11

Luke uscì dal posto pubblico di comunicazione vicino alla piattaforma dodici, contento di non aver usato il sistema di comunicazioni non visivo della sala di ristoro. Quando aveva visto le facce di Han e Leia si era reso conto che fra loro andava di nuovo tutto bene. Meglio che bene. Visto che si trovavano in linea aveva approfittato per fare un rapporto ufficiale sull’incidente allo spazioporto e per cercare un indirizzo.

Chewie era di guardia. Luke afferrò un ciuffo di pelo del suo braccio e disse: «Grazie, amico mio». Il Wookiee diede una grossa pacca sulle spalle a Luke in risposta, poi si diresse oltre la sala di ristoro, verso il Falcon. Una indagine approfondita aveva tranquillizzato tutti e due: nessuno ci aveva messo le mani.

Il capitano Manchisco era appoggiata contro il muro rugoso del posto di ristoro. «Esce, comandante?» Doveva essersi vestita bene per la sua licenza a terra, ma la grigia polvere onnipresente in ogni spazioporto era cosparsa generosamente sulla sua tuta color panna. Tre nere trecce però le pendevano ancora, baldanzose, da ciascun lato del viso, spolverate di paglia e di piccole foglie.

A bordo del Falcon aveva spiegato che, dimostrando secondo Luke molto buonsenso, aveva offerto al suo navigatore Duro un doppio straordinario purché accettasse di restare sulla nave. Magari il capitano Mon Calamari si fosse fatto venire la stessa idea, pensò Luke. L’Alleanza era povera, ma i suoi capi avrebbero volentieri pagato un po’ di straordinari in più pur di evitare incidenti che potevano costare vite bakurane. «Mi dica, come sta la Flurry?»

Manchisco si accigliò. «C’era un piccolo problema al deflettore di babordo. È risolto ora, ma ho dovuto permettere a una squadra di riparazioni imperiale di salire a bordo. A quest’ora tutte le specifiche della mia nave saranno nel computer di Thanas.» Infilò la mano in una tasca profonda.

«Però hanno lavorato bene?»

«Sembra che sia tutto a posto.» Scrollò le spalle. «Non so se gliel’ho detto, ma è stato un piacere fare la sua conoscenza.»

«Anche a me è piaciuto lavorare insieme. Ma non è finita qui, mi sembra.»

Il volto duro della donna, un volto che aveva visto tante battaglie, perse un po’ della sua baldanza. «È lei l’esperto di queste cose, ma ho una strana sensazione, come se non dovessimo incontrarci più.»

Un altro avvertimento. O forse Manchisco aveva avvertito una premonizione che riguardava solo lei? «Non lo so», rispose onestamente. «Il futuro è in continuo movimento.»

La donna agitò la mano sinistra in aria. «Non importa. Si fa quello che si può, finché si può. Non è così, comandante?»

«Proprio così.» Uno speeder a due posti attraversò il cancello della piattaforma dodici, con quattro soldati alleati arrampicati sopra. Proprio quello di cui avevano bisogno. La capitaneria dello spazioporto si era ripresa lo speeder con cui era arrivato.

«Notti calde, quaggiù», sospirò Manchisco. «Speriamo che non abbiano causato altri guai.» I soldati sembravano stanchi ma pacifici. «Credo che sia tutto a posto. La Forza sia con lei, capitano.» Luke requisì lo speeder e uscì sulla strada che circondava il perimetro dello spazioporto.

Cinque minuti più tardi era parcheggiato sopra una torre residenziale. Individuò l’appartamento del senatore anziano Belden vicino all’ascensore, si passò una mano fra i capelli e si sistemò la tuta grigia, poi toccò il campanello.

Mentre attendeva risposta, guardò a destra e a sinistra lungo il corridoio. Questo androne un po’ ammuffito, con il rivestimento che si staccava da più di una porta, era quanto di più diverso riuscisse a immaginare dalla residenza dei Captison. Forse la famiglia Belden possedeva da qualche parte una casa più elegante, o forse il governatore Nereus faceva sì che i crediti dei dissidenti fossero sempre in rosso.

La porta si aprì e lui fece un passo indietro. Gaeriel, anche qui? «Io...» balbettò, «eh, buongiorno. Speravo di poter parlare al senatore Belden.»

