13

Il governatore Wilek Nereus entrò a passo di marcia nella sala operativa, esercitando un fermo controllo sul suo senso di vittoria. Il soffitto, le pareti spoglie, il pavimento e il mobilio della sala operativa erano tutti neri, per facilitare la visione delle proiezioni olografiche. In piedi, di fronte alla corta tavola nera, accanto al cosiddetto «generale» Solo e di fronte al comandante Thanas, trovò Luke Skywalker, cavaliere Jedi composto e tranquillo nella sua certezza di essere invulnerabile.

«Tutto bene, signori?» Nereus si accomodò nella poltrona a repulsione a capotavola e mandò nel retro della sala, con un gesto, le sue guardie del corpo. Gli altri sedettero.

Il comandante Thanas aveva l’aria grave propria di un uomo la cui carriera dipenda interamente dal prossimo rapporto biannuale di Nereus. Probabilmente sperava di redimersi da quell’incidente su Alzoc che aveva rovinato il suo stato di servizio. «Tutti i caccia sono stati riparati», disse Thanas. «E sono pronti a partire al nostro segnale.»

L’attacco, se gli Ssi-ruuk mantenevano la loro parola, non sarebbe mai arrivato. Non che Nereus si aspettasse davvero questo. Ma se una volta preso Skywalker avessero attaccato comunque, lui e il comandante Thanas avevano messo a punto una nuova arma che avrebbe potuto costare cara ai loro droidi da battaglia.

«E che cosa mi sapete dire dei nuovi, ah...»

«Cannoni DEMP, signore», suggerì Thanas. Preso ovviamente di sorpresa, Skywalker gettò un’occhiata a Thanas e poi al suo amico contrabbandiere. «Dovrebbe mettere fuori uso i droidi da lontano, usando un impulso elettromagnetico», spiegò Thanas. «Abbiamo installato due prototipi di super-DEMP sulle navi vedetta che pattugliano il sistema, ma non sono mai stati sperimentati.»

Solo chiese immediatamente che dei cannoni DEMP venissero installati sulle cannoniere ribelli. Nereus si sfregò il mento e lasciò a Thanas il compito di spiegare che per ora non ne avevano altri. Mentre il battibecco proseguiva, estrasse dalla sua cintura un sensore medico in miniatura, che appoggiò sulla superficie lucida del tavolo e puntò verso Skywalker.

Dopo un attimo una smorfia attraversò il suo viso: non di rimorso, ma di preoccupazione. Tutti i segnali indicavano una salute pressoché perfetta. Quell’uomo aveva ingerito, così gli avevano assicurato, un baccello ovarico vecchio di cinque anni. Nereus doveva assicurarsi, e in fretta, che le uova fossero vive e vitali, ma un esame medico completo avrebbe insospettito Skywalker e il fatto che il Jedi non sospettasse nulla era essenziale per la riuscita dell’operazione.

Un proiettore olografico si alzò ronzando al livello del tavolo. Un’immagine comparve a metà della tavola fra Thanas e Skywalker: attorno a una sfera azzurro pallido una serie di puntini argentei e dorati rappresentavano la rete difensiva che proteggeva Bakura. Un po’ più in là le navi ssi-ruuvi brillavano, rossastre.

«Anche voi usate il rosso per rappresentare la minaccia», osservò Solo.

«Probabilmente è lo stesso per chiunque in battaglia versi sangue rosso», ricordò Skywalker, piano.

Oh, sì, sangue rosso. Nereus sorrise e si appoggiò allo schienale della sua poltrona, premendo discretamente sul suo quadro comandi dei tasti che lo avrebbero messo in contatto con il suo staff medico.

Quindici minuti più tardi, mentre gli altri stavano ancora discutendo di strategia, i suoi tecnici avevano agganciato i potenti sensori medici del complesso al suo modello portatile, che era ancora sul tavolo. Usando i tasti direzionali sul suo quadro comandi mise a fuoco una piccola zona compresa fra la cintura di Skywalker e la sua clavicola...

Due minuscole larve, vecchie ormai di quattordici ore, si muovevano nel passaggio bronchiale sinistro. I loro primitivi sistemi circolatori pompavano sangue a tutta forza.

Il baccello ingerito conteneva tre uova, ma una sola larva di Tricoide olabriana era letale. Qualunque buon parassitologo alieno avrebbe potuto confermarlo.

