15

Gaeriel era fuori della porta della casa di Eppie Belden e fissava il mazzo di nuvole spinose, potato di fresco, che aveva in mano. Ogni bocciolo fragrante a forma di spina si sarebbe trasformato in un frutto succulento, ma se si lasciavano troppe spine su ciascuna pianta i frutti sarebbero rimasti piccoli e aspri. Il simbolismo, boccioli tagliati come vite stroncate per permettere ad altri di crescere più forti, non le dava molto conforto. Chissà se Eppie avrebbe capito che quello che per più di un secolo era stato suo marito era morto mentre era nelle mani del governatore Nereus? O non sarebbe anche lui tornato a lei, più e più volte, nel volto di altri, come Roviden?

La governante di Eppie aprì la porta. «Buongiorno, Clis.»

«Ciao, Gaeriel.» Clis si fece da parte con una strana espressione sul volto rotondo. «Vieni. Presto.»7

«Qualcosa non va?» Gaeriel oltrepassò Clis e si diresse alla poltrona preferita di Eppie. Era vuota. «Dov’è?» chiese Gaeriel, allarmata.

«Nello studio.»

«Lo studio?»

«Guarda tu stessa.»

Gaeriel attraversò la sala da pranzo e andò verso l’ufficio di Orn Belden. Contro la luce di un monitor acceso si stagliava il profilo di una figura piccola, curva su se stessa. «Eppie?» gridò Gaeriel.

La figura si girò. Il viso rugoso di Eppie Belden splendeva con l’intensità di quello di un uccellino. «Perché, conosci qualcun altro che potrebbe trovarsi qua?»

«È tutta la mattina che è così», mormorò Clis. «Entra, avanti. Ha chiesto di te.»

«E di quel giovanotto.» Eppie allontanò la sua sedia a repulsione dal monitor. «Chi era? Da dove è spuntato fuori?»

Sopraffatta dalla sorpresa e incapace di articolare parola, Gaeri si sedette su una cassa da imballaggio. Non c’erano altre sedie nella stanza. «È un... Ribelle, ma uno... particolarmente pericoloso. Un Jedi. Uno di loro.»

«Oh, oh.» Eppie stava facendo dondolare i piedi sotto la sedia. «I nostri maestri ci hanno insegnato molte cose sagge, negli anni, ma anche un sacco di sciocchezze.» Puntò un dito lungo e scarno contro Gaeri. «Devi giudicare il giovane Jedi da quello che fa, non dalle dicerie e dalle parabole dei vecchi. Digli di tornare a trovarmi, in ogni caso.» Voltò la testa. «Trova un bel vaso per i fiori di Gaeri, Clis.»

La grossa governante lasciò la porta. Eppie mosse una leva che la chiudeva.


«Eppie, ma tu... tu stai bene !»

«Eri venuta a dirmi di Orn, vero?» Il muro di attivismo si assottigliò e Gaeri vide il suo fresco, aspro dolore. Ancora non aveva realizzato pienamente quello che era successo. Eppie stava lavorando freneticamente, finché poteva, per poter poi piangere quando ne avrebbe avuto il tempo. «Grazie comunque, tesoro. Ho sentito. Nessuno ha pensato di avvertirmi, ma ho passato tutta la mattina a guardare i notiziari.»

«Ma...»

«Non ho visto un solo notiziario per anni e quindi hai pensato che non avessi sentito. Stai attenta a quello che dai per scontato, Gaeriel.»

«Ma lui... Orn...»

Eppie incurvò le spalle, trasformandosi di nuovo in una vecchina appassita. «Mi mancherà, Gaeri, mancherà a tutta Bakura. L’Impero la può chiamare emorragia cerebrale, ma io so che è morto per Bakura, come avrei dovuto fare io.»

«Avrei dovuto?»