«È fuori.» La ragazza stava per scivolare in corridoio quando una voce malferma dietro di lei chiamò: «Fallo entrare, Gaeri. Fallo entrare».

«È la signora Belden», bisbigliò Gaeri, «non sta molto bene.» Si toccò il capo. «Venga dentro un momento. Clis, la sua governante, ha avuto un’emergenza in famiglia e così stamattina prendo il tè qui con lei.»

«La saluterò e basta», mormorò Luke. «Non volevo disturbare.»

Una vecchina rugosa e rattrappita era seduta su una poltrona di broccato con ampi braccioli, sostenuta da numerosi cuscini. Vestiva di un color giallo-arancio, simile a quello dei canditi di namana e i suoi radi capelli erano tinti di color mogano. «Roviden, sei tornato! Perché sei stato via tanto?»

Luke gettò un’occhiata perplessa a Gaeri. «Pensa che lei sia suo figlio», gli bisbigliò Gaeri all’orecchio. «È rimasto ucciso durante i rastrellamenti, tre anni fa. Ogni volta che vede un uomo giovane pensa che sia suo figlio. Non cerchi di convincerla del contrario. È meglio così.»

C’erano vie d’uscita? Luke vide vecchi mobili aggraziati di legno, probabilmente tutti pezzi d’antiquariato; una scatola grigia che probabilmente era un elettrodomestico di qualche tipo; e i piedi nudi di Gaeriel sotto una gonna e una camicia blu notte... ma nessun modo di sfuggire con grazia al dovere di impersonare un figlio perduto. Esitante, prese la mano della signora Belden. «Mi dispiace», mormorò. «Ho avuto tanto da fare. Per la ribellione, sai», aggiunse, tirando a indovinare. Suo figlio è rimasto ucciso durante i rastrellamenti, aveva detto Gaeriel. La vecchina strinse la sua mano. «Lo sapevo che eri da qualche parte a lavorare per la ribellione, Roviden. Mi avevano detto... oh, ma non importa. Gaeriel è sparita, sai, e...»

«No, è...» cominciò Luke.

«Sono qui, Eppie.» Gaeri si sedette su un poggiapiedi di pelliccia a repulsione.

«Tu...?» La vecchia signora Belden girò gli occhi da Luke a Gaeri, scuotendo la testa confusa. «Io...» Chiuse gli occhi e chinò la testa.

Gaeriel scrollò le spalle. «Va tutto bene, Eppie. Vuoi fare un riposino?»

«Riposo», ripeté la donna con voce stanca.

Luke seguì Gaeriel verso la porta. «Mi parli della signora Belden. Da quanto tempo è in questo stato?»

«Da tre anni.» Gaeriel scosse la testa tristemente. «Purtroppo era molto coinvolta nella resistenza contro l’Impero. Crollò con la morte di Roviden. La... distrusse.»

«Forse è per questo che l’hanno lasciata vivere», ipotizzò Luke.

Il mento appuntito di Gaeri si alzò, rabbioso. «Non può...»

La signora Belden cominciò ad agitarsi nella sua poltrona. «Non andartene senza salutarmi», supplicò.

Sentendosi troppo imbarazzato per poter semplicemente scappare via, Luke tornò indietro e si inginocchiò accanto alla signora Belden. Ripulì la sua mente da preoccupazioni e desideri e si concentrò, esaminando nel profondo le sensazioni della signora Belden. Il palpitare della sua mente per essere quello di una vecchia demente che necessitava di cure continue. Il suo intelletto era ancora intatto e influenzava la Forza... creando una pulsione vitale tanto forte da far sospettare a Luke che la donna possedesse un certo grado di potenza, anche se non addestrata. Ma alcuni degli anelli che avrebbero dovuto unire la mente ai sensi e alla possibilità di comunicare erano inattivi. Erano stati tagliati. È stato l’Impero a ridurla così, comprese.

Alzò lo sguardo e incontrò due occhi acquosi e molto tristi. Gaeriel l’osservava da dietro. Se lui adesso avesse usato la Forza, avrebbe potuto buttarlo fuori di casa. O magari, d’altra parte, avrebbe cominciato a rispettare le sue capacità.

