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Come un grosso turchese velato di nubi, una luna abitabile era sospesa sopra un pianeta morto. A tenere il capo della catena che la obbligava entro la propria orbita era la stessa mano trascendente che aveva decorato di stelle brillanti lo sfondo di velluto nero dello spazio e che conduceva la danza incessante delle energie cosmiche fra le pieghe dello spazio-tempo, senza notare né curarsi dell’Impero o dell’Alleanza Ribelle, né delle brevi, misere guerre che ingaggiavano fra loro.

Ma su una misera, breve scala umana di tempo e di importanza, una flotta di astronavi era in orbita attorno alla primaria della luna. Strisce di residui carboniosi sfregiavano i fianchi di molte astronavi, alcune delle quali erano circondate da sciami di droidi intenti alle riparazioni. Frammenti metallici che un tempo erano stati componenti cruciali di un’astronave, assieme a frammenti che un tempo erano stati corpi umani o alieni, seguivano le astronavi nella loro orbita. La battaglia nella quale la seconda Morte Nera dell’imperatore Palpatine era stata distrutta era costata molto all’Alleanza Ribelle.

Luke Skywalker attraversava di fretta l’hangar di un incrociatore, gli occhi arrossati ma ancora pervaso da un senso di trionfo dopo tutte le celebrazioni con cui gli Ewok avevano festeggiato la vittoria. Mentre passava accanto a un gruppetto di droidi avvertì odore di refrigeranti e lubrificanti. Si sentiva indolenzito fino nelle ossa, un dolore sordo che era quanto gli rimaneva del giorno più lungo di tutta la sua vita. Quel giorno, no, ormai era già il giorno prima, aveva incontrato l’imperatore. Sì, ieri per poco non aveva pagato con la vita la fiducia in suo padre. Eppure, un passeggero dello shuttle che lo aveva raccolto dal villaggio ewok già gli aveva chiesto se era vero che Luke aveva ucciso da solo l’imperatore... e Darth Vader.

Luke non era ancora pronto ad annunciare che «Darth Vader» era stato Anakin Skywalker, suo padre. Però aveva risposto con molta fermezza che era stato Vader a uccidere l’imperatore Palpatine. Era stato Vader a gettarlo nel cuore infuocato della seconda Morte Nera. Luke pensò che probabilmente avrebbe dovuto continuare a spiegarlo per settimane a venire. Ma per adesso tutto quello che voleva era controllare il suo caccia Ala-X.

Con sua sorpresa trovò che i tecnici vi si stavano affollando attorno. Dietro il velivolo una gru stava calando C1-P8 nell’alloggiamento cilindrico dietro la cabina di pilotaggio. «Che succede?» chiese Luke, fermandosi e riprendendo fiato.

«Oh, signore», rispose uno dei tecnici in tuta cachi, disinserendo un tubo per il rifornimento di carburante, «il suo sostituto pilota si sta preparando a uscire. Il capitano Antilles era tornato con il primo shuttle ed è subito uscito di pattuglia. Ha intercettato un drone imperiale, uno di quelli che si usavano per trasmettere messaggi a grande distanza durante le guerre dei cloni, un pezzo di antiquariato, insomma. Era in arrivo dallo spazio esterno.»

In arrivo. Così, qualcuno aveva mandato un messaggio all’imperatore. Luke sorrise. «A quanto pare ancora non hanno sentito le novità. Allora Wedge ha ancora bisogno di compagnia? Non sono poi tanto stanco. Posso andare io.»

Il tecnico non restituì il suo sorriso. «Sfortunatamente il capitano Antilles ha fatto scattare il ciclo di autodistruzione mentre cercava di far ripetere il messaggio. Sta bloccando con le mani un circuito critico e...»

«Lasciate perdere il sostituto pilota», esclamò Luke. Wedge Antilles era stato suo amico fin dai tempi della prima Morte Nera, quando avevano partecipato assieme all’assalto finale. Senza aspettare di sentire altri particolari, Luke si gettò verso la sala piloti. Un minuto più tardi era di ritorno, camminando a saltelli mentre cercava di infilarsi la seconda gamba della tuta pressurizzata arancione.

I tecnici si allontanarono. Luke balzò sulla scaletta e poi dentro il sedile imbottito, si tirò in testa l’elmetto e accese il generatore a fusione della navetta. Attorno a lui si levò il familiare lamento ad alta energia del motore.

L’uomo che gli aveva parlato poco prima si arrampicò dietro di lui. «Ma signore, pensavo che l’ammiraglio Ackbar volesse sentire il suo rapporto.»

«Tornerò subito.» Luke chiuse la calotta della cabina di pilotaggio ed eseguì un controllo a sistemi e strumentazione che probabilmente stabiliva un nuovo record di velocità nell’Alleanza. Non c’era niente di anormale.

