21 I Nove Anelli

Rand si aspettava che nella sala comune non ci fossero avventori, dal momento che era l’ora di cena, ma sei uomini occupavano un tavolo e giocavano a dadi fra i boccali di birra e un altro, seduto da solo, cenava. I giocatori di dadi non avevano armi visibili e non portavano armatura, solo giubbe ordinarie e brache blu scuro, ma qualcosa nel portamento li classificava come soldati. Rand guardò l’uomo seduto in disparte. Un ufficiale, con gli stivali risvoltati e la spada appoggiata al tavolo, accanto alla sedia. Due bande, rossa e gialla, gli attraversavano da spalla a spalla il petto della giubba blu; l’uomo aveva la parte superiore della testa rasata, ma i capelli neri gli pendevano lunghi sulla schiena. Gli altri soldati avevano capelli corti, tutti uguali, come tagliati sotto la stessa scodella. I sette si girarono a guardare l’ingresso di Rand e degli altri.

La locandiera era una donna magra col naso lungo e i capelli grigi, ma aveva un sorriso pronto e le rughe parevano farne parte più di qualsiasi altra cosa. Arrivò con aria indaffarata e si asciugò le mani nel grembiule bianco e pulito. «Buona sera a voi...» disse. Con un’occhiata prese nota della giubba ricamata di Rand e dell’elegante veste di Selene. «Milord, milady. Sono Maglin Madwen. Siate i benvenuti ai Nove Anelli. E un Ogier. Non molti della tua razza vengono da queste parti, amico Ogier. Vieni da Stedding Tsofu?»

Loial si produsse in un mezzo inchino, impacciato dal peso dello scrigno. «No, dall’altra parte» rispose. «Dalle Marche di Confine.»

«Dalle Marche, dici. Bene. E tu, milord? Scusa l’indiscrezione, ma non hai l’aspetto di uno delle Marche, se posso dirlo.»

«Vengo dai Fiumi Gemelli, padrona Madwen. Lady Selene è del Cairhien, della capitale, e io sono dell’Andor.»

«Certo, milord.» Madwen diede una rapida occhiata alla spada di Rand: gli aironi di bronzo erano ben visibili, sul fodero e sull’elsa. Aggrottò un poco le sopracciglia, ma subito si rasserenò. «Vorrai un pasto per te, per la bellissima lady e per il tuo seguito. E stanze, immagino. Farò provvedere io ai cavalli. Ho una buona stalla, proprio da quella parte, e maiale con peperoni gialli, già sul fuoco. Sei alla ricerca del Corno di Valere, milord? Tu e milady?»

Rand rischiò d’incespicare. «Oh, no!» rispose. «Come mai t’è venuta quest’idea?»

«Senza offesa, milord. Nell’ultimo mese ne abbiamo avuti già due, tirati a lucido per avere l’aria da eroi... senza offesa nei tuoi confronti, milord. Qui non vengono molti forestieri, a parte mercanti della capitale che comprano avena e orzo. Non credo che la Cerca sia già partita da Illian, ma forse alcuni ritengono di non avere bisogno della benedizione e l’hanno evitata per avvantaggiarsi sugli altri.»

«Non cerchiamo il Corno, padrona» disse Rand, senza guardare il fagotto fra le braccia di Loial: la coperta a strisce ricadeva sulle grosse braccia dell’Ogier e nascondeva bene lo scrigno. «Andiamo alla capitale.»

«Certo, milord. Scusa se te lo chiedo, ma la tua lady si sente bene?»

Selene guardò la padrona della locanda e prese parola per la prima volta. «Sto benissimo» disse. Il tono lasciò nell’aria un gelo che per un momento bloccò ogni discorso.

«Tu non sei del Cairhien, padrona Madwen» disse a un tratto Hurin. Carico delle bisacce e del fagotto di Rand, pareva un carro di bagagli ambulante. «Scusa, non ne hai l’aria.»

