Quando Rand e Hurin li raggiunsero, Mat e Perrin erano già in sella. Lontano, alle sue spalle, Rand udì il grido di Ingtar: «Per la Luce e per Shinowa!» Il clangore dell’acciaio si mescolò ad altre grida.
«Ingtar dov’è?» vociò Mat. «Cosa succede?» Aveva legato al pomo della sella il Corno di Valere, come se fosse un comune corno, ma si era infilato nella cintura il pugnale e con la mano a coppa, cerea e all’apparenza fatta solo d’ossa e di tendini, proteggeva l’elsa col rubino.
«È andato incontro alla morte» rispose Rand, aspro, montando in groppa a Red.
«Allora dobbiamo aiutarlo» disse Perrin. «Mat porterà il Corno e il pugnale a...»
«Per consentirci di andarcene» disse Rand. E in parte era vero. «Porteremo a Verin il Corno e il pugnale; poi l’aiuterete a portare il Corno dov’è giusto che stia.»
«Cosa significa?» domandò Perrin.
Rand spronò il baio e si avviò al galoppo verso le montagne al di là della cittadina.
«Per la Luce e per Shinowa!» Il grido di Ingtar si levò dietro di lui e parve di trionfo; in risposta, il fulmine rombò nel cielo.
Rand usò come frusta le redini e si appiattì sul collo del cavallo lanciato al galoppo. Aveva l’impressione di fuggire dal grido di Ingtar, di fuggire da quel che ci si aspettava da lui. “Ingtar, un Amico delle Tenebre” pensò. “Non m’importa. Era ancora amico mio." Il galoppo di Red non lo allontanava dai suoi stessi pensieri. “La morte è più leggera d’una piuma, il dovere più pesante d’una montagna. Quanti doveri! Egwene. Il Como. Fain. Mat e il suo pugnale. Perché non può esserci un dovere alla volta? Devo preoccuparmi di tutti. Oh, Luce santa, Egwene!"
Tirò di colpo le redini, tanto che Red si fermò con uno scivolone, sedendosi sui quarti posteriori. Si trovavano in un rado boschetto d’alberi spogli in cima a una delle colline che sovrastavano Falme. Gli altri tre galoppavano per raggiungerlo.
«Cosa significa?» domandò di nuovo Perrin. «Non possiamo tutti insieme aiutare Verin a portare il Corno dov’è giusto che stia? Tu dove vorresti andare?»
«Forse comincia già a impazzire» disse Mat. «Non vuole stare con noi, se impazzisce. Giusto, Rand?»
«Voi tre portate a Verin il Corno» rispose Rand. “Egwene” pensò. “Tanti fili, in grave pericolo. Tanti doveri." «Non avete bisogno di me.»
Mat accarezzò l’elsa del pugnale. «Sì, d’accordo, ma tu? La Luce m’incenerisca, non puoi già impazzire. Non puoi!»
Hurin li guardava a bocca aperta, senza capire nemmeno la metà dei loro discorsi.
«Torno indietro» disse Rand. «Non dovevo andare via.» La frase non suonò giusta alle sue stesse orecchie. «Devo tornare indietro.» Questa suonava meglio. «Egwene è ancora laggiù. Con uno di quei collari intorno al collo.»
«Nei sei sicuro?» disse Mat. «Non l’hai vista. Ah! Se dici che è lì, è lì. Porteremo a Verin il Corno e torneremo tutt’e tre a cercare Egwene. Non crederai che voglia lasciarla qui, vero?»
Rand scosse la testa. Si sentiva sul punto d’esplodere come fuoco d’artificio. Cosa gli succedeva? «Mat, Verin deve portare te e il pugnale a Tar Valon, così finalmente sarai guarito. Non hai tempo da sprecare.»
«Salvare Egwene non significa sprecare tempo!» Però Mat strinse il pugnale con tanta forza che gli tremava la mano.
«Nessuno di noi tornerà indietro» disse Perrin. «Per ora, almeno. Guardate laggiù.» Indicò Falme.
I terreni per i carri e per i cavalli brulicavano di soldati Seanchan, migliaia, fila su fila, con cavalleggeri in groppa a mostri rivestiti di scaglie e uomini in armatura a cavallo di normali destrieri; gonfaloni variopinti indicavano la posizione degli ufficiali. Le schiere erano punteggiate di grolm, di altre creature bizzarre, simili a uccelli e lucertoloni mostruosi, di enormi esseri diversi da ogni creatura conosciuta, con pelle grigia, rugosa, e lunghe zanne.
