8 Il Drago Rinato

A gambe rigide, nervoso sulle prime, Rand camminò a fianco del Custode. Affrontare in piedi gli eventi. Facile, per Lan. Lui non era stato convocato dall’Amyrlin Seat. Lui non si chiedeva se, prima della fine del giorno, l’avrebbero domato o peggio. A Rand pareva d’avere un nodo in gola: non riusciva a deglutire e ne aveva un gran bisogno.

I corridoi erano pieni di gente, domestici che si occupavano delle faccende del mattino, guerrieri con la spada sopra l’abito da riposo. Alcuni ragazzi, con le piccole spade da addestramento, stavano vicino ai più anziani e imitavano il loro modo di camminare. Non rimaneva segno dello scontro, ma perfino i bambini avevano un’aria vigile. Gli adulti parevano gatti in attesa di un’orda di topi.

Ingtar rivolse a Rand e a Lan un’occhiata bizzarra, quasi turbata; quando passarono accanto a lui, aprì bocca, ma non disse niente. Kajin, alto e magro, alzò i pugni e gridò: «Tai’shar Malkier! Tai’shar Manetheren!» Vero sangue del Malkier. Vero sangue del Manetheren.

Rand trasalì. Perché Kajin aveva gridato quelle frasi? Si ammonì di non fare l’idiota. Lì tutti sapevano del Manetheren. Conoscevano ogni antica storia, se parlava di battaglie. Maledizione, doveva controllarsi meglio.

Lan agitò i pugni in risposta. «Tai’shar Shienar!» gridò.

Se avesse fatto una corsa, si domandò Rand, sarebbe riuscito a perdersi nella folla quanto bastava a raggiungere il cavallo? Ma se l’Amyrlin avesse inviato battitori sulle sue tracce... A ogni passo divenne più teso.

Mentre si avvicinavano agli alloggi delle donne, Lan all’improvviso disse seccamente: «Il gatto attraversa la corte!»

Sorpreso, Rand assunse istintivamente l’andatura che gli era stata insegnata, schiena dritta ma muscoli sciolti, come se fosse appeso a un filo. Un’andatura rilassata, quasi arrogante. Rilassata in apparenza: dentro di sé, Rand era tutt’altro che rilassato. Svoltarono nell’ultimo corridoio tenendo lo stesso passo.

Le donne all’entrata dei propri alloggi li guardarono con calma. Alcune, sedute dietro tavoli inclinati, controllavano grossi libri mastri e di tanto in tanto segnavano qualcosa. Altre lavoravano a maglia o ricamavano con ago e telaio. A montare la guardia c’erano sia dame in vesti di seta, sia domestiche in livrea. La porta ad arco era spalancata, sorvegliata solo dalle donne. Non occorreva di più. Nessun maschio shienarese sarebbe entrato senza invito, ma ogni uomo era pronto a difendere quella porta, se necessario, e sarebbe stato inorridito per la necessità.

Rand si sentì lo stomaco in subbuglio e in bocca un saporaccio acido. Le donne avrebbero visto le spade e li avrebbero rimandati indietro. Non era quel che lui voleva? Se non li avessero fatti entrare, forse faceva ancora in tempo a filarsela. Purché non chiamassero le guardie. Si aggrappò al modo di camminare come a un ramo galleggiante nel fiume in piena: fu l’unica cosa che gli impedì di girarsi e di darsi alla fuga.

Una delle dame di compagnia di lady Amalisa, Nisura, una donna dal viso tondo, mise da parte il ricamo e si alzò, mentre loro due si fermavano. Diede un’occhiata alle spade e serrò le labbra, ma non sollevò obiezioni. Tutte le altre donne si bloccarono e rimasero a guardare, silenziose e attente.

«Onore a tutt’e due» disse Nisura, con un lieve inchino. Lanciò a Rand un’occhiata, così rapida che lui non fu sicuro di non essersela immaginata. «L’Amyrlin Seat vi aspetta» proseguì Nisura. A un suo segnale, due donne (anche loro dame di compagnia, non due domestiche, in segno di rispetto) vennero avanti a fare da scorta. Piegarono la testa in un inchino un pelo più profondo di quello di Nisura e indicarono il vano della porta. Rivolsero a Rand un’occhiata di sottecchi e non lo guardarono più.

Rand si domandò se avessero cercato solo lui, o tutt’e tre. Ma perché tutt’e tre?

Dentro, ricevettero le occhiate che Rand s’aspettava: due uomini negli alloggi delle donne erano rari e alla vista delle spade più d’un sopracciglio s’inarcò, ma nessuna donna sollevò obiezioni. Però i due si lasciarono una scia di mormorii che Rand non riuscì a distinguere. Lan proseguì come se non s’accorgesse di niente. Rand tenne il passo del Custode e rimpianse di non capire che cosa si mormorava alle sue spalle.

Arrivarono alle stanze dell’Amyrlin Seat; davanti alla porta c’erano tre Aes Sedai. Quella molto alta, Leane, reggeva il bastone con la fiamma d’oro. Rand non conosceva le altre due, una dell’Ajah Bianca, una della Gialla, ma ricordava il loro viso, da quando l’avevano fissato mentre correva in quegli stessi corridoi. Viso liscio da Aes Sedai, con occhi accorti. Le Aes Sedai lo esaminarono, a sopracciglia aggrottate e labbra imbronciate. La scorta che aveva accompagnato Lan e Rand eseguì la riverenza e affidò i due alle Aes Sedai.

Leane squadrò Rand, con un lieve sorriso. «Che cosa hai portato oggi all’Amyrlin Seat, Lan Gaidin?» disse in tono vivace. «Un giovane leone? Meglio che le Verdi non lo vedano, o una di loro lo legherà a sé prima che lui abbia tirato un respiro. Alle Verdi piacciono giovani.»

Rand si chiese se era davvero possibile sudare sotto la propria pelle: aveva proprio questa sensazione. Voleva guardare Lan, ma ricordò le istruzioni del Custode. «Sono Rand al’Thor, figlio di Tarn al’Thor, della terra dei Fiumi Gemelli, che un tempo fu il Manetheren. Sono stato convocato dall’Amyrlin Seat, Leane Sedai, ed eccomi qui. Sono pronto.» Fu sorpreso della propria voce, ferma e sicura.

Leane batté le palpebre e mutò il sorriso in un’occhiata pensierosa. «Costui non dovrebbe essere un semplice pastore, Lan Gaidin? Stamane non era così sicuro di sé.»

«È un uomo, Leane Sedai» replicò Lan, in tono fermo. «Né più, né meno. Siamo quel che siamo.»

L’Aes Sedai scosse la testa. «Il mondo diventa ogni giorno più bizzarro. Immagino che il fabbro porterà la corona e parlerà in Tono Aulico. Aspettate qui.» Scomparve nella stanza per annunciarli.

Rimase via solo alcuni secondi, ma Rand fu spiacevolmente consapevole degli occhi delle altre Aes Sedai puntati su di lui. Provò a restituire lo sguardo con la stessa intensità, come Lan gli aveva detto di fare; le due accostarono la testa e bisbigliarono. Che cosa dicevano? Che cosa sapevano? L’avrebbero domato? A questo si riferiva Lan, quando diceva d’affrontare quel che si presentava?

Leane tornò e con un gesto indicò a Rand d’entrare, Quando Lan si mosse per seguirlo, lo bloccò col bastone contro il petto. «Tu no, Lan Gaidin» disse. «Moiraine Sedai ha un compito per te. Il tuo cucciolo di leone sarà al sicuro anche da solo.»

