10

Dev si mise in piedi barcollando. Si era risvegliato sul pavimento di una cabina rotonda, troppo calda e piena di luci e rumori meccanici. Sopra i banchi di strumentazione le paratie si incurvavano verso l’interno fino a incontrarsi con il soffitto.

Doveva essere sul ponte. Era molto raro che gli venisse permesso di entrare qui. La sicurezza del ponte era una delle priorità massime. Il capitano della Shriwirr e l’ammiraglio Ivpikkis erano acquattati vicino a Scaglia Blu. Tutti e tre lo stavano guardando, sbattendo lentamente le palpebre.

A quanto sembra, l’esistenza di qualcun altro in grado di usare la Forza era una questione di grande importanza.

Lo aveva saputo ma dimenticato. Che razza di giochi stavano giocando alla sua mente? Era in sé, ora, o ingannato dalle loro manipolazioni? Che il contatto con lo straniero, per quanto breve, avesse sconvolto a tal punto le sue facoltà mentali?

«Ripeti quello che hai detto all’anziano Sh’tk’ith», ordinò il padrone Firwirrung dalla sua sinistra. «Hai detto che era qualcuno simile a tua madre, ma un maschio?»

Dev studiò le piastre metalliche che rivestivano il pavimento: era appena in grado di ricordare com’era stato il tocco leggero di sua madre sulla sua mente. Era da quando aveva trovato Firwirrung che non sentiva più tanta nostalgia di casa. Aveva pensato di essere a casa. «Simile», mormorò, «ma diverso.»

«Diverso come?» chiese Firwirrung.

«Questo aveva la... la forma, il senso di disciplina che aveva la mamma, ma la mamma non era... così forte.»

L’occhio sinistro dell’ammiraglio Ivpikkis andò da Dev al capitano. Era un occhio così bello e sembrava roteare. Da un angolo della mente di Dev una sorgente di entusiasmo cominciò a sgorgare. Questa era la sua vera personalità. Li amava. «Be’, se questo è stato addestrato», esclamò Dev, «potrebbe riuscire a mettersi in contatto con altri umani. Anche da lontano!»

La grossa testa di Firwirrung con la sua «V» nera si voltò verso di lui. «Questa sì che è un’idea interessante/Lontano quanto, secondo te?»

Dev si sentiva di nuovo pieno di energia. «Non lo so», ammise, «ma eravamo lontani parecchi anni luce quando io ho avvertito la morte dell’imperatore.»

«È vero», fischiò Scaglia Blu. Toccò la spalla rivestita di squame di Firwirrung. «Se avessi un contatto diretto abbastanza forte, riusciresti a effettuare un intecnamento a distanza?»

«È possibile..» Firwirrung agitò la coda. «Dovremmo modificare l’apparato... sì. Dovremmo modificarlo in modo che possa mantenere questo umano forte in vita, in uno stato di magnetizzazione, per fargli richiamare energie da fuori.»

Anche la coda dell’ammiraglio Ivpikkis cominciò a muoversi in segno di eccitazione. «Un rifornimento diretto di umani. Potremmo appropriarci di tutto lo spazio conosciuto, non solo di questo Impero umano.»

Avvertendo il loro entusiasmo, Dev intrecciò le dita e le strinse forte.

«Faccio osservare», disse l’ammiraglio Ivpikkis, «che a questo punto è necessario un altro cambiamento di strategia. Prima cerchiamo di assicurarci il possesso di questo umano forte. Poi mettiamo alla prova la teoria. Se funziona anche in pratica, possiamo richiamare il grosso della flotta...»

Parlavano in fretta fra loro. Ora che Scaglia Blu lo ignorava, Dev appassì visibilmente. Riusciva a malapena a sentire quello che diceva. Era sempre stata la loro mascotte, il loro amato umano. Lo avrebbero messo da parte con un colpo di coda, adesso?

Si toccò la gola. Avrebbe finalmente avuto il suo droide da combattimento, ma a quale costo? La sua ansiosa attesa era marcita come quel cibo rappreso che aveva pulito dal ponte. L’intecnamento avrebbe dovuto essere la sua ricompensa, non...

Avrebbero finito per intecnarlo solo perché non avevano più bisogno di lui. Voleva il suo droide da combattimento, sì, ma era il loro amore quello che veramente desiderava.

Tutti e tre si voltarono contemporaneamente. Firwirrung accarezzò il braccio di Dev, provocando amorevolmente una irritazione rossastra. «Aiutaci. Tenditi nell’universo invisibile. Dacci un nome, una localizzazione. Aiutaci a trovarlo.»

«Padrone», sussurrò Dev, «sono sempre al primo posto per voi?»

Firwirrung lo accarezzò più forte, facendogli salire delle lacrime agli occhi. «Non abbiamo mai dubitato della tua devozione. Di certo non vorrai farcela mettere in dubbio adesso.»

«No, no.» Dev si sentì impallidire. Aveva fatto di Firwirrung la sua famiglia e della cabina di Firwirrung la sua casa. Aveva rinunciato per lui alla sua umanità. Se Firwirrung lo sostituiva con qualcun altro, che cosa sarebbe stato di lui?

Scaglia Blu si chinò in avanti. «Dev Sibwarra, abbiamo bisogno del tuo servizio ora più che mai.»

Ma Dev non riusciva a distogliere gli occhi da Firwirrung.

Il capo dell’intecnamento gli aveva sempre fatto capire di amarlo, ma l’aveva mai davvero cantata quella parola, amore? Scosso, Dev indietreggiò di un passo.

Un P’w’eck strinse i suoi bruni arti superiori intorno alle spalle di Dev e lo tenne fermo davanti a Scaglia Blu. L’anziano alzò una siringa.

Non potevano fargli questo. La siringa non gli avrebbe fatto molto male, ma lui ricordava ora che cosa sarebbe avvenuto dopo. Come potevano essere così crudeli dopo tutto quello che aveva fatto per loro? Non lo amavano allora? Non lo amava Firwirrung? Ma dalla memoria di Dev filtrò un ricordo. Erano stati crudeli altre volte, e altre volte prima di quella.

Questa era la sua vera personalità. Questo era Dev Sibwarra, umano, riportato alla luce dal tocco dello straniero... ma non poteva fare niente contro le droghe dei suoi padroni o il controllo che Scaglia Blu esercitava su di lui. Stava già scivolando via.