Ma a prescindere da quello che Gaeriel poteva desiderare, Eppie Belden aveva bisogno di essere guarita. Luke accarezzò la mano scheletrica, cosparsa di macchie di vecchiaia. Doveva continuare a fingere di essere suo figlio? Sembrava un inganno pericoloso, se desiderava usare la Forza. «Voglio mostrarti qualcosa», mormorò, ignorando Gaeriel, il che non era facile. «Se riesci a copiare quello che faccio io, potresti guarire da sola.»

La sua presenza divenne più brillante e piena di speranza.

«No», corresse. «Sii calma e tranquilla. Ascolta profondamente.» La costrinse a svegliarsi e le mostrò come si era guarito, mentre viaggiavano nell’iperspazio... il silenzio, la concentrazione, la forza... e fece sì che lei vedesse, anche se non capiva, che non era stato in grado di portare a termine l’opera perfettamente. Poi girò la sua coscienza all’interno, verso se stessa. Qualcosa è stato danneggiato, le disse. Penso che sia stato l’Impero a farlo. Cercalo, trovalo. Guariscilo. Combatti, Eppie, che la Forza sia con te. Yoda avrebbe detto che era «troppo vecchia per imparare», ma questo non era un addestramento Jedi. Non esattamente. E poi, Yoda, non se ne andrà in giro a inseguire i guai come ho fatto io.

Un’ondata di gratitudine lo trascinò via dalla sua mente. Respirò a fondo e si rimise in piedi. Eppie Belden era appoggiata contro i suoi cuscini, gli occhi chiusi e respirava tranquillamente.

«Che cosa le ha fatto?» Gaeriel aveva assunto inconsciamente una posizione aggressiva.

Luke studiò i suoi occhi. Gli sembrava che quello grigio stesse ancora considerando la situazione, mentre quello verde sembrava già molto arrabbiato. «C’è ancora una mente molto sveglia lì dentro», disse sottovoce. «Non credo che il suo problema sia di origine naturale. Penso che le abbiano fatto qualcosa.»

Gaeriel esitò. «Deliberatamente, vuole dire?»

Luke annuì. Avvertendo l’ostilità della donna che si allontanava da lui, rimase in silenzio ancora un po’ per darle modo di capire tutte le implicazioni di quello che aveva detto. Qualcuno le aveva fatto del male. Chi, se non l’Impero? Poi continuò: «So qualche cosa delle arti dell’autoguarigione. Le ho mostrato qualcosa che potrebbe provare su se stessa. Questo è tutto».

«Ed è tanto poco, per lei?» chiese la donna con amarezza.

Un non Jedi ovviamente non lo avrebbe potuto fare. «Non le ho fatto niente. Le do la mia parola di... di uomo d’onore.»

Dopo un attimo, Gaeriel scrollò le spalle, accantonando l’argomento. «Venga, si sieda qui fuori.» Uscì da una porta ad arco e passò in una sala da pranzo rivestita di piastrelle bianche, riassettandosi la veste blu con entrambe le mani mentre camminava. Gli indicò una poltrona dietro a un tavolo trasparente accanto a una teiera che fumava e spandeva tutt’intorno un odore fragrante. «Se può fare tutto questo con la Forza», disse, «perché semplicemente non sale su un caccia, si apre la strada fino all’ammiraglia ssi-ruuvi e ci libera di loro una volta per tutte?»

Ci potrei anche provare, se me lo chiedi tu. Sospirò per allontanare l’impulso e spiegò: «Se usassi i miei poteri in preda alla collera o all’aggressività, invece che per la difesa e l’aumento della conoscenza, il lato oscuro mi conquisterebbe. Ha già conquistato...» Soffocò la terribile tentazione di dire tutto. Un giorno, sarebbe stato costretto ad ammettere la sua discendenza. E quasi desiderava che quel giorno fosse già arrivato. Ma non era ancora giunto il momento in cui la sua umiliante, provocatoria rivelazione sarebbe potuta servire a qualcosa. Dirlo ora a Gaeriel avrebbe potuto essere disastroso. «Ha già conquistato molti Jedi. Essi sono diventati agenti del male, che dovettero essere combattuti e distrutti.»

«Avrei dovuto indovinarlo.» Gaeriel lo guardò da capo a piedi, poi inclinò la testa verso la porta aperta.

Attraverso Eppie forse sarebbe riuscito a conquistarla. «Se mette in pratica quello che le ho mostrato, potrebbe sembrare profondamente addormentata per... be’, per diversi giorni.»