Aprì un canale. «Capo Rogue pronto al decollo.»

«Apriamo il portello, signore.»

Inserì la spinta. Un istante dopo il sordo indolenzimento nelle sue ossa si era tramutato in un dolore atroce. Tutte le stelle nel suo campo visivo divennero binarie e cominciarono a girare l’una attorno all’altra. Le voci dei tecnici divennero un brusio indistinto nelle sue orecchie. Stordito e nauseato, si tuffò alla ricerca del centro di tranquillità dentro se stesso che il maestro Yoda gli aveva insegnato a raggiungere...

A toccare...

Ecco.

Emise un respiro tremante e misurò il suo grado di controllo del dolore. Di nuovo le stelle tornarono a essere singoli punti di luce. Qualunque cosa gli fosse appena successa, se ne sarebbe occupato più tardi. Espanse la sua sensibilità attraverso la Forza e avvertì la presenza di Wedge. Le sue mani si muovevano senza sforzo sui comandi del caccia Ala-X, portandolo verso quella parte della flotta.

Mentre viaggiava poté dare per la prima volta un’occhiata all’entità dei danni causati dalla battaglia, agli sciami di droidi da riparazione e ai rimorchiatori. Gli incrociatori stellari dei Mon Calamari erano blindati e forniti di scudi e in grado di sostenere l’urto contemporaneo di molti colpi diretti, ma gli sembrava di ricordare che prima della battaglia quei grossi e goffi vascelli fossero stati molti di più. Nella sala del trono dell’imperatore, mentre lottava per la vita, l’integrità e la salvezza di suo padre, non aveva nemmeno avvertito i terribili disturbi nella Forza causati da tutte quelle morti. Sperava che non fosse perché ci stava facendo l’abitudine.

«Wedge, mi ricevi?» chiese Luke attraverso la radio sub-spaziale. Si muoveva fra le navi più grosse della flotta, su un vettore che puntava verso l’esterno. I suoi sensori indicavano che la nave più vicina, un trasporto pesante, si stava prudentemente allontanando da qualche cosa di molto più piccolo. Quattro caccia Ala-A arrivarono e si misero in formazione dietro Luke. «Wedge, sei lì?»

«Mi dispiace», rispose una voce fioca. «Sono quasi fuori della portata del microfono del caccia. Vedi, devo...» Wedge s’interruppe, con un grugnito di sofferenza. «Devo tenere separati questi due cristalli. È una specie di meccanismo di autodistruzione.»

«Cristalli?» chiese Luke, tanto per far parlare Wedge. Si sentiva del dolore in quella voce.

«Contatti cristallini di elettrite. Un residuo dei tempi più ‘eleganti’. Il meccanismo di autodistruzione sta cercando di spingerli l’uno contro l’altro. Se si toccano... puff! L’intero motore a fusione parte.»

Rotolando lento sotto lo splendore azzurro di Endor, Luke finalmente vide il caccia Ala-X di Wedge. Appena accanto, un cilindro di circa dieci metri con le insegne imperiali stava andando alla deriva; era lungo quanto il caccia e sembrava tutto motore, un tipo di drone che l’Alleanza ancora non si poteva permettere. Per qualche ragione inspiegabile il drone gli diede un brutto presentimento. L’Impero non usava più simili anticaglie. Come mai il mittente non aveva usato i normali canali di comunicazione imperiali?

Luke si fece sfuggire un fischio. «No, non vogliamo che quel po’ po’ di motore salti in aria, direi.» Adesso si spiegava il perché della fretta dimostrata dal trasporto che si stava allontanando.

«Già.» Wedge era appeso a un’estremità del cilindro, con una tuta pressurizzata addosso e un tubo che lo collegava al sostentamento vitale del caccia Ala-X. Doveva aver aperto la cupola della cabina di pilotaggio per buttarsi verso il drone nel momento stesso in cui si era reso conto di aver armato l’autodistruzione, depressurizzando così il suo caccia. Nella tuta pressurizzata leggera che indossavano i piloti e protetto dall’elmetto di emergenza, avrebbe potuto sopravvivere nel vuoto per diversi minuti.

«Da quanto è che sei lì, Wedge?»

«Non lo so, ma non m’importa. Vedessi che spettacolo si gode da qui.»

Luke si avvicinò con prudenza, invertendo i motori. Wedge aveva una mano infilata dietro uno sportellino aperto. Voltò la testa per seguire il caccia di Luke mentre questi usava brevi colpi di razzo per adeguare il proprio momento a quello del cilindro.

«Però una mano mi farebbe comodo. Un’altra mano, cioè.» Il tono di Wedge era spavaldo, ma la sua voce tradiva fatica e tensione. Doveva avere la mano quasi stritolata. «Che cosa ci fai qua fuori?»