Per quanto lottasse contro la droga per proteggere il suo segreto, l’iniezione lo costrinse a rilassarsi, com’era già successo prima. Firwirrung si chinò su di lui. «Guarda fuori, Dev. Servici, ora. Dove si trova questo umano forte? Come si chiama? Come possiamo trovarlo?»

La testa di Firwirrung divenne una macchia confusa. Dev strizzò gli occhi in preda al dolore e fiumi di lacrime traboccarono. Poi chiuse il suo dolore e ogni consapevolezza del ponte della Shriwirr fuori della sua mente e fuggì nella Forza. Lasciò che il vortice dell’universo lo portasse lontano dalle fioche auree dei suoi padroni.

Lo straniero era altrettanto forte e vicino di prima, innegabilmente maschio e simile a lui, anche se una seconda, diffusa presenza femminile si avvertiva non lontano. La vivida luce concentrata del primo quasi soffocava la seconda: che fosse un’eco? Non capiva. Sapeva solo che amore e sicurezza provenivano da Firwirrung. Evitò di toccare la presenza nella Forza dello straniero. «È nella capitale», mormorò, cosciente solo per metà. «Salis D’aar. Il suo nome è Skywalker. Luke Skywalker.» Lo sforzo di parlare lo distrasse e aprì di nuovo gli occhi. Il respiro affrettato, gioioso di Firwirrung gli faceva male al cuore. Al padrone non importava, forse nemmeno lo sapeva!, quanto la loro attenzione verso lo straniero lo rendesse geloso. Forse gli Ssi-ruuk non conoscevano la gelosia.

«Skywalker», ripeté Scaglia Blu. «Un nome di buon auspicio. Ben fatto, Dev.»

Dev si rilassò nella Forza. La loro avidità e la loro gioia vibravano tutt’attorno a lui. Con un rifornimento illimitato di umani intecnati, l’ammiraglio Ivpikkis avrebbe rapidamente conquistato tutto lo spazio conosciuto. Dev sarebbe stato parte di tutto ciò.

Eppure si sentiva umiliato. Per quanto lo straniero lo avesse ferito, si aprì a un tocco leggero di addio, una carezza nella Forza.

Firwirrung si chinò su di lui e cantò: «Sei infelice, Dev?»

I suoi sentimenti erano cambiati così spesso e così violentemente negli ultimi minuti che era sicuro di una sola cosa: se lo avessero costretto a cambiare idea un’altra volta, avrebbe potuto impazzire. Chiuse gli occhi e annuì. «Sono contento, padrone.» Ti odio, ti odio, ti odio. Non avrebbero più distorto la sua umanità. Non avrebbero più giocato con la sua mente.

Eppure non riusciva a odiare Firwirrung, che era stato la sua unica famiglia negli ultimi cinque anni. L’emozione che lo pervadeva si affievolì. Osò riaprire gli occhi. «Padrone», sussurrò, «il mio maggior piacere è aiutare quelli che mi amano.» Si costrinse a guardare Firwirrung con occhi adoranti.

Firwirrung emise un barrito pensieroso. Era chiaro che l’interesse del capo dell’intecnamento era diretto verso il controllo, ora, non verso la compassione. Toccò Scaglia Blu con un artiglio. «Anziano, Dev ha quasi raggiunto un amore autentico per la nostra razza. Lasciagli un po’ di spazio. Lascia che prenda da sé, spontaneamente, la decisione di servirmi, è quello il vero affetto.»

Dev rabbrividì. Firwirrung lo aveva ridotto in schiavitù, aveva soggiogato il suo spirito e la sua anima. Adesso voleva che fosse Dev stesso a stringere le catene della sua prigionia. Ma forse stava commettendo un errore.

Dev appoggiò la mano sull’arto superiore di Firwirrung, cercando di rendere il gesto più ssi-ruuvi che poteva. «Padrone», tubò. Da un momento all’altro Scaglia Blu avrebbe potuto guardarlo negli occhi e annusare il suo inganno.

«Vedi?» disse Firwirrung. «Il nostro rapporto si sta approfondendo.»

«Prendi il tuo animaletto e vattene via», disse l’ammiraglio Ivpikkis. «Fanne quello che vuoi. Noi abbiamo del lavoro da fare e anche tu. Cerca di occupare la tua mente con le modifiche necessarie... per Skywalker.»

Firwirrung ondeggiò la testa con aria grave e alzò un artiglio verso il portello.

Ogni passo che metteva fra sé e Scaglia Blu era un passo che lo separava dalla schiavitù. Dev raggiunse il portello, poi il corridoio. La porta si chiuse dietro Firwirrung e lui.


Un’ora più tardi, dimenticato da Firwirrung che era impegnato con schemi e disegni, Dev si rannicchiò nel centro tiepido della cuccia. Com’era che sua mamma gli aveva insegnato ad aprire un contatto? Erano passati cinque anni e le prove di quella giornata lo avevano lasciato esausto. Tutto quello che voleva era stare tranquillamente disteso a indugiare sui suoi ricordi più cari.

Ma doveva cercare di mettersi in contatto prima che Scaglia Blu lo rinnovasse di nuovo e non c’era molto tempo. Alla fine gli Ssi-ruuk lo avrebbero preso. Lo «rinnovavano» comunque ogni dieci o quindici giorni anche se lui non ne sentiva il bisogno. Avrebbe pagato la sua ribellione con il rinnovamento più profondo della sua vita, ma doveva un ultimo sforzo alla razza umana.

Chiuse gli occhi e si lasciò svuotare dalla speranza, dal sentimento e dall’amarezza. La paura non riuscì a scacciarla. Dava al suo controllo una tinta particolare, ma attraverso di essa riuscì a toccare la Forza.

Quasi immediatamente avvertì di nuovo quella luce brillante. Lampeggiò ai suoi confini cercando di attirare la sua attenzione, poi diede forma nella sua mente a un avviso disperato.


Nell’oscurità, Luke gettò da parte le coperte termiche. Una di esse scivolò giù oltre il bordo del campo a repulsione. Per un istante, infreddolito e sonnolento, non riuscì a ricordare che cosa lo aveva svegliato. Poi, un oscuro senso di paura gli tornò alla memoria assieme a un avvertimento. L’umanità era in pericolo a causa sua. Gli alieni volevano farlo prigioniero e...