Solo, che per due ore non aveva fatto altro che lanciare insulti a destra e a sinistra, finalmente fece un’obiezione concreta. «Comandante Thanas, c’è una cosa che non mi piace in tutto questo. Guardi qua.» Fece un gesto verso la proiezione olografica, che era giunta alla fine della simulazione di una manovra. «Torna indietro di tre passi» ordinò al circuito di programmazione. I puntini colorati vorticarono all’indietro. «Ecco», indicò. «Fermo. Vedete? Abbiamo...»

Nereus cancellò i dati sul suo display privato. Solo fece una pausa. Skywalker gli toccò un braccio per invitarlo a proseguire.

«Abbiamo una coppia di caccia alleati in ognuno dei punti di maggior rischio», insisté Solo. «Le vostre proiezioni non mostrano le perdite disaggregate per sottogruppo. Se lo facessero, vedreste che nell’immagine di ‘completamento’ singola i puntini argentati sono molti di meno. E a me questo non piace.»

Forse il contrabbandiere aveva qualche nozione di tattica, dopotutto, osservò Nereus. Il comandante Thanas, che aveva giocherellato con il suo temperino durante tutto l’episodio, se lo fece scivolare in tasca e disse: «Il comandante Skywalker mi ha suggerito di considerare le vostre forze come se fossero mie. Se quei caccia fossero miei, è così che li disporrei per ridurre al massimo le perdite complessive». Inserì dei dati tramite la sua tastiera personale. «Mostra la fase quattro, con le perdite previste.» Lo schema tridimensionale cambiò. «Ora programmerò la sostituzione di metà di quelle squadriglie con forze regolari. Le sembra equo, generale?»

Solo allargò le braccia.

«Ecco.» Il comandante Thanas toccò un tasto. «Fase quattro, perdite previste con la sostituzione.»

Un numero significativo di puntini, sia imperiali sia alleati, svanì.

Skywalker emise un lungo sospiro, senza apparente difficoltà. La tosse sarebbe cominciata probabilmente nel giro di quattro, sei ore, a seconda delle condizioni di salute generali... e circa due ore dopo sarebbe iniziata una massiccia emorragia toracica. «Convinto, generale Solo?»

«Suppongo di sì.»

Skywalker ripiegò una mano sull’altra sopra il tavolo. «Penso a questo punto di poter dare il nostro assenso. Le forze dell’Alleanza andranno all’attacco ogni volta che sarà necessario. Spezzeremo il blocco e isoleremo quell’incrociatore in modo che lo possiamo inglobare. Distruggiamogli un incrociatore e potrebbero cambiare idea sulle nostre forze. Distruggiamone du...» lasciò la frase in sospeso. «Be’, vedremo cosa ci butteranno addosso, quando saremo ai dunque.»

«Una sola domanda.» Skywalker si rivolse al comandante Thanas. «Se gli Ssi-ruuk continuano ad attendere le nostre mosse, quanto a lungo li lasceremo aspettare?»

Nereus si schiarì la gola, per attirare l’attenzione. «Fino a domani sera», disse. A quel punto, mio giovane Jedi, tu sarai morto.

«Preferirei muovermi prima», obiettò Thanas cautamente. «L’elemento sorpresa sarà in favore dell’attaccante...»

«Domani sera», ripeté Nereus. Il comandante Thanas avrebbe dovuto redimersi secondo i piani di Nereus, non secondo i suoi desideri. Avrebbe dovuto eseguire tutto il piano... o diventare lui stesso uno schiavo nelle miniere. Nereus glielo avrebbe chiarito personalmente durante il loro incontro privato di quella sera.

«Molto bene», acconsentì Thanas. «Comandante Skywalker. Generale Solo. A domani.»

Nereus strinse le mani di tutti, tenendo i guanti. A quello stadio le larve non erano trasmissibili, ma l’idea stessa del contatto, per quanto indiretto, lo nauseava. Le Tricoidi olabriane nella fase riproduttiva potevano usare virtualmente tutti i tipi di animali superiori come ospiti. Aveva già provato a infettare gli Ssi-ruuk, ma a quanto pare i corpi dei prigionieri venivano distrutti quasi immediatamente. Skywalker, però, da quello che intuiva, avrebbe potuto sopravvivere abbastanza da consentire ai grossi adulti di emergere, dopo il breve stato di pupa, già fertili e molto voraci. Naturalmente, se gli Ssi-ruuk non riuscivano a portare via Skywalker dal pianeta, il Jedi avrebbe dovuto essere distrutto entro quella notte. Una volta che avesse capito la situazione, avrebbe anche potuto farsi avanti spontaneamente per scongiurare un’infestazione planetaria. I giovani idealisti amavano tanto il nobile sacrificio.