«Mi godo il panorama, no?» Luke passò in rassegna le possibili alternative. I piloti dei caccia Ala-A decelerarono e si tennero a distanza, probabilmente pensando che Luke sapesse quello che stava facendo. «C1», gridò. «Che portata ha il tuo braccio estensibile? Se mi avvicino abbastanza, ce la fai ad aiutarlo?»

No: anche ad angolazione ottimale mancherebbero 2,76 metri, apparve sul display che Luke aveva sopra la testa.

Luke fece una smorfia. Il sudore gli colava sulla fronte. Qualunque cosa piccola, leggera di cui potesse fare a meno sarebbe andata bene. Ma se non si sbrigava, il suo amico sarebbe morto. Già adesso la presenza di Wedge nella Forza oscillava paurosamente.

Luke guardò la sua spada laser. Di quella non poteva certo fare a meno.

Neanche per salvare la vita di Wedge ? E poi avrebbe sempre potuto recuperarla. Lentamente, fece scivolare la spada laser nel tubo di espulsione dei segnali di emergenza. La espulse e poi tese una mano verso di essa, attraverso dieci metri di vuoto. La lanciò verso Wedge. Una volta raggiunto il suo obiettivo, torse il polso. La lama bianco-verde apparve, totalmente silenziosa nel vuoto siderale. Gli occhi castani di Wedge, spalancati dietro il visore, ammiccarono.

«Al mio segnale», disse Luke, «salta via.»

«Luke, perderò un paio di dita.»

«Salta via in fretta», ripeté Luke. «Perderai più di un paio di dita se resti lì.»

«Non è che ce la faresti a bloccarmi le terminazioni nervose, eh, grande Jedi? Queste dita mi fanno un male cane.» La voce di Wedge suonava sempre più fioca. Raccolse a sé le ginocchia, preparandosi a saltare.

In momenti come questi, badare ai vaporatori di umidità dello zio Owen su Tatooine non sembrava più così terribile.

«Cercherò», promise Luke. «Mostrami i cristalli. Guardali bene.»

«Va bene.» Wedge si girò per guardare dentro il compartimento aperto. Lasciando per un attimo che la spada laser andasse alla deriva, Luke cercò la presenza amica di Wedge. Sapeva che Wedge non gli avrebbe resistito, lo avrebbe lasciato...

Attraverso gli occhi di Wedge e lottando contro il dolore torturante che proveniva dalla sua mano, Luke vide un paio di gioielli rotondi, sfaccettati: uno nel palmo della sua mano, l’altro che premeva dall’esterno contro il suo dorso, spinto da un meccanismo a molla. Grandi come un pugno, restituivano in barbagli dorati la luce della spada laser riflessa dalla tuta arancione di Wedge. Luke non credeva che il guanto della tuta pressurizzata sarebbe stato sufficiente a tenerli separati o avrebbe semplicemente suggerito a Wedge di sfilarselo. Una depressurizzazione di breve durata non avrebbe danneggiato troppo la sua mano.

Quando Wedge fosse saltato, Luke avrebbe avuto solo una frazione di secondo per tagliare via uno dei due cristalli e poco dopo Wedge sarebbe svenuto. Era collegato al suo caccia e avrebbe continuato a respirare, ma poteva perdere un sacco di sangue. Già ora la sua vista si stava oscurando.

Luke diede una spinta alla soglia del dolore del suo amico.

Troppe cose a cui badare contemporaneamente. Il suo dolore cominciò a filtrare oltre il suo controllo. «Eccolo», grugnì.

«Eccolo cosa?» chiese Wedge in tono sognante.

«Il panorama», disse Luke. «Quando dico tre, salta. Salta con tutte le tue forze. Uno.» Wedge non fece obiezioni. Stringendo i denti, Luke aumentò il grado della sua fusione mentale con la spada. Finché si concentrava su quella, sarebbe riuscito a mantenere il controllo. «Due.» Mentre contava regolarmente, sentiva la spada, i cristalli e la loro distanza critica come parte dell’interezza dell’universo.

«Tre.» Non successe niente. «Salta, Wedge!» urlò Luke.

Wedge saltò, debolmente. Luke si avventò. Un cristallo rotolò via, gettando un caleidoscopio di riflessi verdi sull’alettone a «S» superiore del caccia Ala-X.

«Ooh», cantò la voce di Wedge al suo orecchio. «Che carino.» Ruotò su se stesso nel vuoto, tenendosi la mano.

«Wedge, torna dentro!»

Nessuna risposta. Luke si morse il labbro. Stabilizzò la spada laser che ruotando su se stessa stava andando alla deriva e disattivò la lama. Il cavo che assicurava Wedge si tese sopra l’altro caccia Ala-X. Le braccia e le gambe dell’altro si muovevano disordinatamente.