Oh, accidenti!

Sospirando, tornò a stendersi. C1 ciangottò ai piedi del letto. «Tutto a posto», lo rassicurò. Che razza di sogno! Doveva stare in guardia contro la superbia. Poteva anche essere l’ultimo, o il primo, dei Jedi, ma non era certo da lui che dipendeva la possibilità che tutta la razza umana venisse ridotta in schiavitù.

Eppure la memoria non svaniva come avrebbe fatto un sogno. Forse qualcuno aveva davvero cercato di avvertirlo di qualcosa.

Ben? chiamò. Obi-Wan? Perché mi sta succedendo tutto questo ?

Dimentica le domande, si raccomandò. Non c’è nessun perché. Cerca nei tuoi sentimenti.

Gettò da parte la paura e la finta umiltà e riconsiderò l’avvertimento alla luce di quello che sapeva delle intenzioni e dei metodi degli Ssi-ruuk. In quel contesto il concetto che gli era stato trasmesso appariva come un rischio reale e agghiacciante.

Che razza di terribile errore aveva commesso Ben Kenobi mandando qui proprio lui? D’altra parte i maestri Jedi non erano infallibili. Yoda aveva creduto che Luke sarebbe morto su Cloud City. Ben aveva pensato di essere in grado di addestrare Anakin Skywalker.

Si circondò le ginocchia con le braccia. Se Yoda e Ben potevano sbagliare, anche Luke Skywalker poteva fare degli errori. Errori che avrebbero potuto rivelarsi fatali.

Se l’avvertimento era reale, il futuro avrebbe pur dovuto rivelare qualche traccia di un pericolo imminente. Come navi viste in lontananza, le visioni del futuro a volte cozzavano l’una contro l’altra, ma qualunque suggerimento che lui potesse essere di aiuto agli Ssi-ruuk nella loro guerra avrebbe confermato la genuinità di quello strano avviso.

Si calmò, controllò il respiro e il battito del suo cuore e si tese in avanti per scandagliare, nella mente, il futuro. Alcune cose gli erano nascoste, altre che pure vedeva, erano decisamente improbabili. Secondi, minuti, mesi dopo, vide la possibilità: una mappa del futuro che mostrava l’impero ssi-ruuvi addentrarsi fino al cuore della galassia. Come Han aveva temuto, erano capitati nel bel mezzo di una trappola... ma era una trappola molto più pericolosa di quanto avessero mai sospettato.

E gli Ssi-ruuk stavano per invadere Bakura.


Dev si voltò nel letto, afferrandosi ai cuscini. Quello là fuori era davvero un Jedi. Questa volta aveva avvertito l’inconfondibile controllo di una mente addestrata... perfino quando non era del tutto sveglio.

La cabina di Firwirrung era illuminata da luci brillanti, ma lui non si sentiva affatto riposato. «Padrone?» mormorò. «È già ora di alzarsi?»

Firwirrung uscì dal nido. «È la porta», fischiò. «È per me, torna a dormire.»

Dev si rannicchiò nel letto ma tenne un occhio aperto. Il portello scivolò di lato e rivelò una massiccia sagoma bluastra. «Accomodati.» La voce di Firwirrung era alterata dalla sorpresa. «Benvenuto.»

Scaglia Blu marciò verso il letto. Dev cercò di distendersi, ma tutti i suoi muscoli erano tesi allo spasimo. Aveva indovinato che cosa lo aspettava: l’anziano aveva cambiato idea e così lo aveva perduto. La cocca tonda di un proiettore ionico sporgeva dalla borsa che portava in spalla.

«L’ammiraglio Ivpikkis ha ideato una nuova missione per il nostro giovane alleato umano», cantò Scaglia Blu. «Ma dev’essere rinnovato di fresco per poterla cominciare.»

In preda al panico, Dev avrebbe voluto alzarsi e fuggire. Ma fuggire dove?

Firwirrung ammiccò piano con le tre palpebre pesanti. «In questo caso è un onore per me, anziano, consegnarti Dev.»

Scaglia Blu chiuse uno dei suoi enormi artigli attorno al braccio destro di Dev e lo tirò su per aria. Dev scalciò e cercò di trovare con i piedi il contatto solido del ponte.

Scaglia Blu lo lasciò andare. «Incamminati davanti a me», fischiò. «Firwirrung ci seguirà.»

Dev trascinò i piedi fuori del portello e su per il corridoio illuminato da fioche luci notturne, perché era in corso il turno di riposo. Avrebbe potuto combattere, sopravvivere ancora per un po’, libero di pensare se non di agire... ma solo per qualche minuto. E se Scaglia Blu fosse riuscito con le minacce, l’inganno e l’ipnosi a fargli confessare quello che aveva appena fatto, gli Ssi-ruuk avrebbero potuto (ucciderlo subito, gettando via nella loro giusta ira la sua energia vitale. Più volte li aveva visti picchiare un P’w’eck a morte con le loro grosse code.

Peggio ancora, se gli Ssi-ruuk avessero capito che Skywalker sapeva delle loro intenzioni ed era pronto ad affrontarli, avrebbero trovato un modo per catturarlo comunque: impiegando più forza, o una tecnologia nuova. In questo caso nemmeno un Jedi avrebbe potuto sfuggirgli. La galassia sarebbe caduta in loro potere.

Dev riusciva a pensare a un solo modo per sfuggirgli. Usando quel poco che aveva di abilità nella Forza avrebbe potuto immergersi volontariamente nella trance del rinnovamento, evitando così la coscienza ipnotizzatrice di Scaglia Blu.

L’idea lo rivoltava. Il rinnovamento avrebbe voluto dire che Dev Sibwarra, l’umano, sarebbe morto di nuovo. Avrebbe dimenticato tutto ciò che lo rendeva libero.

Ma libero per quanto? Lasciando cadere la testa, fece una smorfia di disperazione. Era già morto innumerevoli altre volte, e sempre per nulla. Questa volta, almeno, avrebbe salvato dozzine di milioni di umani... e un Jedi. Era un piccolo, oscuro sacrificio, il suo, ma avrebbe comprato molte vite. Se poteva, avrebbe cercato di aiutarli. Avrebbe fatto onore alla memoria di sua madre.

