una crepa, chiamò di nuovo. «Maestro Yoda? Sei qui?»

Che domanda stupida. Yoda era nella Forza e di conseguenza dovunque. Ma non gli rispose.

«Padre?» chiamò, esitante, poi ripeté, «padre», chiedendosi se Anakin avrebbe capito. Cercò di mettersi nei panni di Gaeri. Con la sua casa minacciata e la sua vita in pericolo, chi arrivava? Un uomo che la spaventava profondamente, un Jedi.

Sentì qualcuno che si avvicinava. Ben? pensò, ma l’intensità non era quella di un maestro e portava con sé l’inquieto perpetuo lottare di una persona vivente. Passi leggeri vennero verso di lui sul sentiero. Leia esitò al bivio, il vestito bianco luminoso fra i tronchi bianchi e le liane scure.

«Sono qui», chiamò Luke.

Leia si diresse verso di lui in fretta. «Stai bene?» Si tirò sulle spalle uno scialle bakurano di lana blu. «Ho sentito... be’, ho pensato che mi stessi chiamando attraverso la Forza.»

Anche a Bespin lo aveva trovato nello stesso modo. Luke si mise a sedere sulla panchina. «È stata una giornata lunga e dura. E la tua?»

«Ah», rispose lei, «buona. Ho lasciato C1 e 3BO con il primo ministro Captison.» Qualche cosa in lei sembrava supplicarlo di non notare quanto era eccitata. Sembrava tutta soffusa di euforia.

Invidioso, Luke disse: «Lascia che fluisca, Leia. Lui ti ama».

Leia gli lanciò un’occhiataccia. «Non ti si può nascondere mai niente, eh? Siamo andati a fare una passeggiata. Abbiamo parlato. Abbiamo... be’ è difficile trovare un momento per stare da soli.»

Luke sorrise, intimidito. «Dunque questo è quello che mi sono perso. Crescendo come figlio unico, voglio dire.»

Leia agitò le punte dello scialle. «È bello avere un fratello. Qualcuno con cui parlare.»

«Be’, tu hai anche Han. Qualcuno che ti permetterà di trasmettere ad altri le doti di famiglia», aggiunse, cupo. «Non sembra proprio che io avrò quest’occasione.»

Leia gli appoggiò una mano sulla spalla. «Che cosa c’è, Luke? È quella senatrice?»

«Un Jedi non sente il richiamo della passione.» Chiunque potesse manipolare le sue emozioni poteva metterlo in pericolo, rendergli impossibile calmarsi... impossibile controllarsi. «Ma a volte è la Forza a controllare me, e non viceversa. Ed evidentemente, favorisce la vita.»

«Allora è proprio lei. Cominciavo a preoccuparmi per te, Luke. Sei stato così... assente.»

La sua intuizione lo metteva terribilmente a disagio. Il modo migliore per distrarla era farla arrabbiare. «Tu e Han», esplorò. «Lascia che ti chieda qualcosa che non ho nessun diritto di chiederti. Voi non siete... contrari ad avere dei figli, vero?»

«Ehi!» Leia ritirò la mano come se fosse stata scottata. «Non è neanche il caso di parlarne!»

«Mi dispiace. È solo che ultimamente ci ho pensato tanto.» Davvero? Erano incredibili le cose che il suo inconscio rivelava a qualcun altro prima di sentirsi in dovere di informare lui. Per il momento si immaginò a capo di un clan di piccoli apprendisti Jedi con occhi spaiati in tutti gli assortimenti del verde, azzurro e grigio. «Ma un figlio che fosse potente nella Forza avrebbe anche una grossa potenzialità per il male.»

«Ma certo.» Leia si sedette e ritirò in grembo le punte dello scialle. Poi colse una campanella blu-porpora da un rampicante e l’annusò. «È un rischio che gli umani devono correre. È sempre un pericolo mettere al mondo una creatura intelligente.»

«Non ti viene da chiederti dove trovò nostra madre il coraggio di farlo?»