Ma Skywalker sarebbe certamente transitato almeno una volta attraverso la piattaforma dodici nelle prossime otto ore.


Luke sentì che lo sguardo del governatore Nereus lo seguiva mentre lui e Han uscivano dalla sala operativa. Nereus non si aspettava di rivederlo mai più.

Appena svoltato l’angolo Han borbottò: «Devi essere impazzito a fidarti di quella gente».

Luke rispose a mezza bocca: «Dovresti rivedere il tuo giudizio sul comandante Thanas».

«Oh?» Han sollevò un sopracciglio, poi voltò la testa per controllare un corridoio secondario.

Bene. Era meglio che stessero all’erta, tutti e due. «È un uomo onesto», spiegò Luke. «Vuole fare un buon lavoro ed è grato per l’aiuto che riceve. Non è un uomo di Nereus.»

«Già, è un uomo dell’Impero.»

«Mmm.»

«Ti piace Thanas perché ti ha fatto i complimenti, là dentro?»

Luke sorrise. «No. Ma è stato piacevole.»

«Complimenti da un Imperiale. Già.»

Giunti a un grande atrio rallentarono. Luke esplorò i dintorni attraverso la Forza. Niente agguati. Han tenne una mano vicino al suo fulminatore mentre si affrettavano ad attraversare lo spazio vuoto.

Una volta lasciati i corridoi degli uffici imperiali, Han si accigliò. «È solo la mia immaginazione», chiese, «o sei un po’ più prudente di ieri?»

«Ho avuto una soffiata da una fonte interna. Diceva che il governatore Nereus ha intenzione di consegnarmi agli Ssi-ruuk. Hai notato che ha ricevuto un messaggio o qualcosa del genere mentre eravamo là dentro?»

«Già», confermò Han. «Finalmente hai imparato un po’ di prudenza, eh?»

«Sono sempre stato prudente.» Per quanto esasperato, Luke non aveva cessato di scrutare ogni ombra. «Ed è solo la mia immaginazione», ritorse, «o sei più contento di te stesso del solito, oggi?»

Han si fermò di botto. «Cos’è questa storia? Vuoi chiedermi che intenzioni ho nei confronti di tua sorella?»

Luke si guardò attorno attentamente, poi abbassò la guardia e sorrise a Han. «So quali sono le tue intenzioni, amico mio. Lei ha bisogno di te. Non deluderla.»

Il sorriso storto di Han splendeva come un faro-asteroide. «Non temere.»

Luke gli appoggiò una mano sulla spalla. Tutto quello che avevano passato già li aveva uniti come due fratelli. Ora, questo...

Un rumore di passi dietro di loro lo riportò di colpo all’allerta. Scivolò dietro una colonna e afferrò l’impugnatura della sua spada laser. Han si nascose dietro di lui. Tre serie di passi avanzavano lungo il corridoio. Luke rimase al coperto. Han sollevò un sopracciglio. Luke scosse la testa. Si mosse lungo la colonna, tenendosi fuori della vista del terzetto che passava: Nereus, seguito da un paio di guardie.

Laggiù nel suo ufficio gli era parso molto controllato. Ma qualcosa, ora, nel suo modo di camminare, unito a un lieve stato di allarme nel suo senso della Forza, portò Luke a una conclusione inaspettata. «Sta cominciando a cedere al panico», osservò Luke in un sussurro.

«Panico?» Han aggrottò la fronte. «Lui?»

«Sta appena cominciando.» Le schiene dei tre Imperiali si allontanavano lungo il corridoio. «Sarà meglio che lo teniamo d’occhio.»

«Non è una novità.» Le mani di Han tornarono a rilassarsi lungo i fianchi.