La porta si chiuse, ma non prima che Rand udisse la voce di Lan, fiera e forte, ma bassa, solo per le sue orecchie: «Tai’shar Manetheren!»

Moiraine sedeva accanto a una parete; una Aes Sedai Marrone, che Rand aveva già visto nelle prigioni sotterranee, sedeva dalla parte opposta; ma fu la donna nella poltrona dietro l’ampio tavolo ad attirare l’attenzione del giovane. Le tende, tirate in parte a coprire le feritoie, lasciavano entrare poca luce, tanto da non permettere di vedere chiaramente il viso della donna. Rand però la riconobbe: era l’Amyrlin Seat.

Subito piegò il ginocchio, sinistra sull’elsa, pugno destro sul tappeto, e chinò la testa. «Mi hai chiamato, Madre, e sono venuto» disse. «Sono pronto.» Alzò la testa in tempo per vedere l’Amyrlin Seat inarcare il sopracciglio.

«Davvero, ragazzo?» Nella voce c’era una nota quasi di divertimento e un’altra emozione che Rand non riuscì a decifrare. Ma a guardarla non pareva affatto divertita. «In piedi, ragazzo, e lascia che ti dia un’occhiata.»

Rand si raddrizzò e cercò di mantenere un’espressione serena. Gli costò uno sforzo, non serrare i pugni. Tre Aes Sedai. Chissà quante ne occorrevano, per domare un uomo. Contro Logain ne avevano inviate più di dieci. Moiraine gli avrebbe fatto una cosa simile? Guardò negli occhi l’Amyrlin Seat. La donna non batté ciglio.

«Siedi, ragazzo» disse infine, indicando una sedia dallo schienale a listelli, posta davanti al tavolo. «Non sarà cosa breve, purtroppo.»

«Grazie, Madre.» Rand piegò la testa in un inchino; poi, come Lan gli aveva detto di fare, diede un’occhiata alla sedia e toccò la spada. «Col tuo permesso, Madre, starò in piedi. La veglia non è terminata.»

L’Amyrlin Seat emise un sospiro d’esasperazione e guardò Moiraine. «L’hai affidato alle cure di Lan, Figlia? Questa storia è già difficile, anche senza che lui assuma gli atteggiamenti del Custode.»

«Lan ha insegnato a tutt’e tre i ragazzi, Madre» replicò Moiraine, calma. «Con questo qui ha impiegato un po’ più di tempo, perché ha la spada.»

L’Aes Sedai Marrone si mosse a disagio. «I Gaidin sono testardi e orgogliosi, Madre, ma utili» disse. «Non vorrei perdere Tomas, come tu non vorresti perdere Alric. Ho perfino udito alcune Rosse ammettere che a volte rimpiangono di non avere un Custode. E le Verdi, ovviamente...»

Ora le tre Aes Sedai non badavano a Rand. «La spada» disse l’Amyrlin Seat. «Mi dicono che sia una lama col marchio dell’airone. Come è venuta in suo possesso, Moiraine?»

«Da ragazzo, Madre, Tarn al’Thor lasciò i Fiumi Gemelli. Si arruolò nell’esercito dell’Illian e militò nella guerra contro i Manti Bianchi e nelle ultime due guerre contro Tear. A poco a poco divenne mastro spadaccino e Secondo Capitano dei Compagni. Dopo la Guerra Aiel, Tarn al’Thor tornò nei Fiumi Gemelli con una moglie di Caemlyn e un bambino appena nato. Avrei risparmiato tempo, se l’avessi saputo prima; ma ora lo so.»

Rand fissò Moiraine. Lui sapeva solo che Tarn aveva lasciato i Fiumi Gemelli ed era tornato con una moglie forestiera e una spada, ma non il resto. Dove l’aveva appreso, Moiraine? Non certo a Emond’s Field, A meno che Nynaeve non le avesse raccontato più di quanto non aveva detto a lui. Un bambino appena nato. Moiraine non aveva detto ‘figlio di Tam’. Ma lui lo era!

«Contro Tear» ripeté l’Amyrlin, un po’ accigliata. «Be’, tutt’e due le parti erano da biasimare, in quelle guerre. Gli stupidi preferiscono combattere anziché discutere. Puoi stabilire se la spada è autentica, Verin?»

«Esistono degli esami, Madre.»

«Allora prendila ed eseguili, Figlia.»

Le tre donne non lo guardavano nemmeno. Rand arretrò d’un passo e strinse forte l’elsa. «Questa spada me l’ha data mio padre» disse con rabbia. «Nessuno me la porterà via.» Solo allora si rese conto che Verin non si era spostata dalla sedia. Confuso, guardò le tre Aes Sedai e cercò di ritrovare l’equilibrio.

«Allora» disse l’Amyrlin Seat «hai in te un certo fuoco, oltre quello che ti ha inculcato Lan. Bene. Ne avrai bisogno.»

«Sono quel che sono, Madre» riuscì a replicare lui, in tono abbastanza calmo. «Mi tengo pronto per quel che si presenta.»

«Lan ti ha dato davvero lezioni» replicò l’Amyrlin Seat, con una smorfia. «Ascolta bene, ragazzo. Fra qualche ora Ingtar partirà alla ricerca del Corno rubato. Il tuo amico, Mat, andrà con lui. Mi aspetto che anche l’altro tuo amico, Perrin, vada con loro. Hai voglia di accompagnarli?»

«Mat e Perrin partono? Perché?» Ricordò in ritardo di aggiungere un rispettoso ‘Madre’.

«Sai del pugnale che il tuo amico aveva con sé?» disse l’Amyrlin, con una smorfia per mostrare che cosa ne pensava. «Anche il pugnale è stato rubato. Se non lo troviamo, non possiamo spezzare completamente il legame fra lui e il pugnale; e Mat morirà. Puoi partire con loro, se vuoi. O puoi restare qui. Senza dubbio lord Agelmar ti darà ospitalità finché desideri. Anch’io parto oggi, Moiraine Sedai mi accompagnerà, con Egwene e Nynaeve, quindi sarai da solo, se resterai. La scelta è tua.»

Rand la fissò. Poteva andarsene quando voleva. Per questo l’aveva convocato? Perché Mat aveva i giorni contati? Lanciò un’occhiata a Moiraine, seduta con le mani in grembo, impassibile. Pareva che niente al mondo l’interessasse meno della sua decisione. Da quale parte voleva spingerlo, l’Aes Sedai? Maledizione, sarebbe andato dall’altra! Ma se Mat correva pericolo di morte... Non poteva abbandonarlo. Luce santa, come avrebbero fatto a trovare il pugnale?

«Non sei obbligato a fare subito la scelta» disse l’Amyrlin Seat. Anche lei pareva disinteressata. «Ma dovrai scegliere prima che Ingtar parta.»

«Andrò con Ingtar, Madre.»

L’Amyrlin Seat annuì, con indifferenza, «Sistemata questa faccenda, passiamo alle cose importanti. Tu sei in grado d’incanalare il Potere, ragazzo. Cosa sai?»

Rand rimase a bocca aperta. Preoccupato per Mat, fu colpito come da una randellata da quelle parole dette in tono noncurante. Si sentì vorticare nella testa i consigli e le istruzioni di Lan. Fissò l’Amyrlin e si umettò le labbra. Pensare che sapesse era tutto diverso dallo scoprire che sapeva davvero. Il sudore gli imperlò la fronte.

L’Amyrlin si sporse sulla sedia, in attesa di una risposta, ma Rand ebbe l’impressione che volesse abbandonarsi contro lo schienale. Ricordò le parole di Lan: “Se avrà paura di te..." Gli venne voglia di ridere. Se lei aveva paura di lui.

