Egwene corse dietro Nynaeve, verso il gruppo di Aes Sedai intorno alla portantina dell’Amyrlin Seat: il desiderio di sapere che cosa aveva causato la baraonda aveva superato anche la preoccupazione per Rand. Rand era fuori della sua portata, per il momento. Bela, l’irsuta giumenta di Egwene, era con i cavalli delle Aes Sedai, e anche la cavalcatura di Nynaeve.
I Custodi, mano sull’elsa e occhi che frugavano dappertutto, formavano un cerchio d’acciaio attorno alle Aes Sedai e alla portantina. Erano un’isola di calma relativa, nella corte dove soldati shienaresi si aggiravano ancora di corsa fra gli inorriditi residenti della rocca. Egwene si aprì la strada accanto a Nynaeve (tutt’e due, dopo un’occhiata penetrante, furono ignorate dai Custodi; chiunque sapeva che sarebbero partite con l’Amyrlin) e dai mormorii della folla riuscì a sapere che una freccia era arrivata all’apparenza dal nulla e che l’arciere non era stato ancora catturato.
Si bloccò, a occhi sgranati, troppo sconvolta anche solo per pensare d’essere circondata da Aes Sedai. Un attentato alla vita dell’Amyrlin Seat andava al di là d’ogni immaginazione.
L’Amyrlin sedeva nella portantina, con le tendine aperte; la macchia di sangue sulla manica lacerata attirava tutti gli sguardi. L’Amyrlin aveva di fronte lord Agelmar. «Troverai l’arciere o non lo troverai, figlio mio. In un caso o nell’altro, i miei affari a Tar Valon sono urgenti quanto la missione di Ingtar. Parto immediatamente.»
«Madre» protestò Agelmar «questo attentato alla tua vita cambia tutto. Ancora non sappiamo chi ha mandato quell’uomo e perché. Aspetta un’ora e avrò l’arciere e le risposte che t’interessano.»
L’Amyrlin rise senza allegria. «Ti serviranno esche più raffinate e reti più fitte per catturare questo pesce, figlio mio. Quando avrai catturato quell’uomo, sarà troppo tardi per la partenza. Molti vorrebbero vedermi morta, quindi non mi preoccupo di questo attentato. Fammi sapere cosa hai scoperto, se scoprirai qualcosa.» Diede un’occhiata alle torri prospicienti la corte, ai bastioni e alle terrazze per gli arcieri, ancora affollati di gente, ora però silenziosa. La freccia proveniva di sicuro da uno di questi posti. «Penso che l’arciere sia già fuggito da Fal Dara.»
«Madre...»
L’Amyrlin lo interruppe, con un gesto brusco e deciso. Nemmeno il signore di Fal Dara poteva insistere tanto, con l’Amyrlin Seat. La donna posò lo sguardo su Egwene e su Nynaeve: occhi penetranti che diedero a Egwene l’impressione che leggesse tutti i suoi segreti. Egwene arretrò d’un passo, poi si riprese e piegò il ginocchio in una riverenza, domandandosi se fosse il comportamento corretto: nessuno le aveva spiegato il protocollo per un incontro con l’Amyrlin Seat. Nynaeve si mantenne dritta e restituì all’Amyrlin lo sguardo, ma cercò la mano di Egwene e la strinse con forza.
«Allora queste sono le tue due, Moiraine» disse l’Amyrlin. Moiraine annuì impercettibilmente e le altre Aes Sedai si girarono a guardare le due donne di Emond’s Field. Egwene deglutì. Avevano tutte l’aria di chi sa cose che la gente comune ignora: e sapere che la realtà era proprio questa non le dava nessuna consolazione. «Sì, percepisco una grossa scintilla in ognuna delle due. Ma quale fuoco ne nascerà? Il problema è questo, no?»
Egwene si sentì la bocca secca come polvere. Aveva visto mastro Padwhin, il falegname del villaggio, guardare i suoi utensili nello stesso modo in cui l’Amyrlin guardava loro due. Questo per fare una certa cosa, quello per farne un’altra.
A un tratto l’Amyrlin disse: «È ora di partire. A cavallo. Lord Agelmar e io possiamo dirci quel che va detto senza che ve ne stiate tutte a bocca aperta a guardarci come novizie in un giorno di libertà. A cavallo!»
I Custodi si sparpagliarono per salire a cavallo, sempre attenti, e le Aes Sedai, tranne Leane, si allontanarono dalla portantina. Mentre Egwene e Nynaeve si giravano per ubbidire, a fianco di lord Agelmar comparve un servitore che reggeva un calice d’argento. Con una smorfia d’insoddisfazione Agelmar lo prese.
