38 Esercitazione

Seduta a gambe incrociate sul letto, Egwene, con indosso la veste bianca, tracciò disegni a mezz’aria muovendo tre piccole palle di luce. In teoria, per quell’esercizio occorreva la supervisione di un’Ammessa; ma Nynaeve, che con aria torva andava su e giù davanti al piccolo camino, pur non avendo ancora il permesso d’insegnare, se non altro aveva al dito l’anello a forma di Serpente e cerchi colorati lungo l’orlo della veste bianca. In quelle ultime tredici settimane, Egwene aveva scoperto di non poter più resistere: ora sapeva quant’era facile toccare Saldar. Lo sentiva sempre presente, in attesa di lei, simile all’aroma del profumo o alla morbidezza della seta; e ne era attirata di continuo. E appena lo toccava, non poteva smettere d’incanalare il Potere o almeno di fare il tentativo. Il numero degli insuccessi era quasi uguale al numero dei successi, ma questo era solo un altro sprone a perseverare.

Spesso si spaventava per l’intensità del desiderio d’incanalare il Potere e per il gusto amaro dell’insuccesso. Voleva attingere tutto il Potere, nonostante gli ammonimenti, e questo desiderio smodato era la paura peggiore. A volte rimpiangeva d’essere venuta a Tar Valon. Ma non si lasciava fermare a lungo dalla paura e non badava al rischio d’essere sorpresa senza assistenza di Aes Sedai e di Ammesse, a parte Nynaeve.

Ma lì, in camera sua, era abbastanza al sicuro. Min, seduta sullo sgabello a tre gambe, la guardava; ma ormai Egwene la conosceva bene e sapeva che non sarebbe andata a fare la spia; si considerava fortunata, per avere trovato due buone amiche, a Tar Valon.

La stanza, intonacata di bianco, era piccola e priva di finestre, come quella di tutte le novizie. In tre brevi passi Nynaeve andava da una parete all’altra; la stanza di Nynaeve era molto più ampia, ma lei non aveva fatto amicizia con altre Ammesse e, quando sentiva il bisogno di parlare con qualcuna, andava da Egwene, anche se certe volte, come ora, finiva per non parlare affatto. Il fuocherello nel piccolo camino teneva a bada i primi freddi dell’autunno, ma secondo Egwene non sarebbe bastato per il gelo dell’inverno. Un tavolino da studio completava il mobilio; la roba di Egwene era appesa in bell’ordine a una fila di pioli o posata sul piccolo ripiano sopra il tavolino. Di solito le novizie avevano troppo da fare per trascorrere molto tempo nella propria stanza, ma quello era un giorno di festa, il terzo da quando Egwene e Nynaeve erano giunte alla Torre Bianca.

«Oggi Else faceva gli occhi dolci a Galad, che si allenava con i Custodi» disse Min, facendo dondolare su due gambe lo sgabello.

Le tre piccole palle vacillarono un istante. «Else può guardare chi vuole» rispose Egwene, con noncuranza. «Cosa vuoi che m’importi?»

«Niente. Galad è davvero bello, se non badi al suo comportamento inflessibile. Fa piacere guardarlo, soprattutto se è a torso nudo.»

Le tre palline rotearono furiosamente. «Io non ho proprio voglia di guardare Galad, vestito o a torso nudo.»

«Scusa, non dovrei stuzzicarti» disse Min, con aria contrita. «Ma anche a te piace guardarlo... e non fare quelle smorfie. Come a quasi tutte le donne nella Torre Bianca, escluse le Rosse. Ho visto diverse Aes Sedai, al campo d’addestramento, quando lui si allena nelle figure di scherma. Verdi, in particolare. Dicono di controllare i propri Custodi, ma non se ne vedono tante, quando Galad non c’è. Perfino cuoche e cameriere escono a guardarlo.»

Le tre palle si fermarono di colpo. Per un momento Egwene rimase a fissarle. Le palle scomparvero. All’improvviso Egwene ridacchiò. «Ha davvero un bell’aspetto, no? Anche quando cammina, pare che danzi.» Arrossì un poco. «Non dovrei fissarlo, lo so, ma non riesco a farne a meno.»

«Nemmeno io» ammise Min. «E io vedo anche cosa vale.»

«Ma se è buono...»

«Egwene, Galad è così buono da costringerti a strapparti i capelli. Farebbe male a una persona, perché deve servire un bene superiore. Non noterebbe nemmeno chi danneggia; ma, se lo notasse, s’aspetterebbe che quello capisse e lo ritenesse giusto.»

«Avrai senz’altro ragione» disse Egwene. Conosceva il talento di Min: guardare la gente e leggerne l’aura. Min non diceva tutto quel che vedeva, e non sempre vedeva qualcosa; ma Egwene aveva avuto esperienze sufficienti e le credeva. Lanciò un’occhiata a Nynaeve, che andava ancora avanti e indietro, nervosa, borbottando tra sé; poi si protese di nuovo verso Saidar e riprese il gioco con le tre palle.

Min si strinse nelle spalle. «Tanto vale che te lo dica» riprese. «Galad non si è nemmeno accorto di Else, ma le ha domandato se dopo cena tu saresti andata a passeggio nel Giardino Meridionale, visto che oggi è festa. Mi è spiaciuto per lei.»

«Povera Else» mormorò Egwene; fra le sue mani, le tre palle girarono più vivacemente. Min scoppiò a ridere.