«No, non posso. Voglio dire... non l’ho mai fatto di proposito, È accaduto, ecco tutto. Non voglio... incanalare il Potere. Non voglio più farlo, lo giuro.»

«Non vuoi» disse l’Amyrlin. «Saggio, da parte tua. E sciocco, anche. Alcuni imparano a incanalare; la maggior parte non può. Pochi, però, hanno in loro il seme, alla nascita. Prima o poi manipoleranno il Potere, che lo vogliano o no, con la stessa certezza con cui le uova di pesce fanno pesci. Continuerai a incanalare, ragazzo. Non puoi farci niente. E ti converrà imparare a usare il Potere, a controllarlo; altrimenti non vivrai abbastanza da impazzire. L’Unico Potere uccide chi non ne sa controllare il flusso.»

«Come dovrei imparare?» domandò Rand. Moiraine e Verin si limitavano a stare sedute, imperturbabili, e a guardarlo. Simili a ragni al centro della tela. «Come? Moiraine sostiene di non potermi insegnare niente e io non so come e cosa imparare. E poi, non voglio. Voglio smetterla. Lo capisci? Smetterla!»

«Ti ho detto la verità, Rand» replicò Moiraine, col tono di chi conversa piacevolmente. «Coloro che potrebbero insegnarti, gli Aes Sedai maschi, sono morti da tremila anni. Nessuna Aes Sedai vivente può insegnarti a toccare Saidin, più di quanto tu non possa imparare a toccare Saldar. Un uccello non può insegnare a volare a un pesce, né un pesce a nuotare a un uccello.»

«L’ho sempre ritenuto un proverbio inesatto» intervenne Verin. «Ci sono uccelli che si tuffano e nuotano. E nel Mare delle Tempeste ci sono pesci che volano, con pinne che s’allargano quanto un braccio proteso e becco simile a spada...» Lasciò morire la frase, turbata. Moiraine e l’Amyrlin Seat la fissavano con occhi inespressivi.

Rand approfittò dell’interruzione per riacquistare un certo autocontrollo. Come Tarn gli aveva insegnato molto tempo prima, formò nella propria mente una singola fiammella e vi riversò le proprie paure, cercando il vuoto e la calma del vuoto. La fiammella parve crescere fino ad avviluppare ogni cosa, fino a diventare troppo grande per essere contenuta o immaginata. A quel punto svanì e lasciò un senso di pace. Ai margini, le emozioni guizzavano ancora, paura e collera simili a chiazze nere, ma il vuoto si mantenne. Il pensiero scivolò sulla sua superficie come ciottoli sul ghiaccio. Le Aes Sedai avevano distolto da lui l’attenzione solo per qualche istante; quando tornarono a guardarlo, Rand era sereno in viso.

«Perché mi parli in questo modo, Madre?» domandò. «Dovresti domarmi.»

L’Amyrlin Seat corrugò la fronte e si rivolse a Moiraine. «Gliel’ha insegnato Lan?»

«No, Madre. L’ha imparato da Tarn al’Thor.»

«Perché?» domandò di nuovo Rand.

L’Amyrlin Seat lo guardò dritto negli occhi. «Perché sei il Drago Rinato.»

Il vuoto tremò. Il mondo tremò. Ogni cosa, intorno a Rand, parve vorticare. Lui si concentrò sul nulla e il vuoto tornò, il mondo si fermò. «No, Madre. Posso incanalare il Potere, ma non sono Raolin Darksbane, né Guaire Amalasan, né Yurian Stonebow. Puoi domarmi, o uccidermi, o lasciarmi andare; ma non sarò un falso Drago addomesticato, al guinzaglio di Tar Valon.»

Verin ansimò e l’Amyrlin sgranò gli occhi, con sguardo duro come pietra. Rand non ne fu toccato: anche queste reazioni scivolarono sulla superficie del vuoto interiore.

«Dove hai udito questi nomi?» domandò l’Amyrlin. «Chi ti ha detto che Tar Valon tira i fili di ogni falso Drago?»

«Un amico, Madre. Un menestrello. Si chiamava Thom Merrilin. È morto, ora.» Moiraine borbottò qualcosa e Rand la guardò. Moiraine sosteneva che Thom non era morto, ma non aveva mai fornito le prove e Rand non capiva come un uomo potesse sopravvivere a un corpo a corpo con un Fade. Il pensiero era estraneo e subito svanì. C’era solo il vuoto e l’identità con esso.

«Tu non sei un falso Drago» disse l’Amyrlin con fermezza. «Sei il vero Drago Rinato.»

«Sono un pastore dei Fiumi Gemelli, Madre.»

«Figlia, raccontagli la storia. Una storia vera, ragazzo. Ascolta con attenzione.»

Moiraine iniziò a parlare. Rand mantenne lo sguardo sul viso dell’Amyrlin, ma ascoltò.

«Circa vent’anni fa, gli Aiel attraversarono la Dorsale del Mondo, il Muro del Drago, per la prima e unica volta. Devastarono il Cairhien, distrussero ogni esercito mandato contro di loro, bruciarono la città stessa di Cairhien e si aprirono la strada fino a Tar Valon. Era inverno e nevicava; ma freddo o caldo significano poco, per un Aiel. La battaglia decisiva fu combattuta davanti alle Mura Splendenti, nell’ombra di Montedrago. Dopo tre giorni e tre notti di combattimenti, gli Aiel furono respinti. O meglio, se ne tornarono via, perché avevano fatto quello per cui erano venuti, ossia uccidere re Laman del Cairhien per il suo peccato contro l’Albero. A questo punto comincia la mia storia. E la tua.»

Hanno scavalcato il Muro del Drago come fiume in piena. E sono arrivati fino alle Mura Splendenti. Rand aspettò che i ricordi svanissero, ma quella che udiva era la voce di Tarn, malato e delirante, che estraeva segreti dal proprio passato. La voce si fermò all’esterno del vuoto, protestando per entrare.

«A quel tempo ero una delle Ammesse» continuò Moiraine «come nostra Madre, l’Amyrlin Seat. Presto avremmo avuto il rango di Sorelle e quella notte eravamo al servizio dell’Amyrlin di allora. La sua Custode degli Annali, Gitara Moroso, era presente. Ogni altra Sorella di Tar Valon, perfino le Rosse, era sul campo a guarire i feriti. Era l’alba. Nel camino il fuoco non riusciva a tenere fuori il freddo. Finalmente la neve aveva smesso di cadere e nelle stanze dell’Amyrlin, nella Torre Bianca, sentivamo il puzzo di fumo dei villaggi dati alle fiamme durante la battaglia.»

Le battaglie sono sempre ardenti, anche nella neve. Dovevo allontanarmi da quel lezzo di morte. La voce delirante di Tarn artigliava la calma del vuoto dentro Rand. Il vuoto tremò e si raggrinzì, tornò come prima, ondeggiò di nuovo. Gli occhi dell’Amyrlin trapassavano Rand. Il giovane sentì di nuovo il sudore sul viso. «Era soltanto delirio provocato dalla febbre» disse. «Stava male.» Alzò la voce. «Mi chiamo Rand al’Thor. Sono un pastore. Mio padre è Tarn al’Thor e mia madre era...»