Improvvisamente Leia si infiammò di rabbia, sorprendendolo. «Oh», aggiunse, in tono leggero. «Questo mi ricorda che ho un messaggio per te. Ho visto Vader.»

«Vader?» Per un momento Luke non capì. «Hai visto... nostro padre? Anakin Skywalker? Vader non esiste più.»

«Come vuoi, allora, Anakin. Comunque sia, l’ho visto.»

Un terribile senso di perdita lo assalì. Perché suo padre era apparso a Leia e non a lui? «Che cosa ti ha detto?»

Leia distolse lo sguardo. «Dovrei ricordarti che anche la paura fa parte del lato oscuro. Mi ha chiesto scusa, o almeno ci ha provato.»

Luke guardò la città. «Io l’ho visto solo una volta. Per un momento. Non mi ha parlato.»

«Be’, io non voglio niente da lui, e non voglio che mi venga a trovare.»

Luke meditò il messaggio di suo padre. Anche la paura appartiene al lato oscuro. La paura che Gaeriel aveva di lui: anche quella veniva dal lato oscuro. «L’odio appartiene al lato oscuro, Leia.»

«Non c’è nulla di sbagliato nell’odiare il male.»

«Il suo, mmm, quello che ha detto aveva, insomma, qualcosa a che fare con... ah!» Inciampò sulle parole e si fermò. «Oh. Ho interrotto qualcosa questa mattina quando ho chiamato, vero?»

Perfino il chiarore delle stelle la vide arrossire. «È stato difficile trovare il tempo per noi due», ripeté.

«Mi dispiace. Ma forse nostro padre ha fatto qualcosa di buono, se ti ha mandato da Han in cerca di conforto.»

«Be’, a me proprio non sembra. Quando l’ho visto, con quell’aspetto così normale, io... mi sono resa conto che chiunque può diventare quello che era lui. Che anch’io potrei.»

«Come lui, ma per il bene», insisté Luke. Sfiorò la sua guancia con un bacio. L’aveva amata moltissimo, tanto tempo prima, prima di sapere quello che lei ora rifiutava di accettare. «Ci vediamo domani mattina.»

«Ehi, aspetta!» Si raddrizzò. «Non mi starai mandando via!»

«Solo per un po’, Leia. Vai da Han», mormorò. «Vi lascerò soli.»

Leia lo fissò negli occhi e respirò profondamente. Era evidente che era irritata. Finalmente balzò in piedi e se ne andò.

Luke guardò in basso, verso i cerchi di luce della città e un pullman a repulsione di passaggio, poi strinse le mani l’una sull’altra e si piegò in avanti. «Padre?» bisbigliò. Ma lui, pensò, era in pace con la memoria di Anakin. Forse questo spiegava perché fosse comparso a Leia.

Cominciò una delle meditazioni di Yoda, concentrando la sua volontà sempre più profondamente su se stesso. I problemi personali svanirono in lontananza e la forza dell’universo gli passò attraverso. Aveva una sorella: non era solo. Un giorno, quando sarebbe cresciuto abbastanza nella Forza, l’amore lo avrebbe unito a qualcuno simile a lui. Ogni emozione sua o della sua compagna, ogni ondata di gioia o di dolore, avrebbe riverberato fra loro due, risuonando fino a che l’ultima dolce eco fosse scomparsa.

Aprì gli occhi e le mani. Non aveva ancora perso Gaeriel. L’avrebbe aiutata come poteva, e se lei lo rifiutava, avrebbe lasciato Bakura con pochi rimpianti.

Due occhi ridenti e spaiati e una gonna blu vorticarono nella sua mente. Chi credeva di prendere in giro?

E che cosa stava facendo quassù da solo? Si alzò e si diresse a un ascensore.