«Con questo calice dalla mia mano, Madre, ricevi il mio augurio di buon viaggio, in questo giorno e in ogni...»
Montando in sella a Bela, Egwene non udì il resto. Ebbe appena il tempo di dare una pacca alla giumenta e di sistemarsi le sottane: la portantina già si avviava alle porte, sorretta da cavalli che si muovevano senza redini né cavezza. Leane cavalcava accanto alla portantina e teneva il bastone appoggiato alla staffa. Egwene e Nynaeve spinsero il proprio cavallo dietro la portantina, con le altre Aes Sedai.
Grida di saluto della folla che costeggiava le vie della città accolsero la processione e quasi soffocarono trombe e tamburi. I Custodi guidavano la colonna e circondavano le Aes Sedai, tenendo indietro la folla; lo stendardo con la Fiamma Bianca sventolava in testa alla fila; arcieri e picchieri seguivano in ranghi serrati. Le trombe tacquero, quando la colonna uscì dalla città e si diresse a meridione, ma le grida di saluto continuarono. Egwene si guardò spesso indietro, finché alberi e colline non nascosero le mura e le torri di Fal Dara.
Nynaeve, che cavalcava al suo fianco, scosse la testa. «Rand se la caverà benissimo. Ha con sé lord Ingtar e venti lancieri. In ogni caso, tu non puoi farci niente. E io nemmeno.» Lanciò un’occhiata in direzione di Moiraine: la snella giumenta bianca dell’Aes Sedai e l’alto morello di Lan formavano un’insolita coppia. «Per il momento» concluse.
La colonna deviò verso ponente e non tenne grande velocità. Fra le colline dello Shienar i fanti, anche in mezza armatura, non potevano muoversi rapidamente e mantenere a lungo l’andatura. Comunque procedevano alla velocità massima.
La sera si accampavano tardi; l’Amyrlin ordinava la sosta solo quando la luce era appena sufficiente a montare le tende, bianche e a forma di cupola appiattita, alte quanto una persona. Ogni coppia di Aes Sedai della stessa Ajah divideva una tenda, mentre l’Amyrlin e la Custode ne avevano una ciascuno. Moiraine dormiva nella stessa tenda delle due Azzurre. I soldati avevano un proprio accampamento e dormivano a cielo aperto; i Custodi si avvolgevano nel mantello e restavano nelle vicinanze della tenda dell’Aes Sedai a cui erano legati. La tenda delle Rosse pareva malinconica, senza Custodi; quella delle Verdi, quasi festosa, con le due Aes Sedai spesso sedute fuori, fino a sera inoltrata, a chiacchierare con i loro Custodi, quattro in tutto.
Lan venne una volta nella tenda che Egwene divideva con Nynaeve e si appartò con la Sapiente, poco lontano. Da dentro, Egwene li osservò, ma non udì che cosa dicevano; alla fine Nynaeve ebbe uno scatto di collera e tornò a passo deciso; si avvolse nella coperta e si rifiutò di fare commenti. Egwene pensò che avesse le guance umide, ma Nynaeve nascose il viso sotto un angolo della coperta. Lan rimase a fissare la tenda per un bel pezzo. Da quella sera non andò più alla loro tenda.
Moiraine si limitava a un cenno di saluto, quando passava nelle vicinanze. Nel tempo libero, discuteva con altre Aes Sedai, di tutte le Ajah tranne la Rossa, prendendole da parte una per una, durante il percorso a cavallo. L’Amyrlin concedeva poche soste per riposare, e sempre brevi.
«Forse non ha più tempo per noi» osservò Egwene, in tono triste. Moiraine era l’unica Aes Sedai che conosceva; forse, ma non le piaceva ammetterlo, l’unica di cui poteva fidarsi. «Ci ha trovate. Siamo in viaggio per Tar Valon. Ora avrà altre cose di cui preoccuparsi.»
Nynaeve sbuffò piano. «Crederò che con noi avrà finito, solo quando la vedrò morta... o saremo morte noi. È furba, quella lì.»
Altre Aes Sedai vennero nella loro tenda. Egwene quasi saltò in aria, la prima sera, quando il lembo della tenda fu spinto da parte ed entrò un’Aes Sedai grassoccia, dal viso quadrato, con i primi capelli grigi, occhi scuri e un’aria vagamente distratta. La donna diede un’occhiata alla lanterna e la fiamma divenne un po’ più vivida. Egwene pensò di sentire qualcosa, di scorgere qualcosa intorno all’Aes Sedai, quando la fiamma si ravvivò. Moiraine le aveva detto che, dopo un certo periodo d’addestramento, avrebbe visto quando un’altra incanalava il Potere e avrebbe capito se poteva incanalarlo.