«Confessare fa bene all’anima, bambina mia. Ma non sono ancora pronta a dirti tutto. E alcune cose non sono adatte a giovani orecchie imperiali.» Girò di scatto sulla sua sedia a repulsione e toccò un pulsante. Uno schermo pieno di simboli si trasformò in un notiziario. «Incendi, scioperi, barricate nelle strade di Salis D’aar. Come vorrei avere ancora ottant’anni!»

«Eppie, ma che cosa hai fatto?»

«Solo quello che quel giovanotto, perdonami, quel giovane Jedi terribilmente pericoloso mi ha mostrato. Tu hai tante buone qualità, Gaeri, ma dovresti fare qualcosa per la tua intolleranza.»

Gaeri si lasciò sfuggire un sospiro. «Allora ti avevano davvero fatto qualcosa?»

«Non ti scaricherò addosso il peso del mio passato. Occupiamoci del futuro.»

«Il tuo passato potrebbe essere il mio futuro.»

Eppie le strizzò un occhio azzurro e vivace. «Spero di sì. E spero di no.»

Gaeri tese una mano. «Finirai per esaurirti, così. Non sarebbe meglio che tu ti stendessi per un po’?»

Eppie scosse la testa. «Mi sono sfuggiti anni interi. Ora non posso perdere nemmeno un minuto. Bakura si sta sollevando. E io voglio esserci.»

Gaeri cercò di sopprimere un tremito nelle sue mani. «Sollevando?»

«Contro Nereus, naturalmente.»

«Ma abbiamo bisogno del governatore Nereus e delle sue forze. Saremo invasi da un momento all’altro. L’Alleanza parla di libertà, ma Bakura è stata... è stata quasi distrutta dal caos. L’Impero ci ha salvato da una tragedia.»

«Non saremo mai al sicuro dalla tragedia, Gaeriel. Ognuno di noi deve essere libero di perseguire la sua tragedia personale.»

Gaeri incrociò le caviglie e la fissò. «Come poteva questa filosofa dalla mente lucida essere la vecchina demente che aveva aiutato a curare da prima della sua partenza per il centro?»

«Anche dopo una sconfitta», mormorò Eppie, «è possibile avere una vita piena e felice. Se solo io e Ora avessimo capito...

«Comunque», esclamò, raddrizzandosi, «c’è del lavoro da fare. Sei con me o contro di me?»

«Che cosa... che cosa stai facendo a quel terminale, Eppie?»

«Perché, hai in mente di denunciarmi? Guarda qui!» Tornò a voltarsi verso il monitor e premette velocemente una serie di comandi. Uno portò sullo schermo delle fiamme che si levavano vicino al complesso Bakur. Un altro, assaltatori imperiali che inseguivano civili armati. La fabbrica di componenti per la repulsione si era fermata, proclamava un altro notiziario, perché la programmazione automatica si era improvvisamente azzerata. «Salis D’aar è furiosa. Orn è morto, tuo zio è in arresto, la principessa ribelle in custodia. Che cosa hai intenzione di fare?»

«Se combattiamo gli uni contro gli altri adesso, gli Ssi-ruuk ci sconfiggeranno uno dopo l’altro!»

«È per questo che non possiamo fallire. Quella gente per strada è solo una distrazione. Io e te e pochi altri, dall’interno, possiamo guidare la vera ribellione. Possiamo ottenere moltissimo prima che gli alieni attacchino.»

«Gli alieni attaccheranno fra meno di un’ora. Ho avvertito il governatore Nereus. Non c’è tempo!»

«Nessuno ti ha mai detto che una volta ero una guerrigliera elettronica, vero?»

Gaeriel rimase a bocca aperta. Come poteva anche solo pensare di collaborare con Eppie e con i Ribelli? L’Alleanza non era pratica. Era un’accozzaglia di idealisti ingenui.

La sua propria tragedia. Se il destino garantiva che la sua vita sarebbe finita, che tragedia avrebbe scelto?

Una che portasse al trionfo. Gaeri esaminò attentamente la sua nuova idea. Non poteva consegnare Eppie Belden a Wilek Nereus. È questa la risposta, si disse. Non c’era un solo ufficiale, burocrate o professore imperiale che avesse mai ammirato come aveva ammirato Eppie.