Moiraine si era interrotta per lui, ma ora riprese a parlare, con voce piana e implacabile. «Il Ciclo Karaethon, le Profezie del Drago, dice che il Drago rinascerà sulle pendici di Montedrago, dove morì durante la Frattura del Mondo. Gitara Sedai a volte aveva il dono della Predizione. Era vecchia, con capelli bianchi come la neve fuori della Torre; ma la Predizione, quando si manifestò, fu potente. Dalle finestre entrava, sempre più intensa, la luce del mattino. Porsi a Gitara Sedai una tazza di tè. L’Amyrlin Seat mi domandò quali notizie giungessero dal campo di battaglia. E Gitara Sedai balzò dalla sedia, con braccia e gambe rigide, tremando, con l’espressione di chi guardi nel Pozzo del Destino a Shayol Ghul, ed esclamò: “È nato di nuovo! Lo sento! Il Drago trae il primo respiro, sulle pendici di Montedrago! Viene! Viene! La Luce ci aiuti! La Luce aiuti il mondo! Giace nella neve e strilla con rumore di tuono! Arde come il sole!" E crollò in avanti fra le mie braccia, morta.»

Pendio della montagna. Ho udito il pianto d’un bimbo. Partorì lì, da sola, prima di morire. Neonato livido di freddo. Rand cercò di scacciare la voce di Tam. Il vuoto rimpicciolì. «Delirio febbrile» ansimò, Non potevo abbandonare un piccino. «Sono nato nei Fiumi Gemelli.» Ho sempre saputo che volevi dei figli, Kari. Rand staccò gli occhi dallo sguardo fisso dell’Amyrlin. Cercò di mantenere il vuoto. Capì che non ci sarebbe riuscito, che il vuoto crollava dentro di lui. Sì, ragazza. Rand è un bel nome. «Sono... Rand... al’Thor.» Le gambe gli tremarono.

«Così venimmo a sapere che il Drago era Rinato» continuò Moiraine. «L’Amyrlin ci fece giurare di mantenere il segreto, perché sapeva che non tutte le Sorelle avrebbero visto sotto la giusta luce il Drago Rinato. Ci ordinò di cercarlo. Alla fine della battaglia, molti bambini erano rimasti senza padre. Troppi. Ma scoprimmo che sulla montagna un uomo aveva trovato un neonato. Tutto qui. Un uomo e un neonato. Così continuammo le ricerche. Cercammo per anni, trovammo altri indizi, studiammo attentamente le Profezie. ‘Sarà del sangue antico, allevato dal vecchio sangue.’ Questa era una; ce n’erano altre. Ma esistono molti luoghi dove il vecchio sangue, disceso dall’Epoca Leggendaria, conserva forza. Poi, nei Fiumi Gemelli, dove il vecchio sangue del Manetheren ribolle ancora come fiume in piena, a Emond’s Field, trovai tre ragazzi nati più o meno nel periodo della battaglia di Montedrago. E uno di loro è in grado d’incanalare il Potere. Credi che i Trolloc ti abbiano dato la caccia solo perché sei ta’veren? Tu sei il Drago Rinato.»

Rand si sentì mancare le ginocchia; si accasciò sul tappeto e allungò le mani per non cadere bocconi. Il vuoto era svanito, la calma si era frantumata in mille pezzi. Rand sollevò la testa e tutt’e tre lo fissavano, le Aes Sedai: avevano viso sereno, placido come lago, ma occhi fissi e immobili. «Mio padre è Tarn al’Thor. Sono nato...» Le Aes Sedai continuarono a fissarlo, immobili. “Mentono” pensò Rand. “Io non sono... quel che dicono loro! Mentono, vogliono usarmi." «Non mi lascerò usare da voi.»

«Non si sminuisce l’ancora, se la si usa per tenere ferma una barca» disse l’Amyrlin. «Sei stato fatto per uno scopo, Rand al’Thor. “Quando i venti della Tarmon Gai’don frusteranno la terra, lui affronterà l’Ombra e riporterà nel mondo la Luce." Le profezie devono avverarsi, altrimenti il Tenebroso si scatenerà e rifarà il mondo a propria immagine. L’Ultima Battaglia s’avvicina. Tu sei nato per unire l’umanità e guidarla contro il Tenebroso.»

«Ba’alzamon è morto» disse Rand, con voce rauca. L’Amyrlin sbuffò come un cavallo.

«Se ci credi, sei stupido come i domanesi. Nell’Arad Doman molti credono che sia morto, o così dicono; ma non s’arrischiano a nominarlo, ho notato. Il Tenebroso è vivo e sta per scatenarsi. Tu affronterai il Tenebroso. È il tuo destino.»

È il tuo destino. Rand aveva già udito la stessa frase, in un sogno che forse non era del tutto un sogno. Si domandò che cosa avrebbe detto l’Amyrlin, se avesse saputo che in sogno Ba’alzamon gli aveva parlato. Ma aveva già provveduto lui: Ba’alzamon era morto. L’aveva visto morire.

A un tratto s’accorse di stare acquattato come un rospo, di farsi piccolo piccolo, sotto i loro occhi. Cercò di riformare il vuoto, ma le voci gli turbinavano nella mente e annullavano ogni tentativo. È il tuo destino... Un neonato disteso sulla neve... Sei il Drago Rinato... Ba’alzamon è morto... Rand è un bel nome, Kari... Non mi lascerò usare! Traendo forza dalla propria cocciutaggine, si costrinse a rialzarsi. Qualsiasi cosa si presenti, affrontala in piedi. Puoi serbare almeno l’orgoglio. Le tre Aes Sedai lo guardavano senza espressione.

«Cosa...» Con uno sforzo rese fermo il tono di voce. «Cosa avete intenzione di farmi?»

«Niente» rispose l’Amyrlin; e Rand rimase sorpreso. Non era la risposta che s’aspettava, che temeva. «Hai detto che vuoi accompagnare i tuoi amici e Ingtar; puoi farlo. Su di te non ho alcun programma. Alcune Sorelle forse sanno che sei ta’veren, ma nient’altro. Solo noi tre sappiamo chi sei veramente. Come ho ricevuto te, riceverò anche il tuo amico Perrin e poi visiterò Mat, nell’infermeria. Puoi andartene senza paura che mettiamo sulle tue tracce le Sorelle Rosse.»

Chi sei veramente. Fu invaso dall’ira, ardente e corrosiva. Si costrinse a non lasciarla trasparire. «Perché?»

«Le Profezie devono avverarsi. Ti lasciamo libero, pur sapendo cosa sei, perché altrimenti il mondo che conosciamo morirebbe e il Tenebroso coprirebbe la terra col fuoco e con la morte. Attento: non tutte le Aes Sedai la pensano al nostro stesso modo. Ce ne sono alcune, qui a Fal Dara, che ti ucciderebbero, se sapessero un decimo di quel che sappiamo noi, e non sentirebbero maggior rimorso di quanto non si abbia a sventrare un pesce. D’altro canto, ci sono uomini che hanno riso e scherzato con te, e che farebbero la stessa cosa, se sapessero. Stai attento, Rand al’Thor, Drago Rinato.»

Rand le guardò, una dopo l’altra. Le loro Profezie non riguardavano lui, si disse. Le Aes Sedai gli restituirono lo sguardo, con calma: era difficile credere che volessero convincerlo d’essere l’uomo più odiato e più temuto della storia del mondo. Ma lui aveva ormai superato il momento di paura e si scaldava solo per la collera. Potevano domarlo, o ridurlo lì sul posto a tizzone bruciacchiato, ma ormai se ne fregava.

Ricordò una parte delle istruzioni di Lan. Sinistra sull’elsa, girò la spada dietro di sé, afferrando con la destra il fodero, poi si inchinò, a braccia dritte. «Col tuo permesso, Madre, posso andarmene?»

«Vai pure, figlio mio.»

Rand si raddrizzò e rimase fermo ancora un istante. «Non mi lascerò usare» disse. Ci fu un lungo silenzio, quando si girò e uscì.