Una volta raggiunti i loro appartamenti, Han sparì nella sua stanza. Luke compose in fretta un messaggio in codice diretto a Wedge Antilles, lassù nella rete orbitale. Attacco coordinato per domani sera. Lavorate con le forze di Nereus, seguite gli ordini di Thanas, ma non abbassate i deflettori. Con un sorriso poco allegro sulle labbra, lo spedì. Han si sarebbe diretto al Falcon appena fosse riuscito a localizzare Leia. Era uscita da sola dopo colazione, ma con l’attacco così imminente era il caso di essere pronti a ogni evenienza.) Luke avrebbe preso la prima navetta orbitale disponibile e sarebbe tornato sulla Flurry. Lo avrebbe divertito provare che i sentimenti di Manchisco erano sbagliati.

Il suo stomaco gli mandò un messaggio più immediato. Doveva mangiare, ma non qui di certo. Il cibo alla stazione di ristoro della piattaforma dodici sarebbe stato più sicuro. «Sei pronto, Han?» chiamò.

Han uscì dalla sua camera. «Leia non risponde.»

«Forse Leia e Captison hanno cercato un posto dove gli Imperiali non potessero sentirli.»

«Possibile», disse Han. «Ti riporto dalle tue truppe. Poi andrò a cercarla.»


Il primo ministro Captison aveva suggerito di andare a fare un giro in speeder e Leia era stata sorpresa di scoprire che il senatore anziano Orn Belden saliva a bordo con loro, con un oggetto piuttosto voluminoso in una delle tasche della camicia. Supponeva che si trattasse del suo amplificatore vocale. Questa volta i Bakurani non sarebbero stati distratti né da Chewbacca né dai droidi.

L’autista in livrea di Captison decollò dal tetto del complesso in uno speeder governativo coperto. Belden si coprì le labbra con un dito.

Leia annuì che capiva: Non ancora. «È una città deliziosa, questa», osservò Leia in tono leggero. «Per molti versi Bakura mi ricorda Alderaan.»

Alzò lo sguardo a un lenzuolo di nubi spesse. «Le sue regioni più umide, almeno. Avete provato a cercare minerali in questo rilievo di quarzo?»

Seduto accanto a lei nel sedile di mezzo, Captison unì le mani e fece un sorriso complice. «Oh, sì. Perché pensate che abbiamo costruito qui la città?»

«Ah», disse Leia.

Captison si lasciò andare indietro, rilassato. «Dopo un paio di anni di boom minerario la vena cominciò a esaurirsi e la Bakur Corporation si divise in fazioni. L’elemento a cui apparteneva mio padre voleva iniziare prospezioni altrove. Un’altra fazione voleva sfruttare altre risorse disponibili su Bakura. Un’altra, composta soprattutto di coloni di seconda generazione, voleva fare arrivare degli immigrati, addebitandogli delle tariffe esorbitanti, o stabilire un specie di luogo di villeggiatura di lusso.»

«Quando nella galassia si diffonde la voce di un nuovo mondo abitabile aperto alla colonizzazione, spesso diventa... di moda.»

«Il che attira elementi indesiderabili.»

Forse voleva dire ribelli e contrabbandieri, o magari giocatori d’azzardo e venditori ambulanti. «È possibile.»

Captison rise. «Per molti versi, Leia, lei mi ricorda mia nipote.»

«Vorrei tanto che la mia vita fosse stata semplice come quella di Gaeriel.»

«È stata una brava bambina», riferì Belden dal sedile posteriore dov’era seduto accanto alla guardia del corpo di Captison, ansimando un po’. «Ma bisogna vedere se sarà una brava senatrice.»

Il primo ministro Captison picchiettò sovrappensiero sul vetro di una finestra. «Ha raggiunto improvvisamente quella fase di disillusione che annuncia l’età adulta.»

«Capisco», disse Leia. «Io l’ho raggiunta quando ero molto giovane.» L’autista di Captison manteneva lo speeder in mezzo ad altri due velivoli, entro un corridoio aereo che attraversava la città. Salis D’aar come molte altre città di media grandezza, obbligava il traffico aereo a seguire rotte ben precise.

«Oh», intervenne il senatore Belden, «la prego, ringrazi il comandante Skywalker per aver tentato di aiutare Eppie. Lui sa che cosa intendo.» Poi cominciò a parlare del terreno montuoso, del raccolto di frutta namana e dell’estrazione del nettare.

Leia attese, chiedendosi quando mai i due uomini si sarebbero sentiti abbastanza al sicuro da mettersi a parlare sul serio. Questa avrebbe potuto essere la sua sola possibilità di fare dei passi avanti in favore dell’Alleanza.