Padrona Madwen inarcò le sopracciglia e lanciò a Rand un’occhiata, poi sorrise. «Dovevo sapere che avresti lasciato parlare liberamente il tuo servitore, ma ormai sono abituata a...» Scoccò un’occhiata all’ufficiale, che era tornato a occuparsi della propria cena. «Luce santa, no, non sono del Cairhien, ma per i miei peccati ho avuto un marito di questo paese. Ventitré anni ho vissuto con lui; e quando è morto, la Luce splenda su di lui, ero ormai pronta a tornare nel Lugard, ma lui ha avuto l’ultima risata. Ha lasciato a me la locanda e a suo fratello il denaro, mentre pensavo che facesse il contrario. Ingannevole e infido era Barin, come ogni altro uomo che abbia mai conosciuto, soprattutto quelli del Cairhien. Vuoi accomodarti, milord? Milady?»

Batté le palpebre, sorpresa, quando Hurin si sedette a tavola con loro: l’Ogier, pareva, era un conto, ma ai suoi occhi Hurin era chiaramente un servitore. Diede un’altra rapida occhiata a Rand e andò in fretta in cucina; presto alcune cameriere portarono la cena, ridacchiando scioccamente e fissando il lord e la lady e l’Ogier, finché padrona Madwen non le rimandò a lavorare.

Sulle prime Rand fissò il cibo, dubbioso. La carne di maiale, tagliata a pezzetti, era servita con peperoni gialli a fettine, piselli, altre verdure e cose che non riconobbe, il tutto mescolato in una sorta di densa salsa. Aveva un profumo agrodolce. Selene si limitò a mangiucchiare la sua porzione, ma Loial mangiò di gusto.

Da sopra la forchetta, Hurin ridacchiò a Rand. «Nel Cairhien, lord Rand, il cibo è condito in maniera curiosa, ma non è cattivo.»

«E non morde, Rand» aggiunse Loial.

Esitando, Rand ne prese un boccone e quasi rimase senza fiato. Il sapore era uguale all’odore, agrodolce; i pezzetti di maiale erano croccanti all’esterno e teneri dentro; una decina di spezie diverse dava alla salsa un sapore che armonizzava e contrastava nello stesso tempo. Rand non aveva mai assaggiato roba così buona e ripulì il piatto. Quando padrona Madwen tornò con le cameriere per sparecchiare, fu sul punto di chiederne dell’altro, come Loial. Il piatto di Selene era quasi intatto, ma lei indicò seccamente a una cameriera di portarlo via.

«Con piacere, amico Ogier» sorrise la locandiera. «Ce ne vuole, per riempire uno come te. Catrine, porta un’altra porzione e non perdere tempo.» Una cameriera si allontanò di corsa. Padrona Madwen si girò verso Rand e sorrise. «Milord» disse «avevo qui un uomo che suonava la tarabusa, ma ha sposato una ragazza delle fattorie e lei ora lo costringe a pizzicare le corde dell’aratro. Non ho potuto fare a meno di notare quello che pare un astuccio di flauto e che sporge dal fagotto del tuo servitore. Dal momento che il mio musico non c’è più, lasceresti che il tuo servitore ci intrattenga con un po’ di musica?»

Hurin parve imbarazzato.

«Lui non suona» spiegò Rand. «Suono io.»

La donna batté le palpebre. A quanto pareva, i lord non suonavano il flauto, almeno nel Cairhien.

«Ritiro la richiesta, milord. La Luce m’è testimone che non intendevo offenderti. Non avrei mai chiesto a un signore del tuo rango di suonare in una sala comune di locanda.»

Rand esitò solo un attimo. Da un bel pezzo non usava il flauto, ma la spada; e le monete che aveva in tasca non sarebbero durate per sempre. Appena si fosse liberato di quei vestiti eleganti — appena avesse restituito il Corno a Ingtar e il pugnale a Mat — avrebbe avuto bisogno del flauto per guadagnarsi di nuovo la cena, mentre cercava un posto sicuro dalle Aes Sedai.

