46 Per uscire dall’Ombra

Mentre si avvicinavano all’edificio che ospitava le damane, Nynaeve e le altre udirono le grida. Cominciava a formarsi una piccola folla e fra i passanti serpeggiava il nervosismo: la gente camminava a passo più spedito e guardava con maggior diffidenza Nynaeve vestita da sul’dam e la donna da lei tenuta al guinzaglio.

Elayne cambiò posizione al fagotto e scrutò in direzione del frastuono: le grida provenivano da una via più avanti, dove garriva al vento il vessillo col falco dorato che artiglia il fulmine. «Cosa succede?» domandò.

«Niente che ci riguardi» rispose Nynaeve, decisa.

«Te lo auguri» disse Min. «Anch’io.» Precedette le altre su per gli scalini e scomparve dentro la casa.

Nynaeve accorciò il guinzaglio. «Ricorda, Setha, che vuoi cavartela quanto noi.»

«Certo» rispose con fervore la Seanchan, tenendo il mento contro il petto per nascondere il viso. «Non causerò guai, lo giuro.»

Mentre salivano i gradini di pietra grigia, comparve una sul’dam con la damane e scese le scale. Nynaeve si assicurò che la donna al guinzaglio non fosse Egwene e ignorò la sul’dam. Tenne Setha più vicino: così, se la damane percepiva in una di loro l’abilità d’incanalare il Potere, l’avrebbe attribuita a quest’ultima. Però sudò freddo, finché non si rese conto che le altre due non le prestavano la minima attenzione: vedevano solo una veste con gli emblemi del fulmine e un’altra veste grigia... una Reggitrice di Guinzaglio con la sua Incatenata, accompagnate da una ragazza falmese che portava un fagotto appartenente alla sul’dam.

Nynaeve spinse la porta ed entrò.

Il trambusto sotto la bandiera di Turak non si estendeva per il momento alla casa delle damane. Nell’ingresso c’erano solo donne affaccendate, facilmente identificabili dalla veste. Tre damane con le rispettive sul’dam. Due donne col simbolo del fulmine discutevano in un canto; altre tre, ciascuna per suo conto, attraversavano la sala. Quattro donne in comuni abiti di lana come Min portavano vassoi.

Min aspettava in fondo all’ingresso; diede loro un’occhiata e si diresse nel cuore della casa. Nynaeve tirò Setha nel corridoio, dietro Min, con Elayne al seguito. Aveva l’impressione che nessuna le degnasse d’una seconda occhiata, ma pensò che il rivolo di sudore lungo la spina dorsale sarebbe presto diventato un fiume. Continuò a far muovere in fretta Setha, in modo che nessuna avesse l’occasione di guardarla bene né, peggio ancora, di rivolgerle una domanda. Con gli occhi fissi a terra, Setha aveva bisogno di ben poco incitamento: Nynaeve pensò che si sarebbe messa a correre, se non fosse stato per la restrizione fisica del guinzaglio.

Verso il retro della casa, Min salì una scala a chiocciola. Nynaeve spinse Setha davanti a sé, su fino al terzo piano; lì il soffitto era basso e nei corridoi deserti si udiva solo un pianto soffocato che pareva adattarsi all’aria gelida.

«Questo luogo...» cominciò Elayne. Poi scosse la testa. «Dà l’impressione di...»

«Sì, è vero» la interruppe Nynaeve, tetra. Lanciò un’occhiata di fuoco a Setha, che tenne bassi gli occhi. La paura rendeva più pallida del solito la pelle della Seanchan. Senza una parola, Min aprì una porta ed entrò, seguita dalle altre, in un locale che era stato diviso in stanzette più piccole, mediante rozze pareti di legno che formavano uno stretto corridoio fino alla finestra in fondo. Min andò all’ultima porta a destra e spinse il battente.

