17

«Ora la gamba sinistra.»

Gaeriel obbediente, agitò le dita del piede sinistro.

Il medico imperiale si accigliò, inclinò indietro la testa di Gaeri spingendola con inesorabile gentilezza professionale e riesaminò la leggera bruciatura che attraversava la sua gola. «Mi sembra che sia qualche tipo di ionizzazione del sistema nervoso, dall’aspetto. O almeno questo è quello che scriverò nel mio rapporto.»

Gaeriel tossì. «Posso andare, ora?»

«No, mi dispiace. Ci hanno chiesto di tenerla qui ancora un po’ in osservazione.»

«Che cosa sta succedendo? Ho sentito una sirena.»

«Hanno colpito la stazione orbitale.»

Dunque era cominciata. Gaeriel si guardò attorno nella stanza spoglia. Quattro pareti bianche, un alto soffitto, nessuna finestra, una porta. La pattuglia d’emergenza l’aveva riportata al complesso distesa su una barella a repulsione. Prima di allora, il suo ricordo più vivido era di Luke che avanzava verso quattro assaltatori. Poi l’allarme della difesa civile. Poi il droide l’aveva trascinata fuori verso la sicurezza e lei era rimasta distesa per un tempo apparentemente infinito, fino a che la pattuglia di emergenza non aveva raggiunto il posto di ristoro. A quel punto, Skywalker e gli Ssi-ruuk erano scomparsi dentro la navetta imperiale... e lei riusciva di nuovo a muoversi.

Ma era finita, l’umanità era condannata. Avevano preso Luke. Non riusciva a immaginare neppure un Jedi che potesse essere abbastanza forte da resistere da solo contro tutti loro... qualunque cosa sperassero di fare con lui. Avrebbero forse tentato di trasformarlo in un superdroide? Poteva anche darsi che fallissero.

Ma anche se ci fossero riusciti, lei avrebbe preferito morire qui su Bakura che come prigioniera degli Ssi-ruuk. La sua depressione si trasformò in risolutezza. Niente e nessuno ormai poteva minacciarla.

Il medico uscì. Gaeri scivolò dal lettino e zoppicò fino alla porta. I suoi muscoli sembravano tutti funzionare di nuovo, ma fra le intenzioni e il movimento che seguiva passava uno scomodo intervallo. Toccò il pannello sensore della porta.

Sbarrato.

Non potevano avere intenzione di trattenerla lì a lungo. La stanza non aveva neppure... Adesso che si era fatta venire in mente i servizi, avrebbe preferito non averci mai pensato. Ripensò a Eppie, che stava conducendo una rivoluzione da una tastiera nel suo squallido appartamento. Avrebbe fatto in tempo? Il complesso Bakur si estendeva attraverso tutto il cuore di Salis D’aar, con dozzine di entrate diverse: come pensava di riuscire a controllarlo... ma davvero era questo che aveva intenzione di fare? In fondo, tutto quello che aveva bisogno di controllare era Wilek Nereus. Il comandante Thanas e le forze spaziali avevano già lasciato il pianeta, impegnate nella difesa di Bakura...

I suoi pensieri vorticarono e si fermarono soffocati dal pessimismo. Ora non ci sarebbe stata più nessuna difesa possibile contro gli Ssi-ruuk.

La porta si aprì. Due soldati di marina entrarono. «Venga con noi», ordinò uno dei due.

Gaeriel lo seguì oltre una stazione medica e lungo il corridoio. Ben presto si rese conto della direzione in cui la stavano portando e soffocò la tentazione di scappare. Era sempre riuscita a evitare l’ufficio privato del governatore Nereus. Aveva sentito su quel posto delle voci molto preoccupanti. E poi c’erano le sottili attenzioni che Nereus le stava tributando...

Il soldato che aveva il comando aprì la porta del governatore e le fece segno di entrare. Gaeriel entrò con passo tranquillo. Meglio morire su Bakura, ma combattendo.