«Sono Verin Mathwin» disse la donna, con un sorriso. «E voi siete Egwene al’Vere e Nynaeve al’Meara. Dei Fiumi Gemelli, terra che un tempo si chiamava Manetheren. Sangue forte, quello. Canta.»
Egwene e Nynaeve si scambiarono un’occhiata e si alzarono.
«È una convocazione dell’Amyrlin Seat?» domandò Egwene.
Verin rise. Aveva sul naso una macchia d’inchiostro. «Oh, no» rispose. «L’Amyrlin si occupa di cose più importanti di due ragazze che ancora non sono neppure novizie. Anche se non si può mai dire: voi due avete un potenziale notevole; tu in particolare, Nynaeve. Un giorno...» Esitò, pensierosa, e si strofinò il naso, passando il dito proprio sulla macchia d’inchiostro. «Ma oggi non è quel giorno. Sono qui per darti una lezione, Egwene. Purtroppo hai cercato d’anticipare i tempi.»
Innervosita, Egwene lanciò un’occhiata a Nynaeve. «Cosa ho fatto, senza volerlo?»
«Oh, niente di sbagliato. Un po’ pericoloso, forse, ma non proprio sbagliato.» Verin si mise a sedere sul pavimento di tela, a gambe incrociate. «Sedete anche voi. Non voglio farmi venire il torcicollo.»
Egwene si accomodò per terra di fronte all’Aes Sedai e si sforzò di non guardare Nynaeve. Non doveva mostrarsi colpevole, si disse, finché non avesse scoperto d’esserlo davvero; e forse nemmeno allora. «Cos’ho fatto, di pericoloso ma non proprio sbagliato?»
«Ah, be’, hai incanalato il Potere, bambina.»
Egwene rimase a bocca aperta. Nynaeve esplose: «Ridicolo! Proprio per questo andiamo a Tar Valon.»
«Moiraine mi ha... voglio dire, Moiraine Sedai mi ha dato lezioni» disse Egwene.
Verin alzò la mano perché stessero zitte e loro ubbidirono. Forse aveva l’aria distratta, ma era pur sempre un’Aes Sedai. «Bambina, credi che le Aes Sedai insegnino subito come incanalare il Potere a ogni ragazza che vuole diventare una di noi? Be’, immagino che voi due siate diverse dalle altre, ma questo non cambia niente...» Scosse la testa, con aria grave.
«Allora perché l’ha fatto?» domandò Nynaeve. A lei Moiraine non aveva dato lezioni. Egwene ancora non era sicura che Nynaeve non se la fosse presa.
«Perché Egwene aveva già incanalato il potere» rispose Verin, paziente.
«L’ho... l’ho fatto anch’io» obiettò Nynaeve. Non parve felice.
«Le circostanze erano diverse, bambina. Il fatto che tu sia ancora viva dimostra che hai controllato da sola le varie crisi. Credo che tu sappia quanto sei stata fortunata. Su quattro donne costrette a fare quel che hai fatto tu, solo una sopravvive. Naturalmente, le selvatiche...» Fece una smorfia. «Oh, scusami, ma spesso nella Torre Bianca chiamiamo così le donne che, senza addestramento, hanno ottenuto un rozzo controllo... di solito, come nel tuo caso, casuale e appena sufficiente, ma pur sempre una sorta di controllo. Le selvatiche hanno delle difficoltà, è vero. Quasi sempre erigono intorno a sé delle pareti per non sapere che cosa fanno e queste pareti interferiscono con il controllo cosciente. Più durano, queste pareti, più diventa difficile abbatterle; ma in caso positivo... be’, alcune fra le Sorelle migliori erano delle selvatiche.»
Nynaeve cambiò posizione, irritata, e guardò l’ingresso della tenda, quasi volesse uscire.
«Non capisco come tutto questo mi riguardi» disse Egwene.