Dunque questa era la sua decisione. Amava Bakura, non l’Impero. «Sono con te», disse piano.

Eppie le afferrò la mano e la strinse. «Lo sapevo che avevi più buon senso di quanto non lasciassi trapelare. È una decisione dura, ragazzina e ti costerà... ma congratulazioni. Adesso vedremo cos’altro possiamo fare a quella fabbrica di componenti.»

«Sei stata tu a mandare a monte l’automazione?»

Il sorriso di Eppie fece sparire la metà delle sue rughe e approfondì l’altra metà. «Quella fabbrica vale per l’Impero quanto tutta Bakura. Se la produzione cessa, sia pure nel bel mezzo di una battaglia, manderanno ogni soldato di Salis D’aar a riportare l’ordine. Il che lascia il complesso Bakur a me... e a qualche amico.»

Gaeri si sentì ribollire il sangue. «Ti posso aiutare meglio dal mio ufficio. Ho uno dei droidi ribelli nascosto lassù.»

«Aspetta.» Eppie rovistò in un cassetto e tirò fuori un pezzettino di metallo e plastica. «Lo conosci quel canale riservato alle truppe d’assalto, che si suppone assolutamente inviolabile?»

Gaeriel annuì.

«Orn voleva che tu avessi questo tanto tempo fa, ma non poteva fidarsi di te. Usalo adesso. Ti consentirà di dare qualche ordine agli assaltatori prima che vengano a prenderti.»

Gaeri chiuse la sua mano sull’oggetto.

«Be’, che cosa aspetti? Corri!» Eppie le colpì una spalla.

Gaeri tornò al complesso con il suo speeder, evitando le pattuglie imperiali e zigzagando fra barricate e incendi. Il droide dei Ribelli, C1-P8, era esattamente dove lo aveva lasciato, accanto alla sua scrivania, con la cupola che ruotava mentre emetteva pigolii inintelliggibili. Gaeri gemette. «Stai cercando di dirmi qualcosa, vero? Ma io non ci capisco niente. Aari?»

«Eccomi», annunciò la sua aiutante.

«Cerca di ottenere tutte le informazioni che puoi sulla rete dell’ufficio di Nereus, anche se vuol dire farci scoprire. Sta per cadere tutto a pezzi.»

«Agli ordini.» Con grande divertimento di Gaeri, il piccolo droide rotolò fino a un terminale e si collegò. Evidentemente era programmato per avere un bel po’ di percezione e volizione tutte sue.

«Ecco, senatrice.» Aari le aveva trasmesso una schermata. Nereus aveva ordinato alle sue truppe di soffocare tre dimostrazioni e aveva mandato il capo dei suoi servizi segreti alla fabbrica del distretto di Belden. Gli ufficiali del servizio segreto di Nereus, a quanto si diceva, prima sparavano e poi interrogavano i superstiti.

Gaeri strinse il pugno. Doveva liberare zio Yeorg e anche la principessa ribelle. Ma prima, doveva ricordare che nessun Captison aveva mai perso tempo mentre Bakura era in preda ai disordini. Porse il chip che Eppie le aveva consegnato ad Aari. «Installa questo. Ci permetterà di immetterci sulla frequenza delle truppe d’assalto.»

Aari sollevò una delle sue sopracciglia nere. C1-P8 trillò e pigolò. Perfino all’orecchio inesperto di Gaeri sembrava eccitato.

Le tremavano le mani. Un utente non autorizzato che si immetteva nella rete sarebbe stato acchiappato nel giro di pochi minuti, ma questo sarebbe stato il suo tributo alla memoria di un vecchio coraggioso.