Il governatore Nereus sedeva a una scrivania con un piano lucido e biancastro. Sulla superficie si intravedevano delle leggere venature marroncine disposte in cerchi concentrici come gli anelli di un albero, ma non sembrava proprio che fosse un tipo di legno. In silenzio le indicò una sedia e rimase a guardare mentre i soldati uscivano.

La prima cosa che attirò la sua attenzione fu un ologramma incorniciato appeso alla parete più vicina a lei. Un enorme carnivoro con la bocca aperta in un ringhio. I suoi quattro lunghi canini avevano un aspetto stranamente reale.

«Un Ketrann», disse Nereus. «Di Alk’lellish III.»

«Ma quei denti. Sono... veri?»

«Sì. Guarda pure intorno.»

Al disopra e oltre quell’ologramma ne erano appesi altri molto simili, interrotti qui e là da una semplice arcata dentale montata nella plastica trasparente. «Allora questa è la sua collezione, vero?»

«Sono tutti predatori. Ne ho di provenienti da diciassette mondi diversi, compreso il Cratsch di Bakura.» Picchiettò con un dito sopra un cubo di plastica trasparente appoggiato in un angolo della sua scrivania. «Su quella parete...» Indicò un’altra serie di immagini olografiche. «Quelli sono tutti alieni senzienti.» Gaeriel pensò agli enormi canini del Wookiee Chewbacca e si accigliò. «È il predatore più pericoloso di tutti.» Nereus le gettò un cristallo sfaccettato. All’interno luccicavano un paio di incisivi umani.

Il primo istinto di Gaeriel fu di gettarglieli addosso, ma resistette. Più tardi forse avrebbe avuto l’occasione di causare un danno più consistente. «Spero che presto lei possa aggiungere al resto un paio di denti ssi-ruuvi.» Cercava di avere un tono disinvolto.

«Sì, trovo interessante che i loro becchi siano forniti di denti.» Nereus si schiarì la gola. «Naturalmente, preferisco trarre i miei campioni da individui che ho cacciato personalmente. La principessa ribelle sembra aver rifiutato la mia ospitalità, per il momento. Dovrà essere punita per avere sfidato i miei ordini. Il mio specialista dentale non è affatto gentile.»

Demonio, pensò Gaeriel. Per adesso avrebbe fatto finta di stare al suo gioco e avrebbe cercato di essere per lui come una serpe nel cestino del picnic, ma prima o poi Wilek Nereus avrebbe pagato per i suoi crimini. Gaeriel inghiottì e soffocò un altro colpo di tosse. Non era proprio il momento di ammalarsi. Nereus aprì la mano e Gaeriel gli gettò il cristallo.

«Ammirevole diplomazia, senatrice. La tua capacità di controllo sotto pressione è notevole. Hai potuto vedere bene l’arma con cui ti hanno sparato?»

Gaeriel la descrisse mentre Nereus si passava il cristallo da una mano all’altra. Quando ebbe finito, si trovò di nuovo a pensare a Eppie Belden. Se questo attacco degli Ssi-ruuk fosse fallito, Eppie avrebbe avuto bisogno di un’altra opportunità. «Governatore, la prego, riconsideri la possibilità di consentire un funerale pubblico per il senatore Belden. Bakura ha bisogno...»

«Quello di cui non ha bisogno sono altri assembramenti. No. Il coprifuoco rimane.» Nereus la guardò fissa, dandole improvvisamente l’impressione che stesse aspettando qualcosa.

«Che cosa ha fatto l’Impero alla signora Belden?» chiese lei, per distrarlo.

Nereus sollevò uno spesso sopracciglio. «Perché, l’Impero le ha fatto qualcosa? Lascia che controlli il mio archivio.» Le sue dita danzarono sopra un pannello-controlli inserito nel piano della scrivania. Gaeri si piegò in avanti. «Che cosa ne pensi della mia scrivania?» chiese Nereus. «È ricavata da un’unica lastra di avorio.»