Una ragazza snella e scura di capelli, in veste grigia, sedeva al tavolo, con la testa sulle braccia ripiegate; ancora prima che alzasse gli occhi, Nynaeve capì che si trattava di Egwene. Un nastro di lucido metallo correva dal collare argenteo intorno alla gola di Egwene al bracciale appeso a un piolo della parete. Mentre Elayne chiudeva la porta, Egwene emise una risatina sciocca e la soffocò portandosi alla bocca la mano.

«So di non sognare» disse con voce tremante «perché, se sognassi, voi sareste Rand e Galad a cavallo d’imponenti destrieri. Ma ho sognato. Ho creduto che Rand fosse qui. Non lo vedevo, ma mi è parso che...» Lasciò morire la frase.

«Se preferisci aspettare loro...» disse Min, ironica.

«Oh, no! No, siete bellissime, la cosa più bella che abbia mai visto. Da dove spuntate? Come ci siete riuscite? La veste, Nynaeve, e l’a’dam, e chi è quella...» Mandò uno strillo. «Setha! Come...» Indurì la voce, al punto che Nynaeve stentò a riconoscerla. «Mi piacerebbe mettere lei, in una pentola d’acqua bollente.» Setha aveva chiuso gli occhi e stringeva con forza la veste: tremava.

«Cosa t’hanno fatto?» esclamò Elayne. «Quanto ti hanno tormentato per farti desiderare una cosa del genere?»

Egwene non staccò gli occhi da Setha. «Mi piacerebbe farle provare quello che ha fatto provare a me... sentirmi immersa fino al collo in...» Rabbrividì. «Non sai cosa significa portare un collare, Elayne. Non sai cosa puoi subire. Forse Setha non è peggiore di Renna, ma sono odiose tutte quante.»

«Credo di capirti» disse piano Nynaeve. Percepiva il sudore che inzuppava la pelle di Setha e i tremiti gelidi che le scuotevano le membra. La Seanchan era terrorizzata.

«Puoi togliermelo di dosso?» disse Egwene, toccandosi il collare. «Se ne hai messo uno a lei...»

Nynaeve incanalò un minuscolo rivolo di Potere. La vista di Egwene incatenata le provocò la collera necessaria; il collare si aprì con uno scatto e cadde a terra. Con aria stupita, Egwene si tastò il collo.

«Mettiti la mia veste e il mio soprabito» le disse Nynaeve. Elayne già disfaceva sul letto il fagotto. «Usciremo di qui a passo normale. Nessuno ti noterà.» Pensò di mantenere il contatto con Saidar... era abbastanza infuriata per riuscirci e il contatto le dava una sensazione meravigliosa... ma con riluttanza si staccò dalla Vera Fonte. Quello era l’unico posto di tutta Falme dove una sul’dam non sarebbe venuta a investigare, se percepiva l’uso del Potere; ma avrebbe di sicuro indagato, se una damane avesse visto l’aura intorno a una donna ritenuta sul’dam. «Non capisco perché te ne stavi qui» soggiunse. «Da sola, anche se non sapevi aprire il collare, potevi prendere il guinzaglio e svignartela.»

Mentre Min e Elayne l’aiutavano a indossare il vecchio abito di Nynaeve, Egwene spiegò che cosa accadeva, se spostava il bracciale dal posto dove l’aveva lasciato la sul’dam e disse che il Potere le dava la nausea, se una sul’dam non portava il bracciale. Proprio quella mattina aveva scoperto come aprire il collare senza l’aiuto del Potere... ma aveva scoperto pure che le dita le si bloccavano, se toccava il gancio con l’intenzione d’aprirlo.

Nynaeve stessa era nauseata dal bracciale che portava al polso. Era troppo orribile. Voleva toglierselo, prima d’apprendere altre cose che riguardavano l’a’dam... forse cose che l’avrebbero fatta sentire sporca per sempre.