«Questa sarebbe comunque una benedizione.» Rilassata, Gaeri incrociò le caviglie sotto il tavolo. «Di che cosa voleva parlare con Orn?»

Oh, maledizione. Comandare la Flurry era più facile che ammettere questo. «Alcuni dei vostri concittadini hanno attaccato alcuni dei miei uomini allo spazioporto, questa mattina. C’erano degli alieni alleati con loro, e la vostra gente ha pensato che fossero Ssi-ruuk. Io sospetto che il governatore Nereus abbia scovato un po’ di Bakurani che amano i guai e abbia fatto in modo che ne trovassero di bell’e pronti.»

Avvertì il suo sospetto. «Ci sono stati dei feriti?»

«Due morti. Bakurani. La principessa Leia sta facendo proprio adesso le sue scuse formali», aggiunse in fretta. «Vorrei che potessimo fare altro. Non avrebbe dovuto succedere.» Guardò fuori da una grande finestra. Il sole mattutino ora era brillante, ma lui si sentiva ancora gelato fino nelle ossa. Sì, era stato avvertito. Da qualche parte, là fuori, gli Ssi-ruuk presto si sarebbero messi a cercarlo. Non pensava di essere ancora in grave pericolo, ma non era ancora certo del perché lo volevano. Che cosa ci faceva qui? Sarebbe riuscito soltanto a esporre Gaeriel e la signora Belden al pericolo. «Se il senatore Belden ha qualcosa da suggerirmi a proposito di questo incidente, la prego, gli dica di mettersi in contatto con me.» Si alzò. «Spero che la signora Belden migliori. Quello che ho sentito, sotto le sue ferite...» Cercò le parole per dirlo. «Penso che mi sarebbe piaciuta. Era una donna che sapeva combattere, vero?»

Gaeriel sollevò il sopracciglio sinistro.

Ottimo. Le aveva di nuovo ricordato i suoi poteri jedi. Guardare il pavimento non lo avrebbe aiutato, perché i piedi nudi della ragazza suggerivano uno spirito leggero e allegro. Tranne quando ci sono io nei dintorni. «Grazie. Sarà meglio che vada.»

Mentre si dirigevano verso la porta lanciò un’occhiata alla signora Belden. Non si era mossa. Gaeriel uscì dietro di lui nello squallido pianerottolo. «Luke», mormorò, «grazie per averci provato.»

«Luke»... finalmente aveva usato il suo nome. Si diresse verso il parcheggio sul tetto con il cuore molto più leggero.


Leia si sorprese ad affrettare il passo mentre conduceva 3BO oltre un portone sorvegliato da guardie bakurane nella vecchia ala corporativa del complesso Bakur. C1 le veniva dietro in silenzio scivolando sulle sue rotelline e Han chiudeva la retroguardia. L’ufficio privato del primo ministro Captison era rivestito di legno rossastro. La sua scrivania era stata ricavata dalla radice nodosa di un gigantesco albero proveniente da qualche foresta pluviale. Il primo ministro era seduto al centro, dove una parte della superficie irregolare era stata spianata e levigata; aveva un cipiglio piuttosto scuro.

Erano tanto in ritardo? Improvvisamente si rese conto che la sua smorfia era diretta a 3BO e C1, non a lei. Agitò il controllore del bullone di costrizione per mostrare a Captison che entrambi i droidi erano sotto il suo controllo. Aveva anche programmato 3BO in modo che non parlasse finché lei non toglieva l’inibizione. Chiedergli semplicemente di tenere la bocca chiusa non le era sembrato giusto... o possibile. «Mi dispiace di essere stata trattenuta», esordì.

Captison non era un uomo fisicamente imponente, ma come Luke, irradiava fiducia in se stesso. «Spero che abbiate potuto risolvere il vostro piccolo problema personale.»

«Sì, grazie.»

Indicò due sedie a repulsione con il braccio teso. Han ne spinse una verso di lei e si sedette sull’altra. Di traverso. Ti amo, contrabbandiere, ripeté silenziosamente Leia mentre si accomodava sul sedile oscillante. «Devo porgervi le mie scuse formali per le morti avvenute questa mattina. Sarebbe possibile per lei mettermi in contatto con le famiglie dei combattenti che sono rimasti uccisi?»

