3

Sotto gli occhi di Luke, le strisce luminose delle stelle si accorciarono e ridussero a punti sul visore triangolare di prua, mentre la Flurry e le sue sette navi di scorta uscivano dall’iperspazio. Una volta controllati gli scudi deflettori, girò la sedia per controllare il rapporto sullo stato del sistema compilato dal computer principale, mentre l’ufficiale addetto alle comunicazioni del capitano Manchisco passava in rassegna i canali imperiali standard. Luke si sentiva meglio, almeno finché si muoveva lentamente.

I sensori mostravano otto pianeti, nessuno dei quali si trovava nel posto previsto dal programma MasterNav dell’Alleanza. Era contento che Manchisco non avesse dato peso alla sua impazienza, avesse fatto i suoi piani con calma e avesse deciso di uscire dalla velocità luce all’esterno del sistema. La donna gli gettò un’occhiata piena di sottintesi. Luke si toccò un sopracciglio in segno di saluto, poi annuì al navigatore Duro, che ammiccava con gli enormi occhi rossi e gorgogliava qualcosa.

«Dovere, dice», tradusse Manchisco.

Una mezza dozzina di ovoidi bitorzoluti erano raggruppati attorno al terzo pianeta del sistema, circondati, sui suoi schermi, da una tempesta di sabbia virtuale composta di piccoli caccia. Erano tutti rossi, il che per il computer significava «possibile minaccia», ma manovravano in modo frenetico, rompendo la formazione e raggruppandosi di nuovo, avvicinandosi per poi fuggire. Era ovvio che non appartenevano tutti alla stessa parte. Luke gettò uno sguardo al figliolo prediletto della mente del generale Dodonna, l’Analizzatore Computerizzato di Battaglia. Aveva accettato di portarsi dietro un prototipo dell’ACB e adesso aveva bisogno di dati da immetterci per provarlo.

«Sembra proprio una bella festa, ragazzo», disse la voce di Han dall’altoparlante al suo fianco.

«Sembra di sì», rispose Luke. «Stiamo chiamando gli Imperiali proprio adesso. Non c’è ragione...»

«Signore», interruppe l’addetto alle comunicazioni.

«Un momento.» Luke si allontanò dal microfono spingendo la sedia con un colpo dì piede e ottenendo come ricompensa un crampo alla gamba. Be’, era quasi guarito. «Ha ricevuto risposta?»

Il giovane virgilliano dalle spalle larghe gli indicò una luce verde che lampeggiava sul suo quadro. Qualcuno aveva dato il permesso di trasmettere. Luke si schiarì la gola. Prima che lasciassero Endor, Leia gli aveva dato una lista del genere di cose che avrebbe potuto dire appena gli Imperiali gli rispondevano. Ma nessuna era nel suo stile.

E poi, non era un diplomatico o un uomo politico quello con cui avrebbe dovuto parlare. Questo era un ufficiale nel mezzo della battaglia, che aveva a disposizione solo una manciata di secondi per prendere le sue decisioni. «Marina Imperiale», esordì Luke, «questa è una forza d’attacco dell’Alleanza. Abbiamo issato bandiera bianca. Sembra che abbiate bisogno di aiuto. Accettereste la nostra assistenza, da umano a umano?» Be’ certo, c’erano degli alieni fra i ribelli, oltre a Chewbacca e al navigatore Duro di Manchisco. L’equipaggio di una delle cannoniere era composto da diciassette Mon Calamari. Ma non c’era alcun bisogno che gli Imperiali, che di solito erano molto schizzinosi nei confronti degli alieni, lo sapessero proprio adesso.

Dall’altoparlante si udì un rumore. Immaginando qualche veterano imperiale rotto a mille battaglie che faceva freneticamente scorrere sullo schermo un manuale su come comportarsi in caso di contatto con i ribelli, Luke aprì una frequenza alleata: «A tutti gli uomini, mantenete la formazione di difesa. Scudi alzati. Non sappiamo ancora che cosa hanno intenzione di fare».