Luke attivò il suo segnale di soccorso. «Capo Rogue a Base Uno. Ho disarmato l’esplosivo. Richiedo assistenza medica immediata!»

Da dietro i caccia Ala-A, dov’era rimasta, fuori dalla zona di pericolo, una nave soccorso sfrecciò nel suo campo visivo.


A ogni respiro il corpo di Wedge si sollevava e ricadeva nel serbatoio trasparente pieno di fluido curativo bacta. Con grande sollievo di Luke erano riusciti a salvargli tutte le dita. Il droide medico 2-1B finì di configurare i controlli e poi si girò a fronteggiare Luke. Gli arti sottili e articolati del droide si muovevano aggraziati davanti al carapace trasparente della sua sezione mediana. «E adesso tocca a lei, signore. Per favore si metta dietro lo scanner.»

«Ma io sto bene.» Luke inclinò lo sgabello su cui sedeva fino a toccare la paratia. «Sono solo stanco.» C1, accanto a lui, emise un fioco, preoccupato bip.

«La prego, signore. Ci vorrà solo un momento.»

Luke sospirò e si diresse con passo stanco dietro il pannello rettangolare alto quanto un uomo. «Va bene?» chiese da dietro lo scanner. «Posso andare, ora?»

«Ancora un momento», rispose la voce meccanica, seguita da suoni metallici. «Un momento», ripeté il droide. «Ha avuto episodi di sdoppiamento della vista, di recente?»

«Be’...» Luke si grattò la testa. «Sì. Ma si è trattato di un momento.» Di certo quel piccolo incidente non aveva nessuna importanza.

Mentre il pannello dei comandi diagnostici rientrava nella paratia, un lettino medico a repulsione venne estruso dalla parete dietro 2-1B. Luke fece un passo indietro. «E quello che cosa sarebbe?»

«Lei non sta bene, signore.»

«Sono solo stanco.»

«Signore, la mia diagnosi è che lei è andato incontro a un’improvvisa e massiccia decalcificazione della struttura scheletrica, una rara patologia causata dall’esposizione a un campo elettrico conduttivo o di altro tipo di energia.»

Di altro tipo di energia. Ieri, sì. L’imperatore Palpatine e il suo ghigno malvagio mentre scariche bianco-azzurre scaturivano dalle sue mani e inchiodavano Luke urlante e agonizzante al pavimento della Morte Nera. Luke si sentì sudare freddo. Il ricordo era terribilmente vivido. Aveva pensato di stare per morire. Stava per morire.

«L’improvviso calo di minerali nel sangue sta causando piccoli crampi muscolari nel suo corpo, signore.»

Allora era per questo che si sentiva così indolenzito. Fino a un’ora prima non gli era stata data l’occasione per mettersi seduto e accorgersene. Sentendosi sconfitto, alzò lo sguardo su 2-1B. «Ma non c’è un danno permanente, vero? Non c’è bisogno di sostituire qualche osso?» Il pensiero lo fece rabbrividire.

«La patologia in questione diventerà cronica se lei non resta a riposo e non mi permette di effettuare le cure del caso», rispose la voce meccanica. «L’alternativa è l’immersione nel fluido bacta.»

Luke gettò uno sguardo al serbatoio. Oh, no, quello no, non di nuovo. La volta precedente aveva avuto in bocca sapore di bacta per una settimana. Si tolse con riluttanza gli stivali e si distese sul lettino a repulsione.

Si svegliò, notevolmente a disagio, poco dopo.

Il volto metallico di 2-1B apparve accanto al suo capezzale. «Analgesico, signore?»

Luke aveva letto da qualche parte che gli umani hanno tre ossicini nell’orecchio. Adesso ci credeva. Riusciva a contarli uno per uno. «Ma mi sento peggio di prima», si lamentò. «Non dovevi curarmi?»

«Ho effettuato il trattamento, signore. Ora lei deve riposare. Posso offrirle un analgesico?» ripeté pazientemente.

«No, grazie», grugnì Luke. Se voleva diventare un buon cavaliere Jedi, doveva imparare a controllare le proprie sensazioni: prima ci riusciva, meglio era. Il dolore era un rischio del mestiere.

C1-P8 emise dei fischi interrogativi.

Indovinando quale poteva essere la loro traduzione, Luke disse: «Va bene, C1, tu monterai di guardia. Io mi farò un altro sonnellino». Si voltò su un fianco. Lentamente il peso del suo corpo scavò una nuova serie di incavi nel materiale flessibile che rivestiva il lettino. Ecco il lato sgradevole dell’essere chiamato eroe. Comunque quando aveva perso la mano era stato molto peggio.

A pensarci bene, la mano bionica non gli faceva male.

Almeno quella era una cosa positiva.