Un angolo della bocca di Captison vibrò mentre guardava Han. «Penso che verrebbe molto apprezzato. Sì, farò in modo che voi possiate farlo. C’è anche stato un cambiamento nello schieramento della flotta ssi-ruuvi appena fuori della nostra rete di sicurezza», aggiunse Captison. «La nostra rete a sua volta ha modificato il suo schieramento per compensare la situazione. O almeno così mi dice il comandante Thanas.»

Leia colse l’occhiata obliqua di Han. «Vuol dire che il comandante riferisce sia a lei sia al governatore Nereus?» chiese Han.

Captison scrollò le spalle. «Gliel’ho chiesto io. Mi sembrava il minimo che potesse fare.»

Leia sospirò. «Forse non vi rendete conto di quanto sia insolito per un ufficiale imperiale degnare della minima attenzione la gente che in teoria è chiamato a difendere.»

«Ma no?»

Forse, invece, Captison lo sapeva perfettamente. Forse aveva lavorato a lungo e duramente per ingraziarsi il comandante Pter Thanas. «A ogni modo, ecco i droidi che le ho offerto. Possiamo provare a tradurre le vostre registrazioni?»

«Non vado pazzo per i droidi», disse Captison secco. «Ma a questo punto sono disposto a usarli, se c’è la minima possibilità che siano di aiuto.»

Leia puntò il controllore verso 3BO. Il droide ronzò sommessamente.

Come se non fosse mai stato zittito, 3BO intervenne. «Conosco sei milioni di forme di comunicazione, signore.»

Leia aveva sentito quella frase talmente tante volte che aveva dimenticato quanto era impressionante. L’improvviso interesse di Captison glielo ricordò. «È vero, sua altezza me lo ha detto ieri, a cena.» Toccò un comando della sua consolle da scrivania. «Zilpha, mandaci quelle registrazioni di trasmissione internave che abbiamo raccolto dai Flautati.» Si appoggiò allo schienale della sedia e spiegò: «Ne abbiamo a volontà dei loro ciangottii. Sembrano uno stormo di uccelli... uccellacci grossi e brutti, con voci profonde.»

«Be’, se c’è qualcuno che è bravo a parlare è il nostro ferraglia dorata.» Han diede un colpetto con le nocche della mano sulla spalla metallica di 3BO.

La testa di 3BO si voltò di scatto verso di lui. «Grazie, generale Solo.»

Una lucetta cambiò di colore accanto al gomito di Captison. «Eccoci. Fate ascoltare questo al vostro droide.»

«Può parlargli direttamente», intervenne Leia. «La sua designazione ufficiale è Di-Tre-Bi-O e risponde al nome di 3BO.»

«Va bene», disse Captison. «Ascolta, 3BO. Dimmi di che cosa stanno parlando.»

La consolle emise una serie di fischi, schiocchi e grugniti, in una gamma che andava da uno stridulo contralto a un basso sinistro. I Flautati suonavano uno strumento dall’estensione notevole. Mentre Leia ascoltava, osservava l’ufficio di Captison. Le sue due finestre guardavano su un parco rotondo ornato di figure in pietra. I vetri chiari delle finestre erano incorniciati da inserti di vetro colorato raffiguranti alti alberi frondosi con il tronco dritto. Alberi di namana, pensò.

3BO chinò la testa, la scosse. «Mi dispiace, primo ministro Captison, ma non riesco a ricavarne niente. È totalmente al di là della mia comprensione, anche se sono in servizio da molti anni e posso comunicare in ogni lingua che sia mai stata usata nello spazio repubblicano o imperiale.»

«I nostri Flautati vengono da fuori lo spazio repubblicano e imperiale», commentò Captison. «Come credo di avere fatto presente.»

Han si sfregò il mento. Leia non sapeva che cosa dire.

Da dietro di loro venne un sibilo altissimo. Sorpresa, Leia si voltò. C1 era al suo posto in un angolo rivestito di legno e fischiettava quella che sembrava un’imitazione perfetta della registrazione del primo ministro Captison.

«3BO», disse quando C1 ebbe finito, «non era esattamente così che si sono espressi gli Ssi-ruuk?»

«No di certo», rispose 3BO fermamente. «Ha sbagliato una nota di ben quattro cicli.»

C1 fece una pernacchia elettronica.

«Lubrifica i tuoi transistor, mucchio di ferraglia», ritorse 3BO. «Non ti permetto di usare questo linguaggio con me.»