Si tolse il bracciale, lo chiuse e l’appese a un piolo. «Non credere di poter chiamare aiuto, adesso» disse, agitando il pugno sotto il naso di Setha. «Se apri bocca, posso ancora farti rimpiangere d’essere nata, anche senza quel maledetto... affare.»

«Non... non mi lascerai qui con quello, vero?» disse Setha, in un bisbiglio. «Non puoi farlo! Legami. Mettimi un bavaglio, così non posso gridare. Ti prego!»

Egwene rise a denti stretti. «Lasciaglielo intorno al collo. Non chiamerà aiuto, anche senza bavaglio. Spera che ti trovi una che ti tolga l’a’dam e mantenga il tuo piccolo segreto, Setha. Il tuo sporco segreto, vero?»

«Di cosa parli?» disse Elayne.

«Ho riflettuto a lungo» disse Egwene. «Quando ero qui da sola, non potevo fare altro che riflettere. Le sul’dam sostengono di sviluppare un’affinità con le damane, dopo alcuni anni. Quasi tutte sono in grado di dire se una donna usa il Potere, anche se non sono legate a lei. Non ne avevo la certezza... ma Setha è la prova.»

«La prova di cosa?» domandò Elayne; poi sgranò gli occhi, perché a un tratto aveva capito.

«Il collare funziona solo sulle donne in grado d’incanalare il Potere» proseguì Egwene. «Capisci, Nynaeve? Le sul’dam possono incanalare il Potere come le damane.» Setha gemette e scosse con violenza la testa. «Una sul’dam morirebbe, piuttosto che ammetterlo, anche se ne fosse a conoscenza; ma le sul’dam non si addestrano a incanalare il Potere, per cui, pur possedendo la capacità, non possono utilizzarla.»

«Allora avevo ragione» intervenne Min. «In teoria, su di lei il collare non doveva funzionare.» Abbottonò l’ultimo bottone sulla schiena della veste di Egwene. «Una donna incapace d’incanalare il Potere ti farebbe a pezzi, mentre tu cerchi di controllarla con il collare.»

«Com’è possibile?» disse Nynaeve. «Credevo che i Seanchan mettessero il guinzaglio a tutte le donne in grado d’incanalare il Potere.»

«A tutte quelle che trovano» disse Egwene. «Ma trovano donne come te, come me, come Elayne. Noi siamo nate con questa abilità, pronte a sfruttarla, che ci insegnassero o meno. Ma le ragazze Seanchan nate senza questa abilità, ma capaci d’apprenderla? Non tutte le loro donne possono diventare... Reggitrici di Guinzaglio. Renna pensava di mostrarsi amichevole, parlandomene. A quanto pare, nei villaggi Seanchan si fa festa, quando vengono le sul’dam a sottoporre alla prova le ragazze. Vogliono trovare quelle come noi, per metterle al guinzaglio, ma lasciano provare a tutte le ragazze il bracciale, per scoprire se qualcuna percepisce come si sentono le Incatenate; allora la portano via e l’addestrano per diventare sul’dam. Sono le donne alle quali si può insegnare.»

Setha gemeva sottovoce. «No. No. No.»

«So che non merita compassione» disse Elayne «ma sento che dovrei aiutarla in qualche modo. Potrebbe essere una delle nostre Sorelle, se i Seanchan non avessero distorto tutto.»

Nynaeve aprì bocca per dire che avrebbero fatto meglio a pensare a se stesse, quando la porta si spalancò.

«Cosa succede qua dentro?» disse Renna, avanzando nella stanza. «C’è un’assemblea?» Mani sui fianchi, fissò Nynaeve. «Non ho mai dato a nessuna il permesso di legarsi alla mia Tuli. Non so neppure chi...» Guardò Egwene... che aveva indosso gli abiti di Nynaeve, anziché la veste grigia da damane, ed era senza collare. Sgranò gli occhi, ma non ebbe una sola possibilità di mandare un grido.