Cinque minuti più tardi, l’autista di Captison portò lo speeder ad atterrare accanto a una piccola cupola circondata da insegne multicolori sospese in aria diversi metri più in su Leia si guardò attorno alla ricerca di un’entrata. Captison appoggiò una mano sulle sue. «Attenda», intimò gentilmente.

Dieci minuti più tardi l’autista e la guardia del corpo di Captison decollarono con lo speeder governativo, mentre Leia saliva nel sedile passeggeri anteriore di un piccolo velivolo a noleggio, bianco come le distese di Hoth e con rivestimento imbottitore color blu-ghiaccio. «Lo fate spesso?» chiese divertita e compiaciuta per il sotterfugio.

«È la prima volta.» Captison si mise alla guida e decollò, immettendosi nel traffico. «È stata un’idea di Belden.»

«Pensiamo che i mezzi ufficiali non siano luoghi in cui si possa parlare con tranquillità.» Il senatore anziano si chinò fra di loro e diede un colpetto al suo taschino rigonfio. «E questo ci aiuterà. Adesso nessuno ci può sentire.»

Captison si accigliò e accese un canale musicale. I ritmi modulati di una percussione riempirono la cabina. «Dovete capire che nel parlare con voi corriamo dei rischi. In pubblico non possiamo nemmeno farvi le condoglianze per la perdita di Alderaan. In privato, però...»

Non si trattava di un amplificatore vocale, dunque. «Che cosa avete lì dentro, senatore?»

Belden coprì il taschino con una mano. «Un ricordo della Bakura pre-imperiale. Le lotte fratricide all’interno della corporazione ci hanno impedito di governare, ma hanno fatto dei nostri avi dei formidabili esperti di sopravvivenza. Questo oggetto crea un campo impenetrabile da parte dei sensori sonici. Sotto l’Impero nessuna delle fazioni ha più osato fabbricarne.»

Mentalmente, Leia calcolò il prezzo dell’oggetto e arrivò a una somma pari al valore del Falcon. «Meglio non perderlo, allora. Signori», attaccò, schiarendosi la gola, «mi interesserebbe tanto sapere come mai l’Impero non ha ancora costretto Bakura a prendere posizione a fianco della Ribellione.»

«Nereus è stato sottile, suppongo», spiegò Captison. «Applica le sue pressioni molto gradualmente. Un po’ come se fossimo un tritone bianco.»

«Chiedo scusa?» chiese Leia.

«Sono animali troppo primitivi per reagire a stimoli lenti», gracchiò Belden. «Se si mette un tritone bianco in una pentola d’acqua e lo si riscalda lentamente, morirà bollito prima di farsi venire in mente che può saltare fuori dalla pentola. Ed è quello che succederà qui, a meno che...» Diede un colpetto con il dito sulla spalla di Captison.

«Calma, Orn.»

Leia guardò giù e a dritta, verso un parco adorno di colline. «Che cosa ci vorrebbe per spingerla ad agire, primo ministro?»

«Non molto», interruppe Belden. «È più furbo di quanto faccia capire.»

«C’è un movimento clandestino di resistenza, senatore Belden?»

«Ufficialmente no.»

«Un centinaio di membri? Dieci cellule?»

Belden ridacchiò. «Più o meno.»

«E sono pronti a sollevarsi?»

Captison sorrise e toccò un comando che li fece virare a dritta. Sembrava che girasse in tondo, appena dentro i confini della città. «Mia cara Leia, non è proprio il momento. Abbiamo solo gli Ssi-ruuk in testa, per adesso. Non possiamo sperare che l’Impero ci salvi e nel contempo pensare di sottrarci al loro dominio.»

«Ma è proprio questo il momento», insisté Leia sopra la musica che riempiva l’abitacolo. «Gli Ssi-ruuk hanno unito il vostro popolo. Ora è pronto a seguire un leader che li porti verso la libertà.»

«In realtà», corresse Belden, «sono stati tre anni di dominio imperiale a unire la nostra gente, non gli Ssi-ruuk. Ora sanno che cos’hanno perduto quando si sono arresi così in fretta e che dovranno cooperare per riottenerlo e tenerselo.»

«Credono in lei, primo ministro», lo incoraggiò Leia.