«A me non importa» disse. «Hurin, passami l’astuccio.»

In oro lavorato e intarsiato d’argento, il flauto pareva proprio il tipo di strumento adatto a un lord. Rand provò a muovere le dita e notò con piacere che l’airone marchiato a fuoco sul palmo non gli dava fastidio: gli unguenti di Selene avevano avuto ottimi risultati. Per associazione d’idee, cominciò a suonare ‘Il volo dell’airone’.

Hurin seguiva il tempo muovendo la testa e Loial tamburellava sul tavolo, Selene guardò Rand come se si domandasse chi era davvero quel giovane ("Non sono un lord, milady” le disse tra sé Rand. “Sono un pastore e suono il flauto nelle locande.") ma i soldati smisero di chiacchierare per ascoltare la musica e l’ufficiale chiuse la copertina di legno del libro che si era messo a leggere dopo mangiato. Notando lo sguardo fisso di Selene, Rand s’intestardì e a bella posta evitò musiche adatte a un palazzo o al maniero d’un lord. Suonò ‘Un solo secchio d’acqua’ e ‘Gli antichi boschi dei Fiumi Gemelli’, ‘Il vecchio Jak sull’albero’ e ‘Il piffero di compare Priket’.

A questo punto i sei soldati cominciarono a cantare con voce rauca, ma non le parole che Rand conosceva.

Al fiume Iralell scendemmo a cavallo

sol per vedere l’arrivo dei Taren.

Ci fermammo alla riva

mentre il sole sorgeva.

I lor destrieri anneriron la piana

e le bandiere scurirono il cielo.

Ma non cedemmo sul greto d’Iralell.

Tutti lì noi restammo.

Tutti lì noi restammo

sulle sponde del fiume quel mattino.

Non era la prima volta che, in luoghi diversi, una musica cambiava titolo e parole, a volte perfino da villaggio a villaggio d’una stessa zona. Rand accompagnò il canto, finché i soldati non smisero e presero a darsi manate sulle spalle e a fare commenti volgari sul modo di cantare degli altri.

Quando Rand abbassò il flauto, l’ufficiale si alzò con un gesto brusco. I soldati si zittirono di colpo; si portarono la mano al petto, rivolsero un inchino all’ufficiale — e a Rand — e uscirono senza più girarsi.

L’ufficiale si avvicinò al tavolo di Rand e salutò con un inchino, mano sul cuore; la fronte rasata pareva ricoperta da un velo di cipria. «La grazia ti favorisca, milord» salutò. «Mi auguro che con i loro canti non t’abbiano infastidito. Sono gente comune, ma non intendevano insultarti. Mi chiamo Aldrin Caldevwin, milord. Capitano al servizio di Sua Maestà, la Luce l’illumini.» Lasciò scivolare lo sguardo sulla spada di Rand: probabilmente aveva già notato gli aironi.

«Nessun insulto» rispose Rand. La cadenza dell’ufficiale gli ricordò Moiraine: parole precise e pronunciate con chiarezza. «Siedi, prego, capitano.» Caldevwin prese una sedia da un altro tavolo. «Volevo domandarti, se non ti spiace: di recente hai visto altri forestieri? Una dama, bassa e snella, e un guerriero con occhi azzurri? Un uomo alto, che a volte porta la spada di traverso sulla schiena.»

«Non ho visto nessun forestiero» rispose il capitano, sedendosi rigidamente. «A parte te e la tua lady, milord. Non sono molti, i nobili che vengono da queste parti.» Rivolse un’occhiata a Loial e corrugò la fronte; ignorò Hurin, qualificandolo un semplice servitore.

«Era solo un’idea.»

«Milord, non intendo mancarti di rispetto, ma potrei sapere il tuo nome? Qui vengono talmente pochi forestieri che mi piacerebbe conoscerli tutti.»

Rand si presentò. Non si attribuì alcun titolo, ma l’ufficiale parve non notarlo. Poi, come con la locandiera, soggiunse: «Provengo dai Fiumi Gemelli, nell’Andor.»