«Eccoci», annunciò Aari un momento più tardi dalla scrivania accanto. Dal suo terminale principale Gaeri copiò i dati dell’impianto di estrazione del succo di namana, quindici chilometri più giù sulla costa, un impianto sicuro e di nessuna importanza militare: e li riversò nei banchi memoria delle truppe d’assalto al posto del loro schema della fabbrica di componenti. Quando avrebbero cercato di attaccare la fabbrica di Belden, avrebbero avuto informazioni totalmente errate. Sarebbero stati in preda alla confusione e la gente di Belden avrebbe avuto un po’ più di tempo per... be’, qualunque cosa stesse facendo Eppie, che lei non voleva nemmeno sapere cos’era.

Ma chiamò il supervisore della fabbrica su un canale convenzionale. Lo avvisò che gli assaltatori stavano arrivando e che la ribellione di Bakura era cominciata. Non era magari un’azione rivoluzionaria eclatante, ma avrebbe gettato per qualche minuto l’Impero nella confusione.

«D’accordo, Aari. Tira fuori il chip.»

Aari tirò fuori la sua cassetta degli attrezzi e rimosse l’illegale chip pseudoimperiale. «Questo è meglio che lo fonda subito.»

«Giusto.» Adesso che poteva permettersi di pensare alla liberazione di zio Yeorg, si rese conto che conosceva una sola persona che la poteva aiutare. Cancellò i dati dal suo terminale e si chinò sul droide. Si sentiva ridicola, a rivolgergli la parola. «C1-P8, mi puoi aiutare a localizzare il comandante Skywalker?»


Chewbacca camminava a grandi passi attorno al Falcon, di guardia. La nave era pronta al decollo, tutti i sistemi operativi (almeno per il momento) e da fuori sembrava al suo meglio, vale a dire che mentre se ne stava accucciata sulla bianca superficie vetrosa, ammaccata, sporca e malridotta, un osservatore di passaggio avrebbe senz’altro dubitato che potesse decollare. Chewbacca teneva d’occhio ogni nave e ogni gru, ogni speeder che veniva parcheggiato nelle vicinanze e ogni edificio in vista. Nessun segno di Luke.

Finalmente si udì il lamento acuto di uno speeder in avvicinamento. Chewie scivolò attorno allo scafo fino a una postazione dalla quale poteva sparare senza essere visto. Pochi secondi più tardi lo speeder atterrò a portata di fuoco. Un assaltatore in armatura bianca smontò in maniera incredibilmente goffa.

Aveva tutta l’aria di essere una grana. L’assaltatore non parlò, ma venne avanti con le braccia tenute in una posizione molto curiosa. O non poteva parlare, o aveva scelto di non farlo.

Chewie aveva appena finito di approntare il Falcon per il decollo. Non aveva nessuna intenzione di lasciare che un Imperiale, magari con il grilletto facile, arrivasse e mettesse un lucchetto sul portello o qualcosa del genere. Tirò fuori il suo fulminatore, lo regolò su «stordimento» e sparò.

L’assaltatore continuò a venire verso di lui, barcollando.

Chewie sparò di nuovo. Questa volta il soldato cadde a terra. Era tentato di lasciarlo lì per terra, ma poi decise che l’armatura poteva essergli utile. Trascinò il corpo, incredibilmente pesante, su per la rampa d’accesso del Falcon. Il portello principale si abbassò con un sibilo. Accucciandosi, Chewie afferrò ciascun lato dell’elmetto bianco con una possente zampa e tirò.

Dentro l’elmetto c’era una testa dorata, che continuava a ripetere con voce alta e metallica, ad altissima velocità: «uke! Padrone... uke! Padrone...»

3BO! Adesso, per l’ennesima volta, avrebbe dovuto procedere con tutti quei maledetti programmi di diagnostica. Disgustato, Chewie riprese a svestire il droide dell’armatura.