Frammenti musicali e voci distorte echeggiarono per un momento sul ponte della Flurry, poi: «Forza d’attacco dell’Alleanza Ribelle, qui è il comandante Pter Thanas della Marina Imperiale. Dichiarate lo scopo della vostra presenza in questo sistema». La voce metallica era carica di autorità.

Per tre giorni, mentre viaggiava per l’iperspazio, Luke aveva dibattuto se fingere ignoranza o ammettere che conoscevano la situazione. Il capitano Manchisco sollevò un sopracciglio, come per dire: «E allora?»

«Abbiamo intercettato un messaggio del governatore Nereus diretto alla flotta imperiale che al momento è, ehm, per la maggior parte impegnata in riparazioni. Sembrava che si trattasse di guai seri. Come ho detto, siamo venuti ad aiutarvi, se è possibile.»

Luke chiuse la trasmissione e si rese conto dagli spasmi che gli attraversavano le caviglie di essersi alzato in piedi. Frustrato, tornò a sedersi. Ma aveva riposato nell’iperspazio! Sul canale interno le cannoniere annunciarono il loro arrivo. Sul quadro generale apparivano come puntini blu. Da quello che vedeva sul suo visore, stavano assumendo la formazione appaiata.

La voce di Leia parlò all’altezza del suo gomito, dal Millennium Falcon. «Luke, cerca di essere sottile. Sono Imperiali. Se ci considereranno una forza ostile ci cacceranno.»

«In questo momento non sono in grado di cacciare nessuno», fece notare Luke. «Li stanno spazzando via.»

«Non mi sorprende che nessuno abbia risposto alle richieste di aiuto sui canali standard», disse la voce asciutta e decisa del comandante imperiale Thanas. «Forza d’attacco dell’Alleanza, accettiamo volentieri la vostra offerta. Mando un rapporto codificato a venti cicli sotto questa trasmissione.»

«Ah, be’», osservò Han.

Solo qualcuno che sì considerava già spacciato avrebbe accettato senza battere ciglio l’aiuto di una forza armata con credenziali dubbie come le loro. Luke gettò uno sguardo verso l’ufficiale addetto alle comunicazioni, Delckis, che stava aprendo il canale indicato da Thanas. Nel giro di qualche minuto una piccola percentuale dei puntini roteanti sul quadro generale divennero giallo oro, a significare che appartenevano agli Imperiali. Luke fischiò piano. Tutti i sei ovoidi e la maggior parte della tempesta di sabbia erano ancora rossi.

L’ACB cominciò a rigurgitare informazioni. Il comandante Thanas aveva meno potenza di fuoco degli avversari e un buon ottanta per cento di questa era concentrato su un unico incrociatore di classe «Carrack». Non era una grossa nave, con appena un quinto dell’equipaggio dello Star Destroyer, ma sempre diverse volte più potente della Flurry.

«È proprio sicuro di volerlo fare?» borbottò Manchisco.

Luke premette un pulsante che avrebbe spedito i piloti ribelli di corsa su per le scalette dei loro caccia. Riforniti e predisposti sulle rampe di lancio durante l’ultimo giorno di viaggio in iperspazio, i caccia erano pronti a partire.

«Stiamo leggendo la vostra formazione», disse Luke alla sua controparte imperiale. Non era del tutto sicuro di come andare avanti. Calmandosi, scese dentro di sé alla ricerca di un’indicazione nella Forza. Un’intuizione, avrebbero detto altri...

Thanas disse: «Potreste... un momento...» Uno strano fischio modulato soffocò la voce del comandante imperiale.

Luke tamburellò nervosamente le dita sulla sua consolle.