A intervalli c’erano sul’dam e damane, a decine. Rand si domandò se Egwene era una di loro. In città di tanto in tanto esplodeva ancora un tetto e il fulmine balenava. Due creature volanti, con ali coriacee lunghe venti spanne da punta a punta, si libravano molto in alto e si tenevano a distanza dai fulmini.
«Tutto questo spiegamento di forze, solo per noi?» disse Mat, incredulo. «Chi pensano che siamo?»
A Rand venne in mente una risposta che s’affrettò a scacciare, prima che si fosse formata del tutto.
«Non andremo nemmeno avanti, lord Rand» disse Hurin. «Manti Bianchi. A centinaia.»
Rand si girò a guardare nella direzione indicata da Hurin: una lunga fila di guerrieri ammantati di bianco si muoveva lentamente fra le alture e veniva verso di loro.
«Lord Rand» borbottò Hurin «se quelli vedono il Corno di Valere, non arriveremo mai neppure vicino a un’Aes Sedai. Né noi né il Corno!»
«Forse i Seanchan si radunano per affrontare i Manti Bianchi» disse Mat, speranzoso. «Forse non ce l’hanno affatto con noi.»
«In ogni caso» obiettò Perrin, asciutto «fra qualche minuto qui ci sarà battaglia.»
«Gli uni o gli altri potrebbero ucciderci» disse Hurin. «Anche se non vedono il Corno. Se ci uccidono...»
Rand non riusciva a pensare ai Seanchan né ai Manti Bianchi. Doveva tornare indietro. Si rese conto di fissare il Corno di Valere. Anche gli altri lo fissavano: appeso al pomo della sella di Mat, era il punto focale d’ogni occhio.
«Deve trovarsi sul posto dell’Ultima Battaglia» disse Mat; si umettò le labbra. «Ma niente dice che non lo si può usare prima.» Liberò dai legacci il Corno e guardò ansiosamente gli altri. «Non è scritto da nessuna parte» soggiunse.
Nessuno replicò. Rand era in preda a pensieri pressanti che non gli permettevano d’aprire bocca: doveva tornare indietro. Più guardava il Corno, più pressante diventava il pensiero: doveva tornare.
Con mano tremante Mat si portò alle labbra il Corno di Valere.
Fu uno squillo chiaro, dorato come il Corno stesso. Gli alberi tutt’intorno, e il terreno, e il cielo, parvero risonare con lo squillo. Quell’unico suono prolungato incluse ogni cosa.
Dal nulla si levò la nebbia, dapprima in filamenti sottili, poi in volute più fitte e più dense che oscurarono come nubi tutta la zona.
Geofram Bornhald s’irrigidì sulla sella nell’udire uno squillo che riempiva l’aria, tanto dolce da invogliare alle risate, tanto dolente da spingere al pianto. Pareva provenire da ogni direzione nello stesso tempo. La nebbia si levò e aumentò sotto i suoi occhi.
"I Seanchan” pensò. “Tentano chissà quale trucco. Sanno che siamo qui."
Era troppo presto, la città era troppo lontana, ma Bornhald snudò la spada (un identico fruscio risuonò lungo le file della sua mezza legione) e gridò: «Legione al trotto!»
Ora la nebbia copriva ogni cosa, ma Falme era sempre laggiù, più avanti. I cavalli aumentarono l’andatura. Bornhald non li vedeva, ma udiva i rumori.
All’improvviso davanti a lui il terreno si sollevò con un rombo e lo innaffiò di terriccio e di ciottoli. Dal buio latteo alla sua destra provenne un altro rombo e grida d’uomini e nitriti di cavalli; la stessa cosa accadde alla sua sinistra. E continuò. Rombi di tuono e urla e nebbia dappertutto.
«Legione, carica!» gridò Bornhald. Spronò il cavallo e balzò avanti. Udì alle sue spalle il ruggito dei cavalieri superstiti che lo seguivano.
Tuoni e urla, avvolti nel bianco.
L’ultimo pensiero di Bornhald fu di rimpianto: Byar non avrebbe potuto raccontare a Dain com’era morto suo padre.