Luke guardò per l’ultima volta il cronografo con il vetro incrinato che dominava la sala ristoro. Fra cinque minuti, se la sua navetta non era arrivata, avrebbe raggiunto Chewie sul Falcon. Stava considerando una fetta di carne misteriosa, cotta in modo ineguale e piuttosto grassa. «Credo che prenderò una di quelle, con qualunque cosa abbiate per accompagnarla», disse. «Per asporto.» Avrebbe mangiato assieme a Chewie. «Oh. No. Facciamo tre di quelle.» Il bancone color arancio, sporco e grasso, era vuoto, il che suggeriva che di solito a quest’ora il posto di ristoro della piattaforma dodici era vuoto. Gruppetti isolati di Bakurani, che si scambiavano mormorii guardandosi attorno, erano seduti qua e là ai tavolini. «Arresto», sentì dire, e «morto». «Belden» e «Captison» erano altri nomi che aleggiavano nell’aria. Sentì anche dire «Jedi».

Prima se ne andava, meglio era.

Passi di corsa si avvicinarono dall’esterno. Allarmato, tese la sua mente nella Forza e fu così che avvertì Gaeriel prima ancora che la porta d’ingresso si aprisse. Tutti i suoi sensi si risvegliarono, mettendosi a fuoco sulla sua presenza. Gaeriel entrò in fretta, seguita da un’unità C1... la sua unità C1, capì, ricordando il messaggio di 3BO. C1 pigolava e fischiava in modo incoerente e la presenza di Gaeriel ronzava di eccitazione e di paura. Si avvicinò di corsa, con la gonna che sfiorava il pavimento sporco. Luke si alzò. «Che succede? Come hai fatto a trovarmi?»

«Il tuo droide mi ha portato al terminale della rete pubblica che avevi usato per ultimo. Ma non hai sentito niente? Stanno per attaccare. Lo zio Yeorg è stato arrestato.» Aveva gli occhi dilatati. «E anche la tua principessa.»

«Sì, ho sentito. Sto cercando di ritornare sulla mia nave...»

Gli incomprensibili fischi e pigolii di C1 crebbero di intensità fino a farlo ondeggiare. «Aspetta, C1. Non capisco niente.» Chiudendo per il momento la sua mente a Gaeriel, cercò in lontananza sua sorella. Lontano, poi più lontano ancora...

«Hanno dichiarato il coprifuoco», insisté Gaeriel, «e...» Un cameriere le passò accanto, ovviamente in ascolto. Gaeriel continuò più piano: «Orn Belden ha avuto un collasso mentre lo arrestavano ed è morto mezz’ora dopo. La città è in preda al caos».

«Povero vecchio Belden», mormorò Luke. In quell’istante trovò Leia. Era molto occupata e molto eccitata. Evidentemente Han era riuscito a raggiungerla.

C1 si avvicinò a lui, tirò fuori il braccetto manipolatore... e gli diede una scossa sulla caviglia, continuando a pigolare. «C1!» esclamò Luke.

Gaeri guardò a destra e a sinistra e sussurrò: «Questo è il tuo momento, Luke. Bakura è con te».

Luke alzò lo sguardo, una nuova speranza che alimentava un fuoco selvaggio nel suo cuore. «Perché sono stati arrestati?»

«Il governatore Nereus gli ha trovato addosso un proiettore di bolle di distorsione», disse Gaeriel. «C’è la pena di morte per il reato di sedizione, Luke. La città sta impazzendo. Devi liberare zio Yeorg e la principessa Leia.» Si guardò attorno come se notasse solo in quel momento il posto in cui si trovavano. «Ma che cosa ci fai qui da solo? Non ti avevo avvertito?»

«Sì. Non volevo mettere in pericolo nessuno. Io so proteggermi, ma tu farai bene a non restare per più di un paio di minuti.» Si guardò attorno, quasi aspettandosi di vedere comparire alle finestre, da un momento all’altro, gli elmetti bianchi degli assaltatori imperiali. «Vediamo se C1 riesce a trovare tuo zio. Puoi avere accesso al computer centrale del governo da un terminale pubblico?»

«Sì, dovrei riuscirci.»

Luke afferrò un coltello da uno dei tavoli vicini. Dopo un paio di secondi di tentativi, il bullone di arresto di C1 venne via con uno schiocco.