Quando Thanas ritornò, la sua voce era ancora controllata e calma. «Scusate. Ci stanno disturbando. Se riusciste a inserire un cono di navi nel varco fra i tre incrociatori centrali degli Ssi-ruuk, potrebbe darsi che questo li ispiri alla ritirata. Potrebbe farci guadagnare tempo.»

Ssi-ruuk. Luke registrò il nome degli alieni e lo ripose in fondo alla sua memoria. Qualcosa che stava sotto la sua coscienza finalmente suggerì un’idea. «Comandante Thanas, arriveremo dal nord solare poco davanti a quei tre incrociatori, nel senso dello spin.»

«Inserite la rotta», mormorò ai suoi uomini.

Il navigatore del capitano Manchisco attivò il suo computer di navigazione. «Valtis», gorgogliò il Duro in lingua standard con le sue sottili labbra gommose, «prrrendi un rrrotta per otto-sette norrrd, sei spin.» Il pilota virgilliano inserì le correzioni sul suo computer con uno sfarfallare di dita. Luke sentì la Flurry uscire dal suo letargo. Le lamiere del ponte trasmettevano le vibrazioni dei motori fino alla sua postazione di comando. Il portello d’accesso al ponte di comando, che avevano lasciato aperto per facilitare il ricambio dell’aria, si chiuse automaticamente.

Dopo un momento Thanas si fece di nuovo sentire, «Sì, è la manovra più urgente, la vostra, forza dell’Alleanza. Venite avanti... e grazie. Fate attenzione al pozzo gravitazionale.»

«Che cosa ne pensi, ragazzo?» La voce di Han arrivò, filtrata dallo spazio, accanto al suo gomito. «Non mi sembra una bella situazione.»

«Devo arrivare a Bakura», insisté Leia sullo stesso altoparlante. «Devo convincere il governatore Nereus a dichiarare una tregua ufficiale, o non avranno motivo di collaborare con noi. Non puoi sempre sperare di cogliere la Marina Imperiale in un momento di disperazione.»

«Han», rispose Luke, «hai capito come ci muoviamo?»

«Oh, sì.» Il suo amico sembrava divertito. «Buona fortuna, mio eroe. Temo che il nostro unico esperto di diplomazia non prenderà parte a quest’azione.»

«Buona idea», approvò Luke.

«Cosa?» Luke avvertì diversi punti esclamativi nella voce di Leia. «Di che cosa state parlando?»

«Chiedo scusa.» Luke si raffigurò Han che si voltava per cercare, pazientemente, di spiegare una verità spiacevole al più testardo dei due Skywalker. Forse, come fratello, doveva intervenire.

«Leia», spiegò, «guarda il quadro. Bakura è sotto blocco. Tutte le comunicazioni sono disturbate, non siamo riusciti a sentire niente se non una scarica di musica dai canali commerciali. Sei troppo preziosa per rimanere in zona di guerra.»

«E tu no?» ritorse lei. «Devo parlare con il governatore. La nostra unica speranza è di riuscire a convincerlo che non abbiamo intenzioni aggressive.»

«Sono d’accordo», la placò Luke, «e il Falcon ci farebbe comodo adesso come adesso. Ma non ho intenzione per questo di rischiare la tua vita. Ritieniti fortunata di avere una nave armata tutta per te.»

Silenzio di tomba. Luke impartì altri ordini, disponendo la sua flotta in una formazione poco serrata per affrontare il difficile salto iperspaziale intersistema.

«Va bene», borbottò Leia. «Il sesto pianeta non è lontano da questo vettore. Ci dirigeremo lì. Se tutto sembra abbastanza sicuro, atterreremo e attenderemo un vostro segnale.»

«Mi sembra perfetto, Leia.» Luke avvertiva la sua indignazione, ma non era diretta solo a lui. Leia e Han dovevano imparare a risolvere da soli i loro problemi. Trovare un sistema tutto loro per convivere.

Chiuse la sua mente, alla presenza di sua sorella. «Resta in contatto, Han. Usa le frequenze standard alleate, ma tieni d’occhio anche quelle imperiali.»