Captison sollevò un sopracciglio bianco. «Li può duplicare con questa esattezza?»

«Se C1 ritiene di sì non ho ragione di dubitare di lui, anche se non mi era mai venuto in mente che ne fosse capace», ammise Leia. «Signore, sono sicura che se gli diamo abbastanza tempo e materiale su cui lavorare, 3BO potrebbe fare un valido tentativo di decodificare questo linguaggio.»

«Se ci riesce», disse Captison indicando il piccolo droide azzurro, «abbiamo qualcuno che lo può parlare come se fosse la sua lingua madre. Portate i vostri amici metallici nell’ufficio del mio assistente. Zilpha gli darà abbastanza registrazioni da tenerli occupati fino a domani notte.»


Il governatore Wilek Nereus addentò un’estremità di un bastoncino di namana e masticò pensierosamente. In quel vialetto circondato da vegetazione, con alte felci e piante di frutto della passione tutt’intorno, poteva dimenticare per il momento la minaccia che pendeva su Bakura e pensare alla sua carriera. Con Palpatine e Vader morti, l’Alleanza Ribelle, la cui pericolosità nei comunicati ufficiali veniva doverosamente e sprezzantemente minimizzata, costituiva una minaccia da non trascurare.

Ma tutti i pronostici erano ancora in favore dell’Impero e qui a portata di tiro lui aveva due importanti capi della ribellione. Lui, personalmente, poteva sensibilmente indebolire l’Alleanza.

Respinse questa distrazione. Mentre passeggiava lungo il vialetto i suoi pensieri ripresero a percorrere il cammino originale. Di certo qualche nuovo personaggio sarebbe salito sul trono imperiale. Nereus era tentato di calcolare i rischi e le opportunità di vittoria se avesse azzardato lui stesso quel salto, ma da dove si trovava, lì in periferia, non aveva nessuna possibilità sostanziale di riuscita... e chi tentava quel salto e non riusciva era un uomo morto. Dunque avrebbe dovuto attendere che un nuovo imperatore emergesse, adularlo ed esaltarlo, e nel frattempo fare di Bakura una testimonianza eloquente delle sue capacità di governare in modo produttivo e pacifico.

Sempre che gli Ssi-ruuk non gli portassero via tutto. Li disprezzava per principio, li avrebbe disprezzati anche se non ci fosse stata quella complicazione dell’intecnamento. Da giovane aveva avuto due hobby: la parassitologia aliena e la xenodentizione. L’Impero aveva avuto l’occasione di sfruttare, con molta discrezione, entrambi questi suoi interessi. Gli alieni erano creature da dissezionare o da combattere... non con le quali allearsi.

Il suo aiutante si mise sull’attenti a qualche passo di distanza dalla fontana centrale della parte sud-est del parco. Nereus aveva dato ordine di non essere disturbato per nessun motivo e lasciò che il messaggero aspettasse il suo comodo. Era andato lì per godersi un paio di minuti di pace e, per tutte le forze e gli equilibri adorati da questi sciocchi, non aveva intenzione di lasciarseli rubare.

Morse di nuovo la barretta dal sapore fruttato e guardò nel cuore della fontana, crogiolandosi nel piacevole calore che il dolce produceva in lui. Controllava bene la sua dipendenza da namana: nettare solo la sera e solo due pause al giorno per mangiare il candito, di solito passate lì, vicino alla fontana. L’acqua saltava, spinta da motivatori sonici, in dozzine di diverse, vorticose sfide alla gravità, finché Bakura non la ricatturava e la trascinava nella turbolenta vasca azzurra sottostante.

Anche l’Impero sapeva sopravvivere alle turbolenze. I colleghi di Nereus avevano fatto della burocrazia imperiale un animale che si autoperpetuava, e al servizio dell’Impero Wilek Nereus avrebbe fatto carriera più in fretta, acquisendo più autorità ed esercitando un maggior potere, che in qualunque altro sistema di governo. E quindi era disposto a vendere tutto e tutti pur di mantenere il controllo imperiale su Bakura. La perdita della seconda Morte Nera lo aveva molto deluso. La paura era il sistema migliore per tenere in riga Bakura. Be’, di certo, ora gli indigeni erano spaventati. Sospirando, si voltò verso il suo aiutante. «Confido che si tratti di qualcosa di grave.»