Gaeriel lo guardò con gli occhi spalancati, scandalizzata. Cercando di placarla, Luke disse: «C1, metti Gaeriel nel tuo programma di riconoscimento e ubbidienza. E anche la sua amica Eppie Belden», aggiunse impulsivamente. «Okay?» C1 cinguettò un paio di acuti, in segno di approvazione. «Bene. Adesso vedi se riesci a trovare il primo ministro Captison.»

C1 rotolò verso il tavolino d’angolo.

«Non servono a molto senza un traduttore, vero?» chiese Gaeriel.

Luke seguì C1. «Io capisco qualcosa di quello che dice. È un droide astromeccanico... un aiuto pilota, credo che si potrebbe dire, ma ti sorprenderebbe sapere quello che riesce a fare anche a terra.» Luke guardò in direzione delle porte della cucina. I cuochi ci stavano davvero mettendo un bel po’ a scaldare le sue bistecche. «Han è già andato a cercare Leia», disse.

«Luke...» Gaeriel gli afferrò il braccio appena sopra il gomito. Dal contatto fluirono in lui calore e decisione. «Torna da me quando sarà tutto finito. Dobbiamo parlare. Adesso non c’è tempo, ma dobbiamo...»

Luke si liberò. Una vaga sensazione di aggressività proveniva dalle cucine. Quasi istantaneamente si risolse in tre presenze decisamente aliene e un’altra che lo lasciava perplesso... umana, ma con un sapore alieno. Appoggiò la mano destra all’impugnatura della spada laser. Che cosa aveva detto a proposito del non mettere in pericolo altre persone?

E non aveva una volta desiderato che Gaeriel fosse in pericolo, per poterla salvare? Estrasse il fulminatore con la mano sinistra e tese il calcio verso la ragazza. «Sai sparare?» sussurrò. «Ci sono degli Ssi-ruuk là dentro. Mi dispiace di non poter aiutare tuo zio. Prendilo», insisté. Gaeri chiuse la mano sull’arma, incerta. «Di’ a C1 di avvertire la Flurry su in orbita; di spiegargli cosa sta succedendo. Poi cerca tuo zio. Adesso vattene via di qua. Subito.»

Una paura pulsante proveniva dalla donna. «Non voglio nascondermi dietro un Jedi. Voglio aiutare la Ribellione.»

Esasperato, Luke tese una mano e si calmò, pronto a usare la Forza su di lei. «Nessun altro ha mai avuto dei problemi a lasciarmi...»

Le porte della sala da pranzo, quella principale e quella laterale, si aprirono improvvisamente. Da ognuna spuntò la canna di un fucile blaster pesante e poi l’armatura bianca di un assaltatore imperiale.

Questa volta Luke sapeva che non erano dalla sua parte. Afferrò Gaeriel per le spalle e la tirò dietro di sé. I pochi clienti Bakurani si gettarono al coperto sotto i tavoli. Tre Ssi-ruuk apparvero alla porta che dava sulle cucine, grandi creature coperte di scaglie lisce con lunghe, potenti code che usavano per tenere in equilibrio il loro corpo massiccio. Due, di grandezza diversa, erano di un lucido color marrone, mentre il terzo era di un azzurro intenso. Le loro teste sembravano quelle di uccelli, con enormi becchi armati di denti e occhi completamente neri. Ognuno portava una borsa a tracolla, sistemata sotto uno degli arti anteriori. Torreggiavano sopra il personale di cucina, che sembrava del tutto terrorizzato. C1 si immobilizzò accanto al tavolino d’angolo.

Luke dovette stringere il raggio delle sue percezioni per impedire che il disgusto di Gaeriel lo sopraffacesse. Cautamente si tese verso gli alieni. I loro sentimenti filtravano nella Forza e aumentavano il potere del lato oscuro. Aveva avvertito meno ostilità nell’affamato Rancor di Jabba de’Hutt.

Tenne la spada laser bassa, lungo i fianchi. «Che cosa volete?» chiese, muovendosi con la Forza sopra quelle presenze ostili alla ricerca di punti deboli.