Dopo l’uscita di Rand, il silenzio si trascinò; alla fine l’Amyrlin emise un lungo sospiro. «Per quanto cerchi di convincere me stessa, quel che abbiamo appena fatto continua a non piacermi» disse. «Era necessario, però... Ha funzionato, Figlie?»

«Non lo so» rispose Moiraine. «Ma era, ed è, necessario.»

«Necessario» convenne Verin. Si toccò la fronte e fissò la traccia di sudore rimasta sulla punta delle dita. «È forte. E testardo come dicevi tu, Moiraine. Molto più forte di quanto non m’aspettassi. Forse dovremmo proprio domarlo, prima...» Sgranò gli occhi. «Ma non possiamo, vero? Le Profezie. La Luce ci perdoni per quel che scateniamo sul mondo.»

«Le Profezie» annuì Moiraine. «Dopo, faremo quel che dovremo. Come adesso.»

«Come dobbiamo» disse l’Amyrlin. «Sì. Ma quando avrà imparato a incanalare il Potere, la Luce ci aiuti.»

Il silenzio scese di nuovo.

Una tempesta s’appressava. Nynaeve la percepiva. Una tempesta violenta, peggiore di quante ne avesse mai viste. Lei ascoltava il vento e udiva quale sarebbe stato il tempo. Tutte le Sapienti dicevano d’ascoltare il vento, anche se molte non ci riuscivano. Nynaeve si era sentita più a suo agio, nei riguardi di questa sua capacità, prima di sapere che era una manifestazione del Potere. Ogni donna in grado di ascoltare il vento poteva incanalare il Potere, anche se molte erano probabilmente nelle sue stesse condizioni, inconsapevoli di quel che facevano, e toccavano a sbalzi la Vera Fonte.

Stavolta però, c’era un che di sbagliato. Nel cielo sereno il sole del mattino era una palla d’oro e nei giardini gli uccelli cantavano: ma ascoltare il vento serviva a prevedere i cambiamenti del tempo prima che ce ne fossero i segni. Tuttavia stavolta la sensazione era diversa dal solito. La tempesta pareva distante, troppo lontana perché lei la percepisse. Eppure le pareva che il cielo dovesse versare fiumi di pioggia, e neve e grandine, tutto insieme, mentre il vento ululava da scuotere le pietre della rocca. Percepiva anche il bel tempo, che sarebbe durato ancora per alcuni giorni, ma questa sensazione era soffocata dall’altra.

Un pettazzurro si appollaiò in una feritoia, quasi a prendere in giro le sue previsioni, e scrutò nel corridoio. Appena la vide, sparì in un lampo di piume azzurre e bianche.

Nynaeve fissò il punto lasciato vuoto dal pettazzurro. “C’è una tempesta, e non c’è tempesta” pensò. “Significa qualcosa. Ma cosa?"

In fondo al corridoio, pieno di donne e di bambini, scorse Rand che si allontanava a grandi passi, con la scorta costretta quasi a correre per stargli dietro. Annuì, decisa. Se c’era una tempesta che non era una tempesta, Rand ne sarebbe stato al centro. Si alzò le sottane e corse dietro di lui.

Donne con cui aveva fatto amicizia nella permanenza a Fal Dara cercarono di parlarle; sapevano che Rand era giunto con lei e che provenivano tutt’e due dai Fiumi Gemelli, e le domandarono perché l’Amyrlin l’aveva convocato. L’Amyrlin Seat! Nynaeve sentì nello stomaco un blocco di ghiaccio e riprese a correre; ma, prima di uscire dagli alloggi delle donne, per le troppe svolte e la troppa gente perdette di vista Rand.

«Da quale parte è andato?» domandò a Nisura. Non fu necessario precisare chi: aveva udito il nome di Rand, nella conversazione delle donne raccolte attorno alla porta ad arco.

«Non so, Nynaeve. È uscito in fretta come se avesse alle calcagna Heartsbane in persona. E non ci sarebbe da stupirsi, visto che è venuto qui con la spada alla cintura. Dopo una bravata così, il Tenebroso dovrebbe essere l’ultima delle sue preoccupazioni. Il mondo va proprio a rotoli. Ed è stato presentato all’Amyrlin, nientemeno. Dimmi, Nynaeve, è davvero un principe, giù da voi?» Le altre donne si zittirono e si sporsero ad ascoltare.

Nynaeve non si rese nemmeno conto della risposta che dava, una risposta che le indusse a lasciarla andare. Sì allontanò in fretta dagli alloggi delle donne, girando la testa a destra e a manca a ogni incrocio. Luce santa, che cosa avevano fatto a Rand? Avrebbe dovuto tenerlo lontano da Moiraine. In fin dei conti, era la sua Sapiente.

"Ma davvero?" la irrise una vocina. “Hai abbandonato Emond’s Field al suo destino. Ti consideri ancora la Sapiente del Villaggio?"

"Non li ho abbandonati” si rispose, in tono feroce. “Ho fatto venire Mavra Mallen, da Deven Ride, per badare a tutto mentre ero assente. Può cavarsela bene col Sindaco e col Consiglio; e va d’accordo con la Cerchia delle Donne."

"Mavra dovrà pur tornare al suo villaggio. Nessun villaggio resiste a lungo senza una Sapiente."

Dentro di sé, Nynaeve si fece piccola piccola. Ormai da mesi mancava da Emond’s Field.

«Sono la Sapiente di Emond’s Field» disse ad alta voce.

Un domestico in livrea, con una pezza di stoffa fra le braccia, la guardò, sorpreso, e fece un profondo inchino, prima di svignarsela. Pareva ansioso di trovarsi da tutt’altra parte.

Nynaeve arrossì e si girò a guardare se qualcuno avesse notato la scena. Nel corridoio c’erano solo alcuni uomini impegnati a discutere e alcune donne in nero e oro, che svolgevano i propri incarichi; tutti le rivolsero un inchino o una riverenza, mentre passava. Già cento volte aveva avuto con se stessa quella discussione, ma questa era la prima volta che aveva finito per parlare ad alta voce da sola. Brontolò un’imprecazione, poi serrò le labbra, quando si accorse di quel che faceva.

Cominciava a convincersi che la ricerca era inutile, quando s’imbatté in Lan: il Custode le dava le spalle e da una feritoia guardava giù nella corte. Da basso provenivano clamori di uomini e di cavalli, grida e nitriti. Lan era così intento che, per una volta, non udì la Sapiente avvicinarsi.

Nynaeve si fermò di scatto e si premette lo stomaco per eliminare uno sfarfallio. Avrebbe dovuto somministrarsi rannel e radice di linguapecora, si disse acidamente; la mistura che rifilava a chiunque si sentisse depresso e sostenesse di stare male, o si comportasse come un’oca. Rannel e radice di linguapecora rianimavano un poco e non facevano male, ma soprattutto avevano un sapore orribile che durava per tutto il giorno. Una cura perfetta per chi faceva lo sciocco.

Di nascosto osservò Lan: il Custode, appoggiato alla pietra, si accarezzava il mento e guardava quel che accadeva di sotto. “È troppo alto, tanto per dirne una” pensò Nynaeve. “E come età potrebbe essere mio padre. Un uomo con una faccia come la sua dovrebbe essere crudele. No, lui non lo è. Non lo è mai stato." Ed era un re. Il suo regno era stato distrutto, quando lui era bambino, e Lan non avrebbe mai reclamato una corona, ma era pur sempre un re. “Cosa se ne farebbe, un re, di una paesana? E poi, è un Custode. Legato a Moiraine. Lei ha Lan, la sua fedeltà fino alla morte, legami più stretti d’un innamorato. Ha tutto quel che voglio, la Luce l’incenerisca!"