Prima che una delle altre si muovesse, Egwene afferrò la brocca e colpì Renna al ventre. La brocca andò in mille pezzi; la sul’dam rimase senza fiato, emise un ansito gorgogliante e si piegò in due. Con un ringhio Egwene balzò su di lei e la mandò lunga e distesa; afferrò il collare ancora per terra e lo mise al collo di Renna. Con uno strattone al guinzaglio, staccò dal piolo il bracciale e se lo mise al polso. A denti snudati, fissò in viso Renna. Le piantò sulle spalle le ginocchia e le tappò la bocca. Renna ebbe una tremenda convulsione e sbarrò gli occhi. Emise rauchi mugolii, urla soffocate dalle mani di Egwene.

«Smettila, Egwene!» intervenne Nynaeve. L’afferrò per la spalla e la staccò dall’altra. Renna, grigia in viso, rimase supina a fissare il soffitto, con una luce folle negli occhi.

Egwene si gettò addosso a Nynaeve, singhiozzando disperatamente. «Mi ha fatto male, Nynaeve. Mi ha fatto male. Tutte mi hanno fatto male, hanno continuato finché non ubbidivo. Le odio. Le odio perché mi hanno fatto male e perché non potevo costringerle a smettere di farmi fare quel che volevano loro.»

«Capisco» disse Nynaeve, in tono gentile. Le accarezzò i capelli. «È giusto odiarle, Egwene. Se lo meritano. Ma non è giusto diventare come loro.»

Setha si premeva il viso. Renna, incredula e tremante, si toccò il collare intorno alla gola.

Egwene si raddrizzò e si asciugò in fretta le lacrime. «Non sono come loro» disse. Si strappò il bracciale e lo gettò per terra. «Non sono come loro. Ma mi piacerebbe avere la forza di ucciderle tutte.»

«Se lo meritano» disse Min, torva, fissando le due sul’dam.

«Rand ucciderebbe chi facesse una cosa del genere» disse Elayne, Parve farsi coraggio. «Ne sono sicura.»

«Forse lo meritano» disse Nynaeve «e forse Rand le ucciderebbe. Ma spesso gli uomini spacciano per giustizia la vendetta.» Diverse volte aveva fatto parte, con la Cerchia delle Donne, del tribunale. A volte gli uomini si presentavano a loro, convinti che le donne li avrebbero ascoltati con maggior attenzione del Consiglio del Villaggio, ma pensavano sempre d’influire sulla decisione, con l’eloquenza e le suppliche. La Cerchia delle Donne mostrava pietà, quando pietà era meritata, e dava giustizia sempre; era la Sapiente del Villaggio a emettere il verdetto. Nynaeve raccolse il bracciale gettato via da Egwene. «Libererei ogni donna chiusa qui, se potessi, e distruggerei questi bracciali fino all’ultimo» disse. «Ma poiché non posso...» Infilò il bracciale nello stesso piolo a cui era appeso il primo. Poi si rivolse alle sul’dam. Non più Reggitrici di Guinzaglio, pensò. «Forse, se ve ne state in silenzio, resterete da sole il tempo sufficiente a togliervi il collare. La Ruota gira e ordisce come vuole. Può darsi che abbiate compiuto un numero di buone azioni sufficiente a bilanciare il male da voi fatto e a consentirvi di togliere i collari. In caso contrario, prima o poi qualcuna vi troverà. E vi farà un mucchio di domande, prima di togliervi il collare. Forse imparerete sulla vostra pelle quale vita avete imposto alle altre donne. Questa è giustizia» concluse.

Renna aveva lo sguardo fisso, inorridita. Setha era scossa dai singhiozzi. Nynaeve indurì il proprio cuore (era giustizia, si disse) e guidò le altre fuori della stanza.

Anche stavolta nessuno badò a loro. Nynaeve si disse che per questo doveva ringraziare l’abito da sul’dam, ma non vedeva l’ora di cambiarsi: perfino lo straccio più lurido le avrebbe dato l’impressione di pulito.