Era tempo di reinventare l’antica arte jedi dell’autoguarigione. Le brevi lezioni di Yoda sull’argomento avevano lasciato molto all’immaginazione.

«Ora la lascerò solo, signore.» 2-1B si voltò. «La prego di cercare di dormire. Chiami pure se ha bisogno di assistenza.»

Un’ultima curiosità fece risollevare la testa a Luke. «Come sta Wedge?»

«Sta facendo molti progressi, signore. Se tutto va bene verrà dimesso entro un giorno.»

Luke chiuse gli occhi e cercò di ricordare quello che Yoda gli aveva insegnato. Dei passi affrettati risuonarono nel corridoio oltre il portello aperto. Luke era già concentrato nella Forza e avvertiva la presenza allarmata che si dirigeva in fretta lungo il corridoio. Per quanto ascoltasse con attenzione, non riusciva a percepire l’identità dell’individuo. Yoda gli aveva detto che il discernimento preciso di chi percepiva, perfino se era uno sconosciuto, sarebbe venuto con il tempo, a mano a mano che imparava a calarsi in quel profondo silenzio dell’anima che permette a un Jedi di distinguere le increspature prodotte nella Forza da ogni essere vivente.

Luke si rigirò, cercando di addormentarsi. Dopotutto, gli era stato ordinato di dormire.

Ma era ancora Luke Skywalker; doveva sapere che cosa era che aveva messo tanto in allarme il soldato. Si alzò con prudenza e scivolò a terra, appoggiando il peso sui piedi. Adesso che il dolore era localizzato nelle estremità del suo corpo, poteva combatterlo fingendo che i suoi piedi non esistessero più... o qualcosa del genere. La Forza non si poteva spiegare facilmente. Era semplicemente qualcosa che si usava... quando ti permetteva di farlo. Ma nemmeno Yoda aveva potuto vedere tutto.

C1 fischiò in tono allarmato. 2-1B rotolò verso di lui con le estremità sottili che si agitavano. «Signore, torni a distendersi, prego.»

«Tra un attimo.» Sporse la testa nel corridoio e gridò: «Fermo!»

Il soldato Ribelle si fermò di botto e si voltò su se stesso.

«Sono riusciti a decodificare il messaggio del drone?»

«Ci stanno ancora lavorando, signore.»

Allora il suo posto era la sala di guerra. Luke indietreggiò, scontrandosi con C1 e si tenne in equilibrio con una mano sulla sommità ricurva del piccolo droide. «Signore», insistette il droide medico, «torni a distendersi, prego. La sua condizione diventerà rapidamente cronica se lei non mantiene un riposo assoluto.»

Immaginando una vita di dolore atroce e l’alternativa di un’altra immersione nel liquido appiccicoso, Luke si sedette sull’orlo del lettino a repulsione, infelice.

Poi gli venne in mente qualcosa. «2-1B, scommetto che qui avete...»


La sala militare della nave ammiraglia, adesso quasi vuota, era abbastanza grande da contenere un centinaio di persone. Un droide di servizio scivolò lungo la curva di un banco strumentazione, passando fra un tubo luminoso e la lucida paratia bianca. Giù nel centro della stanza, accanto al tavolo da proiezione che dominava la sala militare e all’unico tecnico in servizio, stava Mon Mothma, la donna che aveva fondato l’Alleanza Ribelle e ora ne era a capo; accanto a lei era in piedi il generale Crix Madine. La presenza di Mon Mothma, nelle sue lunghe vesti bianche, illuminava la stanza e splendeva, invisibile, nella Forza; in quanto alla sicurezza del barbuto generale Madine, era cresciuta visibilmente dopo la battaglia di Endor.

Entrambi guardarono Luke e si accigliarono. Luke sorrise con scarsa convinzione e strinse i braccioli della sedia a repulsione che aveva requisito dall’infermeria, guidandola con attenzione giù per gli scalini verso il tavolo da proiezione.

«Non imparerai mai, vero?» Il cipiglio del generale Madine si distese leggermente. «Il tuo posto è l’infermeria. Questa volta dovremo ordinare a 2-1B di ridurti all’incoscienza.»

Un muscolo si contrasse quasi involontariamente sulla guancia di Luke. «Che cosa mi dite di quel messaggio? Da qualche parte c’è un comandante imperiale che ha buttato via un quarto di milione di crediti per spedire quel pezzo di antiquariato.»

Mon Mothma annuì, limitandosi a rimproverare Luke con uno sguardo placido. Una consolle secondaria si accese, questa volta un tavolo di proiezione olografica molto più piccolo, sopra il quale comparve un ologramma in miniatura dell’ammiraglio Ackbar, con i suoi grandi occhi che sporgevano dalla testa liscia e ricurva. Anche se durante la battaglia di Endor il Calamariano aveva comandato la flotta da una poltrona sotto il grande oblò che adesso si trovava alla sinistra di Luke, Ackbar si sentiva più a suo agio sul suo incrociatore. Lì il sostentamento vitale era regolato per garantire la massima comodità ai Calamariani. «Comandante Skywalker», ansimò. Sotto la sua mandibola piccoli tentacoli simili a baffi si agitavano inquieti. «Lei deve imparare a valutare... più attentamente... i rischi che corre.»