«Una nazione meravigliosa, ho sentito dire, lord Rand... posso chiamarti così? E grandi uomini, gli andoriani. Nessun cairhienese ha mai portato una spada da mastro spadaccino in età così giovane come la tua. Una volta ho conosciuto degli andoriani, fra cui il Capitano Generale delle Guardie della Regina. Con mio grande imbarazzo, non ne ricordo il nome. Per caso puoi rinfrescarmi la memoria?»

Sullo sfondo, le cameriere cominciavano a sparecchiare e pulire. Caldevwin aveva l’aria di fare solo conversazione, ma intanto indagava.

«Si chiama Gareth Bryne» disse Rand.

«Ah, già, ora ricordo. Giovane, per una carica così importante.»

«Gareth Bryne ha tanto di quel grigio nei capelli da poter essere tuo padre, capitano» replicò Rand, in tono neutro.

«Chiedo scusa, milord Rand, ma volevo dire che è giunto giovane alla carica.» Caldevwin si rivolse a Selene e per un istante si limitò a fissarla. Alla fine si scosse, come se uscisse da uno stato di trance. «Chiedo scusa se ti guardo in questo modo e se ti parlo con questo tono» le disse. «Ma la Grazia ti ha certamente favorito. Ti spiace darmi un nome da abbinare a tanta bellezza?»

Proprio mentre Selene apriva bocca, una cameriera mandò uno strillo e lasciò cadere il lume che toglieva da una mensola. L’olio si rovesciò e formò sul pavimento una pozza ardente. Rand balzò in piedi, come gli altri seduti al tavolo; ma, prima che uno di loro potesse intervenire, comparve padrona Madwen e aiutò la ragazza a spegnere le fiamme, servendosi dei grembiuli.

«Ti avevo detto di fare attenzione, Catrine» la rimproverò, agitandole sotto il naso il grembiule ora pieno di macchie. «Finirai per bruciare la locanda con te dentro.»

La ragazza parve sul punto di scoppiare in lacrime. «Facevo attenzione, padrona! Ma ho sentito una fitta acutissima al braccio.»

Padrona Madwen alzò le mani al cielo. «Hai sempre la scusa pronta e rompi più piatti tu di tutte le altre insieme. Ah, va bene. Ora pulisci e non bruciarti.» Si rivolse a Rand e agli altri, ancora in piedi intorno al tavolo. «Mi auguro che nessuno di voi se la prenda a male. La locanda non si sarebbe certo incendiata. La ragazza lascia cadere qualche piatto, se comincia a montarsi la testa per un bel giovanotto, ma con i lumi ha sempre fatto attenzione.»

«Vorrei che mi mostrassi la mia stanza» disse Selene, in tono cauto, come se fosse incerta del proprio stomaco; ma per il resto aveva l’aria fredda e calma di sempre. «Non mi sento molto bene, a dire il vero. Sarà il viaggio, e l’incidente.»

La locandiera ridacchiò come una chioccia. «Ma certo, milady. Ho una bella camera per te e per il tuo lord. Vuoi che chiami Mamma Caredwain? Le sue erbe medicamentose fanno miracoli.»

Selene divenne più brusca. «No. E desidero una stanza tutta per me.»

Padrona Madwen lanciò un’occhiata a Rand, ma subito guidò Selene verso la scala interna. «Come desideri, milady. Lidan, su, da brava, porta i bagagli di milady.» Una cameriera corse a prendere da Hurin le bisacce di Selene e le tre donne sparirono al piano superiore.

Caldevwin rimase a fissarle finché non furono sparite, poi si scosse di nuovo. Attese che Rand si sedesse e riprese posto. «Chiedo scusa, milord Rand, se fissavo milady, ma la Grazia l’ha di certo favorita. Detto senza offesa.»

«Niente, niente» rispose Rand. Si domandò se, nel guardare Selene, ogni uomo si sentisse come lui, «Mentre venivo al villaggio, capitano, ho visto un’enorme sfera, di cristallo, pareva. Cos’è?»