Captison teneva gli occhi fissi davanti a sé. «E voi, principessa Leia? Qual era il vostro vero scopo nel venire qua?»

«Portare Bakura nell’Alleanza, naturalmente.»

«Non difenderci contro gli Ssi-ruuk?»

«Quello è lo scopo di Luke.»

Captison sorrise. «Ah. L’obiettivo della missione dipende da chi lo definisce. L’Alleanza comincia a maturare, vedo.»

Un altro punto a favore della divisione dei compiti. «Primo ministro, quanto potere esercitate, veramente, lei e il senato?»

Captison scosse la testa.

«Se poteste scegliere liberamente e senza rischio per la vostra gente», insisté Leia, «quale parte vorreste che difendesse Bakura?»

«L’Alleanza», ammise Captison. «Non ci piace la tassazione che l’Impero ci impone, né dover mandare via dal pianeta i nostri migliori giovani, che vengono costretti a servire l’Impero. Ma abbiamo paura. Belden ha ragione. Abbiamo imparato ad apprezzarci a vicenda, ora che abbiamo visto che cosa vuol dire essere soggiogati a qualcun altro... Cosa vuol dire perdere la nostra identità perché non siamo riusciti a metterci d’accordo.»

«E non vale la pena di lottare per questo? Non vale la pena di sacrificare la vita di uomini liberi? Primo ministro, io non mi aspetto di arrivare a... cinquant’anni», azzardò, calcolando che fosse la sua età. «Ma preferirei morire per la libertà di qualcun altro che vivere in tranquilla schiavitù tutta la mia vita.»

Captison sospirò. «Lei è eccezionale.»

«Tutti gli uomini liberi sono eccezionali. Mi lasci parlare con i vostri capicellula, senatore Belden. Date alla vostra gente la possibilità di lottare per la loro libertà e loro...» L’abitudine le fece gettare un’occhiata alle spalle. Un veicolo di pattuglia a due posti li seguiva a distanza. «Ci sono degli Imperiali dietro di noi, credo», disse in tono pacato.

Captison controllò lo schermo di un sensore e spinse in avanti la leva acceleratrice.

Leia cercò sul pannello comandi qualcosa che le permettesse di comunicare. Han a questo punto doveva già essere per strada, diretto al Falcon e quindi irraggiungibile. «Sono ancora dietro di noi. Si diriga verso lo spazioporto.»

«Ce n’è un altro che viene da sotto. Non posso svoltare a sud da questo corridoio.»

«Sembra che ci stiano scortando da qualche parte», osservò Leia. Captison fece girare lo speeder a nord-ovest, descrivendo un’ampia curva. Poi le loro due guardie aeree lasciarono che si raddrizzasse. «Dove ci stanno portando?»

«Verso il centro.» Captison aveva una smorfia di preoccupazione dipinta sul viso. «Verso il complesso, penso.»

«Siete armati?» chiese Leia con calma.

Captison infilò una mano sotto la giacca e le mostrò un fulminatore, poi tornò a nasconderlo. «Ma non servirà a niente se sono più numerosi di noi. Belden, ce la fai a liberarti del generatore?»

«Sotto un sedile, forse.» La voce di Belden arrivava attutita.

Leia pensò in fretta. «Potrebbe essere più sicuro avvolgerlo... ecco, nel mio scialle, e lasciarlo cadere, che farsi prendere con quello.»

«No», disse Belden, rigidamente. «È troppo delicato. La gente è abituata a vedermi portare un amplificatore vocale. Lo terrò nel taschino.»

Le percussioni continuarono a inondare l’abitacolo.


Confinato in una stanzetta spoglia e priva di finestre, colma di scaffali di registrazioni e un equipaggiamento per le comunicazioni, 3BO emise un sospiro teatrale. «Ogni volta che mi convinco che abbiano ormai esaurito le maniere di tormentarci, ne inventano una nuova. Questi umani sono impossibili.»

C1-P8 emise un trillo di disprezzo.

«Non sto cercando di prendere tempo, miserabile collezione di nanocip malcollegati. Non c’era niente in quella registrazione che non ci fosse anche in tutte le altre. Sei milioni di forme di comunicazione e loro ne trovano una nuova. I non meccanismi sono proprio impossibili.»

C1 tese un braccetto manipolatore verso la macchina riproduttrice.