Rand non scorgeva più gli alberi all’intorno, Mat aveva abbassato il Corno, con occhi sgranati per lo stupore; ma lo squillo risuonava ancora nelle orecchie di Rand. La nebbia nascondeva ogni cosa, in ondate chiare come la migliore lana sbiancata. Eppure Rand vedeva... ma era pazzia. Falme galleggiava da qualche parte più in basso: la zona verso l’entroterra era annerita per le schiere di Seanchan e il fulmine squarciava le vie. Falme era sospesa sopra di lui. Là i Manti Bianchi caricavano e morivano, mentre la terra s’apriva in baratri infocati sotto gli zoccoli dei cavalli. Là degli uomini correvano per la tolda di alte navi squadrate alla fonda nel porto e su di una nave, una nave ben nota, uomini atterriti aspettavano.
Rand riconobbe perfino il viso del capitano. Bayle Domon. Si strinse la testa. Non scorgeva gli alberi, eppure vedeva ancora con chiarezza ciascuno degli altri. Hurin, ansioso. Mat, impaurito. Perrin, fatalista. La nebbia ribolliva intorno a loro.
Hurin ansimò: «Lord Rand!» Non aveva bisogno d’indicare.
Dalle volute di nebbia, come dal fianco d’una montagna, scendevano sagome a cavallo. Sulle prime la fitta nebbia non permise di scorgere altro; ma poi le sagome vennero più vicino e toccò a Rand restare a bocca aperta. Lui li conosceva. Uomini, non tutti in armatura, e donne. Abiti e armi provenivano da ogni Epoca, ma Rand li conosceva tutti.
Rogosh Occhio d’Aquila, dall’aria paterna, con i capelli bianchi e occhi così acuti da non rendere giustizia al soprannome. Gaidal Cain, bruno di carnagione, con l’elsa di due spade che gli spuntava da sopra le spalle. Birgitte dai capelli d’oro, con il lucente arco d’argento e la faretra irta di frecce d’argento. Altri ancora. Rand conosceva il loro viso, il loro nome. Ma udì un centinaio di nomi, quando guardò ciascun viso, alcuni così diversi che non li riconobbe come nomi, pur sapendo che lo erano. Michel invece di Mikel. Patrick invece di Paedrig. Oscar invece di Otarin.
Conosceva anche l’uomo che cavalcava alla loro testa. Alto, dal naso a becco, con occhi scuri e infossati, e al fianco la grande spada Giustizia. Arto Hawkwing.
Mat, a bocca aperta, li guardò fermarsi davanti a loro. «Siete... siete tutti qui?» disse.
Erano poco più d’un centinaio, notò Rand; inspiegabilmente, capì d’averlo sempre saputo.
Hurin guardava a bocca aperta e occhi fuori delle orbite.
«Non basta il coraggio per legare al Corno un uomo» disse Artur Hawkwing, con voce profonda e sonora, avvezza a dare ordini.
«O una donna» disse Birgitte, brusca.
«O una donna» convenne Artur. «Solo pochi sono legati alla Ruota e girano di nuovo per intessere nel Disegno delle Epoche la volontà della Ruota. Tu potresti dirglielo, Lews Therin, se solo ricordassi quando avevi carne e ossa.» Guardava Rand.
Rand scosse la testa, ma non voleva sprecare tempo in inutili proteste. «Sono giunti degli invasori» disse. «Uomini che si fanno chiamare Seanchan e che in battaglia utilizzano Aes Sedai incatenate. Devono essere rigettati in mare. E... e c’è una ragazza. Egwene al’Vere. Una novizia della Torre Bianca. I Seanchan la tengono prigioniera. Dovete aiutarmi a liberarla.»
Con sua sorpresa, diversi componenti del piccolo esercito alle spalle di Artur Hawkwing ridacchiarono; Birgitte, saggiando la corda dell’arco, scoppiò a ridere. «Scegli sempre donne che ti cacciano nei guai, Lews Therin» disse, in tono affettuoso, come tra vecchi amici.
«Mi chiamo Rand al’Thor» replicò Rand, brusco. «Dovete affrettarvi. Non c’è molto tempo.»
«Tempo?» replicò Birgitte, con un sorriso. «Abbiamo tutto il tempo del mondo.»
Gaidal Cain lasciò le redini e, guidando con le ginocchia il cavallo, impugnò una spada per mano. Tutti, nella piccola banda d’eroi, sguainarono la spada o impugnarono l’arco o sollevarono la lancia o l’ascia.