L’altro socchiuse gli occhi. «Fa parte della statua, milord Rand» disse lentamente. Scoccò un’occhiata a Loial e per un istante parve riflettere su di una nuova idea.

«Statua? Ho visto una mano e una faccia. Dev’essere enorme.»

«Infatti, milord Rand. E antica.» Esitò. «Risale all’Epoca Leggendaria, a quanto dicono.»

Rand sentì un brivido. L’Epoca Leggendaria, quando l’uso dell’Unico Potere era diffuso ovunque, se le storie erano attendibili.

«L’Epoca Leggendaria» disse Loial. «Sì, certo. Da allora nessuno ha mai fatto opere così monumentali. Un bel lavoro, riportarla alla luce, capitano.»

Hurin rimase in silenzio, come se non ascoltasse, anzi, come se non fosse nemmeno presente.

Caldevwin annuì con riluttanza. «Ho cinquecento operai, in un campo dietro gli scavi; ma passerà l’estate, prima di terminare. Sono uomini di Fuoriporta. Metà del mio lavoro consiste nel farli scavare e metà nel tenerli lontano dal villaggio. Quelli di Fuoriporta hanno un debole per bevute e baldorie, capisci, mentre la gente di qui ama la vita tranquilla.» Dal tono, le sue simpatie andavano tutte agli abitanti del villaggio.

Rand annuì. Non gli interessavano quelli di Fuoriporta, chiunque fossero. «Cosa ne farai, della statua?» domandò. Il capitano esitò, ma Rand si limitò a fissarlo, finché l’altro non rispose.

«Galldrian in persona ha ordinato che sia portata nella capitale.»

«Un’impresa notevole» disse Loial, sorpreso. «Non so come si possa trasportare tanto lontano una statua così grossa.»

«È un ordine di Sua Maestà» disse Caldevwin, brusco. «La statua sarà posta all’esterno della capitale, monumento alla grandezza di Cairhien e della Casa Riatin. Gli Ogier non sono gli unici a sapere come muovere la pietra,» Loial parve imbarazzato e il capitano, con uno sforzo visibile, si calmò. «Chiedo scusa, amico Ogier. Ho parlato in fretta e sgarbatamente.» Suonò ancora burbero. «Ti fermerai a lungo a Tremonsien, lord Rand?»

«Andiamo via domattina. Siamo diretti a Cairhien.»

«Ah, proprio domani rimando nella capitale alcuni miei uomini. Devo impiegarli a rotazione: ammuffiscono, se stanno troppo tempo e guardare gente che muove pale e picconi. Ti dispiace se ti accompagnano?» La frase era posta sotto forma di domanda, ma dava per scontata una risposta affermativa. Sulla scala comparve padrona Madwen e Caldevwin si alzò. «Con permesso, milord Rand. Devo svegliarmi presto. A domani, allora. La Grazia ti favorisca.» Gli rivolse un inchino, salutò con un cenno Loial e uscì.

Mentre la porta si richiudeva, la locandiera si avvicinò al tavolo.

«Ho provveduto a sistemare milady» disse. «E ho fatto preparare le stanze per te, per il tuo servitore e per te, amico Ogier.» Esitò, esaminando Rand. «Scusami se oltrepasso i limiti, milord, ma penso di poter parlare liberamente a un lord che permette al suo servitore di intervenire nei discorsi. Se sbaglio... be’, non intendevo offenderti. Per ventitré anni Barin Madwen e io litigavamo, quando non ci baciavamo, per così dire. In altre parole, ho una certa esperienza. In questo momento tu sarai convinto che milady non voglia più vederti, ma se stanotte busserai alla sua porta, secondo me ti farà entrare. Sorridile e riconosci che è stata colpa tua, anche se non è vero.»