Dev accarezzò la nuova, bellissima sedia da intecnamento... o forse avrebbe dovuto chiamarla in qualche altro modo? Tre dozzine di nuove sedie erano in corso di realizzazione, per affiancare il flusso di energia che Skywalker gli avrebbe fornito, ma questa era speciale. Era più simile a un letto disposto in verticale che a una sedia e un motore la poteva reclinare da zero a trenta gradi. Invece di un arco di intecnamento era fornita di una serie di circuiti incorporati capaci di attrarre energia, situati sotto la schiena di Skywalker. Diverse solide, morbide cinghie, per il momento aperte, pendevano ai lati e vicino al piede del lettino, mentre altri strumenti medici sottolineavano che la posizione era stata disegnata per garantire la sopravvivenza a lungo termine dell’occupante (ieri avevano provato la funzionalità di quegli apparati). Tutta nera e d’argento, luccicava sotto le forti luci della cabina. «È bellissima, padrone Firwirrung.»

«Mi dispiace, Dev», cantò Firwirrung a bassa voce. «So che questo ferirà i tuoi sentimenti...»

«Vorrei tanto che fosse la volta buona, padrone. Ma so che avete bisogno di provare l’apparato. Cominciamo.»

Firwirrung annuì con la sua enorme testa dalla cresta nera.

Dev stesso aveva suggerito la maggior parte delle specifiche per l’installazione iniziale e la costrizione del soggetto. Sopra il letto non c’era nessun arco di intecnamento, inoltre il letto era inclinato indietro di alcuni gradi rispetto alla verticale. Cautamente Dev si avvicinò, camminando all’indietro. Il suo piede sinistro tirò un legaccio, che si chiuse con uno scatto. «Funziona!» esclamò Dev.

«Prova quell’altro», tubò Firwirrung.

Dev fece attenzione, questa volta. Da una scanalatura del lettino sporgeva un arco di materiale flessibile. Avvicinò la caviglia sinistra... Snap. Il secondo legaccio attivava un altro meccanismo che Dev aveva suggerito. Questo faceva sì che il lettino si inclinasse all’indietro di dodici gradi. Dev si rilassò e assecondò il meccanismo, con le braccia incrociate sul petto. Appena la sua schiena toccò un altro cannello, un legaccio più ampio gli imprigionò la vita. In questo modo era trattenuto con molta più sicurezza di quanto accadesse nella vecchia sedia.

«Bellissimo.» Firwirrung si avvicinò e accarezzò il legaccio attorno alla vita con un artiglio. «È abbastanza stretto?»

Dev cercò di piegare e torcere il corpo. «Sì. Ma non tanto da impedire la respirazione.»

«La forma umana è così peculiare», fischiettò Firwirrung felice. Dev rise con lui. «Sei comodo, Dev? Possiamo solo indovinare quali siano le sue misure.»

«Oh, sì.»

«Mano sinistra, ora.»

Dev protese la mano sinistra. Un altro legaccio scattò e assicurò fermamente il suo polso. In quest’ultimo legaccio erano incorporati dei sensori che, attraverso la sua pelle sottile e priva di scaglie, che non avrebbe opposto nessun ostacolo, avrebbero rilevato le funzioni vitali. Dietro Firwirrung, su un pannello nero inserito nella paratia, luci pallide cominciarono a lampeggiare. Firwirrung girò su se stesso e le osservò.

Oh, quanto avrebbe desiderato Dev che questo fosse davvero il giorno del suo intecnamento. Immaginava già il momento in cui la sua vita si sarebbe accesa dietro occhi che non si sarebbero mai chiusi, ma che vedevano tutto. Dentro un corpo nuovo che avrebbe potuto fare di tutto, ma sceglieva di fare solo ciò che piaceva ai suoi padroni. Ieri, in preparazione dell’assalto, avevano cominciato a intecnare P’w’eck troppo giovani o troppo vecchi prelevati da altre navi. I P’w’eck intecnati non sarebbero durati tanto quanto gli umani, ma avevano un disperato bisogno di droidi da battaglia... per ora.

Firwirrung toccò un pulsante rosso. Qualcosa punse Dev alla schiena. «Anche questo funziona», confermò. Quel meccanismo era essenziale in vista di un confinamento a lungo termine, come il proiettore ionico sistemato verso la parte alta della spina dorsale. Ora non sarebbe più stato necessario neutralizzare, come prima cosa, il sistema nervoso di Skywalker.