«Affermativo, ragazzo.»

Luke guardò sul suo schermo la nave da carico che usciva dalla formazione con un’ampia curva. L’arco di luce bianco-azzurro dei suoi motori rimpicciolì nelle tenebre distanti. A dar retta al suo quadro generale, tutti i suoi piloti di caccia erano pronti sui loro velivoli e Wedge Antilles stava eseguendo i controlli sulla squadriglia. Non era qui, sul ponte di comando, il suo posto. Oggi, il suo caccia Ala-X stazionava freddo in un hangar buio, e C1 era nella sua cabina, collegato attraverso la Flurry all’Analizzatore Computerizzato di Battaglia. Magari la prossima volta avrebbe potuto collegare C1 con il ponte di comando della Flurry e dare gli ordini dal suo caccia... Ma dove avrebbe potuto sistemare i controlli e il quadro generale? «Calcoli terminati», annunciò. «Pronti al salto.» I puntini blu che rappresentavano le navi vedetta divennero verdi. Luke afferrò i braccioli della poltrona. «Ora.»


Han Solo teneva d’occhio i sensori del Falcon mentre si allontanava dalla flottiglia con un agile arco di curva. Era troppo esperto per farsi prendere dal risucchio del salto iperspaziale, ma non poté resistere alla curiosità e rimase a guardare l’ammiraglia di Luke (figurarsi, il ragazzo al comando di una flottiglia) che spariva. Leia reagì con un sobbalzo.

Adesso era di nuovo a casa sua, a bordo del Falcon. Le squadre di riparazione dell’Alleanza non avevano perso tempo e avevano subito rimesso in sesto la sua adorata nave dopo che Lando l’aveva sbatacchiata dentro la seconda Morte Nera (... ma non importa, Lando, è stato per una buona causa). Il suo posto era lì, in quella cabina di pilotaggio, con Chewie nel sedile del copilota.

Ma anche così, niente era più come prima. Dietro il colossale Wookiee, c’era Leia, avvolta da una tuta da combattimento grigia stretta in vita da una cintura, che si sporgeva in avanti come se pensasse che avrebbe dovuto esserci lei al posto del copilota.

Be’. Avrebbe consegnato a Leia tutto quello che gli apparteneva, l’intera galassia se solo avesse potuto metterci le mani sopra, ma nemmeno lei sarebbe mai riuscita a sloggiare Chewie da quel sedile. Sì, d’accordo, aveva pilotato il Falcon abbastanza bene in un paio di emergenze. Ma perfino un contrabbandiere doveva porre dei limiti da qualche parte.

3BO occupava l’altro sedile, con la testa che si girava a destra e a sinistra. «Sono proprio contento che lei abbia cambiato idea, padrona Leia. Anche se i miei talenti andranno sprecati anche più del solito nell’estrema periferia di questo sistema provinciale, la nostra sicurezza è della massima importanza. Posso suggerire...»

Han alzò gli occhi al cielo e disse in tono di minaccia: «Leia?»

Leia spense l’interruttore dietro il collo di 3BO. Il droide dorato si immobilizzò.

Han emise un eloquente sospiro di sollievo. Chewbacca aggiunse un grugnito con un sottotono di risata e scosse la sua pelliccia rossiccia fino alle punte nere di ogni pelo. Han allungò le mani verso il pannello di controllo. «Sette minuti all’avvicinamento al pianeta.»

Leia si liberò della cintura di sicurezza e si spinse in avanti per essere più vicina alla consolle, premendo una gamba tiepida contro la sua. «Gli Imperiali non possono essere lontani. Dove sono i sensori?»