Verin batté le palpebre, sorpresa. «Oh, certo, non ti riguarda affatto. Il tuo caso è totalmente diverso. In genere, le ragazze che vogliono diventare Aes Sedai, anche quelle che ne hanno il seme, come te, sono atterrite. Anche dopo essere entrate nella Torre, anche dopo avere imparato cosa fare e come farlo, per mesi devono essere guidate, passo passo, da una Sorella o da una delle Ammesse. Ma tu no. Da quel che mi ha detto Moiraine, ti sei buttata a pesce, appena hai saputo di poterlo fare, cercando a tentoni la strada, senza mai domandarti se il passo successivo ti avrebbe fatto precipitare in un pozzo senza fondo. Oh, ce ne sono state altre, come te: non sei l’unica. Moiraine stessa era una di loro. Appena ha scoperto cosa avevi fatto, non ha avuto scelta e ha cominciato a insegnarti. Non te ne ha mai parlato?»
«Mai» rispose Egwene. «Aveva... altre cose a cui badare.» Nynaeve sbuffò piano.
«Be’, Moiraine è sempre stata dell’idea di dire a ciascuno solo quel che gli occorre sapere. La conoscenza non ha uno scopo ben preciso, ma lo stesso discorso vale per l’ignoranza. Per quel che mi riguarda, preferisco sempre sapere.»
«C’è davvero? Un pozzo, voglio dire.»
«Finora no, ovviamente» rispose Verin, piegando di lato la testa. «Ma al prossimo passo?» Si strinse nelle spalle. «Vedi, bambina, più cerchi di toccare la Vera Fonte, più cerchi d’incanalare l’Unico Potere, più facile diventa farlo realmente. Sì, all’inizio ti protendi verso la Fonte e la maggior parte delle volte credi d’afferrare solo aria. O tocchi davvero Saldar: ma, anche se senti fluire in te l’Unico Potere, scopri di non saperlo utilizzare. O lo utilizzi, ma non nel modo che intendevi. Ecco il pericolo. Di solito, con una guida, con l’addestramento e con la paura che fa da freno, la capacità di toccare la Fonte e d’incanalare il Potere si unisce a quella di controllare le proprie azioni. Ma tu hai iniziato i tentativi d’incanalare il Potere senza nessuno che t’insegnasse a controllare le tue azioni. Sai di non avere fatto progressi ed è vero: sembri una che abbia imparato da sola a scalare le montagne, ma non a scendere dall’altra parte. Se non impari anche questo, prima o poi cadrai. Non mi riferisco a quel che accade a un povero maschio che cominci a incanalare il Potere: tu non impazzirai, né morirai, con le Sorelle che t’insegnano e ti guidano... ma cosa potresti fare accidentalmente, senza averne l’intenzione?» Per un istante Verin aveva perduto l’aria distratta e girato lo sguardo da Egwene a Nynaeve, con la stessa acutezza di quello dell’Amyrlin. «Il tuo talento innato è forte, bambina; e diverrà più forte. Devi imparare a controllarlo, prima di nuocere a te stessa, o a qualcun altro, o a molti altri. Moiraine voleva insegnarti proprio questo. In questo cercherò d’aiutarti io stasera e una Sorella le altre sere, finché non sarai nelle abili mani di Sheriam. Sheriam è la Maestra delle Novizie.»
"Che sappia di Rand?" pensò Egwene. “No, è impossibile. Se solo avesse sospettato, non gli avrebbe mai permesso di lasciare Fal Dara." Disse: «Grazie, Verin Sedai. Proverò.»
Nynaeve si alzò. «Vado a sedermi accanto al fuoco e vi lascio da sole.»
«Dovresti restare qui e approfittarne» disse Verin. «Da quel che mi ha detto Moiraine, ti basterà un minimo d’addestramento per entrare a far parte delle Ammesse.»
Nynaeve esitò solo un istante, poi scosse con decisione la testa. «Ti ringrazio, ma aspetterò d’essere a Tar Valon. Egwene, se hai bisogno di me, sono...»
«Secondo tutti i criteri, Nynaeve, sei già adulta» l’interruppe Verin. «In genere, più giovane è la novizia, meglio si addestra. Anche perché ci si aspetta che la novizia faccia come le si dice, al momento giusto e senza domande. A dire il vero, questo è utile solo quando l’addestramento è arrivato a un certo punto... un’esitazione nel momento sbagliato o un dubbio possono avere conseguenze tragiche... ma è meglio seguire sempre la disciplina. Invece ci si aspetta che le Ammesse si pongano domande e si ritiene che sappiano quali fare e quando farle. Tu cosa ne dici?»
Nynaeve strinse le pieghe della sottana e guardò di nuovo il lembo della tenda, pensierosa. Alla fine annuì brevemente e tornò a sedersi per terra. «Immagino che sia utile anche a me» rispose.