«Sì, ammiraglio, le prometto che lo farò. Quando posso.» Luke si lasciò andare contro lo schienale della sedia a repulsione, che aveva appoggiato contro l’orlo del tavolo olografico, in modo da stabilizzarla. Un fischio elettronico risuonò da un portello dietro di lui. C1-P8 non aveva intenzione di permettergli di uscire dal raggio dei suoi fotoricettori neanche per trenta secondi. Ma il piccolo droide con la cupola azzurra doveva fare un lungo giro per giungere fino a lui. Rotolò accanto ai banchi del computer nella parte alta della sala, nascondendo una dopo l’altra varie spie luminose come in una piccola eclissi, finché non raggiunse una piattaforma mobile. Da lì si calò fino al livello di Luke, per poi rotolare fino alla sua sedia a repulsione e cominciare a emettere una lunga serie di rimproveri, probabilmente provenienti da 2-1B. Il generale Madine sorrise sotto i baffi.

Luke non aveva capito un solo fischio, ma poteva indovinare anche lui qual era il senso del messaggio del droide. «Va bene, C1. Tira dentro le ruote, che io mi fermo qua. Sembra che la cosa sarà interessante.»

Il giovane tenente Matthews si raddrizzò sulla consolle di servizio e girò la testa. «Eccolo che arriva», annunciò.

Madine e Mothma si chinarono sullo schermo. Luke allungò il collo per vedere meglio.

Dal governatore imperiale Wilek Nereus del sistema di Bakura, al suo eccellentissimo sovrano imperiale, Palpatine: saluti.

Quindi, ancora non avevano sentito la notizia. Sarebbero passati mesi, forse anni, prima che tutti nella galassia si rendessero veramente conto che il regno dell’imperatore era finito. Luke stesso faceva fatica a crederci.

Bakura è sotto attacco di una forza d’invasione aliena proveniente da oltre i vostri domini. La forza stimata del nemico è di cinque incrociatori, diverse dozzine di navi d’appoggio, più di mille caccia. Tecnologia sconosciuta. Abbiamo perso metà delle nostre forze di difesa e tutti gli avamposti nella parte esterna del sistema. Le nostre trasmissioni sull’holonet dirette al centro imperiale e alla Morte Nera non hanno ricevuto nessuna risposta. Mandare urgentemente, ripeto urgentemente, rinforzi.

Madine tese un braccio oltre il tenente Matthews e toccò un comando sul pannello. «Altri dati», esclamò. «Abbiamo bisogno di più informazioni.»

La voce di un droide del servizio informazioni arrivò attraverso il comunicatore. «Ci sono dei dati visuali ausiliari, signore, se vuole vederli, oltre a parecchi file di dati il cui accesso è protetto da codici imperiali.»

«Così va meglio.» Madine toccò la spalla del tenente. «Datemi le visuali.»

Sul tavolo olografico centrale un proiettore si sollevò con un ronzio. Improvvisamente, sopra il tavolo, apparve una scena che trascinò via il dolore di Luke in un torrente di adrenalina. Yoda mi picchierebbe sulle nocche con il suo bastone, osservò Luke. Avventura... emozioni... un Jedi queste cose non ambisce. Cercò di raggiungere la calma interiore di un vero Jedi, perché là fuori un mondo terrorizzato aveva bisogno del suo aiuto.

Una nave da pattuglia imperiale di un tipo che Luke aveva studiato ma che non si era mai trovato di fronte in battaglia, raffigurata con una proiezione tridimensionale di linee arancione, occupava il centro della scena. Luke si chinò per esaminare meglio le sue postazioni laser, ma prima che potesse vedere qualcosa la nave vomitò in silenzio una nuvola di gusci di salvataggio gialli. Un altro oggetto, anche questo arancione, entrò in silenzio nel campo visivo, dominandolo con la propria sinistra mole: era molto più grande del pattugliatore e dal profilo molto più irregolare rispetto agli incrociatori Mon Cal dei Ribelli; una sagoma vagamente ovoidale, ma coperta di bitorzoli che sembravano vesciche.

«Controllate quella nave», ordinò Madine.

Dopo circa tre secondi la voce monotona del droide del servizio informazioni rispose: «Né l’Alleanza né l’Impero hanno navi di quel tipo».