Le altre la seguirono in silenzio, finché non furono di nuovo nella via acciottolata.

«Cavalli» disse allora Egwene. «Ci servono dei cavalli. So in quale stalla hanno messo Bela, ma non credo che potremo andarla a prendere.»

«Dobbiamo lasciarla qui» disse Nynaeve. «Partiamo per nave.»

«Dov’è la gente?» esclamò Min. Di colpo Nynaeve si rese conto che la via era deserta.

La folla era sparita; lungo la via, botteghe e finestre erano chiuse e sbarrate. Ma dal porto giungeva una squadra di soldati, più d’un centinaio, con alla testa un ufficiale in armatura dipinta. I Seanchan erano ancora a metà strada rispetto a loro, però marciavano con passo deciso e a Nynaeve parve che i loro occhi fossero puntati su di lei. “Ridicolo” si disse. “Non si vedono gli occhi, dentro l’elmo; e se qualcuno avesse dato l’allarme, i soldati si troverebbero alle nostre spalle." Comunque, si fermò.

«Ce ne sono altri, dietro di noi» annunciò Min sottovoce. Ora anche Nynaeve udiva il rumore di stivali di questi ultimi. «Non so quale dei due gruppi arriverà per primo.»

Nynaeve inspirò a fondo. «Non hanno niente a che fare con noi» disse. Guardò il porto pieno di navi Seanchan, alte e squadrate. Non riuscì a scorgere la Spray; pregò che fosse sempre lì, pronta a salpare. «Andremo loro incontro e li oltrepasseremo» decise. E si augurò che fosse possibile.

«E se vogliono che ti unisci a loro?» domandò Elayne. «Indossi l’abito da sul’dam. Se cominciano a fare domande...»

«Indietro non ci torno» dichiarò Egwene, decisa. «Preferisco morire. Mostrerò loro cosa m’hanno insegnato.» Un nimbo dorato la circondò all’improvviso.

«No!» protestò Nynaeve; ma ormai era tardi.

Con un rombo di tuono, la via sotto i piedi dei primi Seanchan si sollevò e scagliò lontano terriccio, ciottoli, uomini in armatura, come schizzo di fontana. Egwene si girò a fissare la parte alta della via e il rombo si ripeté. Una pioggia di terriccio ricadde sul gruppetto di donne. I soldati gridarono e si sparpagliarono in buon ordine per ripararsi nei vicoli e dietro le scale esterne. In breve furono tutti fuori vista, a parte quelli distesi intorno alle due grosse buche che rovinavano la via. Alcuni di costoro si agitavano debolmente; lungo la via si udivano lamenti.

Nynaeve alzò le braccia al cielo e cercò di guardare nelle due direzioni allo stesso tempo. «Idiota!» gridò. «Volevamo passare inosservate!» Ormai la frittata era fatta. L’unica speranza era passare dai vicoli, girare intorno ai soldati e raggiungere il porto. Ma di sicuro le damane si erano già accorte che qualcuna aveva usato il Potere.

«Non mi farò rimettere il collare!» gridò ferocemente Egwene. «Mai!»

«Attente!» strillò Min.

Con un sibilo acuto, una palla di fuoco descrisse un arco al di sopra dei tetti e cominciò a cadere... proprio su di loro.

«Scappate!» gridò Nynaeve. Si gettò a tuffo verso il vicolo più vicino, fra due botteghe sbarrate.

Con un grugnito atterrò goffamente sulla pancia e rimase senza fiato, mentre la palla di fuoco cadeva. Una ventata d’aria calda la travolse e spazzò il vicolo. Ansimando per riprendere fiato, Nynaeve si rotolò sulla schiena e fissò la via.

Nel punto dove si trovavano loro poco prima, i ciottoli erano frantumati e anneriti in un raggio di dieci passi. Elayne era acquattata all’imbocco d’un altro vicolo, dalla parte opposta della via. Di Min e di Egwene non c’era segno, Nynaeve rimase inorridita.