«Bene. Allora. Tu, Egwene, già conosci questa parte; ma, per agevolare Nynaeve, la ripeteremo passo passo. Col tempo, diventerà per te una seconda natura; ma ora procederemo per gradi. Chiudi gli occhi, per favore. All’inizio va meglio se si elimina qualsiasi distrazione.» Egwene chiuse gli occhi. Ci fu una pausa. «Nynaeve» disse Verin «per favore, chiudi gli occhi. Andrà davvero meglio.» Un’altra pausa. «Grazie, bambina. Adesso, svuota te stessa. Svuota i tuoi pensieri. C’è una sola cosa, nella tua mente. Il bocciolo d’un fiore. Solo questo. Solo il bocciolo. Puoi vederlo in ogni particolare. Puoi annusarlo. Puoi tastarlo. Ogni venatura d’ogni foglia, ogni curva d’ogni petalo. Senti la linfa pulsare. Sentila! Conoscila. Identificati in essa. Tu e il bocciolo siete un tutt’uno. Tu sei il bocciolo.»
La voce era diventata una cantilena ipnotica, ma Egwene in realtà non la udiva più: con Moiraine aveva già fatto questo esercizio. Era lento, ma Moiraine aveva detto che con la pratica si sarebbe sveltito. Dentro di sé, era un bocciolo di rosa, con petali rossi strettamente avvolti. Eppure all’improvviso ci fu dell’altro. Luce. Luce che premeva sui petali. Lentamente i petali si schiusero, si rivolsero alla luce, l’assorbirono. La rosa e la luce erano tutt’uno. Egwene e la luce erano tutt’uno. Egwene percepì che un minuscolo barlume filtrava dentro di lei. Si protese per averne di più, si sforzò...
In un istante tutto svanì, rosa e luce. Moiraine aveva anche detto che non si poteva forzare il Potere. Con un sospiro Egwene riaprì gli occhi. Nynaeve aveva un’aria torva. Verin era calma come sempre.
«Non puoi farlo accadere» diceva in quel momento l’Aes Sedai. «Devi lasciare che accada. Devi arrenderti al Potere, prima di poterlo controllare.»
«Che idiozia» brontolò Nynaeve. «Non mi sento un fiore. Al massimo, un cespuglio di nerospino. Pensandoci bene, aspetterò accanto al fuoco.»
«Come preferisci» replicò Verin. «Ho detto che le novizie fanno lavori domestici? Lavano i piatti, puliscono i pavimenti, fanno il bucato, servono a tavola... lavori di tutti i generi. Secondo me, le domestiche lavorano molto meglio; ma è opinione corrente che questi lavori formino il carattere. Ah, ti fermi? Bene. Allora, bambina, ricorda che anche un cespuglio di nerospino ha fiori, a volte, bianchi e belli. Proveremo una alla volta. Ora, dall’inizio, Egwene. Chiudi gli occhi.»
Prima che Verin andasse via, più d’una volta Egwene sentì in sé il flusso del Potere, mai molto forte; e al massimo riuscì a produrre un movimento d’aria che fece sbattere lievemente il lembo della tenda. Uno starnuto avrebbe ottenuto lo stesso risultato. Con Moiraine aveva fatto di meglio, almeno in alcune occasioni. Rimpianse che non fosse Moiraine a insegnarle.
Nynaeve non percepì nemmeno un barlume di luce, o così disse. Alla fine, serrava le labbra con tale decisione che Egwene la ritenne sul punto di sgridare l’Aes Sedai come una paesana che ficcasse il naso nella sua vita privata. Ma Verin si limitò a dirle di chiudere di nuovo gli occhi, stavolta da sola.
Egwene rimase seduta a guardare tra gli sbadigli le altre due. Si era fatto tardi, ben oltre l’ora in cui di solito si addormentava. Nynaeve pareva morta da una settimana, con occhi serrati come se non intendesse più riaprirli e mani in grembo, strette a pugno fino a far sbiancare le nocche. Egwene si augurò che la Sapiente non perdesse il controllo di sé, dopo essersi trattenuta così tanto.
«Senti il flusso in te» diceva Verin. Non aveva cambiato tono di voce, ma a un tratto mostrava negli occhi uno scintillio. «Senti il flusso. Il flusso del Potere. Il flusso, simile a una brezza lieve che muove l’aria.» Egwene si drizzò a sedere. Così Verin l’aveva guidata ogni volta che lei aveva sentito realmente il Potere scorrere in sé. «Una lieve brezza, un piccolissimo movimento d’aria. Lieve.»
All’improvviso il mucchio di coperte s’incendiò come un fascio di legna resinosa.