Luke trattenne il fiato. L’immenso veicolo attaccante incombeva sulla tavola, sempre più grande. Ora riusciva a distinguere una cinquantina di cannoni... o erano antenne? Sei caccia TIE color rosso vivo comparvero su vettori convergenti, poi tutto a un tratto rallentarono bruscamente e tutti insieme. Sia i caccia sia i gusci di salvataggio cominciarono ora a decelerare lentamente verso la base aliena, evidentemente catturate da un raggio traente. Improvvisamente l’intera scena rimpicciolì e si allontanò. Chiunque avesse registrato quelle immagini se n’era andato alla svelta.

«Stanno facendo dei prigionieri», mormorò Madine, evidentemente preoccupato.

Mon Mothma si voltò verso un droide che fino a quel momento le era stato accanto in silenzio. «Cerca di accedere ai file codificati. Usa i più recenti codici imperiali in nostro possesso. E localizzami questo pianeta Bakura.» Luke fu sollevato nel constatare che anche l’informatissimo capo dell’Alleanza doveva chiedere dov’era quel sistema.

Il droide si voltò verso il tavolo di proiezione e reinserì il suo connettore. La scena della battaglia svanì. Al suo posto comparvero delle stelle in cui Luke riconobbe la parte esterna della stessa regione dei Territori Esterni in cui si trovavano loro. «Ecco, signora», annunciò il droide. Una delle stelle divenne rossa. «Secondo questo file, l’economia del sistema di Bakura è basata sull’esportazione di componenti per la tecnologia della repulsione, di frutta esotica candita e di liquore. È stata colonizzata da una corporazione mineraria durante gli ultimi anni delle guerre dei Cloni e annessa all’Impero circa tre anni fa, per assorbire e controllare la sua produzione di motori a repulsione.»

«La loro sottomissione è abbastanza recente perché possano ricordare bene cos’è l’indipendenza.» Mon Mothma appoggiò una snella mano sull’orlo del tavolo di proiezione. «Adesso mostrami Endor. Posizioni relative.»

Un’altra stella divenne blu. C1, ormai dimenticato accanto a Luke, emise un fischio leggero. Se Endor era lontana dai Mondi del Nucleo, Bakura lo era molto di più. «È praticamente l’ultimo dei mondi dei Territori Esterni», osservò Luke. «Anche attraverso l’iperspazio ci vorranno giorni per arrivare fin là. L’Impero non può fare niente per aiutarli.» Era strano pensare che qualcuno si rivolgesse all’Impero in cerca di aiuto. Evidentemente la vittoria decisiva dei Ribelli a Endor aveva condannato i Bakurani al loro destino, qualunque fosse, perché nemmeno la forza d’attacco imperiale stazionata vicino a loro li poteva aiutare: le forze dell’Alleanza l’avevano dispersa.

Da un altoparlante alla sua sinistra giunse chiaramente la voce di Leia. «Qual è la consistenza delle forze imperiali all’interno del sistema?»

Leia era ancora sulla superficie di Endor, nel villaggio degli Ewok. Luke non si era reso conto che lei era in ascolto, ma avrebbe dovuto immaginarlo. Si protese nella Forza e sfiorò la presenza confortante di sua sorella, avvertendo in lei una tensione che gli sembrava del tutto comprensibile. In teoria, Leia si stava riposando assieme a Han Solo. Doveva guarire dalla bruciatura di fulminatore alla spalla e aveva espresso il desiderio di aiutare i piccoli Ewok a seppellire i loro morti; non avrebbe certo dovuto essere lì a occuparsi di una nuova grana. Luke strinse le labbra. Aveva sempre amato Leia, aveva sempre sperato che...

Be’, ormai era acqua passata. Il droide del servizio informazioni le rispose attraverso il comunicatore: «Bakura è difesa da un presidio imperiale. Il mittente ha aggiunto al messaggio un poscritto nel quale ricorda all’imperatore Palpatine che le astronavi di cui dispongono sono antiquate, a causa dell' isolamento del sistema».

«Evidentemente l’Impero non si aspettava che qualcuno gli disputasse il possesso di Bakura.» La voce di Leia era piena di disprezzo. «Ma adesso non c’è più una Flotta Imperiale pronta ad accorrere in caso di bisogno. Ci vorranno settimane prima che l’Impero si possa riorganizzare, e allora Bakura potrebbe già essere caduta in mano alla forza di invasione... o essere entrata nell’Alleanza», finì in tono più vivace. «Se gli Imperiali non possono aiutare Bakura, dobbiamo farlo noi.»

L’immagine dell’ammiraglio Ackbar si piantò le mani palmate nelle vicinanze del torso. «Che cosa vuole dire, Altezza?»


Leia era appoggiata contro la parete di stoppie e fango di una capanna ewok; alzò gli occhi al tetto curvo di paglia. Han era seduto per terra accanto a lei, appoggiato a un gomito e impegnato a giocherellare distrattamente con un ramoscello.