«Puoi muovere i piedi?»

Dev guardò in basso. L’angolo con cui il letto era inclinato li teneva sospesi oltre il pavimento di metallo. «Non li sento nemmeno», annunciò, tutto contento.

«Bene.» Firwirrung si avvicinò. «Ah, Dev.» Sganciò un tubicino trasparente dal lettino all’altezza della spalla sinistra di Dev. «So quanto desideri che tutto questo sia reale. Mi dispiace tormentarti così.»

«Verrà anche il mio momento.» Dev chiuse gli occhi. Avvertì una leggera pressione alla gola, poi una puntura molto leggera. Si rilassò, assaporando la sensazione, mentre Firwirrung si muoveva sull’altro lato del lettino e ripeteva l’operazione. Lo desiderava certo. Oh, come lo desiderava...

Eppure sotto il suo desiderio si nascondeva una paura strisciante. La sua mano destra premuta sul petto tremava.

Sentì un sibilo e aprì gli occhi per vedere entrare Scaglia Blu e l’ammiraglio Ivpikkis, seguiti da due P’w’eck che trascinavano un prigioniero umano tenendolo per le braccia. Seguendo la nuova procedura ideata da Firwirrung lo avevano già preparato con un colpo di proiettore ionico. Lui era quello che sarebbe stato intecnato. Dev cercò di nuovo di muovere le dita dei piedi e non sentì nulla. Perfetto. Per il bene del povero umano spaventato, sperava di riuscire a fare la sua parte.

«Ripetetemelo un’altra volta», intimò l’ammiraglio. «In che cosa differisce questa procedura dall’intecnamento standard?»

Firwirrung unì gli artigli anteriori davanti al petto. «Noi crediamo che un individuo dotato di un grande talento nell’uso della Forza sia in grado di attirare energia dall’esterno a distanza... una distanza limitata, nel caso di Dev. Se Dev viene collegato nel modo giusto con i circuiti di intecnamento le energie dell’altro soggetto scorreranno attraverso di lui, ma Dev rimarrà non intecnato e sarà in grado di ripetere la procedura all’infinito.»

«Non è come la... sedia, allora.» Ivpikkis la guardò. Dev si ricordò di quanto si erano divertiti gli Ssi-ruuk quando per la prima volta avevano loro descritto i mobili umani. I P’w’eck venivano stesi per terra per essere intecnati.

«No», confermò Firwirrung. «Non ci sarà nemmeno bisogno di catturare materialmente il soggetto. E con Skywalker, non dovrà neppure essere a portata di un raggio traente, così ci auguriamo.»

«Ma, tanto per comodità, abbiamo catturato e preparato questo qui. È tutto pronto?» Le lingue nasali di Scaglia Blu saettarono in direzione del prigioniero. Il povero umano probabilmente non era troppo pulito.

«Sì.» Firwirrung girò la sua testa ornata dalla cresta nera a forma di «V» verso Scaglia Blu, il suo occhio destro verso Dev e quello sinistro verso i P’w’eck e il loro prigioniero. Poi accese l’interruttore principale.

La gola di Dev cominciò a bruciare. Questa volta le pompe servomeccaniche non iniettavano semplicemente soluzione magnetizzante ma anche altri fattori. In teoria ciò avrebbe dovuto orientare l’intero sistema nervoso verso il circuito di intecnamento incorporato nel lettino, che a sua volta attirava a sé energia. Questo eliminava la necessità dell’arco. Prima il suo collo, poi la sua testa, poi il petto e gli arti avvertirono la trazione, diventando rapidamente sempre più pesanti, come se la Shriwirr si fosse riorientata o la gravità avesse cambiato direzione. Improvvisamente gli parve che il lettino inclinato si fosse capovolto. Firwirrung e gli altri sembravano in piedi su una parete. L’illusione creata dalla biogravità riusciva a trarre completamente in inganno i suoi occhi. «Mi sento», disse, «come se ogni fibra del mio corpo fosse tirata verso il punto focale. Fa un po’ male», ammise.