Lan si girò e Nynaeve lo imitò per andarsene.

«Nynaeve.» La voce di Lan l’afferrò e la bloccò come un nodo scorsoio. «Volevo parlarti. Ma a quanto pare, sei sempre negli alloggi delle donne o in compagnia.»

Le occorse uno sforzo, per guardarlo, ma si mostrò calma e serena. «Cerco Rand» disse. Non poteva confessargli d’averlo evitato di proposito. «Tempo fa, tu e io ci siamo detti quel che dovevamo dirci. Mi sono umiliata, cosa che non farò mai più, e tu mi hai mandata via.»

«Non ho mai...» Lan inspirò a fondo. «Ti dissi che come dono di nozze potevo offrirti solo abiti da vedova, Un dono che nessun uomo farebbe a una donna. Un uomo degno di questo nome, almeno.»

«Capisco» replicò Nynaeve, fredda. «In ogni caso, un re non fa doni a una paesana. E questa paesana non li accetterebbe. Hai visto Rand? Devo parlargli. Doveva vedere l’Amyrlin. Sai il motivo?»

Gli occhi del Custode lampeggiarono come ghiaccio al sole. Nynaeve irrigidì le gambe per non indietreggiare e resse il suo sguardo.

«Il Tenebroso si prenda Rand al’Thor e l’Amyrlin Seat insieme» imprecò Lan. Mise in mano a Nynaeve un oggetto. «Ti farò un dono e tu lo accetterai, dovessi legartelo al collo.»

Nynaeve staccò gli occhi dai suoi: quando si arrabbiava, Lan aveva lo sguardo fisso d’un falco dagli occhi azzurri. Le aveva messo in mano un anello col sigillo, d’oro massiccio e antico, tanto largo da farci quasi passare i due pollici uniti. Il sigillo rappresentava una gru in volo sopra una lancia e una corona. Nynaeve rimase senza fiato: era l’anello dei re del Malkier. «Non posso accettarlo, Lan.» protestò.

Lui scrollò le spalle, con noncuranza. «Non è niente. Vecchio e inutile, ora. Ma c’è chi lo riconoscerà, nel vederlo. Mostralo, e avrai ospitalità e aiuto da ogni signore delle Marche di Confine. Mostralo a un Custode e lui ti aiuterà o mi porterà un messaggio. Rimandamelo, o mandami un messaggio col sigillo, e verrò da te, senza perdere tempo. Lo giuro.»

«Non posso... non voglio doni da te, al’Lan Mandragoran» disse, con le lacrime agli occhi, sforzandosi di non piangere. «Tieni, riprendilo.»

Lui le strinse il pugno, con gentilezza, ma con la fermezza d’un ceppo. «Allora prendilo per farmi un favore. Oppure gettalo via, se non ti garba. Non ho uso migliore, per quell’anello,» Col dito le sfiorò la guancia e lei trasalì. «Ora devo andare, Nynaeve mashiara. L’Amyrlin vuole partire prima di mezzodì e c’è ancora molto da fare. Forse, durante il viaggio a Tar Valon, avremo tempo di parlare.» Le girò le spalle e se ne andò a passo deciso lungo il corridoio.

Nynaeve si toccò la guancia, dove lui l’aveva sfiorata. Mashiara. Amata col cuore e con l’anima, significava, ma indicava anche un amore perduto e impossibile da riconquistare. Si diede della stupida, della bambina. Non aveva senso, sentirsi per colpa di Lan come se...

Strinse con forza l’anello e si girò. Con un sobbalzo di sorpresa, si trovò faccia a faccia con Moiraine. «Da quanto tempo sei qui?» le domandò.

«Non tanto da udire cose che non mi riguardano» rispose piano l’Aes Sedai. «Andremo via presto. Questo l’ho udito. Devi preparare il tuo bagaglio.»

Erano di partenza: non l’aveva afferrato, quando Lan l’aveva detto. «Dovrò dire addio ai ragazzi» borbottò; poi scoccò a Moiraine un’occhiata penetrante. «Cosa avete fatto a Rand? È stato condotto dall’Amyrlin. Perché? Gli avete detto del... del...» Non riusciva a dirlo. Rand era del suo stesso villaggio e lei aveva appena qualche anno più di lui, quanto bastava a tenerlo d’occhio da bambino: ma se pensava che cos’era divenuto, provava sempre una fitta allo stomaco.

«L’Amyrlin vedrà tutt’e tre i ragazzi, Nynaeve. I ta’veren non sono così frequenti da trascurare l’occasione di vederne tre insieme. Forse rivolgerà loro qualche parola d’incoraggiamento, visto che andranno con Ingtar alla ricerca di chi ha rubato il Corno. Partiranno più o meno quando partiremo noi, quindi farai bene a sbrigarti, con gli addii.»

Nynaeve schizzò verso la feritoia più vicina e scrutò la corte esterna. C’erano cavalli dappertutto, da soma e da sella, e uomini che si affaccendavano e si scambiavano richiami. L’unico punto sgombro era quello dove c’era la portantina dell’Amyrlin, con la coppia di cavalli in paziente attesa, senza stallieri. Nella corte c’erano anche alcuni Custodi, che badavano alla propria cavalcatura; nella parte opposta, c’era Ingtar con un gruppo di shienaresi in armatura.

«Dovevo portarti via i ragazzi» disse Nynaeve, continuando a guardare di sotto. E anche Egwene, pensò, se avesse potuto farlo senza ucciderla; Luce santa, perché doveva nascere con questo maledetto talento? «Dovevo riportarli a casa.»

«Sono abbastanza adulti da non avere bisogno d’attaccarsi alle sottane» disse Moiraine, in tono pungente. «E sai benissimo perché non potevi farlo. Per uno di loro, almeno. Inoltre, Egwene sarebbe andata da sola a Tar Valon. O hai deciso di non venire a Tar Valon? Se nessuno t’insegna a usare correttamente il Potere, non potrai mai servirtene contro di me.»

Nynaeve si girò di scatto, a bocca aperta. «Non so di cosa parli» protestò.

«Credi che non sappia, bambina? Be’, come vuoi. Deduco che vieni a Tar Valon. Sì? Lo immaginavo.»

Nynaeve avrebbe voluto darle un pugno, cancellarle dalla faccia il sorriso che vi brillò per un istante. Dalla Frattura del Mondo, le Aes Sedai non avevano mai tenuto apertamente il potere politico: tessevano trame e complotti, tiravano fili come burattinaie, usavano regni e nazioni come sassolini sul tavoliere da gioco. E Moiraine voleva usare anche lei, chissà in quale modo. Sovrani, regine... perché non una Sapiente? Così come usava Rand. Ma lei non era una bambina!

«Cosa fai, con Rand, ora? Non l’hai usato abbastanza? Non so perché non l’hai fatto domare, vista la presenza dell’Amyrlin Seat e delle altre Aes Sedai; ma hai di sicuro un motivo valido. Qualche complotto che continui a covare. Se l’Amyrlin sapesse cosa stai combinando, scommetto che...»

«Cosa vuoi che interessi, all’Amyrlin, un pastore?» la interruppe Moiraine. «Certo, se l’avessero portato alla sua attenzione nel modo sbagliato, forse lei l’avrebbe fatto domare o addirittura uccidere. Lui è quel che è, in fin dei conti. E c’è una certa rabbia, per gli eventi di ieri notte. Tutti cercano a chi dare la colpa.» Tacque e il silenzio perdurò. Nynaeve la fissò, digrignando i denti.