Leia alzò di nuovo il comlink. «Se aiutiamo Bakura», rispose all’ammiraglio Ackbar, «potrebbero esserci tanto grati da abbandonare l’Impero. Potremmo liberarli.»

«E avere la loro tecnologia della repulsione», borbottò Han in direzione del ramoscello.

Leia non si lasciò distrarre. «È una possibilità per cui vale la pena impiegare una piccola task force. E ci sarà anche bisogno di un negoziatore.»

Han si distese con le mani dietro la testa e mormorò: «Se metti piede su un mondo fedele all’Impero, finirai dritta nel registro dei crediti di qualcuno. Hai una taglia sulla testa».

Leia si accigliò.

«Ma possiamo permetterci di mandare laggiù delle truppe nello stato in cui siamo?» ansimò Ackbar attraverso il comunicatore. «Abbiamo perso il venti per cento delle nostre forze e abbiamo sconfitto solo una parte della flotta dell’imperatore. Qualunque forza d’attacco imperiale potrebbe fare meglio di noi a Bakura.»

«Ma allora l’Impero laggiù manterrebbe il controllo. Abbiamo bisogno di Bakura come di Endor. Come abbiamo bisogno di ogni mondo che riusciamo a conquistare alla causa dell’Alleanza.»

A sorpresa, Han chiuse le mani sul comlink e lo tirò verso di sé. «Ammiraglio», disse, «io credo che non ci possiamo permettere di non andare. Una forza d’invasione di quelle dimensioni potrebbe voler dire guai seri per tutta questa parte della galassia. E lei ha ragione: dovremmo andare noi. Meglio mandare una nave che può battersela alla svelta, nel caso gli Imperiali si facessero venire delle idee.»

«E la taglia che hai tu sulla testa, fantademente?» sussurrò Leia.

Han soffocò i suoni provenienti dal comlink. «Non te ne vai da nessuna parte senza di me, Altezza.»


Luke studiava l’espressione di Mon Mothma e il senso che lei produceva nella Forza. «Dovrebbe essere un gruppo piccolo», disse piano, «ma una sola nave non basta. Ammiraglio Ackbar, vorrei che lei selezionasse un piccolo gruppo di combattenti che partano assieme al generale Solo e alla principessa Leia.»

Luke sollevò una mano. «Che cosa stanno facendo gli alieni? Perché prendono tanti prigionieri?»

«Il messaggio non lo dice», fece notare Madine.

«Allora sarà meglio che mandiamo anche qualcuno in grado di scoprirlo. Potrebbe essere importante.»

«Ma non lei, comandante. Non sembra proprio che ci possiamo permettere di aspettare che lei sia ristabilito.» Madine picchiò le dita su una ringhiera bianca. «Il gruppo dovrebbe partire entro un giorno standard.»

Luke non voleva restare indietro... anche se era sicuro che Han e Leia sapevano badare a se stessi.

D’altra parte, prima di poter partire doveva essere guarito e proprio in quel momento il generale Madine era diventato un paio di gemelli. Il suo nervo ottico lo stava avvertendo che era il momento di tornare orizzontale se voleva evitare la doppia umiliazione di svenire proprio lì nella sala di guerra. Lanciò un’occhiata alla ringhiera che separava la doppia fila di panche, domandandosi se la sedia a repulsione ce l’avrebbe fatta a scavalcarla. Aveva una gran voglia di dare un piccolo aiuto al campo a repulsione della sedia. C1-P8 emise una serie di rumori urgenti e materni.

Luke tese una mano verso i controlli della poltrona e disse: «Torno alla mia cabina. Tenetemi informato».

Il generale Madine incrociò le braccia sull’uniforme cachi.

«Dubito molto che la manderemo a Bakura.» Le vesti di Mon Mothma frusciarono mentre la donna si raddrizzava. «Consideri la sua importanza per l’Alleanza.»

«Ha ragione, comandante», ansimò il piccolo ammiraglio Ackbar olografico.

«Be’, non posso essere di aiuto a nessuno finché resto disteso.» Certo, se voleva conquistare il rispetto della Flotta Ribelle doveva liberarsi della sua reputazione di scavezzacollo. Yoda lo aveva incaricato di trasmettere ad altri quello che gli aveva insegnato. Per Luke questo voleva dire ricostruire l’Ordine Jedi... appena ne avesse avuta la possibilità. Chiunque poteva pilotare un caccia, ma nessun altro poteva reclutare e addestrare dei nuovi Jedi. Accigliato, si diresse verso la piattaforma dalla quale era sceso C1-P8, ruotò la sedia a repulsione e rispose a Mon Mothma e all’ammiraglio Ackbar, mentre saliva. «Almeno posso aiutarvi a mettere insieme la forza d’attacco.»

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