Giustizia brillò come specchio, nel pugno guantato di Artur Hawkwing. «Innumerevoli volte ho combattuto al tuo fianco, Lews Therin» disse Artur. «E altrettante ti ho affrontato. La Ruota c’intesse per i suoi scopi, non per i nostri, al servizio del Disegno. Ti conosco, se tu non conosci te stesso. Scacceremo per te questi invasori.» Il suo cavallo da guerra s’impennò. Artur si guardò intorno, accigliato. «Qui c’è qualcosa che non va. Qualcosa mi trattiene.» All’improvviso puntò su Rand lo sguardo penetrante. «Tu sei qui. Hai lo stendardo?»
Un mormorio corse lungo la schiera di eroi alle sue spalle.
«Sì» rispose Rand. Aprì la bisaccia e prese lo stendardo del Drago. Il vessillo ricadde fin quasi alle ginocchia del cavallo. Fra gli eroi, il mormorio crebbe d’intensità.
«Il Disegno s’intesse intorno al nostro collo come briglia» disse Artur Hawkwing. «Tu sei qui. Lo stendardo è qui. L’ordito di questo istante è fissato. Siamo accorsi al richiamo del Corno, ma dobbiamo seguire lo stendardo. E il Drago.»
Hurin emise un debole gemito, come se l’avessero soffocato.
«La Luce mi fulmini» alitò Mat. «Allora è vero!»
Perrin esitò solo un istante: poi smontò da cavallo e s’avviò con decisione nella nebbia. Risuonarono colpi d’ascia. Perrin tornò reggendo un alberello ripulito dei rami. «Dallo a me, Rand» disse in tono grave. «Se loro ne hanno bisogno... Dallo a me.»
Rand l’aiutò a legare all’asta lo stendardo. Quando Perrin rimontò a cavallo, asta in mano, il vento parve increspare il bianco stendardo: il Drago sinuoso si mosse come vivo. Il vento non toccò la fitta nebbia, solo lo stendardo.
«Tu stai qui» disse Rand a Hurin. «Quando sarà terminato... Qui sarai al sicuro.»
Hurin sguainò la corta spada, reggendola come se potesse essergli utile, da cavallo. «Ti chiedo scusa, lord Rand, ma non sono d’accordo. Non capisco la decima parte di quel che ho ascoltato... né di quel che vedo...» Abbassò il tono, fino a un mormorio; poi riprese voce. «Ma sono arrivato fin qui e continuerò fino alla fine.»
Artur Hawkwing gli diede una manata sulla spalla. «A volte la Ruota aggiunge qualcuno al nostro gruppo, amico. Forse un giorno anche tu ti ritroverai fra noi.» Hurin si drizzò come se gli avessero offerto uno scettro. Artur s’inchinò formalmente verso Rand. «Con il tuo permesso... lord Rand. Trombettiere, vuoi dare fiato al Corno? È giusto che il Corno di Valere ci canti in battaglia. Portabandiera, vuoi avviarti?»
Mat suonò di nuovo il Corno, a lungo e con forza. Perrin spinse avanti il cavallo. Rand sguainò la spada col marchio dell’airone e cavalcò fra i due.
Vedeva solo le dense volute di nebbia biancastra, ma in qualche modo poteva ancora vedere la scena di prima. Falme, dove per le vie qualcuna usava il Potere; e il porto e l’armata Seanchan e i Manti Bianchi che morivano: tutto sotto di lui e sopra di lui, come in precedenza. Pareva che il tempo non fosse trascorso, da quando Mat aveva tratto dal Corno il primo squillo; pareva che si fosse fermato per consentire agli eroi di rispondere alla chiamata. Ora riprese a scorrere.
Gli squilli privi d’armonia che Mat cavava dal Corno echeggiarono nella nebbia, insieme col tambureggiare di zoccoli. Rand si lanciò alla carica, senza sapere dove si dirigeva. Le nubi s’infittirono, nascosero in parte la fila di eroi che galoppavano ai suoi lati; continuarono a infittirsi finché Rand non scorse chiaramente solo Mat, Perrin e Hurin. Hurin si teneva basso in sella, con occhi sgranati, e incitava il cavallo. Mat dava fiato al Corno e rideva. Perrin, con gli occhi gialli che risplendevano, teneva alto lo stendardo del Drago. Poi anche loro scomparvero e Rand cavalcò, pareva, da solo.
In un certo modo, poteva ancora vederli, ma come vedeva Falme e i Seanchan. Non sapeva dove fossero, né dov’era lui stesso. Aumentò la stretta sulla spada e scrutò nella nebbia. Andò alla carica da solo e intuì che così doveva essere.
All’improvviso Ba’alzamon fu davanti a lui e spalancò le braccia.