«Sì, è molto meglio non svegliare il leone che dorme» disse infine Moiraine. «Ma ora provvedi a fare i bagagli.» E si allontanò nella direzione presa da Lan.

Con una smorfia di rabbia, Nynaeve diede un pugno contro la parete e sentì contro il palmo l’anello. Aprì la mano e lo guardò. L’anello parve ravvivarle l’ira, concentrare l’odio. “Oh, sì, imparerò sul serio” si disse. “Credi di sfuggirmi, solo perché sai. Ma io imparerò meglio di quanto tu non pensi e ti distruggerò per quel che hai fatto. A Mat, a Perrin, a Rand, la Luce l’aiuti e il Creatore lo protegga. Soprattutto a Rand." Serrò le dita intorno al pesante cerchietto d’oro. “E a me."

Egwene osservò la domestica in livrea ripiegare gli abiti e deporli in un baule da viaggio rivestito di cuoio; anche dopo quasi un mese, si sentì ancora a disagio perché un’altra faceva un lavoro che poteva fare da sola. Gli abiti, tutti regalo di lady Amalisa, erano molto belli, come quello che indossava, in seta grigia, adatto ai viaggi a cavallo, semplicemente decorato con qualche bocciolo di stella del mattino ricamato in bianco sul petto. Molti altri abiti erano più elaborati; ognuno avrebbe fatto un figurone, nel Giorno del Sole o nella festa di Bel Tine. Con un sospiro Egwene ricordò che il prossimo Giorno del Sole sarebbe stato a Tar Valon, non a Emond’s Field. Dal poco che Moiraine le aveva raccontato a proposito dell’addestramento delle novizie, non s’aspettava di tornare a casa per la festa di Bel Tine, in primavera, e nemmeno per il Giorno del Sole, a mezza estate.

Nynaeve sporse nella stanza la testa. «Sei pronta?» Entrò del tutto. «Fra poco dobbiamo essere giù nella corte.» Anche lei indossava un abito da sella, in seta azzurra, con nodi d’amore ricamati sul petto. Un altro regalo di lady Amalisa.

«Ancora un momento, Nynaeve» rispose Egwene. «Quasi mi dispiace andare via. A Tar Valon non avremo molte occasioni di sfoggiare i magnifici abiti che Amalisa ci ha regalato.» Si mise a ridere. «Però, Sapiente, non sentirò la mancanza di bagni dove ogni momento bisogna guardarsi alle spalle.»

«Molto meglio fare il bagno da sola» disse vivacemente Nynaeve. Non cambiò espressione, ma dopo un momento le si colorirono le guance.

Egwene sorrise: Nynaeve pensava a Lan. Faceva sempre un certo effetto pensare che Nynaeve, la Sapiente, si sdilinquisse dietro un uomo: negli ultimi tempi, a volte Nynaeve si comportava proprio come una ragazzina innamorata. Di un uomo senza buonsenso sufficiente a rendersi degno di lei. Nynaeve amava Lan, e Lan — si vedeva — amava Nynaeve: allora perché non le parlava francamente?

«Non mi sembra più il caso che continui a chiamarmi Sapiente» disse a un tratto Nynaeve.

Egwene trasalì, sorpresa. L’uso del titolo non era obbligatorio e Nynaeve non lo pretendeva, a meno che non fosse arrabbiata o volesse mantenere le distanze; ma questa dichiarazione...

«Perché no?»

«Sei una donna, ora» disse Nynaeve, con un’occhiata ai capelli sciolti. Egwene provò l’impulso di raccoglierli frettolosamente in una treccia: le Aes Sedai sceglievano l’acconciatura che preferivano, ma per Egwene i capelli sciolti erano diventati il simbolo dell’inizio d’una nuova vita. «Sei una donna» ripeté Nynaeve, in tono fermo. «Siamo due donne, molto lontano da Emond’s Field; e ne passerà, di tempo, prima che torniamo a casa. È meglio che mi chiami semplicemente Nynaeve.»

«Rivedremo la nostra casa, Nynaeve. La rivedremo.»

«Non cercare di confortare la Sapiente, bambina» disse Nynaeve, in tono burbero. Ma sorrideva.

Bussarono alla porta. Prima che Egwene aprisse, entrò Nisura, assai agitata. «Egwene, quel tuo giovanotto cerca d’entrare negli alloggi delle donne» disse, scandalizzata. «E porta la spada. Solo perché l’Amyrlin l’ha lasciato entrare armato... Lord Rand dovrebbe avere più buonsenso. Sta provocando una grande baraonda. Egwene, devi parlargli.»

«Lord Rand» sbuffò Nynaeve. «Il giovanotto cresce troppo per entrare ancora nelle proprie brache. Appena gli metto le mani addosso, lo aggiusto io.»

Egwene le prese il braccio. «Lascia che gli parli io» disse. «Da sola.»

«Oh, bene, bene» replicò Nynaeve. «Gli uomini migliori non sono molto di più che animali addomesticati.» E soggiunse quasi fra sé: «Comunque, i migliori valgono la fatica d’addomesticarli.»

Egwene scosse la testa e seguì Nisura nel corridoio. Solo sei mesi prima, si disse, Nynaeve non avrebbe certo espresso quel pensiero. Ma, tanto, non sarebbe mai riuscita ad addomesticare Lan. Pensò a Rand e al subbuglio che provocava. «Addomesticarlo?» borbottò. «Se anche stavolta non sa come comportarsi, lo scortico vivo!»

«A volte ci vorrebbe» disse Nisura, camminando in fretta. «Gli uomini non sono mai civilizzati del tutto, finché non si sposano.» Diede a Egwene un’occhiata di sguincio. «Hai intenzione di maritare lord Rand? Non per ficcare il naso, ma tu vai alla Torre Bianca e le Aes Sedai di rado prendono marito... in genere, quelle dell’Ajah Verde, ho sentito dire, e anche fra loro, non molte...»

Egwene sapeva già il resto. Negli alloggi delle donne aveva udito le chiacchiere su di una moglie adatta a Rand; all’inizio si era ingelosita e arrabbiata: da quand’erano bambini, Rand era quasi il suo fidanzato. Ma lei sarebbe diventata Aes Sedai e lui era un uomo in grado d’incanalare il Potere. Avrebbe potuto maritarlo. E guardarlo impazzire, guardarlo morire. A meno che non lo domassero. Ma lei non poteva augurare a Rand una fine del genere. «Non so» rispose, in tono dispiaciuto.

Nisura annuì. «Nessuna vuole invadere i tuoi prati; ma tu vai alla Torre e lui sarà un buon marito. Una volta addestrato. Eccolo là.»

Le donne radunate intorno all’ingresso guardavano tre uomini fermi nel corridoio esterno. Rand, con la spada allacciata sopra il mantello rosso, era affrontato da Agelmar e da Kajin. Nessuno di questi ultimi aveva la spada: anche dopo gli avvenimenti della notte, quelli erano sempre gli alloggi delle donne. Egwene si fermò alle spalle della piccola folla.

«Cerca di capire perché non puoi entrare» diceva in quel momento Agelmar. «Lo so che nell’Andor non si usa, ma qui è diverso, cerca di capire.»

«Non ho provato a entrare» replicò Rand, col tono di chi ha ripetuto la stessa cosa un mucchio di volte. «Ho detto a lady Nisura che volevo vedere Egwene, e lei ha risposto che Egwene era occupata e che dovevo aspettare. Ho solo gridato per chiamarla, dalla soglia. Non ho cercato d’entrare. Da come mi guardavano, sembrava che avessi nominato il Tenebroso.»