«Questo non dovrebbe ostacolare la funzionalità del circuito. Sei pronto a cercare di indirizzare le energie di questo umano in un droide?»

«Cercherò.» Se non poteva essere intecnato lui stesso, sarebbe stato quasi altrettanto felice di concedere quel dono a qualcun altro. Dev chiuse gli occhi e cercò di raggiungere, nonostante il disagio che provava, il suo centro di controllo. Era profondamente, umilmente conscio dei propri limiti, e annaspò nella Forza come un cieco verso l’altra presenza umana. Sembrò che fosse passata un’infinità di tempo prima che riuscisse a toccarlo e a circondarlo. Lasciando che il circuito di intecnamento tirasse attraverso di lui, usò la Forza per succhiare l’energia in se stesso. Per un istante si sentì enorme e pesantissimo, elefantiaco. Il dolore nelle sue fibre nervose raddoppiò. Poi il peso in eccesso svanì. Respirando affannosamente, spalancò gli occhi. Il prigioniero era abbandonato sul ponte, senza vita.

L’ammiraglio Ivpikkis si sfregò un artiglio con l’altro. «Ponte sedici?» chiamò.

Dalla paratia vennero le parole che Dev aveva tanto desiderato di sentire. «Funziona.» Gli Ssi-ruuk, i P’w’eck e Dev manifestarono tutti la loro gioia.

«Al prossimo test», cantò Firwirrung, «vedere se possiamo obbligare Skywalker a fare quello che gli ordiniamo. La Forza in lui è molto più potente se è vero quello che dice il nostro Dev.»

«Sarà meglio per lui che lo sia.» Scaglia Blu sembrò scendere lungo la paratia/ponte per avvicinarsi a lui. La mano destra si strinse involontariamente a pugno mentre l’enorme testa blu si chinava su di lui. L’occhio nero sembrò vorticare. Dev cadde nelle sue profondità nere.

Poi, con sua grande sorpresa, Scaglia Blu si allontanò. «Proviamo», mormorò.

Firwirrung scese lungo la paratia e gli porse un coltello a tre lame che veniva usato per togliere gli artigli alle piccole lucertole commestibili chiamate Fft. Inserì il manico nella mano destra, libera, di Dev.

«Sì?» Dev non provava più paura, solo curiosità.

«Colpisciti l’altra mano.»

Che cosa c’era di più naturale? Cercò di torcere il corpo sotto i legacci, mise il coltello in posizione e lo piantò nella sua carne più profondamente che poté. Si sentì un rumore di ossa spezzate e rosso sangue umano uscì lungo la lama. Ci fu dolore, «Lascialo lì», ordinò Firwirrung.

Dev si raddrizzò, pronto e in attesa del prossimo comando.

«Mano destra.»

Dev mise in posizione il braccio destro, che fu immediatamente immobilizzato.

Firwirrung tolse il coltello dalla mano di Dev, lo pulì sulla tunica dell’umano e applicò un pezzo di pelle sintetica proveniente con tutta probabilità da una cassetta di pronto soccorso imperiale, su entrambi i lati della ferita. Poi girò la testa in alto per guardare l’ammiraglio Ivpikkis. «Pensi che funzionerà con Skywalker?» chiese Ivpikkis.

«Non c’è ragione di credere altrimenti. L’istinto di auto-conservazione è forte in tutti gli umani e hai visto come lo abbiamo completamente sopraffatto in Dev. L’ultimo e più vitale test, naturalmente, è sapere quanto a lungo un soggetto può restare in vita in questo stato. Abbiamo solo il tempo di effettuare una breve simulazione, ma qualche ora dovrebbe bastare perché appaiano eventuali segni di degradazione delle funzioni vitali.»

L’ammiraglio Ivpikkis mosse la coda e guardò il pannello controlli sulla paratia, poi guardò Dev. Dev riuscì a sorridere. Scaglia Blu seguì l’ammiraglio fuori dalla stanza. Firwirrung ordinò a uno dei P’w’eck di rimuovere il cadavere dell’umano e all’altro di restare con Dev. «Avvertimi subito se uno di questi numeri cambia.» Toccò la paratia con un artiglio ritratto.