Elayne parve leggerle nel pensiero: scosse con violenza la testa e indicò più avanti lungo la via. Le altre due erano andate da quella parte.

Nynaeve emise un sospiro di sollievo che si mutò subito in un ringhio. Senza quella sciocchezza, sarebbero passate inosservate! Ma non c’era tempo per le recriminazioni. Corse all’angolo e cautamente scrutò la via.

Una palla di fuoco grossa quanto una testa schizzò verso di lei. Con un balzo Nynaeve si ritrasse, un attimo prima che la palla di fuoco colpisse lo spigolo della casa e l’investisse con una grandinata di schegge di pietra.

Senza rendersene conto, per la collera fu inondata dall’Unico Potere. Un fulmine balenò e colpì con uno schianto la parte alta della via, vicino al punto da dove era giunta la palla di fuoco. Un altro fulmine zigzagò nel cielo. Nynaeve si lanciò di corsa nel vicolo. Alle sue spalle, il fulmine colpì l’imboccatura del passaggio.

"Se la nave di Domon non è pronta a salpare” si disse “gli... Luce santa, fa’ che arriviamo tutte al porto sane e salve!"

Bayle Domon si alzò di scatto, quando il fulmine striò il cielo grigio ardesia e cadde chissà dove, ripetendosi subito. Non c’erano nuvole che giustificassero fulmini!

Un rombo rumoreggiò nella parte alta della città; una palla di fuoco schiantò un tetto, proprio sopra i moli, e lanciò in ampi archi schegge d’ardesia. Già da un pezzo le banchine si erano svuotate della gente, a parte pochi Seanchan che ora correvano come pazzi, a spada sguainata, gridando. Da un magazzino comparve un Seanchan con un grolm a fianco: andava di corsa, per tenere il passo della creatura che procedeva a grandi balzi, e in breve sparì nelle vie che risalivano dal porto.

Un marinaio balzò a prendere un’ascia e la sollevò sopra un cavo d’ormeggio.

In due passi Domon afferrò con una mano l’ascia e con l’altra la gola del marinaio. «La Spray sta qui finché non lo dico io, Aedwin Cole!» ringhiò.

«Sono impazziti, capitano!» gridò Yarin. Un’esplosione mandò echi sul porto e spinse i gabbiani a volteggiare e sbraitare; il fulmine balenò di nuovo e si schiantò dentro Falme. «Le damane ci uccideranno tutti! Andiamo via, finché sono impegnate a uccidersi tra di loro. Non s’accorgeranno di noi, se non quando saremo lontano!»

«Ho dato la mia parola» disse Domon. Strappò di mano a Cole l’ascia e la gettò sul ponte. «Ho dato la mia parola» ripeté. “Fa’ presto, donna” pensò. “Aes Sedai, o quel che sei. Fa’ presto!"

Geofram Bornhald guardò i fulmini balenare sopra Falme e non stette lì a porsi domande. Una gigantesca creatura alata, senza dubbio uno dei mostri Seanchan, volteggiò pazzamente per sfuggire ai fulmini. Una tempesta avrebbe impacciato tanto i Seanchan quanto loro, pensò Bornhald. Alture quasi prive d’alberi, a parte qualche rado boschetto, gli nascondevano ancora la città.

I suoi mille uomini, disposti a ventaglio, formavano una lunga linea di cavalieri che increspava gli avvallamenti fra le alture. Il vento gelido agitava i mantelli e lo stendardo a fianco di Bornhald, col sole d’oro dai raggi ondulati, l’insegna dei Figli della Luce.

«Vai ora, Byar» ordinò Bornhald. L’uomo dal viso scarno esitò e Bornhald accentuò il tono. «Ti ho detto di andare, Figlio Byar!»

Byar si portò al cuore la mano e s’inchinò. «Come ordini, milord capitano.» Girò il cavallo, con chiara riluttanza.