Con un grido, Nynaeve aprì gli occhi. Egwene non fu sicura di non avere strillato: sapeva solo d’essere in piedi e di prendere a calci le coperte in fiamme per gettarle fuori della tenda prima che anch’essa prendesse fuoco. Non riuscì a dare il secondo calcio: le fiamme svanirono, lasciando riccioli di fumo e puzzo di lana bruciata.
«Bene» disse Verin. «Bene. Non m’aspettavo d’estinguere un incendio. Non svenirmi fra le braccia, bambina. Ora tutto è a posto. Ho provveduto io.»
«Ero... ero furibonda» disse Nynaeve, con voce tremante e viso esangue. «Ti ho udita parlare d’una brezza, dicendomi cosa fare, e il fuoco mi è balzato in testa. Non... non intendevo bruciare niente. Era solo un piccolo fuoco, nella... nella mia testa.» Rabbrividì.
«Immagino che fosse un fuoco piccolo, se è per questo» disse Verin, con una risata che svanì dopo un’occhiata al viso di Nynaeve. «Ti senti bene, bambina? Se stai male, posso...» Nynaeve scosse la testa e Verin annuì. «Hai bisogno di riposo. Tutt’e due. Vi ho fatto sostenere una prova troppo dura. Dovete riposare. L’Amyrlin ci farà partire prima dell’alba.» Si alzò e col piede toccò le coperte bruciate. «Ve ne farò portare delle altre. Mi auguro che l’incidente vi faccia capire quanto sia importante il controllo. Dovete imparare a fare quel che avete intenzione di fare e nient’altro. A parte i danni ad altri, se attingete più Potere di quello che siete in grado di utilizzare in tutta sicurezza... ancora non è molto, ma aumenterà... se ne attingete troppo, rischiate di distruggere voi stesse. Di morire. O di bruciare il talento che possedete.» Come se non avesse appena spiegato che camminavano sul filo del rasoio, soggiunse allegramente: «Buonanotte!» e se ne andò.
Egwene abbracciò Nynaeve e la strinse forte. «È tutto a posto, Nynaeve» la consolò. «Non spaventarti. Quando avrai imparato a controllare...»
Nynaeve sbottò in una risata rauca. «Non sono spaventata» disse. Guardò di sottecchi le coperte ancora fumanti e distolse lo sguardo. «Ci va ben più d’un fuocherello, per spaventarmi.» Ma non guardò più le coperte, nemmeno quando venne un Custode a prenderle e a lasciarne di nuove.
Verin non tornò, ma l’aveva annunciato. Anzi, mentre procedevano tra ponente e meridione, giorno dopo giorno, alla massima velocità sopportabile dagli uomini a piedi, Verin non badò alle due ragazze di Emond’s Field più di quanto non facessero Moiraine stessa o le altre Aes Sedai. Non che si mostrassero poco amichevoli, le Aes Sedai; ma erano fredde e distanti, come preoccupate. La loro freddezza aumentò il disagio di Egwene e le ricordò tutte le storie udite da bambina.
Sua madre le aveva sempre detto che quelle storie sulle Aes Sedai erano un mucchio di sciocchezze di uomini stolti; ma né sua madre né altre donne di Emond’s Field avevano visto un’Aes Sedai, prima di Moiraine. Egwene stessa aveva trascorso con Moiraine un bel po’ di tempo e Moiraine era la prova che non tutte le Aes Sedai erano come le descrivevano le storie: fredde manipolatrici, spietate distruttrici, Frantumatrici del Mondo. Egwene ora sapeva che a frantumare il mondo erano stati gli Aes Sedai maschi, quando ancora esistevano, nell’Epoca Leggendaria; ma non era una grande consolazione. Non tutte le Aes Sedai erano come quelle nelle storie. Ma quante? E quali?
Quelle che ogni sera venivano nella tenda erano molto diverse l’una dall’altra e non l’aiutarono a schiarirsi le idee. Alviarin era fredda ed efficiente come un mercante venuto a comprare lana e tabacco; rimase sorpresa perché Nynaeve partecipava alla lezione, ma non obiettò e si mostrò pungente nelle critiche, ma sempre pronta a riprovare. Alanna Mosvani rideva e passava gran parte del tempo a parlare del mondo e degli uomini, mentre insegnava; però mostrò troppo interesse per Rand, Perrin e Mat: soprattutto per Rand. La peggiore di tutte era Liandrin, l’unica che portava lo scialle: tormentava la frangia rossa e insegnava poco, per giunta con riluttanza; interrogò Egwene e Nynaeve come se fossero accusate di un crimine, e le domande riguardavano tutte i tre ragazzi; continuò a fare domande, finché Nynaeve non la cacciò fuori; e allora se ne andò, con un avvertimento.