Poi uscì.

Diverse ore. E lui le avrebbe passate lì, vicino all’intecnamento ma impossibilitato a raggiungerlo.

Così scomodo. Il naso gli prudeva e non poteva grattarselo, perché nessuno gli aveva detto di farlo. La mano gli pulsava dolorosamente, abbastanza da aiutarlo a ignorare il dolore soffuso che gli tormentava tutto il corpo. Per passare il tempo cominciò a recitare delle poesie che aveva imparato da bambino. Le tradusse mentalmente in ssi-ruuvi, poi se le raffigurò nel suo speciale alfabeto ssi-ruuvi.

Ma le poesie finirono troppo in fretta. Gli sembrava che i suoi occhi stessero per venire risucchiati attraverso il teschio, fino a finire nei circuiti di intecnamento. Povero Skywalker: costretto come Dev a sopravvivere senza poter mai ottenere il suo droide da combattimento. Condannato dai suoi talenti, proprio come Dev.

Dev sospirò e cominciò a contare le pulsazioni del suo cuore, amplificate dal dolore della sua mano sinistra.

Tra quattro e cinquemila perse il conto. Passò dell’altro tempo. La scomodità si era ormai da tempo trasformata in dolore e Firwirrung non era ritornato a controllare come stava. Dolorante e confuso, ricominciò a contare.

Non poteva ancora grattarsi il naso. Nessuno glielo aveva detto...

E tu fallo lo stesso, cretino! Ora che poteva provarci, l’impossibilità di raggiungere il suo naso lo faceva impazzire. Perché Firwirrung non era rimasto lì con lui? Era una crudeltà, questa. Forse se avesse trattenuto il respiro abbastanza a lungo sarebbe svenuto e lo stupido P’w’eck avrebbe notato un cambiamento nei suoi segni vitali. Si riempì i polmoni finché il legaccio intorno alla vita glielo consentì, poi espirò. Svuotato, serrò la gola e aspettò.

Una dolorosa scossa elettrica attraversò l’arco formato dalle sue braccia, dal legaccio che imprigionava il polso destro a quello che imprigionava il polso sinistro. Dev trasse un respiro involontario.

Aveva suggerito lui quel meccanismo. Irritato, cercò di liberarsi il polso destro. Unì il pollice al mignolo e tirò il polso attraverso il legaccio. Non usciva. Continuò a tirare. Trecento battiti cardiaci più tardi, si arrese. Si riposò. Provò di nuovo.

Il portello si aprì con un sibilo. Sorpreso, Dev spinse in tutta fretta il polso in avanti, perdendo i tre millimetri che aveva guadagnato. Firwirrung entrò per primo. Senza nemmeno guardare Dev, oltrepassò la guardia P’w’eck e si diresse verso il pannello degli strumenti. Scaglia Blu era seguito da un altro P’w’eck, che trascinava con sé un altro prigioniero.

«Eccellente.» Firwirrung si voltò. «Tutti i segni vitali sono stabili. Descrivi le tue sensazioni, Dev.»

«Fa male», disse con voce spessa.

Scaglia Blu ammiccò e si avvicinò al punto che Dev riusciva a sentire il suo odore. «Anche le gambe?»

Tirò le caviglie attraverso i legacci. «Adesso riesco a muoverle. Ma fanno male. Sono troppo pesanti.»

«Ah!» Firwirrung esaminò la lettura di uno strumento e fece un sibilo di contentezza. «Il controllo neuromuscolare è tornato, come previsto, dopo due ore e sette dodicesimi. Eccellente.»

Dev inghiottì. «Fa male», ripeté con voce rotta.

«Questo non dovrebbe interferire con la funzione di intecnamento. Intecnaci questa donna, Dev.»

«Non mi state ascoltando.» Dev strinse le labbra. «Fa male.»