Red s’impennò come impazzito e disarcionò Rand. Sbalzato in aria, Rand s’afferrò disperatamente alla spada. Non atterrò sul duro. Anzi, con stupore, pensò d’essere atterrato... su niente. L’istante prima si librava nella nebbia; l’istante dopo, no.
Si rialzò e non vide più il cavallo; ma Ba’alzamon era ancora lì, avanzava a grandi passi e reggeva un lungo bastone bruciacchiato e annerito. C’erano solo loro due e la nebbia vorticante. Dietro Ba’alzamon c’era ombra: non nebbia scura, ma tenebra che escludeva la nebbia biancastra.
Rand era consapevole anche del resto. Artur Hawkwing e gli altri eroi affrontavano i Seanchan nella fitta nebbia. Perrin, con lo stendardo, vibrava l’ascia, più per tenere lontano chi cercava d’avvicinarsi che per ferire. Mat cavava ancora dal Corno di Valere striduli squilli. Hurin, sceso di sella, combatteva come sapeva, con la corta spada e il frangilama. Pareva che, solo col proprio numero, i Seanchan dovessero spazzarli via in un solo assalto; eppure erano proprio loro a indietreggiare.
Rand avanzò a incontrare Ba’alzamon. Con riluttanza creò il vuoto, si protese verso la Vera Fonte, si riempì dell’Unico Potere. Non c’era altro mezzo. Forse non aveva possibilità, contro il Tenebroso; ma, se ne aveva una, l’avrebbe trovata nel Potere. Il Potere gli inzuppò le membra, si diffuse in lui, negli abiti, nella spada. Rand si sentì risplendere come il sole. Ne fu eccitato e nauseato insieme.
«Togliti di mezzo» ringhiò. «Non sono qui per te!»
«Per la ragazza?» rise Ba’alzamon. La bocca si mutò in fiamme. Le ustioni, quasi guarite, lasciavano solo qualche cicatrice rosea che già sbiadiva. Aveva l’aspetto di un bell’uomo di mezz’età. A parte la bocca e gli occhi. «Quale, Lews Therin? Stavolta non avrai l’aiuto di nessuno. Sei mio, o sei morto. Morto, sei mio comunque.»
«Bugiardo!» ringhiò Rand. Vibrò un colpo contro Ba’alzamon, ma il bastone di legno carbonizzato deviò la lama e provocò una pioggia di scintille. «Padre delle Menzogne!»
«Sciocco! Gli altri sciocchi che hai evocato non t’hanno detto chi sei?» Le fiamme nel viso di Ba’alzamon ruggirono con le risate.
Anche nel vuoto, Rand provò un brivido. Possibile che pure loro avessero mentito? Non voleva essere il Drago Rinato. Strinse con forza maggiore la spada. Il taglio della seta. Ma Ba’alzamon parò ogni colpo, fra piogge di scintille, simili a quelle provocate in una forgia dal maglio sull’incudine. «Ho da fare a Falme, non con te. Con te, mai» disse Rand. Doveva distrarre l’attenzione di Ba’alzamon, finché gli altri non avessero liberato Egwene. In quel modo bizzarro vedeva l’infuriare dello scontro sul terreno ammantato di nebbia.
«Povero sciagurato. Hai suonato il Corno di Valere. Sei legato al Corno, ormai. Credi che le larve di Tar Valon ti lasceranno libero, ora? Ti metteranno al collo catene così pesanti che non riuscirai mai a tagliarle.»
Rand restò così sorpreso da rendersene conto anche nel vuoto: Ba’alzamon non sapeva tutto! Per mascherare la sorpresa, si lanciò all’attacco. Il colibrì bacia la rosa. La luna sull’acqua. La rondine si leva in volo. Il fulmine creò un arco fra spada e bastone. Scintille corrusche inondarono la nebbia. Ba’alzamon arretrò, con occhi che divampavano come fornaci ardenti.
Ai margini della consapevolezza, Rand vide i Seanchan ritirarsi per le vie di Falme, lottare con disperazione. Le damane sconvolgevano il terreno usando l’Unico Potere, ma non potevano colpire Artur Hawkwing e gli altri eroi del Corno.
«Vuoi restare una limaccia sotto la pietra?» ringhiò Ba’alzamon. Dietro di lui, la tenebra ribollì. «Uccidi te stesso, mentre stiamo qui. Il Potere infuria dentro di te. Ti brucia. Ti uccide! Solo io posso insegnarti come controllarlo. Servimi e vivi. Servimi o muori!»