«State attente, figlie mie: non siete più nel vostro villaggio. Ora diguazzate in acque dove ci sono creature pronte a morsicarvi.»
Finalmente la colonna giunse al villaggio di Medo, sulle rive del fiume Mora, un affluente dell’Erinin che correva lungo la frontiera fra lo Shienar e l’Arafel.
Egwene era sicura d’avere cominciato a sognare Rand a causa delle domande delle Aes Sedai e non solo per la preoccupazione che si recasse nella Macchia per ricuperare il Corno di Valere. Furono sempre brutti sogni: all’inizio erano solo incubi ordinari, ma prima d’arrivare a Medo erano peggiorati.
Quella sera Egwene si rivolse a un’Aes Sedai. «Chiedo scusa, Aes Sedai» disse, diffidente. «Hai visto Moiraine Sedai?» Per tutta risposta, l’Aes Sedai l’allontanò con un gesto e proseguì in fretta per l’affollata via del villaggio, illuminata da torce, gridando a qualcuno di trattarle bene il cavallo. Apparteneva all’Ajah Gialla, anche se al momento non portava lo scialle; di lei Egwene non sapeva altro, neppure il nome.
Medo era un piccolo villaggio (Egwene, con sorpresa, si rese conto che il villaggio, da lei ora ritenuto piccolo, era grosso come Emond’s Field) e al momento aveva più forestieri che abitanti. Cavalli e persone riempivano le vie, diretti ai moli, passando davanti a paesani che piegavano il ginocchio ogni volta che vedevano un’Aes Sedai. La cruda luce delle torce illuminava ogni cosa. Ai due moli, sporgenti nel Mora come dita di pietra, erano attraccate quattro piccole imbarcazioni a due alberi maestri. I cavalli erano imbarcati con l’aiuto di cavi e di imbracature di tela. Altre navi, robuste, dalle alte murate, con lanterne in cima all’albero maestro, affollavano il fiume inargentato dalla luna, già cariche o in attesa del proprio turno. Barche a remi trasportavano arcieri e picchieri; per le picche sollevate, parevano giganteschi pescespini che nuotassero in superficie.
Sul molo di sinistra Egwene trovò Anaiya, che sorvegliava le operazioni di carico e rimproverava chi andava a rilento. Anche se non aveva rivolto a Egwene più di due parole, Anaiya pareva diversa dalle altre, più simile a una donna di casa: Egwene se la vedeva in cucina a mettere il pane in forno, cosa che non le riusciva nei confronti delle altre. «Anaiya Sedai, hai visto Moiraine Sedai?» le domandò. «Ho bisogno di parlarle.»
L’Aes Sedai la guardò, con una ruga e l’aria assente. «Come? Oh, sei tu, bambina. Moiraine è andata via. E la tua amica, Nynaeve, è già a bordo della Regina del fiume. Ho dovuto spingerla in barca io stessa, perché strillava che non sarebbe andata senza di te. Luce santa, che putiferio! Anche tu dovresti essere già a bordo. Trova una barca che vada alla Regina del fiume. Viaggerete con l’Amyrlin Seat, perciò comportatevi bene. Niente scenate né malumori.»
«Su quale nave è Moiraine Sedai?»
«Moiraine è andata via due giorni fa, ragazza: l’Amyrlin è ancora in collera per questo.» Con una smorfia, Anaiya scosse la testa, anche se dedicava sempre gran parte dell’attenzione al lavoro di carico. «Prima spariscono Moiraine e Lan, poi Liandrin alle loro calcagna e subito dopo Verin, tutte senza dire una parola a nessuno. Verin non ha neppure preso con sé il Custode: Tomas si rosicchia le unghie, tanto è preoccupato per lei.» Guardò il cielo sereno e la luna crescente. «Ci toccherà di nuovo chiamare il vento. L’Amyrlin non sarà contenta, ma ci vuole in viaggio per Tar Valon entro un’ora e non accetterà ritardi. Non vorrei trovarmi nei panni di Moiraine, Liandrin e Verin, quando si presenteranno all’Amyrlin. Rimpiangeranno di non essere di nuovo novizie. Perché, bambina? Qual è il guaio?»
Egwene inspirò a fondo: Moiraine era sparita! Ma doveva confidarsi con qualcuno... qualcuno che non ridesse di lei. E Anaiya aveva l’aria d’una madre di Emond’s Field che sapesse ascoltare le confidenze della propria figlia. Le disse: «Anaiya Sedai, Rand è nei pasticci.»