Un umano con una veste a righe uscì dalla cucina dietro gli alieni. «Fortunato umano!» salutò Luke, tenendo gli occhi socchiusi. «Tu sei il Jedi, Skywalker. Io ti farò da interprete.»

Luke riconobbe Dev Sibwarra dalla registrazione olografica che aveva visto. Si concentrò nella Forza, facendo ricorso a tutti gli insegnamenti di Yoda. Era in pace. Era la pace. «Io sono Skywalker», disse. «Come avete fatto ad arrivare qui?»

«In silenzio e con sottigliezza.» Il ragazzo fischiò qualcosa rivolto agli alieni, poi tese davanti a sé due mani brune. La mano sinistra si muoveva rigidamente. «Il governatore Nereus ci ha mandato una navetta, poi ha ordinato alla rete orbitale di lasciarci passare perché eravamo impegnati in una missione speciale... cioè prenderti in consegna. Tu sarai ospite dell’ammiraglio Ivpikkis e comincerai una nuova vita che non avresti neanche potuto sognare. Consegna le tue armi ai miei compagni e seguici gioiosamente.»

Di persona, Dev Sibwarra sembrava più giovane ancora, forse appena quindicenne. Luke si tese nella Forza...

E lo riconobbe una seconda volta. Era questo ragazzo che lo aveva avvertito in sogno. Luke sentiva che era potente nella Forza, ma era una potenza contorta e pervertita. Dovevano avergli fatto un qualche tipo di lavaggio del cervello, o averlo ipnotizzato; dovevano averlo alterato a tal punto che nemmeno i suoi pensieri gli appartenevano più. Luke non avrebbe potuto odiarlo neanche volendo. Doveva cercare però di non ucciderlo, nemmeno per difendersi, perché questo ragazzo era abbastanza giovane da poter essere addestrato... se solo Luke riusciva a portarlo con sé e a guarirlo.

«Grazie del tuo invito», disse Luke con calma. «Ma preferisco restare qui. Chiedi ai tuoi padroni di sedersi. Parleremo.»

«Non possono sedere, amico mio. Saremmo onorati di accettare come ospite anche la tua amica. Ma dobbiamo affrettarci.» Gaeri sbiancò in volto quando lo Ssi-ruu azzurro avanzò, ma restò al suo posto. L’alieno tese una zampa dotata di artigli verso la sua spalla. Una cosa nera uscì dalle sue narici. Gaeri fece un verso di disgusto e alzò il fulminatore di Luke.

«Indietro», ordinò Luke. L’alieno voltò la testa. Un occhio nero, profondo, lo fissò. Le lingue nasali saettarono verso di lui. Luke incanalò l’energia della Forza nelle sue parole: «Lasciala stare». L’occhio sembrava vorticare come una tempesta di tenebra, attirando la sua attenzione, risucchiando la sua volontà. Era certo questo individuo, o uno come lui, che aveva soggiogato Dev Sibwarra.

Dev fischiò, rivolto all’alieno azzurro, un suono sorprendentemente simile ai pigolii di C1. La zampa del grosso Ssi-ruu azzurro cadde sulla spalla di Gaeri. Fischiò e schioccò il becco in una voce più bassa e modulata di quella di Dev, con una gamma più ampia e un tono più sonoro. «Dice che una compagnia femminile di certo ti sarà di conforto», tradusse Dev, «e sento che i tuoi sentimenti per lei sono profondi. Ti prego, chiedile di cooperare. Dobbiamo fare in fretta.»

C1 si scuoteva, ciangottando con furia elettrica. Luke si chiese che cosa stava dicendo agli Ssi-ruuk. Due soldati imperiali vennero avanti, bloccando a C1 la strada verso la porta.

Luke gridò ai soldati: «Non avete niente contro questa donna. È me che vogliono. Lasciate che se ne vada.»