«Signore.» L’aiutante salutò. «C’è un messaggio personale diretto a lei sulla rete olografica, proveniente dalla flotta ssi-ruuvi.»

I Flautati avevano catturato diverse navi imperiali da quando avevano ricevuto il messaggio di Sibwarra: ora avevano accesso alla rete olografica. «Idiota», proruppe Nereus, «perché non me lo hai detto prima? Passamelo sulla mia scrivania.»

L’aiutante si tolse un comunicatore dalla cintola per riferire l’ordine ricevuto. Nereus s’incamminò lungo il sentiero muschioso. Due guardie in uniforme tenevano aperte delle porte a vetri nell’angolo di un tunnel sotterraneo che univa il viale boscoso con il successivo. Nereus girò a sinistra, poi di nuovo a sinistra per arrivare agli uffici del suo staff e al suo ufficio privato con le ampie finestre.

Sopra la plancia ricevente dell’HoloNet accanto alla sua scrivania, pulsava una luce verde. Si raddrizzò il colletto e si passò una mano sulle insegne che portava sul petto per assicurarsi che non fossero sporche di polline, poi voltò la sedia a repulsione in modo da trovarsi di fronte al trasmettitore. «Sono pronto», disse alla scrivania. Strinse le dita attorno ai braccioli. Che cosa mai potevano volere ora i Flautati?

Una figura translucida alta un metro apparve sopra la piattaforma ricevente: un umano vestito con una tunica a righe. «Governatore Nereus.» La figura s’inchinò profondamente. «Forse si ricorderà di me, io sono...»

«Dev Sibwarra», ringhiò Nereus. Quello sì che era un parassita alieno. «Sì, ti conosco quanto basta. Quali notizie gioiose ci porti, questa volta?»

Sibwarra scosse la testa. «Meno gioiose di prima, temo, ma forse del tipo che per ora le procureranno un piacere maggiore. I potenti Ssi-ruuk, avvertendo la vostra esitazione a unirvi all’Impero nella sua ricerca dell’unità galattica, della libertà dalle limitazioni fisiche...»

Nereus afferrò un lungo dente di Llwelkyn che era appoggiato su una pila di fogli. «Vieni al punto.»

Sibwarra tese una mano. «L’ammiraglio Ivpikkis è disposto a ritirare la sua flotta dal vostro sistema solare, se acconsentirete a soddisfare una nostra richiesta.»

«Continua.» Nereus fece correre un dito sul lato tagliente del dente. Se l’ologramma fosse stato di carne, lo avrebbe potuto trafiggere...

«Fra i nuovi visitatori del vostro sistema c’è un uomo che si chiama Skywalker. Se lo consegnerete a una delegazione di Ssi-ruuk, noi ce ne andremo immediatamente.»

Nereus fece un suono scettico. «E perché lo volete?»

Sibwarra inclinò la testa e strinse gli occhi, acquistando l’aspetto di un rettile. «Vogliamo solo liberarvi da una presenza sgradevole.»

«Non ci credo nemmeno per un istante.» Certo che se gli alieni si fossero trasferiti altrove alla ricerca di ricariche umane per i loro droidi... e lui sarebbe stato felicissimo di suggerirgli una destinazione, che so, Endor... allora Bakura sarebbe tornata al suo status quo, lui sarebbe rimasto al potere e avrebbe potuto avvertire l’Impero del pericolo che si avvicinava.

Sibwarra disse: «Mi dicono di ammettere che ci sarebbe utile in alcuni esperimenti».

«Oh, certo.» Hah! Qualunque fosse il vero motivo per cui avevano bisogno di Skywalker, doveva avere a che fare con l’intecnamento. Non si fidava di Sibwarra e nemmeno dei suoi padroni rettili. Se volevano Skywalker, doveva fare in modo che non ci mettessero le mani sopra.

Ma doveva esserci un modo di far tornare questa proposta a proprio vantaggio. «Ho bisogno di tempo per sistemare le cose.» Avrebbe potuto uccidere Skywalker subito. Oppure... sì, avrebbe potuto aiutare gli Ssi-ruuk a catturare il giovane Jedi, ma accertarsi che morisse prima che potessero usarlo, prendendo due piccioni particolarmente pericolosi con una fava.