«Male?» lo canzonò Scaglia Blu. L’alieno si girò leggermente. Dev riconobbe improvvisamente la posizione e si rannicchiò in se stesso. Una coda potente si abbatté sulle sue gambe così forte da fargli vedere le stelle. «Bene», cantò Scaglia Blu. «Abbiamo bisogno che tu faccia resistenza, umano.»

Firwirrung si mosse verso di lui, portando con sé una siringa dall’aspetto strano. «Hai ragione», cantò a Scaglia Blu. «Il Jedi non coopererà di certo. Ora che l’intera guerra dipende da una serie di ridondanze attraverso cui controllare Skywalker, proveremo con questo... invece di usare i tuoi talenti. Così la vittoria della nostra gente non dipenderà dalla sopravvivenza di nessuno di noi.»

«Lo potrebbe uccidere.» La punta della coda di Scaglia Blu vibrò pericolosamente.

«O lo ucciderà o lo costringerà a obbedire. Non è meglio mantenere la propria obiettività professionale eseguendo l’esperimento su questo soggetto di minor valore?»

Di minor valore? Padrone, che cosa stai dicendo? In preda al panico, Dev cercò di sottrarsi alla siringa. Per un momento la coscia gli bruciò. Aspettò. Poi...

«Intecna quella donna», ordinò Firwirrung.

Dev ammiccò. A che cos’altro servivano gli umani? Si tese verso di lei. Mentre la sua essenza si tuffava attraverso di lui, ci fu altro dolore. Udì un urlo. Un urlo maschile che gli fece dolere la gola. Poi aprì di nuovo gli occhi, in attesa di ordini.

Scaglia Blu tolse dalla borsa che aveva in spalla il coltello Fft. Firwirrung barrì. «Non è necessario», disse. «Vorrei lasciarlo qui per alcuni giorni, per mettere alla prova le altre funzioni di sostentamento vitale...»

«Ma hai sentito quello che ha detto l’ammiraglio», cantò Scaglia Blu attraverso il naso. «Vuole cominciare immediatamente con Skywalker.»

Alcuni giorni? Dev tremò e strinse i pugni. La mano sinistra gli doleva. Probabilmente si era fratturato le ossa e tagliati dei tendini.

Le lingue nasali di Firwirrung saettarono. «Come puzzano quando hanno paura.»

«A volte esibiscono un comportamento quasi intelligente Non sarebbe buffo se avessero un’anima, a differenza dei nostri P’w’eck?»

«Non c’è pericolo.» Il cinismo di Firwirrung scandalizzò Dev. «Finiscila.»

«Guardami», ordinò Scaglia Blu. Il suo occhio era nero, bellissimo e rotondo, e girava...

La mano gli faceva un male incredibile. Mentre il suo cervello annebbiato riconosceva le sensazioni tipiche di una rigenerazione appena avvenuta, ma parziale, il padrone Firwirrung sciolse i legacci del suo nuovo magnifico lettino di intecnamento. Sbattendo le palpebre Dev cercò di rimettersi in piedi. Barcollava fra due P’w’eck, lottando contro un’inesplicabile debolezza. Qualcosa mandava cattivo odore. Qualcosa di umano. Si annusò. Puah!

«È andato tutto bene?» chiese a Firwirrung. Parlare gli faceva male alla gola. «Perché... rinnovamento, proprio adesso?»

«Ah, Dev.» Firwirrung gli accarezzò il braccio con l’artiglio aperto. «Ti renderebbe troppo triste ricordare che sei andato così vicino all’intecnamento e che la sua gioia ti è stata negata.»

La loro gentilezza e premura lo commuovevano fino alle lacrime. «Ma ha funzionato? Sono riuscito a dare all’umano il suo droide?»

Firwirrung avvolse la testa di Dev in un artiglio e lo attirò contro il suo petto ruvido. «Ha funzionato. Ora ci manca una cosa sola.»

«Skywalker», bisbigliò Dev.

Firwirrung lo spinse lontano con affetto. «Ti prego, va’ a fare il bagno, umano.»

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