«I Flautati la vogliono», osservò la voce di un soldato filtrata dal casco. «E questa volta i Flautati ottengono tutto quello che vogliono.»

Luke accese la spada laser e l’afferrò saldamente a due mani. «Non è detto.»

Dev indietreggiò. «Storditeli!» ordinò ai soldati.

Due fucili blaster si abbassarono su di lui, fori neri su uno sfondo di elmetti bianchi. Luke si accucciò e si voltò di lato, per presentare un bersaglio ridotto. «Stai giù!» Gaeri si buttò a terra. Non aveva usato il fulminatore. Meglio così: da quello che vedeva, avrebbe scatenato una tempesta di fuoco se l’avesse fatto. A quanto pareva, lo sapeva anche lei. Questo non era il suo elemento.

I soldati aprirono il fuoco da due direzioni perpendicolari. Luke si tese ancora di più nella Forza, affidandosi all’energia che fluiva attorno a lui. Sentì il suo corpo piroettare e la spada muoversi quasi da sola e avvertì il rimbombo di scariche di energia che si spegnevano sulle pareti sporche della sala. Si avvicinò, evitando i tavolini, verso un punto a metà strada fra i suoi avversari. Improvvisamente le scariche di energia cessarono, appena gli Imperiali si resero conto che stavano sparando l’uno sull’altro al di là di Luke.

Si tese nella Forza e toccò due menti ostili. Saltò.

Sotto di lui si incrociarono scariche bianco-azzurre di stordimento. Due soldati crollarono ciascuno su un suo lato. Luke tornò a girarsi verso gli alieni. Era lento e tardo: a quanto pareva risentiva ancora dell’attacco dell’imperatore. Tossì, poi prese fiato. «C1», urlò, «portala fuori di qui. Vai a cercare aiuto.»

C1 scivolò verso Gaeri. La donna si alzò sulle ginocchia e cominciò a strisciare verso la porta d’ingresso.

Dev Sibwarra allargò le braccia. «Amico Skywalker, le stai sottraendo una gioia incomparabile.»

«Preferisce la libertà.»

«Libertà?» Dev sollevò le sopracciglia. «Noi vi offriamo libertà dalla fame.» Indicò con un gesto una pila di piatti abbandonati su un tavolo, facendo alzare uno sciame d’insetti. «Dalla malattia, dal...» Luke avvertì un refluo di Forza sfiorargli il corpo. «Ah», esclamò Dev con voce che suonava autenticamente cordiale. «Allora è vero che il tuo intecnamento è già cominciato?»

Luke fece un passo indietro. «Che cosa?»

«La tua mano. Quella destra.»

Luke abbassò lo sguardo. Riparata a Endor, la mano prostetica sembrava di nuovo del tutto naturale. «Non è stata una mia scelta.»

«Ma non è forse migliore della mano naturale? Più forte, e immune dal dolore? Non capisci che stai cercando di rubare a tanti umani come te la vera vita, la vera felicità?» Dev si spostò verso il muro. Gli Ssi-ruuk si erano tolti le sacche. Ognuno ora teneva un oggetto a forma di paletta che Luke aveva già visto sporgere dalle loro bisacce. Quelli che gli erano parsi dei manici puntavano in avanti, mentre gli alieni le brandivano attraverso impugnature protette da una cocca.

Luke si spostò di lato. «Dev, avvertili che non posso stordirli con una spada laser. Se mi attaccano, dovrò ucciderli.»

«Non devi!» gridò Dev. «Se muoiono qui, lontano da un mondo consacrato, per loro sarà una tragedia eterna. Loro di certo non ti ucciderebbero se riuscissero a sconfiggerti. Prometti che tu non ucciderai loro.»

«No», insisté Luke. «Avvertili.»

Dev fischiò frenetico.

Gli alieni lo presero di mira. Gaeri era strisciata verso la porta, ma non era ancora abbastanza vicina. Se non li attaccava per primo, l’avrebbero catturata.

Era arrivato il momento di usare la Forza per la difesa. Per la difesa di Gaeri.

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