«Lo faccio io», s’infuriò 3BO. «Tu non ci arrivi.»

C1 fece una pernacchia esattamente identica a quella di un bambino umano di sette anni che mostra la lingua.

3BO rimosse un cilindro registratore e ne inserì un altro, riponendo con attenzione quello vecchio nel classificatore del primo ministro. «Perfino il primo ministro Captison, che non fa mistero della sua avversione per i droidi, ha dovuto ammettere che ora serviamo a qualcosa. Siamo qui a lavorare da sette ore senza nemmeno una pausa per un po’ di lubrificante.» L’altoparlante squittì e cinguettò. 3BO si chinò per ascoltare meglio. «Fa’ silenzio, C1.»

C1, che non aveva parlato, fece una pernacchia un po’ più fioca.

«C’è qualcosa di diverso in questo qui.» In una frequenza inudibile all’orecchio umano una serie di scariche elettroniche seguirono le canzoni degli Ssi-ruuk. I sensori automatici di 3BO confrontarono quel codice con milioni di altri. Prima che la registrazione finisse, il droide esclamò: «Ci siamo! C1, fammelo sentire di nuovo».

C1 cinguettò in tono sarcastico.

«Ma certo che ci arrivo meglio io. Non dare la colpa a me delle tue limitazioni.» 3BO voltò la parte superiore del corpo, premette un comando che ripeteva la registrazione e rimase in quella posizione scomoda per un po’. La programmazione automatica che aveva previsto usò il suo canale sensorio sinistro per seguire il linguaggio ssi-ruuvi, quello destro per registrare il codice elettronico e una delle unità elaboratrici centrali per mettere l’uno a confronto con l’altro. Notò un ritardo di un decimo di secondo, ripeté gli schemi tonali e i modificatori labiali/gutturali nella lingua inumana.

Poi la registrazione finì. 3BO la riascoltò di nuovo. Un altro circuito, programmato per dedurre variabili logiche fuori contesto, fornì una serie di ipotesi alternative e le comparò con tutte le espressioni simili che aveva registrato durante gli anni trascorsi dall’ultima volta che gli avevano cancellato le memorie... tanti, tanti anni fa.

«Eccellente!» esclamò 3BO. «Adesso, C1, dobbiamo ricominciare dall’inizio e ascoltare di nuovo tutte le registrazioni. Così potremo dare alla principessa Leia tutta una serie di informazioni di estrema utilità.»

C1 fischiò.

«Sì, e anche al primo ministro Captison. Non essere impaziente.» 3BO picchiò sulla cupola di C1. «Lo so che questa non è la tua specialità. Ma pensa a tutte le ore che ho passato io a bordo di un’astronave, senza nulla da fare.»

C1 gli rinfrescò la memoria.

«Non è affatto divertente.» 3BO premette di nuovo il tasto di avvio. «Stai zitto e ascolta. Tradurrò quello che dicono.»

Le registrazioni ricominciarono, tutte le sette ore ad alta velocità. 3BO ascoltò e C1 ascoltò 3BO. La maggior parte delle registrazioni riguardava cose di poco conto: Riallineate la nave alla formazione e cose del genere.

Ma improvvisamente 3BO esclamò: «Oh, no. C1, devi chiamare subito padron Luke. È terribile...»

C1 stava già dirigendosi verso una stazione per le comunicazioni.


Leia uscì da uno speeder a noleggio in una brezza fredda e incostante e si guardò attorno, contando i soldati presenti sul tetto del complesso. Diciotto, con le armi puntate a terra. Non era certo un comunicato di benvenuto. Adesso avrebbe tanto voluto avere Chewie accanto... ma non lo avrebbe potuto portare, naturalmente, per non offendere i Bakurani. Belden le urtò una spalla e le mormorò: «Trasmettete al comandante Skywalker il mio messaggio, altezza».

«Tenetevi pronti a muovervi», borbottò lei in risposta. Infilò una mano dentro la manica del suo vestito alla ricerca del suo piccolo fulminatore. Probabilmente ne avrebbe potuti mettere fuori combattimento tre o quattro prima che la stordissero. Buttandosi a terra sulla superficie di permacemento, cominciò a sparare.

Cinque soldati caddero a terra prima che qualcuno riuscisse ad afferrarle da dietro il gomito destro. Lottò con tutte le sue forze ed era quasi riuscita a liberarsi quando un guanto di metallo bianco riuscì a strapparle il fulminatore di mano.