«Mai!» Doveva trattenerlo per il tempo necessario. “Presto, Artur! Fa’ presto!" Si lanciò di nuovo contro Ba’alzamon, La tortora prende il volo. La foglia cadente.
Stavolta fu lui ad arretrare. Oscuramente vide i Seanchan riaprirsi la strada fra le stalle. Raddoppiò gli sforzi. Il martin pescatore cattura il carassio. I Seanchan cedettero di fronte a una carica, Artur Hawkwing e Perrin a fianco a fianco in prima linea. Paglia affastellata. Ba’alzamon parò il colpo in una fontana simile a lucciole cremisi e Rand fu costretto a balzare di lato per non farsi spaccare la testa dal bastone: l’aria smossa dal colpo gli arruffò i capelli. I Seanchan si lanciarono avanti. Scoccando la scintilla. Scintille volarono come chicchi di grandine, Ba’alzamon balzò via dal colpo e i Seanchan furono respinti nelle vie acciottolate.
Rand aveva voglia d’ululare a squarciagola. All’improvviso capì che le due battaglie erano collegate. Quando lui avanzava, gli eroi evocati dal Corno spingevano indietro i Seanchan; quando lui arretrava, i Seanchan avanzavano.
«Gli eroi non ti salveranno» disse Ba’alzamon. «Quelle che potrebbero salvarti, saranno portate lontano, al di là dell’oceano Aryth. Se mai le rivedrai, saranno schiave al guinzaglio e ti distruggeranno per conto dei loro nuovi padroni.»
"Egwene. Devo impedire che le facciano una cosa del genere!"
La voce di Ba’alzamon superò i suoi pensieri. «Hai una sola salvezza, Rand al’Thor. Lews Therin Telamon. Sono io, la tua salvezza. Servimi, e ti darò il mondo. Resisti, e ti distruggerò, come tante volte ho già fatto in precedenza. Ma questa volta ti distruggerò fin nell’anima, ti distruggerò completamente e per sempre.»
"Ho vinto di nuovo, Lews Therin!" Questo pensiero era al di là del vuoto, eppure a Rand occorse uno sforzo notevole per ignorarlo, per non pensare a tutte le vite in cui l’aveva sentito. Spostò la spada e Ba’alzamon tenne pronto il bastone.
Solo allora Rand s’accorse che Ba’alzamon si comportava come se la lama col marchio dell’airone potesse ferirlo. Ma l’acciaio non nuoceva al Tenebroso, si disse. Eppure Ba’alzamon teneva d’occhio la spada, con diffidenza. Rand fu tutt’uno con la spada. Ne percepì ogni particella, anche quelle troppo piccole per essere viste a occhio nudo. E sentì il Potere scorrere anche nella spada, fra le intricate matrici create da Aes Sedai durante le Guerre Trolloc.
E allora udì un’altra voce. La voce di Lan. “Verrà un momento in cui vorrai qualcosa più di quanto non vuoi la vita stessa." Udì la voce di Ingtar. “Ogni uomo ha il diritto di scegliere il momento in cui Rinfoderare la Spada." Vide il quadro formato da Egwene al guinzaglio, costretta a vivere come damane. Pensò: “Fili della mia vita in pericolo. Egwene". Prima di rendersene conto, aveva assunto la posizione iniziale dell’Airone a guado fra i giunchi, in equilibrio su di un piede, spada levata in alto, aperto e privo di difesa. “La morte è più leggera d’una piuma; il dovere, più pesante d’una montagna."
Ba’alzamon lo fissò. «Perché sogghigni come un idiota, sciocco? Non sai che posso distruggerti completamente?»
Rand sentì una calma superiore a quella del vuoto. «Non sarò mai tuo servo, Padre delle Menzogne. In mille vite, non lo sono mai stato. Lo so, Ne sono sicuro. Avanti. E ora di morire.»
Ba’alzamon sgranò gli occhi: per un attimo furono fornaci che bagnarono di sudore il viso di Rand. Fra il ribollire della tenebra alle sue spalle, indurì lo sguardo. «Allora muori, verme!» Vibrò il bastone come se fosse una lancia.
Rand urlò, sentendo che gli trafiggeva il fianco, rovente come un attizzatoio al calor rosso. Il vuoto tremò, ma Rand lo mantenne con le ultime forze e spinse la spada nel cuore di Ba’alzamon. Ba’alzamon urlò e la tenebra alle sue spalle urlò anch’essa. Il mondo esplose in fiamme.