Ma chissà se gli ufficiali ribelli avrebbero obbedito a Thanas, una volta che il loro comandante fosse svanito, rapito dalla flotta nemica? Picchiettò il lungo dente d’avorio sul suo tavolo. Sì, se fosse stata la loro unica speranza di sopravvivenza.

Guardandolo con i suoi occhi stretti, Sibwarra premette le mani l’una contro l’altra e si toccò il mento con le dita unite. «Un giorno sarà sufficiente per completare i suoi preparativi?»

Oh, quanto lo disprezzava. «Penso di sì. Chiamatemi di nuovo domani, intorno a mezzogiorno.»


Tre rapidi colpi alla porta dell’ufficio di Gaeriel interruppero il suo tentativo di recuperare il lavoro della mattina. L’allusione di Luke Skywalker al fatto che fossero stati gli Imperiali a rubare la mente di Eppie l’aveva tormentata per tutto il tragitto fino al complesso Bakur. Subito dopo essere arrivata aveva controllato la fedina penale di Eppie. Tutti quelli che erano stati arrestati durante i rastrellamenti ne avevano una, perfino suo zio Yeorg (per un reato minore).

Ma non Eppie. O era svanito o era sottoposto a un codice di estrema sicurezza. Ma perché l’Impero avrebbe dovuto disturbarsi a nasconderlo?

Fermò e sigillò il suo programma di controllo delle entrate fiscali e gridò: «Avanti».

Una donna magra e vestita con una tuta verde scuro si guardò alle spalle ed entrò dalla porta.

Gaeriel si raddrizzò sulla sedia. «Aari. Che cosa c’è?»

«Intercettazione», lesse sulla bocca di Aari, silenziosamente. «Ufficio di Nereus.»

Gaeriel le fece segno di avvicinarsi. Il suo staff era riuscito ad aggirare diversi sistemi di sicurezza che proteggevano l’ufficio di Nereus, ma, di sicuro, anche lui aveva orecchi nell’ufficio di Gaeriel. «Che cosa hai sentito?»

Le labbra di Aari sfiorarono l’orecchio di Gaeriel mentre sussurrava: «Gli Ssi-ruuk hanno appena fatto un’offerta a Nereus se avesse accettato di consegnargli il comandante Skywalker».

Gaeri sentì un blocco di ghiaccio nello stomaco. Luke Skywalker aveva visto l’imperatore morire. Era ovvio che non era semplicemente un giovane Jedi. Doveva essere un individuo cruciale per l’Alleanza... per l’intera galassia che stava così rapidamente cambiando.

E allora perché loro volevano tanto averlo? Gaeri sentì le dita dei piedi che si arricciavano nervosamente nelle sue scarpe. Luke aveva rischiato consapevolmente di giocarsi la sua benevolenza quando aveva usato i suoi poteri per aiutare Eppie e, francamente, era una decisione che lei aveva ammirato. Se i Jedi erano davvero tanto egoisti, come mai aveva agito secondo ciò che dettava la sua coscienza nonostante la disapprovazione di Gaeri, quando era ovvio che desiderava tanto disperatamente e spaventosamente diventare suo amico?

Evidentemente gli Ssi-ruuk pensavano di poterlo manovrare. Se fosse stato così, qualunque essere umano, perfino Wilek Nereus, avrebbe avuto interesse a tenerlo lontano da loro. O Nereus non capiva che cosa avrebbe potuto significare per l’umanità consegnare Skywalker ed era talmente ossessionato dal desiderio di scacciare l’Alleanza da questo pianeta da non pensarci, oppure...

Oppure avrebbe tentato di uccidere Luke prima che gli Ssi-ruuk potessero catturarlo per conto loro. Questo voleva dire che per Luke Skywalker, qualunque cosa egli fosse, non c’era più molto tempo...

Doveva avvertirlo? Non fare niente avrebbe voluto dire portare peso al piatto di Nereus nella bilancia dell’equilibrio cosmico. Aiutare Skywalker poteva voler dire alleggerire il peso di tutto il resto dell’universo.

Ma era difficile pensare in termini così universali quando un pericolo concreto e immediato minacciava la gente di Bakura. Luke l’aveva convinta, se non altro, che avrebbe fatto tutto quanto era in suo potere per aiutare Bakura a respingere gli Ssi-ruuk. «Grazie, Aari.» Si alzò in piedi e controllò il suo cronografo. A quest’ora la gente per bene stava già cenando. «Ci penserò io.»

Загрузка...