Voleva dire che si trattava di un dente? Era larga più di un metro e mezzo, il che implicava la presenza di una bocca veramente mostruosa. «Una creatura marina?» cercò di indovinare Gaeri. Il bisogno di tossire stava diventando sempre più forte.

Nereus annuì. «Ora estinta. Eccoci qui. Ah.» Sorrise lentamente. «La signora Belden era stata condannata a morte. Suo marito ha ottenuto, pur di tenerla con sé, che le fosse inflitta un’infermità permanente.»

Gaeri strinse i pugni. Orn Belden aveva... acconsentito... a lasciare che l’Impero...? Non voleva crederci. Improvvisamente era contenta che Orn Belden fosse morto, e di non avere più la possibilità di chiedergli se era vero.

«E lei evidentemente ha acconsentito per proteggere lui. Oh, sì,» aggiunse Nereus studiando lo schermo davanti a sé. «Avevo dimenticato i particolari. Abbiamo usato una minuscola creatura originaria del settore di Jospro, un parassita della corteccia frontale. Lascia delle cicatrici permanenti che sopprimono in maniera limitata la memoria a lungo termine. La sua introduzione è facile e indolore e in questo modo lei e suo marito poterono continuare a tenersi compagnia. A dire la verità erano una coppia molto affiatata, per la loro età. Avanti, tossisci, mia cara. Stai diventando tutta rosa in faccia.»

«Non ho bisogno di tossire.» Gaeri inghiottì.

Nereus intrecciò le mani sulla scrivania d’avorio. «Quanta parte di quel pasto hai diviso con il comandante Skywalker?»

A Gaeriel parve che il suo stomaco si tramutasse in un pezzo di piombo. Quel pasto... «Che cosa vuole dire?» chiese.

Nereus agitò una mano. Il gesto appariva disinvolto e calcolato, ma le sue dita tremavano. «Quando i soldati di guardia all’appartamento di Skywalker hanno riferito che tu eri entrata, naturalmente ho cominciato a seguire tutti i comandi associati al tuo numero di identificazione. Ho intercettato la tua richiesta di farti recapitare un pasto ai tuoi appartamenti... un buon tentativo, mia cara, ma non ha avuto successo. Il piatto è stato infettato già nelle cucine. Le tue azioni, come le tue domande fanno di te una collaborazionista ribelle.»

Che cosa aveva fatto Nereus? Sarebbe morta? E Luke? Sarebbe morto Luke? Ma di certo non le avrebbe detto quello che aveva fatto, se avesse semplicemente avuto intenzione di ucciderla. Una volta che il primo momento di panico fu passato, chiese con voce impastata: «Che cos’è? Un altro parassita?»

Nereus fece un altro dei suoi lenti sorrisi. «La Tricoide olabriana deposita nella fratta in maturazione dei baccelli che contengono tre uova ciascuno. Le larve emergono nello stomaco dell’ospite, poi migrano nei polmoni mentre l’ospite dorme. Lì rimangono per un giorno o due, mentre crescono e sviluppano una bocca. Poi cominciano a farsi strada a morsi verso il cuore. Questa fase può occupare un tempo variabile, che dipende dalla grandezza dell’ospite e dalla sua condizione fisica. Raggiungono lo stadio di pupa in una confortevole grossa pozza di sangue in via di coagulazione... sei pallida, mia cara. Vuoi stenderti?»

A Gaeriel sembrava di sentire qualcosa dentro di sé che cresceva.

«Non preoccuparti. La larva è estremamente sensibile all’ossigeno puro. È una condizione che si può curare quasi all’istante... per un’altra ora circa.» Toccò un comando sulla sua scrivania. «Sezione medica. Portate il kit ci-di dodici.»

«E dunque io sono stata infestata al posto di Skywalker?» Almeno Luke aveva ancora qualche possibilità, lassù.