Han tese una mano con uno scatto e li accese. Il sesto pianeta riempì gli schermi dei sensori. Chewbacca abbaiò diverse volte, aggiungendo grugniti e latrati. «Polvere e ghiaccio», tradusse Han, a beneficio di Leia. «II sistema di Bakura ha un solo gigante gassoso, con una serie di lune formate dall’aggregazione di vecchie comete che gli girano attorno.» Fece una pausa. «Se quando atterriamo il Falcon è appena appena tiepido, scioglieremo tutto quello che c’è fra noi e la superficie e potrebbero essere dei chilometri.»

«Guarda», disse Leia. «Costruzioni di qualche tipo vicino al terminatore.»

«Le vedo.» Han si diresse verso l’ammasso di forme regolari. «Ma non ricevo comunicazioni... non ci sono satelliti difensivi e non riceviamo nessun tipo di segnale.» Chewie ululò il suo assenso.

Le cupole giunsero velocemente in vista. Han amplificò l’inquadratura e aumentò la definizione. Vide una doppia linea di mura in rovina fra molti crateri dall’aria terribilmente recente.

«Che disastro», disse Leia.

«Dieci a uno che i nostri misteriosi alieni qui ci sono già stati.»

«Bene.» Leia spazzolò via un po’ di polvere dallo schienale della poltrona di Han. Sorpreso, Han si voltò a guardarla. «Vuol dire che probabilmente non ritorneranno», spiegò lei.

«Lo avranno depennato dalla lista», convenne Han.

«E adesso stanno dando la caccia a un boccone molto più grosso. Spero solo che Luke stia attento.»

«Lo sarà, non temere. Okay, Chewie, sembra un posticino tranquillo. Ci nasconderemo meglio a terra... ci fonderemo con le rocce, per così dire. Andiamo giù e rallentiamo. Ma solo quel tanto che basta per compensare la gravità. Dobbiamo arrivare giù freddi.»

Non disse a Leia quanto sarebbe stato difficile «arrivare giù freddi». I suoi sensori registravano meno di 0.2 G su quella palla di ghiaccio e nessuna atmosfera per riscaldare un corpo in caduta libera; ma anche così, liberarsi del calore in eccesso non sarebbe stato uno scherzo da ragazzi. Il motore era ancora molto caldo dopo il passaggio in iperspazio e la frizione non li avrebbe aiutati: anche nello zero assoluto dello spazio esterno avevano già colpito miliardi e miliardi di ioni e atomi. Han toccò un controllo che usava molto di rado, attivando al massimo i radiatori dorsali. Se solo avesse avuto un sistema di raffreddamento per il carrello di atterraggio... ma se i desideri fossero pesci a quest’ora i Calamariani starebbero dando ordini al quartier generale dell’Alleanza.

Appena oltre, il terminatore vide un cratere largo quel tanto che bastava per contenere il Falcon. Spense i radiatori, abbassò la nave e la tenne sospesa. Ora, stando attenti a non usare i retrorazzi frenanti...

Stava per scendere quando vide una pozzanghera di liquido nero che si allargava sul fondo del cratere proprio sotto di lui.

Non era ghiaccio, dunque, ma ammoniaca solidificata o qualche altro puzzolente composto chimico dal punto di fusione così basso che perfino i getti respingenti del Falcon erano sufficienti a farlo sciogliere.

E adesso?

Chewie grugnì un suggerimento.

«Sì», convenne Han. «Orbita sincrona appunto. Buona idea.»

«Allora? Non atterriamo?» Leia si rilassò contro lo schienale alto del suo sedile mentre il Falcon passava oltre le rovine e riprendeva quota.

Chewbacca ululò, indicando un piccolo problema.

«Funziona quel che basta», disse Han.

«Che cosa funziona quel che basta?» domandò Leia.

Han rivolse un’occhiata di biasimo a Chewie. Grazie, amico. «Il tracciatore stellare del Falcon. Per mantenere l’orbita sincrona ma con il pilota automatico. È assegnato a un circuito che di solito non ha queste funzioni.»

«Perché?»