A schiena ritta, più di quanto lo fosse stata negli ultimi cinque anni, Dev precedette Scaglia Blu attraverso un portello anche troppo familiare.


«Sei sveglia, piccola creatura?»

Dev sbatté le palpebre. Giaceva su un pavimento tiepido cosparso di protuberanze accanto a un paio di enormi zampe dotate di artigli. Conosceva bene quel canto sibilante e l’odore di quel fiato. Una testa blu dal volto stretto e lungo si chinò su di lui. Si sentiva fresco e nuovo come un cucciolo appena uscito dall’uovo.

«Ti ho guarito», disse...? Dev lottò per ricordare il nome. «Benvenuto alla tua nuova, piena gioia.»

Dev si alzò e abbracciò... abbracciò... Scaglia Blu!... e nel farlo una imbarazzante quantità di liquido salato uscì dai suoi occhi. «Grazie», sussurrò.

«Adesso hai solo i pensieri, le emozioni e i ricordi che possono renderti più forte. Non ti è rimasto niente della cianfrusaglia di emozioni che tanto complica la vita dei tuoi padroni.» Scaglia Blu intrecciò gli snelli arti superiori sul petto.

Dev respirò a fondo, felice. «Mi sento così pulito.» Non ricordava come avesse fatto Scaglia Blu a renderlo così. Non riusciva mai a ricordarlo. Era ovvio, quindi, che si trattava di un ricordo che non poteva aiutarlo nella sua vita di servizio altruistico. Ma qualunque cosa gli procurasse tanta pace non poteva che essere bene. E chiunque glielo procurasse non poteva che essere buono. Doveva trattarsi di un lavoro lungo, faticoso.

Il padrone Firwirrung aspettava fuori dalla camera di Scaglia Blu, con la coda possente che si muoveva nervosa. Dev si sentì male nel contemplare la preoccupazione che faceva contrarre quei begli occhi neri. Evidentemente Firwirrung si era preoccupato per lui. Questo gli fece capire di essere stato ripulito da qualcosa di molto malvagio. «Mi sento meglio, padrone», annunciò Dev. «Ho già ringraziato il nostro onorevole anziano. Grazie anche a lei.»

Firwirrung gli toccò una spalla con l’artiglio destro e fece ondeggiare la grossa testa, con le lingue nasali che saettavano. «Prego», rispose.

«Ora andiamo dall’ammiraglio Ivpikkis», cantò Scaglia Blu.

Sì, la missione! Adesso ricordava: avrebbe avuto il supremo privilegio di aiutare la causa dell’Impero ssi-ruuvi. Dev s’incamminò fra l’anziano e il suo padrone con la testa china e le mani prive di artigli serrate l’una sull’altra. Aveva occhi bianchi, pelle pelosa, e un piccolo corpo puzzolente privo di coda. Chi era lui per meritare tutte queste gentilezze da parte loro? Per meritare tanta felicità al loro servizio e un lavoro così importante in cui impegnare la sua vita?


Una serie di clangori discordanti svegliarono Luke da un sonno agitato. Accanto al suo letto c’era una luce intermittente, ma per il resto la sua camera era immersa nell’oscurità. «Che cosa c’è?» farfugliò, ancora assonnato. Aveva fatto un sogno macabro... no, era stato un avvertimento. «Che cosa succede?»

«Comandante Skywalker?» disse una voce maschile dalla consolle accanto al letto. «È sveglio?»

«Quasi», rispose. «Che cosa c’è?»

«Qui è la capitaneria di porto di Salis D’aar. Abbiamo avuto dei problemi con alcune sue, uh, truppe. Al complesso Bakur ci dovrebbero essere degli speeder a disposizione degli ospiti. Tra quanto tempo pensa di poter arrivare sul tetto dell’edificio?»

Che fosse una trappola? Aveva qualcosa a che fare con l’avvertimento del suo sogno? Saltò fuori dal suo caldo, confortevole letto. Si sentiva riposato, almeno, e le ossa non gli dolevano più. «Sto arrivando.»

Si vestì in fretta e decise di svegliare Chewbacca e di portarlo con sé. Chewie non avrebbe perso tempo a vestirsi e avrebbe fornito un paio di occhi, un cervello e soprattutto, tanti muscoli in più. Han doveva restare con Leia, però. Le aveva sentito dire qualcosa a proposito di una colazione di lavoro con lo zio di Gaeriel.

Problemi. Non riusciva a immaginare che delle truppe ribelli potessero causare dei problemi...

Be’, no, in realtà ci riusciva. Agganciò alla cintura la sua spada laser.

Uscì di corsa dalia sua stanza ed entrò in quella di Chewie, fece per accostarsi al letto, ma poi cambiò idea. Non voleva avere a che fare con un Wookiee svegliato di soprassalto. «Chewie», bisbigliò, «svegliati. Abbiamo dei problemi.»


«Rallenta, Chewie.»

Chewbacca stava conducendo il landspeeder lungo la strada curva che portava allo spazioporto. Luke guardò davanti a sé, sulla destra. La piattaforma dodici, la temporanea base a terra dell’Alleanza, era proprio oltre l’ultima strada radiale che si dipartiva dalla torre di controllo. Da questa parte della strada le luci dello spazioporto erano accese, ma al di là la notte era illuminata solo dai lampi occasionali che avevano tutta l’aria di colpi di fulminatore. O qualcuno aveva sparato ai riflettori della piattaforma dodici oppure erano stati spenti. E dov’era la sicurezza dello spazioporto?

Svoltarono a sinistra, oltre la piattaforma dodici e verso la strada d’accesso che passava attraverso un cancello nella rete metallica. Il cancello era aperto. Nessuna traccia di sentinelle, notò Luke. Forse erano entrate per sedare i disordini. Riassestò l’orlo del suo parka, che tendeva a salire. Lì fuori, fra i due fiumi, di notte, e con l’aria così umida non era per niente caldo.

Quattro piattaforme di atterraggio/lancio erano raggruppate fra le strade d’accesso e i confini dello spazioporto e in mezzo c’era un piccolo, squallido posto di ristoro che aveva l’aspetto di due case unite ad angolo retto. Qualcuno, in piedi lì accanto, gli fece segno di scendere.