Mezza battaglia sta nel capire quando sei sconfitto. Dove lo aveva sentito dire? Su Alderaan, probabilmente, pensò alzandosi lentamente a sedere con le mani sopra la testa. Non era ancora sconfitta. Ma era importante che loro lo credessero.

Il governatore Wilek Nereus uscì dall’ascensore, seguito da quattro guardie delle truppe di marina con i loro elmetti neri. «Primo ministro Captison», canzonò, «senatore Belden. Siamo stati a fare un giretto?» Indicò lo speeder e due guardie salirono subito a bordo.

Quello che aveva confiscato a Leia il fulminatore tolse qualcosa al primo ministro Captison. Un altro afferrò le sue braccia e la imprigionò in un paio di manette. «Avete improvvisamente finito le scorte di buonsenso?» ansimò Belden, già ammanettato, con la faccia molto arrossata. «Questo è ridicolo.»

«Perché tanti sforzi per evitare la sorveglianza, se non stavate facendo nulla di male?»

Leia si intromise. «C’è una cosa che si chiama diritto alla privacy, governatore.»

«No, non quando interferisce con la sicurezza di un mondo imperiale, mia cara principessa.»

Uno dei soldati riemerse dallo speeder. «Negativo, signore.»

«Fatelo a pezzi. Tu. Tu e tu.» Indicò altri tre soldati. «Perquisiteli.»

Leia sopportò con stoicismo l’analisi elettronica e poi una perquisizione fisica accurata. Il soldato confiscò la fondina vuota del suo fulminatore e il comlink tascabile, poi l’ammanettò. Un altro si diresse con passo svelto da Belden al governatore Nereus, portando in mano la scatoletta grigia. «Che cosa abbiamo qui, senatore?»

Belden sollevò le mani legate assieme, e agitò un dito in direzione di Nereus. «Il mio amplificatore vocale è proprietà personale. Ridatemelo immediatamente.»

«Ah! L’innocenza offesa in persona, vedo.» Nereus sorrise. «È diverso tempo che sospetto lei e sua moglie del possesso di questa strumentazione illegale, Belden... ma visto che lei è innocente di qualsiasi malefatta, sono sicuro che non la disturberà rimanere in custodia fino a che i miei tecnici non avranno accertato la vera natura di questo strumento.»

Leia gemette. Il respiro di Belden si era fatto affrettato e la sua fronte luccicava di sudore sopra due guance pericolosamente rubizze. Sembrava che potesse cadere a terra da un momento all’altro. Alla sua età, erano tutti segnali di pericolo da non trascurare.

Un simile incidente avrebbe potuto finalmente far scoppiare l’incendio che covava su Bakura. Tritone bianco, ricordò. Il primo ministro Captison corse accanto a Belden, raggiungendolo un istante prima di un soldato. «Governatore Nereus, lei questa volta ha superato ogni...»

«Guardie», gridò Nereus, «queste tre persone sono in arresto. Diciamo che sono sospettate di tradimento. Portatele in tre luoghi separati del complesso.»

Leia avanzò verso Nereus, attirando deliberatamente l’attenzione su di sé. «Era una gita di piacere, governatore.»

Nereus abbassò lo sguardo. «Le ho fatto una promessa l’altro giorno, a cena, che riguardava il tentativo di indurre alla sovversione i popoli sottomessi all’Impero, mia cara. Mi creda, io mantengo le mie promesse. E quando uno speeder diventa improvvisamente del tutto silenzioso nel bel mezzo di un campo sensore, io divento curioso.» Un soldato puntò il suo fucile blaster contro la schiena di Belden. «Non fateli parlare assieme», ordinò Nereus. «Interrogateli separatamente.»

Leia doveva provare a Captison che quello che aveva detto a proposito del sacrificare se stessa non erano parole al vento. Abbassò la testa e caricò il governatore. Lo colpì nel bel mezzo del suo vasto ventre.

Con uno sbuffo di sorpresa il governatore finì a terra. Leia gli saltò sopra, gli imprigionò la testa fra le ginocchia e spinse le manette fin sotto il suo naso. «Indietro voialtri, o vedremo chi di noi ha la testa più dura.» I soldati indietreggiarono, ma non vide quello che, da dietro, le sparò con uno storditore.

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