Han fece una risatina. «Non è possibile fare a una nave tutte le modifiche che ci ho fatto io senza tagliare un po’ di angoli. Il tracciatore funziona quanto basta ma... Chewie, assicurati che non andiamo alla deriva, eh? Fintanto che stiamo vicino al pianeta, nessuno ci noterà.» Han colpì il comando di un sensore. «Sembra che il grande fratello Luke stia combattendo a fianco degli Imperiali, finalmente. Suppongo che tu voglia restare qui a guardare.»

Leia si accigliò. «Con questi quadri sensori non è possibile distinguere chi è da una parte e chi è da quell’altra. E poi tutta questa situazione mi mette molto a disagio.»

«Oh.» Cos’era quel commento sul quadro sensore, un altro insulto? «Oh», aggiunse in tono più allegro. Forse, dopotutto, sarebbero riusciti ad avere un’oretta tranquilla tutta per loro. La loro cosiddetta vacanza dopo la grande festa degli Ewok era andata sprecata; Leia era esausta. Ma durante il viaggio nell’iperspazio, mentre tutti erano occupatissimi e 3BO metteva il naso dappertutto, aveva incaricato Chewie di fare un paio di modifiche alla stiva principale del Falcon che non erano previste dal Manuale di sopravvivenza di Cracken.

Sperava solo che Chewie non avesse commesso errori. Il grosso Wookiee era un meccanico eccezionale ma il suo senso estetico non era, ecco, umano.

Han Solo non si era unito a questa allegra scampagnata solo per contribuire a una nobile causa.


Leia tastò il collo di 3BO e lo riaccese, poi seguì Han a poppa. Dopo le fasi finali della battaglia di Endor, quando ormai tutto era praticamente finito, avevano parlato per ore e ore assieme. Sotto quella cinica maschera da contrabbandiere quest’uomo nascondeva degli ideali non dissimili dai suoi. Solo che erano stati, come dire, compattati: resi molto più piccoli e duri. Comunque, aveva il terrore di restare da soia fin da quando Luke le aveva dato quella terribile notizia: Darth Vader era...

No.

La sua mente aggirò le difese e tornò all’attacco: quando aveva visto Alderaan distrutto, a bordo della Morte Nera, aveva pensato di veder morire tutta la sua famiglia. In realtà, suo padre era...

No! Non avrebbe mai accettato che quell’essere fosse suo padre. Neanche se era Luke a dirlo. Si chinò per evitare un filo che pendeva. Se proprio doveva nascondersi e tenere un basso profilo per qualche ora, tanto valeva impiegare il tempo in modo utile. Aveva già perso anche troppi giorni in convalescenza e per di più la pelle sintetica non sopprimeva del tutto il bruciore terribile dell’ustione sulla sua spalla. Come aveva detto a Han, non era insopportabile... era solo difficile dimenticarsene.

Han si fermò vicino alla rampa d’ingresso. Leia si appoggiò a una paratia e lo guardò. «Che cosa c’è ancora da aggiustare?» Il Falcon era sempre il primo amore di Han. Prima accettava questa verità, meglio era. Così l’avrebbe smessa di offendersi ogni volta. E poi era ridicolo essere gelosi di un’astronave.

Han lasciò ricadere le mani lungo le strisce che decoravano i suoi pantaloni neri. «Per un paio d’ore non credo che succederà dell’altro. E comunque Chewie è di guardia.»

Improvvisamente Leia si accorse che quella luce nei suoi occhi non era spirito guerriero. «Pensavo che ci fossero delle riparazioni da fare.» Rilanciò la sfida. «Su, non c’era una nuova modifica che bisognava testare sul campo?»

«Sì, lì dentro, nella stiva principale.» S’incamminò lungo il corridoio curvo, aprì un pannello e scese nella stiva di poppa del Falcon. Aprì uno sportello che dava sul compartimento di tribordo, normalmente inaccessibile. «Qui dietro ci sono i generatori degli scudi.»