«No», disse Nereus con calma. «Ricordi, ogni baccello contiene tre uova. A quanto pare lui porta con sé le altre due. Mi stavo proprio chiedendo che fine aveva fatto il terzo uovo. Puoi essere fiera del tuo amico, Gaeriel. Attraverso di lui l’intera flotta ssi-ruuvi potrebbe essere infestata. Per quello che ne so ti posso garantire con virtuale certezza che nessuno dei naturali predatori delle Tricoidi olabriane sta viaggiando con gli Ssi-ruuk. Se solo riusciamo a tenerli lontani per un altro giorno ancora, abbiamo vinto.»

La porta si aprì. Il medico che l’aveva già curata entrò in fretta portando con sé una maschera a ossigeno, una bombola e un barattolo di vetro. «Ci vorrà solo un minuto, Gaeriel.» Nereus tornò a intrecciare le sue mani sulla scrivania. «Cerca di cooperare con il dottore.»

Gaeriel lanciò un’occhiata alla bombola, chiedendosi che cosa conteneva oltre all’ossigeno. «Solo a patto che anche lei respiri da quella bombola.»

Nereus scrollò le spalle. «Se non le dispiace, la passi prima a me», disse al medico. Respirò a fondo due volte, poi fece un sorriso tutto denti. «Tocca a te, Gaeriel.»

Gaeriel aspettò che il medico avesse sterilizzato la maschera prima di lasciarsela accostare al viso. Il gas era inodore. Respirò ancora, poi alzò lo sguardo sul medico e lo guardò negli occhi. «Continui», consigliò questi, «finché...»

Improvvisamente Gaeriel fu presa da un conato di vomito. Il medico le tenne premuta con fermezza la maschera sul naso. Gaeriel soffocò, chiuse gli occhi, e sputò qualche cosa di orrendo. Poi barcollò all’indietro crollando sulla sedia mentre il medico toglieva qualcosa dalla maschera e la inseriva nel barattolo di vetro. Gaeriel si sentiva rivoltare lo stomaco. Luke, gemette fra sé. Proprio come aveva temuto, avrebbe potuto morire prima che gli Ssi-ruuk potessero usarlo. Forse, dopotutto, Nereus aveva salvato l’umanità, ma a che prezzo? Ora che il giovane Jedi era condannato, Gaeriel si pentiva di tutte le parole amare che gli aveva rivolto.

«Sei stata bravissima.» Nereus applaudì usando solo le punta delle dita. «Naturalmente è un grosso problema che tu ora sappia quello che è successo alla signora Belden.»

Gaeriel cercò di concentrarsi sull’inghiottire. «D’altra parte forse no, governatore. Ci sono delle cose che bisogna divulgare, se le si vuole usare per spaventare la gente.»

«Ben detto, davvero ben detto! Tu mi piaci sempre di più. Quando avremo sconfitto i Ribelli, potrei anche decidere di graziarti. Anzi potrei perfino trovare un posto per te fra il mio personale. Ma lo hai sempre saputo che lo desideravo. Non è vero?» Appoggiò il mento su una mano.

In preda al disgusto Gaeriel si strinse le ginocchia. «Posso avere un sorso d’acqua?»

Nereus ordinò che glielo portassero. Quando ebbe bevuto, e il medico se ne fu andato con il suo barattolo di vetro, Gaeriel disse: «Da quello che ho capito, la battaglia deve essere in corso. Perché non la osserviamo dalla sua sala di guerra?»

«Non c’è bisogno di spostarsi.» Nereus trafficò con la consolle sulla sua scrivania. Un ologramma piccolo ma molto dettagliato dello spazio attorno a Bakura apparve sopra il piano della scrivania. Nereus si piegò, tese una mano dentro un compartimento interno e sollevò una bottiglia ancora sigillata di nettare di namana. «Questo è per celebrare la vittoria dell’Impero», disse con un ampio gesto della mano.

Celebrare, ripeté Gaeriel dentro di sé, amaramente, giurando che non avrebbe mai bevuto da quella bottiglia. La gola le bruciava già abbastanza.