«Le donne hanno i loro sistemi» disse Kajin. Per uno shienarese, era alto, quasi quanto Rand, snello e magro, con un ciuffo nero come la pece. «Hanno stabilito loro le regole e noi ci atteniamo a esse, anche se sono stupide.» Parecchie donne aggrottarono le sopracciglia e Kajin si schiarì in fretta la voce. «Se vuoi parlare a una donna, devi mandare un messaggio, che però sarà consegnato quando avranno voglia loro e nel frattempo ti tocca aspettare. È l’usanza.»

«Devo vederla» ripeté Rand, cocciuto. «Presto ce ne andiamo. Anche se per me è già tardi. Ma devo vedere Egwene. Riporteremo il Corno di Valere e il pugnale. E così sarà finita. Ma voglio vederla, prima di partire.» Egwene corrugò la fronte: Rand faceva discorsi bizzarri.

«Non serve, tanta focosità» disse Kajin. «Tu e Ingtar troverete il Corno, o non lo troverete. Se non lo troverete, un altro lo ricupererà. La Ruota gira e ordisce come vuole e noi siamo solo fili nel Disegno.»

«Non lasciarti prendere dal Corno, Rand» disse Agelmar. «Può soggiogare un uomo, e io lo so bene; ma non è questo il modo. Un uomo deve cercare il dovere, non la gloria. Quel che accadrà, accadrà. Se il Corno di Valere dovrà essere suonato per la Luce, allora lo sarà.»

«Ecco la tua Egwene» disse Kajin, scorgendola.

Agelmar si guardò intorno e annuì, nel vedere Egwene e Nisura. «Ti lascio nelle sue mani, Rand al’Thor. Ricorda che qui le sue parole, non le tue, sono legge. Lady Nisura, non essere troppo dura con lui. Voleva solo vedere la sua ragazza e non conosce le nostre usanze.»

Egwene seguì Nisura che si apriva la strada fra la crocchia di donne. Nisura rivolse un breve inchino a Agelmar e a Kajin, ma non a Rand, e parlò con voce tesa. «Lord Agelmar. Lord Kajin. Ormai dovrebbe conoscere almeno questa nostra usanza, ma è troppo grosso per essere sculacciato, così lascerò che sia Egwene a metterlo in riga.»

Agelmar diede a Rand una pacca sulla spalla, con fare paterno. «Vedi. Parlerai con lei, se non proprio nel modo che volevi. Andiamo, Kajin. Abbiamo ancora un mucchio da fare. L’Amyrlin insiste ancora per...» Il resto si perdette, mentre i due si allontanavano. Rand rimase a guardare Egwene.

Le donne continuavano a osservarli, si accorse Egwene. Guardavano anche lei, non solo Rand: per vedere che cosa avrebbe fatto. Ma lei non se la sentiva d’infierire. Rand aveva bisogno d’una pettinata; in viso mostrava collera, sfida, stanchezza. «Cammina con me» gli disse Egwene, Dietro di loro nacque un mormorio, mentre fianco a fianco si allontanavano dagli alloggi delle donne. Rand pareva lottare con se stesso, cercare le parole.

«Ho sentito parlare delle tue... imprese» disse infine Egwene. «Correre per gli alloggi delle donne, ieri notte, con la spada in pugno. E presentarsi con la spada al fianco a un’udienza dell’Amyrlin Seat.» Rand continuò a restare in silenzio e a camminare a occhi bassi. «Non ti ha... fatto male, vero?» domandò Egwene. Non riuscì a usare la parola ‘domare’: Rand pareva quello di sempre, ma lei non aveva idea dell’aspetto di un uomo ‘domato’.

Rand sobbalzò. «No. Non ha... L’Amyrlin non mi ha fatto niente.»

Egwene ebbe l’impressione che Rand fosse stato sul punto di dire una cosa del tutto diversa. In genere riusciva a strappargli quel che voleva nasconderle, ma quando Rand decideva d’essere cocciuto, era più facile scalzare dal muro un mattone usando le unghie. Dall’espressione, in quel momento era più cocciuto che mai.

«Rand, cosa voleva da te?»

«Niente d’importante. Ta’veren. Voleva vedere i ta’veren.» Addolcì l’espressione. «E tu, Egwene? Stai bene? Moiraine ha detto che ti saresti ripresa, ma parevi morta. Ti ho creduto morta, appena t’ho vista.»

«Be’, morta non sono» rise lei. Ricordava solo d’avere chiesto a Mat d’accompagnarla nelle prigioni sotterranee e d’essersi risvegliata nel proprio letto, la mattina seguente. Da quel che aveva sentito dire di quella notte, era felice di non ricordare niente. «Moiraine ha detto che, se avesse potuto guarire solo il resto, mi avrebbe lasciato un bel mal di testa per essermi comportata da stupida; ma non poteva.»

«T’avevo avvisata che Fain era pericoloso» borbottò Rand. «Ma tu non hai voluto darmi retta.»

«Se hai intenzione di farmi la predica» replicò Egwene, decisa «ti riporto da Nisura. Così impari. L’ultimo che ha cercato di entrare con la forza negli alloggi delle donne ha passato un mese con le mani nell’acqua saponata, in lavanderia: e voleva solo discutere con la fidanzata. Almeno era stato tanto furbo da non portare la spada. Chissà a te cosa farebbero.»

«Non ce n’è uno che non voglia farmi qualcosa» brontolò Rand. «Che non voglia usarmi ai propri fini. Be’, non mi lascerò usare. Trovato il Corno e il pugnale di Mat, non sarò più usato da nessuno.»

Esasperata, Egwene lo prese per le spalle e lo costrinse a guardarla in viso. Gli lanciò un’occhiata di fuoco. «Se non la pianti di dire stupidaggini, Rand al’Thor, ti prendo a schiaffi.»

«Ora sembri proprio Nynaeve» rise lui. Ma, guardandola, tornò serio. «Immagino... immagino che non ti rivedrò. Tu devi andare a Tar Valon. E diventerai Aes Sedai. Sono stufo delle Aes Sedai, Egwene. Non sarò il loro burattino: né di Moiraine, né delle altre.»

Aveva un’aria così disperata che avrebbe voluto coccolarlo e così testarda che l’avrebbe preso davvero a schiaffi. «Apri bene le orecchie, testa di rapa. Diventerò Aes Sedai e troverò il modo di aiutarti. Te lo prometto.»

«La prossima volta che ci vedremo, probabilmente vorrai domarmi.»

Egwene si guardò frettolosamente intorno: erano da soli in quel tratto di corridoio. «Se non stai attento a quel che dici, non riuscirò ad aiutarti. Vuoi che tutti sappiano?»

«Sanno già in troppi. Egwene, vorrei che le cose fossero diverse, ma non lo sono. Vorrei... Abbi cura di te. E promettimi di non scegliere l’Ajah Rossa.»

Con la vista annebbiata dalle lacrime, Egwene gli gettò le braccia al collo. «Tu devi avere cura di te» disse con ardore, parlando contro il suo petto. «Altrimenti io... io...» Credette di udirlo mormorare: “Ti amo".

Rand si liberò con fermezza della stretta e scostò Egwene. Le girò le spalle e si allontanò quasi di corsa.

Egwene sobbalzò, quando Nisura le toccò il braccio. «Si direbbe che gli hai dato un incarico odioso» commentò. «Ma non deve vedere che piangi per questo: è controproducente. Vieni, Nynaeve ti vuole.»

Egwene si asciugò le guance e seguì Nisura. “Abbi cura di te, stupido testone” pensò. “Luce santa, veglia su di lui."

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