La stiva sapeva di chiuso. Leia scese dietro a Han. «Che cosa stai contrabbandando, questa volta?»

«Una cosa che ho raccolto su Endor.»

«Una cosa che noi abbiamo raccolto su Endor», lo corresse. Una parete di casse sostenute e rizzate da altre casse nascondeva alla vista la parte più lontana della stiva. Han spostò una cassa e aprì uno stipetto che aveva tutta l’aria di essere un’unità refrigerante. Mise una mano dentro, frugò e infine tirò fuori una bottiglia di vetro.

Senza mutare espressione, Leia la prese. Vetro primitivo, sigillato con un tappo di corteccia d’albero: non sembrava una cosa troppo igienica. «Che cos’è?»

«Un regalo dello sciamano ewok. Te lo ricordi, no? Quello che ci ha nominati membri onorari della tribù?»

«Sì.» Leia si drappeggiò sopra una pila di casse e ripassò la bottiglia a Han. «Non hai risposto alla mia domanda.»

Han fece forza sul tappo. «Vino... di qualche... tipo», grugnì. Il tappo uscì di colpo. «Il tuo amico dorato per poco non si è fatto saltare un resistore nel tentativo di tradurre le spiegazioni del pelosetto, ma il succo di quello che ha detto era più o meno: ‘Per incendiare il cuore già tiepido’.»

Allora era lì che voleva andare a parare. «Ehi, siamo nel bel mezzo di una battaglia.»

«Siamo sempre nel bel mezzo di qualche battaglia. Ma nel frattempo dovremo pur vivere, no?»

Leia si sentì bruciare le guance. Avrebbe preferito parlare, perfino litigare con Han, che nascondersi a bere... vino?... durante una battaglia. E come Bail Organa di certo le avrebbe fatto notare, quest’uomo non era nemmeno la compagnia adatta, per una del suo rango. Era uno che risolveva tutto a colpi di fulminatore. E lei, per adozione, se non per nascita, era una principessa.

Di nuovo l’ombra della maschera nera si protese sui suoi pensieri: Vader. Lo aveva odiato con tanta appassionata certezza di essere nel giusto.

Il vino, opaco e rosso porpora, gorgogliò mentre veniva versato in due tazze di ceramica. Era probabile che non fosse affatto un vitigno di qualità principesca. «Senti, non...» cominciò, ma senza continuare. Aveva già stabilito che anche restando attaccata alla radio subspaziale non sarebbe stata di alcuna utilità a Luke.

«Ehi.» Han le porse una delle due tazze. «A che cosa stai pensando? Di che cosa hai paura?»

«Di troppe cose.» Toccò il bordo della tazza di Han con la propria. Ci fu un tenue cozzare di ceramiche.

«Tu? Paura?»

Leia fu costretta a sorridere. A volte non c’era altra scelta che essere coraggiosi e avventati. Sorseggiò il vino, poi annusò la tazza e storse il naso. «È troppo dolce.»

«Non credo che ne facciano una varietà secca.» Han appoggiò la sua tazza su un graticcio. «Guarda qua.» Prese la sua mano e la tirò dietro la paratia di casse che divideva in due la stiva. Leia appoggiò la sua tazza accanto a quella di lui. «Io...» Han si fermò di botto.

Leia abbassò lo sguardo su un nido di cuscini gonfiabili.

«Chewie...» mugolò Han. Lasciò cadere la mano di Leia. «Ehm, suppongo che questo sia un po’ troppo... sfacciato. Non avrei dovuto fidarmi di un Wookiee.»

Leia rise. «È stato Chewie a preparare questo posto?»

«Aspetta che dica a quella grossa palla di pelo dal naso umido...»

Ancora ridendo, Leia si puntellò contro una paratia e lo spinse. Han afferrò la sua mano e caddero assieme l’uno sull’altra.

Загрузка...