Dev sentì che il suo battito cardiaco accelerava sempre di più mentre si avvicinavano alla rete di difesa orbitale dell’Impero. Questa volta, non sarebbero stati guidati attraverso le difese da nessun soldato imperiale. Guardando fuori dall’oblò principale della navetta, Dev poteva vedere altre navette più lente, nell’atto di attraccare alle navi in orbita. Gli umani stavano dirigendosi tutti alla battaglia. Proprio di fronte a lui, Scaglia Blu, Firwirrung e gli altri ciangottavano fra loro. Erano seduti sul pavimento della navetta, e manovravano i comandi piegati sopra i sedili dei piloti. Se una nave umana avesse distrutto questa navetta, il problema di Skywalker si sarebbe risolto. Però Dev dubitava che sarebbe potuto succedere al disotto della rete difensiva. L’attenzione di tutti i difensori di Bakura era puntata verso l’esterno, mentre cercavano di impedire alle cannoniere ssi-ruuvi di giungere alla superficie del pianeta. E poi, il velivolo in cui si trovavano era identico a tutte le altre navette imperiali che stavano trasportando gli equipaggi verso gli incrociatori in orbita. Davanti a loro qualcosa lampeggiò. Un istante più tardi si videro frammenti di un caccia umano che si allontanavano dal luogo dov’era stata l’esplosione. Evidentemente qualcuno si era messo in posizione per attaccarli. Attraverso il varco appena creatosi nella rete difensiva arrivarono, squadriglia dopo squadriglia, i droidi da battaglia, che aprivano la strada verso la Shriwirr. I caccia degli umani si avventarono verso i droidi e cominciarono a distruggerli uno per uno. Dev immaginava che l’ammiraglio Ivpikkis avesse lanciato molti attacchi simultanei in diversi punti della rete, per distrarre l’attenzione dei difensori da questa particolare navetta. Una volta che Skywalker fosse stato prigioniero sulla loro nave, incapace di reagire, e Firwirrung avesse acceso l’interruttore principale del suo apparato, avrebbero potuto intecnare gli umani da tutte le navi che gli si avvicinavano, e perfino dai pianeta; e così avrebbero potuto ricaricare tutti i droidi da battaglia di cui avrebbero avuto bisogno per completare l’invasione. Con gli occhi della mente Dev si ricordò di quei momenti terribili che aveva passato disteso su quel lettino. Lanciò uno sguardo verso il Jedi ancora immobile.

«Dev?» L’enorme occhio nero di Firwirrung apparve al disopra del sedile di guida. «Stai bene? Non sembri felice.»

«Oh», esclamò Dev in fretta, desiderando ardentemente che i volti degli Ssi-ruuk mostrassero una qualche espressione. «Sono preoccupato per la sua ferita, padrone. Non aveva nessun diritto di farle una cosa del genere.»

Firwirrung sbatté le tre palpebre. «È una ferita d’onore. Ma a quanto pare non sei contento del nostro prigioniero.»

Dev sentì che le dita gli tremavano. Se avesse tradito quello che stava pensando, lo avrebbero istantaneamente rinnovato. Peggio ancora, lo avrebbero separato da Skywalker. Fu con un terribile ritardo che la giusta risposta gli venne alle labbra. «Perché le ha fatto male, padrone.»

Firwirrung annuì lentamente. «Capisco.» Si voltò e fischiò qualcosa troppo piano perché Dev potesse capirlo.

Il Jedi sembrava ancora privo di conoscenza, disteso com’era e con la bocca aperta. Dev passò una mano sopra i suoi capelli. Seguendo il calore della Forza scoprì dove Scaglia Blu lo aveva colpito. Stava già guarendo. Di nuovo fu assalito dai dubbi.

Skywalker? pensò Dev, esitante. Sei sveglio? Posso aiutarti? Che cosa posso fare? Ma l’unica risposta che ebbe fu il pulsare della galassia.

Dev si morse un’unghia. Una pattuglia dei droidi da battaglia salì davanti alla navetta in un lampo di luce. Si rese conto che la stavano difendendo. Poteva quasi immaginare l’ammiraglio Ivpikkis mentre si sfregava gli artigli l’uno con l’altro.