Rand si schiarì la voce e si augurò di non arrossire. Egwene l’avrebbe ucciso, se avesse saputo che aveva solo pensato di entrare nella stanza di Selene; e Selene l’avrebbe ucciso, se fosse entrato... o no? Quest’ultimo pensiero gli imporporò le guance. «Ti... ti ringrazio per il suggerimento, padrona Madwen» rispose. «Le stanze...» Evitò di guardare lo scrigno nascosto dalla coperta, posato accanto alla sedia di Loial: non osavano lasciarlo senza sorveglianza. «Noi tre dormiremo tutti nella stessa stanza.»

La padrona della locanda parve sconvolta, ma si riprese in frétta. «Come vuoi, milord. Da questa parte, prego.»

Rand la seguì su per la scala. Loial portava lo scrigno — i gradini gemettero sotto il peso, ma parve che la locandiera attribuisse gli scricchiolii al solo peso dell’Ogier — e Hurin le bisacce e il mantello con dentro il flauto e l’arpa.

Padrona Madwen fece portare nella stanza un terzo letto e lo fece preparare in fretta. Uno dei due già nella stanza, chiaramente destinato a Loial, andava quasi da parete a parete. C’era appena spazio sufficiente per camminare fra i letti. Appena la locandiera se ne fu andata, Rand si girò verso gli altri: Loial aveva spinto sotto il letto lo scrigno e provava il materasso; Hurin posava le bisacce.

«Perché il capitano era così sospettoso nei nostri confronti?» domandò Rand. «Pareva quasi che potessimo rubare quella statua, da come parlava.»

«Daes Dae’mar, lord Rand» rispose Hurin. «Il Grande Gioco. Il Gioco delle Case, lo chiamano alcuni. Caldevwin pensa che tu faccia qualcosa che ti torni di vantaggio, altrimenti non saresti qui. E che potrebbe ritorcersi contro di lui. Quindi dev’essere prudente.»

«Il grande gioco? Quale gioco?»

«Non è affatto un gioco, Rand» spiegò Loial, disteso sul letto. Aveva tolto di tasca un libro e lo teneva, ancora chiuso, sul petto. «Non ne so molto, perché gli Ogier non fanno di queste cose, ma ne ho sentito parlare. I nobili e le Case nobili manovrano a proprio vantaggio. Fanno cose che secondo loro li aiuteranno, o danneggeranno un nemico, o l’uno e l’altro. Di solito agiscono in segreto, oppure in modo da far sembrare che fanno una cosa diversa da quella reale.» Si grattò l’orecchio, perplesso. «Anche se so di cosa si tratta, non ci capisco niente. L’Anziano Haman dice sempre che occorre una mente più acuta della sua, per capire quel che fanno gli esseri umani... e io conosco ben pochi che siano intelligenti quanto l’Anziano Haman. Voi esseri umani siete strambi.»

Hurin diede all’Ogier un’occhiata di sguincio. «Ha descritto bene il Daes Dae’mar, lord Rand» disse. «I cairhienesi lo praticano più di tanti altri, ma è un gioco diffuso in tutto il meridione.»

«Quei soldati domattina. Fanno parte delle mosse di Caldevwin in questo Grande Gioco? Non possiamo lasciarci coinvolgere in un gioco del genere.» Non era necessario nominare il Corno. Tutt’e tre erano fin troppo consapevoli della sua presenza.

«Non so, Rand» disse Loial. «Lui è un essere umano, perciò questa storia dei soldati può significare qualsiasi cosa.»

«Hurin?»

«Non so neanch’io.» Parve preoccupato quanto l’Ogier. «Forse fa proprio quel che ha detto, o forse... Funziona così, il Gioco delle Case: non c’è mai niente di sicuro. Quando sono stato a Cairhien, lord Rand, per la maggior parte del tempo sono rimasto a Fuoriporta, quindi non so molto della nobiltà cairhienese, ma... be’, Daes Dae’mar può essere pericoloso dappertutto, ma in particolare a Cairhien, ho sentito dire.» A un tratto s’illuminò. «Lady Selene, lord Rand. Lei ne saprà più di me e del Costruttore. Domattina chiedi a lei.»