Anaiya la guardò, pensierosa. «Quel ragazzo alto del tuo villaggio? Ne senti già la mancanza, eh? Be’, non mi sorprenderei se fosse davvero nei pasticci: alla sua età, è quasi normale. Mi pareva però che quello nei guai fosse l’altro, Mat. Bene, bambina. Non ti voglio canzonare né prenderla alla leggera. In quali pasticci si è cacciato? E tu come lo sai? Ormai Rand e lord Ingtar avranno ricuperato il Corno e saranno tornati a Fal Dara. In caso contrario, avranno inseguito i ladri fino nella Macchia e allora non c’è niente da fare.»
«Non... non credo che siano nella Macchia e neppure a Fal Dara» disse Egwene. «Ho fatto un sogno» soggiunse, con una certa aria di sfida. A parlarne, suonava sciocco; ma il sogno le era parso assai reale. Un incubo, a dire il vero, ma reale. Prima c’era stato un uomo con una maschera sul viso e fiamme al posto degli occhi. Nonostante la maschera, lei aveva pensato che l’uomo fosse sorpreso nel vederla. E il suo aspetto l’aveva terrorizzata; ma di colpo l’uomo era svanito e lei aveva visto Rand, avvolto nel mantello, addormentato per terra. Una donna, ferma accanto a lui, lo guardava: aveva il viso in ombra, ma gli occhi parevano brillare come la luna e Egwene aveva capito che la donna era malvagia. Poi c’era stato un lampo di luce ed erano spariti, tutt’e due. E sullo sfondo era sempre presente la sensazione di pericolo, come se una trappola cominciasse a scattare su di un agnello fiducioso, una trappola con molti denti. E pareva che il tempo avesse rallentato e lei vedesse i denti di ferro chiudersi a poco a poco. Il sogno non era svanito col risveglio, come tutti i sogni. E il senso di pericolo era così forte che le veniva ancora voglia di guardarsi alle spalle... anche se riguardava Rand, non lei.
Si domandò se la donna del sogno era Moiraine e si rimproverò per quel pensiero. Liandrin si adattava meglio al ruolo. O forse Alanna: anche lei era interessata a Rand.
Non riuscì a raccontare il sogno a Anaiya. Disse: «So che sembra una sciocchezza, ma lui è in pericolo, In grave pericolo. Lo so. Lo sento. Ancora adesso.»
Anaiya assunse un’aria pensierosa. «Be’, c’è una possibilità che di sicuro nessuno ha preso in considerazione» disse con calma. «Potresti essere una Sognatrice. È una possibilità remota, bambina, però... Da quasi cinquecento anni non abbiamo più avuto una Sognatrice. E il Sogno è strettamente collegato alla Predizione. Se davvero Sogni, forse puoi anche Predire. Questo sì che sarebbe un dito nell’occhio delle Rosse. Certo, può anche trattarsi di un normale incubo, provocato dal poco sonno, dal cibo freddo, dal viaggio duro. E dalla lontananza del tuo giovanotto. Sarebbe molto più probabile. Sì, sì, bambina, lo so: sei preoccupata per lui. Il sogno indicava il tipo di pericolo?»
«Nel sogno lui è svanito e io ho sentito il pericolo. E il male. L’ho sentito anche prima che Rand svanisse.» Rabbrividì e si strofinò le mani. «Lo sento ancora adesso.»
«Be’, ne parleremo con più calma a bordo della Regina del fiume. Se sei davvero una Sognatrice, farò in modo che tu abbia l’addestramento che Moiraine dovrebbe... Tu, laggiù!» gridò all’improvviso. Egwene sobbalzò. Un uomo alto, che si era appena seduto su di un barile di vino, sobbalzò anche lui. «Il barile va caricato, non usato da sedile. Ne parleremo a bordo, bambina. No, stupido! Non puoi portarlo da solo! Vuoi farti male?» Anaiya si allontanò a passo deciso giù per il molo e apostrofò gli sfortunati paesani, con un linguaggio insospettabile in una come lei.
Egwene scrutò nel buio, verso meridione. Rand era laggiù, da qualche parte. Non a Fal Dara, non nella Macchia. Ne era sicura. “Tieni duro, testa di rapa” pensò. “Se ti fai uccidere prima che ti tolga dagli impicci, ti scortico vivo!" Non le venne in mente di chiedersi come l’avrebbe tolto dagli impicci, visto che andava a Tar Valon.
Si strinse nel mantello e cercò una barca per salire a bordo della Regina del fiume.