I circuiti di intecnamento potevano funzionare solo su individui coscienti. Quindi avrebbero avuto almeno un paio di secondi. Dovrai muoverti in fretta, pensò con tutte le sue forze in direzione del Jedi immobile. Non ti offriranno nessuna apertura.

Intecnamento. Dev rabbrividì. Aveva tanto desiderato sfuggire alla propria volontà. Aveva collaborato alla sua stessa schiavitù. Aveva sperato di dividerla con tutta l’umanità. Lanciò un’occhiata carica d’odio alla parte posteriore della testa di Scaglia Blu.

Attraverso l’oblò passò rapidamente la parte inferiore della Shriwirr. L’idea di dover di nuovo mettersi a leccare le zampe posteriori degli Ssi-ruuk, per quanto brevemente, lo faceva infuriare... ma non sarebbe durata a lungo. Ben presto sarebbe stato libero o morto, o entrambi.

Dietro di loro si chiusero delle pesanti paratie a prova di scoppio. Qualche secondo più tardi, la navetta atterrò bruscamente sul ponte di un hangar. Skywalker non si mosse.

Dev rimase seduto mentre i medici aiutavano Firwirrung a scendere dalla rampa anteriore. Si scoprì a tamburellare con le dita sul bracciolo, e premette le sue mani l’una contro l’altra per fermarle. Uno schiavo impotente non avrebbe certo mostrato alcuna ansia.

La testa a scaglie di uno dei medici spuntò dal boccaporto d’accesso. «È incosciente?» fischiò.

«Una piccola ferita alla testa», rispose Dev. «È per questo che è immobile.»

Il medico emise uno schiocco di disgusto. «Abbiamo una conoscenza molto limitata dell’anatomia umana. Tu dovrai stare assieme a lui.»

Sentendosi gelare, Dev si rese conto che avrebbero potuto sezionarlo per vedere com’era fatto Skywalker. «Padrone», supplicò. «Lasci che sia io a portarlo.»

«Benissimo», grugnì lo Ssi-ruu. «Abbiamo portato solo una barella.»

Dev slacciò la sua cintura di sicurezza, poi quella di Skywalker, poi con prudenza passò una mano sopra il punto in cui il Jedi era stato ferito, almeno, credeva che quello fosse il punto. Ma non c’era più alcun segno di ferita. Gli ci vollero diversi minuti di sforzi accucciato sotto il peso del corpo compatto e muscoloso del giovane Jedi prima che riuscisse a raggiungere il portello di uscita, ostacolato dalle braccia ammanettate e dalle gambe pesanti del suo fardello.

Raccolti attorno alla navetta nell’immenso hangar, una dozzina di Ssi-ruuk li stavano aspettando. Dev si sforzò di sorridere, aspettandosi un applauso. Invece gli Ssi-ruuk lo guardarono lottare in silenzio. Le sue scarpe risuonarono a ogni passo mentre scendeva la rampa. Probabilmente lo spettacolo di uno schiavo umano che trasportava il destino della sua razza sulle spalle li divertiva enormemente.

Barcollando sotto il peso, Dev seguì il medico attraverso l’hangar, poi attraverso le paratie di una camera di compensazione per merci, e infine su per un lungo corridoio illuminato da luci potenti. Dietro di sé udì un rumore ritmico e si chiese in quanti lo stavano seguendo. A mano a mano che procedeva, le cose sembravano sempre più disperate. Quasi desiderava di aver strangolato il Jedi quando ne aveva avuta la possibilità.

No, in realtà non lo desiderava affatto. Non fintantoché c’era una possibilità per quanto remota di salvarlo. Dopo tutti questi anni passati a vivere fra i nemici, aveva trovato un amico. Il Jedi aveva risvegliato la sua umanità, e lui gli doveva almeno la possibilità di lottare.