Chewie fece atterrare il landspeeder nell’angolo fra i due edifici. Con il motore a repulsione spento, un silenzio sinistro regnò per circa dieci secondi. Poi un’altra scarica di fulminatore fece rizzare i capelli in testa a Luke e illuminò la sagoma di una gru di carico. La persona che li aveva fatti scendere corse verso di loro. «Manchisco!» esclamò Luke. «Che cosa succede?»

Il capitano della Flurry scosse le trecce nere. «I nostri alleati, quelli laggiù, insistono a dire che hanno intrappolato un paio di Ssi-ruuk dietro una delle nostre navi. Non sono riuscita ad avvicinarmi abbastanza per poterlo confermare. Sparano a tutto quello che si muove.»

«C’è qualcuno che ha un macrobinocolo?» Han ne aveva un paio sul Falcon, duecentocinquanta metri più in là.

Manchisco scosse la testa.

«Be’, muoviamoci. Anche tu, Chewie!» Luke corse verso la gru, afferrando la sua spada laser. Prima che potesse raggiungerla una voce gridò: «Voi tre! Mettetevi al riparo! Tornate indietro! Gli alieni sono atterrati! Hanno ucciso due dei nostri!»

Manchisco si mise al riparo dietro il dubbio rifugio di un’unità di ricarica grande più o meno come C1. Chewie continuò ad avvicinarsi con prudenza alla gru.

«Gli Ssi-ruuk non uccidono», mormorò Luke. «Prendono prigionieri. Chewie, coprimi.» Se gli Ssi-ruuk erano qui, preferiva averci a che fare in prima persona... nonostante l’avvertimento che aveva ricevuto.

Ma aveva un brutto presentimento. Afferrò e accese la spada laser. La sua luce fioca gli mostrò Chewbacca che puntava la balestra nel buio. «Fermati lì», disse Luke piano. «Va bene così.»

Di nuovo quel silenzio sinistro. «Cessate il fuoco, tutti quanti!» urlò Luke. Passo dopo passo, avanzò tenendo la spada laser davanti a sé. Anche se la luce che mandava era fievole, specie in confronto ai riflettori che illuminavano il resto dello spazioporto, era l’unica luce disponibile nella piattaforma dodici.

Superò l’angolo di una cannoniera alleata. Due corpi umani erano distesi sulla strana superficie vitrea dello spazioporto, Li superò, ascoltando attentamente nel tentativo di percepire tracce di intenzioni ostili. Ma tutto quello che sentiva erano panico e paura.

Davanti a lui vide una serie di barbagli geometrici: le strutture metalliche di un’altra gru che riflettevano la luce della spada laser. «Chi va là?» gridò Luke. «Fatevi vedere!»

Un Calamariano con la grossa testa oblunga apparve da dietro la gru. Poi ne spuntò un altro.

Luke gemette e corse verso di loro. «Che cosa ci fate qui?» volle sapere.

«Siamo in licenza», ansimò uno dei due, stando molto dritto nel suo alto colletto rotondo.

«Autorizzata?» chiese Luke. Di certo il loro ufficiale superiore doveva aver avuto il buonsenso di capire...

Il Calamariano agitò una mano pinnata. «Ma certo, comandante. Era il nostro turno. Siamo stanchi come tutti gli altri. Ma questi stranieri ci hanno visti.»

«E così li avete uccisi?»

«Comandante, ci stavano attaccando! Dieci di loro! E hanno sparato per primi, comandante.»

Luke avrebbe tanto voluto tornare a Endor. «Uno di voi venga con me.»

«Signore?» Il Calamariano fece un passo indietro, stringendo il suo fulminatore.

«È un ordine», confermò Luke, secco. «Seguitemi da vicino, in modo che vi possa coprire.»

Lentamente uno dei due alti alieni si districò dal suo nascondiglio dentro la gru. Un colpo di fulminatore arrivò da lontano. Luke girò su se stesso e lo respinse, poi urlò: «Cessate il fuoco! Chewie, sbattigli la testa l’uno contro l’altro se non trovi altro modo di convincerli!»

Un ruggito wookiee echeggiò nello spazio vuoto fra la nave e la gru. «Va bene», rassicurò Luke. «Vieni con me.»

Camminando un po’ più piano, questa volta (i Calamariani non potevano muoversi molto in fretta Luke ritornò sui suoi passi fino alla cannoniera. Evitò di passare vicino ai cadaveri. «Chewie, dove sei?»

Un altro colpo di fulminatore gli passò vicino e poi un altro. Luke saltò e si girò, parando i colpi senza pensare.

Improvviso com’era cominciato, il fuoco cessò. Uno strano scricchiolio venne dalla gru più avanti... e il ruggito inconfondibile di un Wookiee furioso. Luke alzò la spada laser per vedere meglio. La torre metallica oscillò violentemente. Su in alto diverse sagome scure erano aggrappate ai sostegni, nere contro il cielo blu notte. Diversi fulminatori caddero a terra con un rumore di ferraglia.

«Benfatto, Chewie», gridò Luke. Afferrò meglio la spada laser. «D’accordo», urlò, «scendete a terra tutti quanti. Guardate bene. Questo è un Mon Calamari. Non uno Ssi-ruuk. Guardatelo!» Sentì dei rumori nell’oscurità, ma nessuna faccia apparve nel cerchio di luce verdastra gettato dalla spada laser. «Avanti», esortò, perdendo la pazienza.

Dopo tre secondi di silenzio, sentì un latrato di Chewie.

A questo punto dieci umani, otto uomini e due donne, vestiti in un assortimento confuso di cappotti ampi e berretti di lana, uscirono allo scoperto. Nessuno di loro sembrava più essere armato. Uno dei maschi, più basso e magro degli altri, indicò il Calamariano. «Ha ragione... non è un Flautato», ammise. Luke riconobbe la voce. Era lo stesso che lo aveva avvertito di mettersi al riparo.

Un uomo più alto e grosso si aprì un varco fra gli altri e avanzò strizzando gli occhi. Il chiarore verde della spada laser non avrebbe reso giustizia a nessuna faccia, ma Luke indovinò che in qualunque altra luce questo tizio avrebbe conservato le stesse borse scure sotto gli occhi sporgenti. «Sta’ zitto, Vane!»

L’uomo magro chiuse la bocca ma si avvicinò sensibilmente a Luke e al Calamariano. Tessa Manchisco entrò nel cerchio di luce. Nei suoi occhi si rifletteva una collera verdastra.