Bornhald si tolse di mente Byar. Aveva fatto il possibile, lì. Alzò la voce. «Legione avanti al passo!»

Con uno scricchiolio di selle, la lunga linea di uomini dal manto bianco si mosse lentamente verso Falme.

Da dietro l’angolo Rand scrutò i Seanchan in arrivo e con una smorfia si ritirò nello stretto vicolo fra due stalle: sarebbero giunti presto. Aveva la guancia incrostata di sangue; le ferite ricevute da Turak bruciavano, ma non poteva farci niente, per il momento. Il fulmine saettò di nuovo; Rand sentì sotto i piedi le vibrazioni del colpo. Che cosa accadeva?

«Vicino?» disse Ingtar. «Rand, bisogna salvare il Corno di Valere.» Malgrado i Seanchan, malgrado i fulmini e le insolite esplosioni giù nella città vera e propria, pareva preoccupato per altre cose. In fondo al vicolo, Mat, Perrin e Hurin tenevano d’occhio un’altra pattuglia Seanchan. Il posto dove avevano lasciato i cavalli ormai era vicino, se riuscivano ad arrivarci.

«Lei è nei guai» brontolò Rand. Egwene. Aveva nella testa una bizzarra sensazione, come se parti della sua stessa vita fossero state in pericolo. Egwene era un filo della fune che formava la sua vita, ma c’erano altri fili e sentiva che anch’essi erano minacciati. Laggiù, a Falme. E se uno di questi fili fosse andato distrutto, la sua vita non sarebbe stata mai completa. Non capiva il significato, ma era sicurissimo di questa sensazione.

«Qui un solo uomo potrebbe tenerne a bada cinquanta» disse Ingtar. Le due stalle erano vicinissime, con spazio sufficiente appena per due uomini affiancati. «Un solo uomo per bloccarne cinquanta in una strettoia. Non brutta, come morte. Per meno, hanno creato ballate.»

«Non ce ne sarà bisogno» disse Rand. «Spero.» Vide esplodere un tetto. “Come faccio a tornare in città?" pensò. “Devo raggiungere Egwene. Lei e le altre?" Scosse la testa e si sporse dall’angolo. I Seanchan si avvicinavano.

«Non ho mai saputo che cosa avrebbe fatto» disse Ingtar, piano, quasi tra sé. Aveva sguainato la spada e ne saggiava il filo. «Un ometto pallido che nessuno nota nemmeno se guarda proprio dalla sua parte. Devi farlo entrare a Fal Dara, mi fu detto; nella fortezza. Non volevo, ma dovevo farlo. Capisci? Dovevo. Non sapevo quali intenzioni avesse, finché non ha scagliato la freccia. Ancora adesso non so se mirava all’Amyrlin o a te.»

Rand sentì un brivido. Fissò Ingtar. «Cosa dici?» bisbigliò.

Ingtar studiò la spada e parve non udire. «Dappertutto la razza umana è spazzata via. Nazioni cadono e svaniscono. Amici delle Tenebre sono ovunque. Nel meridione pare che nessuno se ne accorga, che nessuno se ne curi. Noi combattiamo per tenere le Marche di Confine, per dare sicurezza ai popoli del meridione; ma ogni anno, malgrado i nostri sforzi, la Macchia avanza. E nel meridione pensano che i Trolloc siano un mito e i Myrddraal storie da menestrelli.» Si accigliò e scosse la testa. «Pareva l’unico modo. Saremmo morti per niente, in difesa di popoli che neppure conoscono le nostre imprese, che non se ne curano. Pareva logico. Perché lasciarci distruggere per loro, quando potevamo avere la nostra pace? Meglio l’Ombra, ho pensato, che l’inutile oblio, come Carallain, come Hardan, come... Pareva così logico, allora.»