Ma al mattino Selene era scomparsa. Quando Rand scese nella sala comune, padrona Madwen gli diede una pergamena sigillata. «Col tuo perdono, milord, dovevi darmi retta. E bussare alla porta di milady.»

Rand attese che la locandiera s’allontanasse e ruppe il sigillo. La ceralacca recava l’impronta d’una falce di luna e alcune stelle.

Devo lasciarti per un certo periodo. Qui c’è troppa gente e non mi piace Caldevwin. T’aspetto a Cairhien. Non pensare alla mia lontananza. Sarai sempre nei miei pensieri, come sarò nei tuoi.

Il messaggio non era firmato, ma l’elegante scrittura era in carattere con Selene.

Rand piegò il foglio, lo ripose in tasca e uscì. Hurin aveva già preparato i cavalli.

C’era anche il capitano Caldevwin, con un ufficiale più giovane e cinquanta soldati a cavallo, che affollavano la via. I due ufficiali erano a capo scoperto, ma calzavano guanti dal dorso d’acciaio e sulla giubba azzurra avevano una piastra metallica con ornamenti in oro. Un corto bastone, legato all’armatura, sporgeva sopra la schiena dei due ufficiali e mostrava una bandierina rigida, azzurra, che arrivava più in alto della testa. La bandierina di Caldevwin aveva una stelletta bianca; quella dell’ufficiale più giovane, due strisce bianche. I due formavano uno stridente contrasto con i soldati in armatura comune ed elmo che pareva una campana tagliata in modo da mostrare il viso.

Quando lo vide uscire dalla locanda, Caldevwin rivolse a Rand un inchino. «Buon giorno a te, milord Rand. Ti presento Elricain Tavolin, che comanderà la tua scorta, se così posso definirla.» L’ufficiale subalterno, con la testa rasata come quella di Caldevwin, salutò con un inchino, ma non disse parola.

«Una scorta sarà benaccetta, capitano» rispose Rand, cercando di mostrarsi a suo agio. Fain non avrebbe fatto tentativi, contro cinquanta soldati, ma Rand avrebbe voluto essere sicuro che quelli fossero solo una scorta.

Il capitano guardò Loial, che si avvicinava al cavallo, portando lo scrigno avvolto nella coperta. «Un fardello pesante, Ogier» disse.

Loial rischiò di saltare un passo. «Non mi piace stare lontano dai miei libri, capitano» replicò. Sorrise, imbarazzato, e si affrettò a legare lo scrigno sulla sella.

Caldevwin corrugò la fronte e si guardò intorno. «Milady non è ancora scesa» disse. «E manca anche quel suo magnifico cavallo.»

«È partita stanotte» rispose Rand. «Doveva andare subito a Cairhien.»

Caldevwin inarcò il sopracciglio. «Stanotte? Ma i miei uomini... Con permesso, lord Rand.» Trasse da parte il subalterno e gli mormorò qualcosa, infuriato.

«Ha fatto sorvegliare la locanda, lord Rand» mormorò Hurin. «Lady Selene sarà riuscita a passare senza farsi vedere. Forse gli uomini di guardia si sono addormentati.»

Con una smorfia, Rand montò in sella. Se c’era una minima possibilità che Caldevwin non avesse sospetti, Selene l’aveva rovinata. «Troppa gente, ha scritto» borbottò tra sé. «Ce ne sarà molta di più, a Cairhien.»

«Prego, milord?»

Rand guardò Tavolin che si univa a loro, in sella a un castrone grigio. Anche Hurin era in sella e Loial aspettava a fianco del proprio cavallo. I soldati si erano già schierati. Caldevwin pareva scomparso.

«Niente va come dovrebbe» disse Rand.

Tavolin gli rivolse un breve sorriso, poco più d’un arricciare di labbra. «Partiamo, milord?»

Il bizzarro corteo si avviò alla strada in terra battuta che portava alla città di Cairhien.

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