«L’ingresso a questa piattaforma è riservato agli equipaggi delle navi alleate», ricordò Luke severamente. «Che cosa ci fate qui?»

L’uomo con le borse sotto gli occhi incrociò un paio di grosse braccia. «È il nostro pianeta, ragazzo. Vi saremmo tutti grati se ci terrete fuori dai piedi mostri come quel pesce... e questa montagna di pelo.»

Chewbacca si avvicinò al gruppetto di umani.

Luke aveva bisogno di informazioni e ne aveva bisogno alla svelta. Erano stati mandati dall’Impero questi delinquenti o agivano per conto proprio? Il Bakurano magro era abbastanza vicino perché Luke potesse tentare una breve sonda mentale su di lui. Si sentiva abbastanza certo delle proprie buone intenzioni da non rischiare di scivolare verso il lato oscuro con questo atto di prevaricazione.

Eppure, esitò prima di concentrare la sua attenzione sull’uomo, aprendosi per percepire i suoi sentimenti (confusione, paura, imbarazzo, sospetto...). Passò oltre e si tuffò nella sua memoria.

Non dovette andare troppo in profondità. «Un piccolo presente, proveniente dall’ufficio del governatore», gli era stato promesso se avessero pattugliato la piattaforma dodici e si fossero accertati che gli alieni non si stavano infiltrando attraverso l’area riservata all’Alleanza.

Luke ruppe il contatto e abbassò la spada laser. «Andate a casa.» Sperava che il disgusto che provava trapelasse dalla sua voce. «Dite al governatore Nereus che ci pensiamo da soli a pattugliare la piattaforma dodici.»

Nessuno si mosse.

Un ringhio basso e profondo risuonò nella gola di Chewbacca. Approfittando del momento, Luke incitò: «Avanti, sgombrate. Ancora non avete visto un Wookiee veramente arrabbiato».

L’uomo magro uscì a testa bassa dal cerchio di luce, dirigendosi verso i corpi dei suoi compagni. Uno dopo l’altro lo seguirono tutti. Presto un piccolo gruppo coperto di stracci varcava il cancello della piattaforma dodici, portando i corpi dei propri caduti.

Nel momento in cui l’ultimo di loro attraversò il cancello le luci si riaccesero. Qualcuno li stava di certo guardando dal presidio imperiale, che si trovava dopotutto solo un paio di chilometri più a sud. E la sicurezza dello spazioporto senz’altro sarebbe risultata occupata alla piattaforma due, o sei, o nove. Impegnata in affari imperiali della massima importanza.

Sospirò profondamente. «Andiamo ad accertarci che il Falcon sia a posto, Chewie.»


Quando 3BO svegliò Leia, la mattina presto, le riferì un messaggio di Luke: era andato con Chewbacca allo spazioporto per controllare come procedevano le riparazioni delle loro navi. Leia andò in bagno dove si vestì in fretta e intrecciò i capelli. Mentre usciva, notò un uomo alto in piedi accanto alla parete con il murale. Fece un balzo di sorpresa e si fermò di botto. Nella luce fioca della stanza l’uomo luccicava debolmente, oscurando in parte la visione in tempo reale di una grande città raffigurata sul murale.

Luke le aveva detto che a volte Ben Kenobi appariva in questo modo. Indietreggiando, Leia guardò meglio. Quest’uomo non sembrava il vecchio generale, né assomigliava a nessun altro che conoscesse.

Chiunque fosse, le sue stanze non erano posto per lui. Leia lanciò un’occhiata al suo fulminatore, posato sul letto a repulsione appena fuori portata. Probabilmente, come minaccia, non avrebbe avuto una grande efficacia contro un’apparizione, sempre che questa fosse un’apparizione. «Chi sei?» chiese. «Che cosa ci fai qui?»

«Non aver paura di me», esortò la figura a bassa voce. «Di’ a Luke che anche la paura appartiene al lato oscuro.»

Chi era questa persona che veniva a portare messaggi per Luke in quelli che in teoria erano i suoi alloggi privati? Un Bakurano? Un Imperiale? «Chi sei?»

Lo straniero si mosse verso un angolo più scuro, dove la sua immagine risplendeva più chiaramente. Era molto alto, con una faccia larga e piacevole e capelli scuri. «Sono tuo padre, Leia.»

Vader. Un brivido le salì dai piedi fino alla cima dei capelli. La sua sola presenza suscitava in lei tutti i sentimenti più oscuri di cui era capace: paura, odio...

«Leia», ripeté la figura, «non avere paura di me. Sono stato perdonato, ma ci sono ancora molte cose per cui voglio fare ammenda. Devo liberare il tuo cuore e la tua mente dalla collera. Anche la collera appartiene al lato oscuro.»

Decisamente, il fulminatore non le sarebbe servito. Anche da vivo, era stato capace di respingere le scariche di energia a mani nude. L’aveva visto farlo su Cloud City. «Voglio che tu te ne vada.» Quel brivido scuro gelava la sua voce. «Scorporati, svanisci, fa’ quello che fate di solito voi spiriti.»

«Aspetta.» L’apparizione non si allontanò dalla parete. Sembrò anzi diminuire in grandezza e allontanarsi. «Non sono più l’uomo che temevi. Non puoi vedere in me un estraneo e non un vecchio nemico?»

Aveva vissuto troppo a lungo nel terrore di Darth Vader. «Non puoi ridarmi Alderaan. Non puoi riportare indietro quelli che hai assassinato, o dare conforto alle loro vedove e orfani. Non puoi disfare quello che hai fatto all’Alleanza.» Un vecchio dolore le bruciava come una ferita ancora fresca.

«Ho rafforzato l’Alleanza, anche se non era mia intenzione.» Tese un braccio splendente. Quella voce dolce le sembrava terribilmente fuori posto. E quella nuda, mite faccia non poteva essersi nascosta per decenni dietro un nero respiratore. «Leia, le cose stanno cambiando. Potrei non poter tornare mai più da te.»

Leia distolse lo sguardo. Forse con il fulminatore non poteva fargli del male, ma di certo le avrebbe dato conforto averlo in mano. Se si tendeva, poteva quasi toccarlo. «Meglio così.»