Salirono su un ascensore, svoltarono diversi angoli, diretti verso il laboratorio di intecnamento. Avrebbe dovuto essere il turno di notte ormai, e i corridoi illuminati da luci fioche, ma sopra di lui i tubi di luce gialla erano accesi al massimo. Dev inciampò e per poco non fece cadere il suo fardello. «Sta’ attento!» intimò una voce dietro di lui.

«Sì, padrone.» Non era poi difficile suonare esausto e pentito. «Mi dispiace, ma non gli ho fatto niente. Sta benissimo.» La schiena di Dev però non stava altrettanto bene.

Trovò una specie di consolazione in quel dolore, come una penitenza.

Seguì il medico dentro il grande laboratorio. La nuova piattaforma di intecnamento era accanto alla vecchia sedia vicino a una paratia. Solo ora Dev osò voltarsi. Altri due Ssi-ruuk lo avevano seguito. Il resto sarebbe stato di guardia fuori della porta.

Firwirrung aspettava già accanto al pannello di controllo, assistito da un altro medico e da due P’w’eck. E così questo voleva dire cinque Ssi-ruuk e due servi contro Dev e un Jedi privo di conoscenza. «Ah, Dev», fischiò Firwirrung. «Sei forte. Benfatto.»

Ora Dev riconosceva queste parole per quello che erano: complimenti per riuscire a manipolarlo meglio. Afferrandosi alla speranza che Skywalker fosse sveglio, Dev lo lasciò cadere a terra. «No», esclamò Firwirrung. «Il nuovo apparato lo terrà in posizione. Ecco, lascia che ti aiuti.»

Dev si accucciò e di nuovo issò Skywalker sulle spalle. Adesso! esclamò. Se non ti muovi adesso, sarai in trappola! Skywalker non rispose. Disperato, Dev bilanciò il Jedi sopra la sua spalla. Un medico aprì le manette che gli imprigionavano i polsi e Firwirrung lo appoggiò contro il lettino. Le sue caviglie e la sua vita furono subito imprigionate dai legacci, ma le braccia erano ancora afflosciate contro i fianchi e lontane dai pannelli di imprigionamento automatico. Firwirrung le spinse al loro posto. Il letto si rovesciò assieme al suo prigioniero.

Il portello si aprì. Dev si voltò, quindi si immobilizzò. Scaglia Blu entrò maestosamente, chiudendo il portello dietro di sé, poi marciò vicino a Dev. «L’umano Jedi sarà privo di conoscenza ancora per un po’, non credi?»

Dev allargò le braccia. Anche gli Ssi-ruuk usavano mostrare gli artigli vuoti per dimostrare di essere confusi. «Sarà un’attesa difficile, anziano.»

Scaglia Blu girò l’enorme testa e fissò Dev con un nero occhio ipnotico, poi fischiò quello che Dev temeva tanto di sentire. «Il tuo bisogno è disperato.» Altri due alieni scivolarono verso di lui, con i proiettori ionici in pugno.

«Aspettate», esclamò Firwirrung. «Dev ci ha sempre servito bene. Ora è venuto il momento di ricompensarlo.» Con un artiglio accarezzò la vecchia sedia da intecnamento. «Siediti, Dev. C’è ancora tempo. Sarò io stesso a mettere in posizione gli aghi e ad abbassare l’arco di intecnamento, esattamente come ti avevo promesso.»

Dev sentì che la lingua gli si gonfiava in bocca soffocandolo. Per quanto avesse cercato di adularli, non era riuscito a convincere nessuno di loro. Quanto miserevole doveva essere stato il suo comportamento in tutti quegli anni?

«Non senti come puzzi?» lo canzonò piano Scaglia Blu.

Allora era così che avevano capito. Approfittando del suo ultimo momento di libertà, saltò su Skywalker. Con la sua mano sana e con quella ferita strinse la gola del povero Jedi. «Non ho bisogno di niente», urlò. «Non mi avrete mai...»

Le luci si spensero nella stanza. Le parole gli si spensero in bocca.

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