Rand lo afferrò per il bavero. «Smettila di dire stupidaggini!» sbottò, rifiutandosi di raccogliere le allusioni. «Parla chiaro, senza tante storie!»

Ingtar lo guardò con occhi lucidi di lacrime trattenute. «Sei un uomo migliore di me. Pastore o lord, sei un uomo migliore. Le Profezie dicono: ‘Chiunque mi suoni, non pensi alla gloria, ma solo alla salvezza’. Alla mia salvezza, pensavo. Avrei suonato il Corno, avrei guidato a Shayol Ghul gli eroi delle Epoche. Di sicuro questo gesto sarebbe bastato a salvarmi. Nessuno cammina nell’Ombra tanto a lungo da non poter tornare nella Luce. Così si dice. Sarebbe bastato a cancellare cosa sono stato e cosa ho fatto.»

«Oh, Luce santa, Ingtar!» Rand lasciò la presa e si abbandonò contro la parete della stalla. «Credo che.,. che la volontà basti. Non devi fare altro che smettere d’essere... uno di loro.» Ingtar trasalì come se Rand l’avesse detto a chiare lettere: Amico delle Tenebre.

«Rand, quando Verin ci ha portati qui attraverso la Pietra Portale, ho... ho vissuto altre vite. Talvolta ho avuto fra le mani il Corno, ma non l’ho mai suonato. Ho cercato di fuggire quel che ero diventato, ma non ci sono mai riuscito. Mi si chiedeva sempre dell’altro, sempre cose peggiori delle precedenti, finché non ero... Tu eri pronto a rinunciare a tutto per salvare un’amica. ‘Chiunque mi suoni, non pensi alla gloria.’ Oh, Luce, aiutami!»

Rand non seppe che cosa dire, Come se Egwene gli avesse rivelato d’avere ucciso bambini. Una confessione troppo orribile per crederci. Troppo orribile perché chiunque l’ammettesse, se non era vera.

Dopo un poco Ingtar parlò di nuovo, con fermezza. «Dev’esserci un prezzo, Rand. C’è sempre un prezzo. Forse posso pagarlo qui.»

«Ingtar, non...»

«Ogni uomo ha il diritto, Rand, di scegliere il momento in cui Rinfoderare la Spada. Anche uno come me.»

Prima che Rand potesse replicare, Hurin giunse di corsa dal fondo del vicolo. «La pattuglia ha cambiato direzione» annunciò. «Va giù in città. Pare che si radunino lì. Mat e Perrin hanno proseguito.» Diede una rapida occhiata alla via e si ritrasse. «Meglio seguirli, lord Ingtar, lord Rand. Quei Seanchan dalla testa d’insetto sono quasi qui.»

«Vai, Rand» disse Ingtar. Si girò verso la via e non guardò più Rand e Hurin. «Porta il Corno nel posto che gli compete. Ho sempre saputo che l’Amyrlin avrebbe dovuto affidare a te il comando. Ma volevo soltanto mantenere integro lo Shienar, evitare che ci spazzassero via e ci dimenticassero.»

«Lo so, Ingtar» disse Rand. Trasse un respiro profondo. «La Luce splenda su di te, lord Ingtar di Casa Shinowa. Possa tu trovare riparo nella mano del Creatore.» Gli toccò la spalla. «L’ultimo abbraccio della madre ti dia il benvenuto a casa.» Hurin ansimò.

«Grazie» rispose piano Ingtar. Parve rasserenarsi. Per la prima volta, dall’incursione dei Trolloc a Fal Dara, tornò come Rand l’aveva conosciuto, fiducioso e calmo.

Rand si girò. «Andiamo via anche noi, è tempo» disse. Hurin fissava entrambi. «Ma lord Ingtar...»

«Fa ciò che deve fare» disse Rand, brusco. «Ma noi ce ne andiamo.»

Hurin annuì e Rand lo seguì a passo svelto. Già udiva il rumore di stivali dei Seanchan. Non si guardò indietro.

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