«Non ci sono giustificazioni possibili per... quello che ho fatto. Ma tuo fratello mi ha salvato dalla tenebra. Devi credermi.»

«Ho sentito che cos’ha raccontato Luke.» Incrociò le braccia e si strinse i gomiti con le mani. «Ma io non sono Luke. O il tuo maestro. O il tuo confessore. E sono tua figlia solo per un crudele scherzo del destino.»

«Della Forza», insisté l’apparizione. «E anche quello ha avuto le sue ragioni. Sono fiero della tua Forza. Non chiedo assoluzione. Solo che tu mi perdoni.»

Leia sollevò il mento, sempre tenendo le braccia strette l’una sull’altra. «E quello che hai fatto a Han? Chiederai anche a lui di perdonarti?»

«Solo attraverso di te. Il tempo che ho è troppo poco.»

Inghiottì. Aveva la gola secca. «Ti posso quasi perdonare per avermi torturato.» L’apparizione chinò il capo. «E per il male che hai inflitto ad altre persone... perché tutte queste cose hanno fatto sì che molti mondi entrassero nell’Alleanza. Ma la crudeltà che hai mostrato verso Han... No. Se vuoi passare attraverso di me, allora il suo perdono non l’otterrai mai.»

La figura sembrò allontanarsi ancora. «Mai è una parola troppo grossa, bambina mia.»

Darth Vader che le faceva la predica sul valore dell’eternità e della virtù? «Non ti perdonerò mai. Vattene. Sparisci.»

«Leia, forse non potrò più parlarti, ma se mi chiami ti sentirò. Se cambi idea, io sarò lì, a guardarti.»

Leia lo fissò. Come osava, dopo tutte le sue crudeltà e perversioni? Forse Luke poteva avere a che fare con lui. Ma lei no.

Come faceva Luke a sopportare la conoscenza che questo essere era loro padre?

Uscì di corsa dalla stanza. La luce mattutina entrava obliqua dalla lunga finestra della sala centrale, illuminando le pareti gialle e il pavimento scuro. Han si alzò dal sedile più vicino. «Saremo in ritardo, vostra grazia.»

3BO barcollò verso di lei. «È pronta padrona L...?»

Leia aveva afferrato il controllore e spento 3BO. Ora si voltò a guardare la porta della sua stanza da letto. Non ne emerse nessuno. «Non mi può fare questo», mormorò. «Non può continuare anche adesso a rovinarmi la vita. Non può!»

Han degnò di un rapido sguardo il povero droide, raggelato in una posa piuttosto comica, poi la sua bocca s’increspò in un sorrisetto. «Chi non può? Hai ricevuto un messaggio da quel capitano?»

Spalancando con violenza le braccia Leia cominciò a camminare freneticamente su e giù davanti alla finestra. «Oh, meraviglioso. È solo a questo che sai pensare, alla tua misera», afferrò un cuscino, «volgare», lo stritolò fra le mani, «gelosia! Vader è stato qui e tutto quello a cui tu sai pensare è... acc!»

«Ehilà, principessa.» Han le mostrò le mani aperte. «Vader è morto. Luke lo ha bruciato. Ho preso una speeder bike e sono andato a vedere con i miei occhi. Ho visto le ceneri.»

A Leia faceva male lo stomaco. «Tu hai visto il suo corpo. Io ho appena visto il... il resto di lui.»

«Oh, cominci a vedere cose anche tu, adesso?» Han aveva le mani in tasca e le sopracciglia sollevate. «O stai diventando più forte in questa faccenda della Forza o Luke sta avendo una brutta influenza su di te.»

«Forse entrambe le cose», ritorse lei, amara. «Se proprio devo vedere dei fantasmi, avrei potuto sopportare quel suo Yoda. Mi avrebbe fatto piacere parlare con il generale Kenobi. Invece chi mi deve capitare?» Lasciando cadere il cuscino colpì la parete gialla con un pugno.

«Calma», mormorò Han. «Non è colpa mia.»

«Lo so.» Adesso le faceva anche male la mano. Frustrata, si girò su se stessa per accasciarsi contro il muro. Lanciò un’occhiataccia alla porta della sua camera, attraverso tutti i cuscini blu e verdi del salottino incassato.

«Che cosa voleva?»

«Oh, questa sì che ti piacerà. Chiedere scusa.»

Con una breve risata incredula, Han si passò una mano sugli occhi.

«Già», commentò Leia. «È quello che ho pensato anch’io.»

«Sai, è un po’ di tempo che tutto quello che ti ricorda lui ti fa fare dei balzi di un metro e mezzo. Adesso lo hai affrontato. Forse il peggio è passato.»

«Non direi.» Lasciò cadere le spalle. «Han, lui è ancora in me. Io sono...» Incapace di finire la frase, chiuse gli occhi.

«E allora?» Han si avvicinò e appoggiò una mano sulla sua spalla. «Ehi, nessuno diventa un pezzo grosso dell’Impero com’era lui senza avere un bel po’ di qualità. Tu le hai ereditate. Solo che le usi in modo diverso.»

Come poteva essere così insensibile? «Oh, grazie tante, Han.» Considerò seriamente l’opportunità di colpirlo.

«Leia?» Allargò le braccia. «Anch’io devo farti le mie scuse. Credo. Mi dispiace di aver fatto tanto chiasso per quel tizio di Alderaan.»

Leia trasse un profondo, tremante respiro e rimase appoggiata alla parete. «Oh, va’ via.»

«Va bene», sbottò Han, «okay! So riconoscere una sottile allusione quando ci sbatto il muso contro.» Si allontanò dal salottino a lunghi passi.

«Han, aspetta.» Che cosa stava facendo? Scaricava la sua rabbia sull’unica persona che non avrebbe dovuto ferire? Han aveva oltrepassato 3BO e il centro di comunicazioni inattivo, aveva quasi raggiunto la porta d’ingresso. «Han, è... è il Vader in me. Non posso fare a meno di essere come sono.»

Mentre l’impatto di quello che aveva appena detto si faceva sentire dentro di lei, Han si fermò accanto alla consolle nera del centro di comunicazioni. Si voltò lentamente. «No», corresse. «È lo Skywalker in te.»

Quel nome, il nome di Luke, non la faceva rabbrividire nello stesso modo. Un pensiero fuggevole le attraversò la mente: Che uomo era stato Vader... prima di diventare Vader?

«Ti dirò una cosa.» Han arrivò sull’orlo del salottino infossato. «I governi hanno bisogno del sostegno l’uno dell’altro. Sì. E anche i pianeti. E le diverse specie. Ma soprattutto le persone hanno bisogno l’una dell’altra.»

I governi. Sarebbero arrivati in ritardo alla colazione con il primo ministro... «Già.» Leia lo raggiunse. «Giusto. In ogni caso, ormai se ne è andato. Non mi ha fatto del male, questa volta. Forse non può più farmi del male.»

«Questo è un bene.» Han fece scorrere un dito sulle scure trecce avvolte intorno al suo capo.

Leia tolse le mollette e sfilò i fermagli che trattenevano i capelli. Han rimase con le sopracciglia sollevate mentre lei faceva scorrere le dita attraverso i lunghi capelli e scuoteva la testa. Le trecce si sciolsero. «Ma non lo perdonerò, comunque», bisbigliò.

«Sei sicura di stare bene?» Han accarezzò la chioma scura, poi avvolse un braccio attorno alla sua vita.

La sua spalla era un cuscino tiepido e fermo. «Ti amo.»

«Lo so.»

«Davvero?»

Le accarezzò la nuca. «Che cosa ti fa pensare di no?»

«Mi dispiace», sussurrò lei, raddrizzando il collo. Tenne le labbra vicine a quelle di lui.

Accettando quell’invito, Han si chinò a baciarla. Leia sentiva che la sua energia vitale saliva verso quel bacio finché non esistette altro per lei che i movimenti impercettibili della bocca di Han. Appoggiò le mani alle sue spalle. Le loro gambe si avvicinarono. Tutte le percezioni scomparvero, tranne il gusto e il respiro. Nelle orecchie sentiva un pulsare sempre più intenso.

Un cicalino improvviso eruppe dal centro comunicazioni.

«Mmm!» gridò Han prima che potesse staccarsi da lui. Una volta che si fu liberata articolò più estesamente: «Ma no! Non è giusto!»

Ridendo della propria disperazione, Leia spinse i capelli dietro le spalle. «Vai tu? O preferisci che ci pensi io?»

«Be’, tu sei...» La scrutò da capo a piedi e fece un sorriso storto. «Bellissima.»

«Ma non presentabile.»

«Non è la tua solita immagine», concordò con un triste cenno del capo. «Ci penserò io.»

Leia indietreggiò. Han toccò un bottone e sbatté le palpebre. «Luke!» esclamò. «Che cosa succede?»

«Ci sono stati dei problemi», disse la voce di Luke.

Leia tornò di corsa a fianco di Han. Luke sembrava calmo. Cercò di espandersi nella Forza per sentire la sua presenza, ma non ci riuscì. Doveva essere ancora troppo agitata. «Pensavo che tu fossi andato lì per controllare le riparazioni», disse.

«Non mi sembrava che fosse abbastanza sicuro lasciare dei messaggi precisi. Due membri di un nostro equipaggio di Mon Calamari sono scesi sul pianeta in licenza. Alcuni Bakurani che si trovavano nella parte sbagliata dello spazioporto, su suggerimento di Nereus, li hanno notati e hanno pensato che gli Ssi-ruuk fossero atterrati. Quando sono arrivato qui i Calamariani avevano già sparato a due di loro, per legittima difesa.»

«Oh, no!» Con gli occhi della mente Leia vide i trattati bruciare.

«Mi dispiace di essermelo perso.» Han sogghignò. «Ma sembra che tu te la sia cavata.»

Luke annuì. «Era ancora così buio che una spada laser riusciva a illuminare tutta l’area. Una volta che Chewie e io siamo riusciti ad attirare l’attenzione di entrambi i contendenti, i Bakurani hanno guardato bene i nostri e hanno dichiarato un cessate il fuoco.»

Han sollevò un sopracciglio. «Non male per un ragazzo di campagna.»

«Ma, Luke.» Leia si spinse di nuovo i capelli dietro le spalle. «Dei Bakurani feriti che ne è stato?»

Luke strinse le labbra e scosse la testa. «Ho detto che erano rimasti feriti? Mi dispiace. Sono morti. Bisognerà porgere le scuse formali alle loro famiglie. Potresti pensarci tu? Sei più brava di me in questo genere di cose.»

A Leia l’idea non piaceva affatto, ma Luke aveva ragione... bisognava farlo nel modo giusto. «Ci penserò io.» Cercò di nuovo di raggiungerlo attraverso la Forza. Quello che toccò le gelò il sangue. Questa crisi poteva essere passata, ma c’era un’inquietudine nera nel profondo dell’animo di suo fratello. «Luke, che cosa c’è che non va?»

Luke arrossì. «Dai, Leia. Lo sai che non possiamo parlare su questo canale.»

Era profondamente spaventato. Che cos’altro era successo quella notte? Han sollevò un sopracciglio. Lei scosse la testa. «A più tardi, dunque», disse. «Han e io andremo subito dal primo ministro. Faremo le nostre scuse a lui, tanto per cominciare. E porterò anche 3BO e C1, per tentare di tradurre la lingua degli alieni.»

«Bene. C1 dovrebbe essere ancora in camera mia, collegato al computer. Han, ho intenzione di lasciare Chewie qui perché mantenga la calma. Poi cercherò di parlare a Belden, se riesco a trovarlo.»

«Belden?»

«Il decano dei senatori. Ho una sensazione», confidò a bassa voce.

«Sulla sparatoria?» chiese Han.

«Esatto. Ci vediamo più tardi.» L’immagine svanì.

Han intrecciò le braccia. «Suppongo che prima ci diamo una mossa, e prima possiamo portare via la pelle da questa palla di fango.»

Leia tese una mano verso la consolle di comunicazione. «Manderò al primo ministro Captison un messaggio per dire che ritarderemo.» Be’, meno male che avevano già ritardato un po’. Altrimenti il messaggio di Luke non li avrebbe raggiunti.

Accigliata, formò il numero di codice del primo ministro Captison. Forse un giorno si sarebbe pentita di non aver accettato le scuse di Vader. Di Anakin. Di chiunque fosse. Almeno era stato educato.

La stava guardando, eh? Di nuovo furiosa, agitò un pugno in direzione dell’aria vuota.

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