La porta si aprì e urtò rumorosamente la parete, spinta da una raffica di vento. Egwene mandò uno strillo e fece scomparire le tre palle, prima d’accorgersi che si trattava di Elayne.

L’Erede dell’Andor chiuse la porta e appese al piolo il mantello. «Le voci sono vere» annunciò. «Re Galldrian è morto. C’è guerra per la successione.»

Min sbuffò. «Guerra civile. Guerra per la successione. Quanti termini sciocchi per indicare la stessa cosa. Ti dispiace, se non ne parliamo? Non si sente altro. Guerra nel Cairhien. Guerra a Capo Toman. Forse nella Saldaea hanno catturato il falso Drago, ma a Tear c’è ancora guerra. Sono sempre voci, comunque. Ieri una cuoca diceva che Artur Hawkwing marcia su Tanchico. Artur Hawkwing!»

«Mi pareva che non volevi parlare di guerra» disse Egwene.

«Ho visto Logain» intervenne Elayne. «Sedeva su di una panca, nella Corte Interna, e piangeva. Quando mi ha visto, è scappato. Non posso fare a meno di sentirmi dispiaciuta per lui.»

«Meglio lui di noi, Elayne» disse Min.

«So cos’è» replicò Elayne, calma. «O meglio, cos’era. Ora non lo è più; e posso sentirmi dispiaciuta per lui.»

Egwene si abbandonò contro la parete, Rand. Logain le ricordava sempre Rand. Ormai da mesi non faceva sogni che lo riguardavano, come quelli fatti a bordo della Regina del fiume. Da allora, su richiesta di Anaiya, metteva per iscritto tutto quello che sognava e l’Aes Sedai vi cercava segni e legami con gli eventi; ma gli ultimi sogni, secondo Anaiya, indicavano solo quanto Egwene sentisse la mancanza di Rand. Anzi, era accaduto un fatto bizzarro: qualche settimana dopo l’arrivo alla Torre Bianca, Egwene aveva avuto la sensazione che Rand non ci fosse più, come se avesse smesso d’esistere. “E me ne sto qui a pensare con quanta grazia cammina Galad” si rimproverò ora. “Rand sta bene, di sicuro. Se l’avessero preso e domato, avrei sentito qualche voce."

E, come ogni volta, fu scossa da un brivido, al pensiero che Rand fosse domato, che come Logain piangesse e volesse morire.

Elayne si sedette sul letto, accanto a lei. «Se t’intenerisci per Galad, non t’invidio proprio. Dirò a Nynaeve di curarti con uno di quei terribili intrugli di cui parla sempre.» Diede un’occhiata a Nynaeve, che non aveva neppure notato il suo ingresso. «Cosa le ha preso? Non dirmi che pure lei sospira per Galad!»

«La lascerei in pace» disse Min, sporgendosi verso di loro e abbassando il tono di voce. «Quella meschina di Irella le ha detto che è goffa e priva di Talenti come una vacca e Nynaeve le ha rifilato una sberla.» Elayne trasalì. «Sul serio» mormorò Min. «L’hanno portata in un batter d’occhio nello studio di Sheriam e da allora non è più stata tranquilla.»

Evidentemente Min non aveva abbassato a sufficienza il tono di voce, perché da Nynaeve giunse un brontolio rabbioso. All’improvviso la porta tornò a spalancarsi e una raffica di vento entrò nella stanza. Non mosse le coperte sul letto di Egwene, ma gettò a terra lo sgabello di Min e lo mandò a rotolare contro la parete. La raffica cessò all’istante e Nynaeve parve sconvolta.

Egwene andò subito alla porta e scrutò fuori. Il sole di mezzodì spazzava i residui della pioggia della notte. Il porticato intorno alla Corte delle Novizie era ancora bagnato; le porte della lunga fila di stanzette erano tutte chiuse. Le novizie che avevano approfittato del giorno festivo per passeggiare nei giardini senza dubbio ricuperavano il sonno perduto. Nessuno aveva visto niente. Egwene richiuse la porta e tornò a sedersi accanto a Elayne, mentre Nynaeve aiutava Min a rialzarsi.

«Scusa, Min» disse, con voce tesa. «A volte il mio carattere... Non posso chiederti di perdonarmi, per un tiro mancino del genere. Se andrai a dirlo a Sheriam, capirò. Me lo merito.»

Egwene avrebbe voluto non udire le scuse: a volte Nynaeve diventava permalosa, su certe faccende. Cercò qualcosa su cui concentrarsi, per far credere a Nynaeve d’essere stata impegnata in altre cose, e si ritrovò di nuovo a toccare Saidar e a far girare in aria le tre palle di luce. Elayne s’affrettò a imitarla: Egwene vide che intorno all’Erede si formava l’alone, ancora prima che sopra le mani di Elayne comparissero tre palline. Cominciarono a scambiarsi le piccole sfere di luce, tracciando complicati disegni. A volte una pallina si spegneva, quando una delle due non riusciva ad afferrarla, poi si riaccendeva, un po’ diversa in colore e in formato.

Grazie all’Unico Potere, Egwene si sentì piena di vita. Colse il debole profumo di rose del sapone usato da Elayne per il bagno. Sentiva al tatto il ruvido intonaco delle pareti, le pietre levigate del pavimento, il letto su cui sedeva. Udiva il respiro di Min e di Nynaeve, oltre alle loro parole sottovoce.

«Forse dovresti essere tu a perdonare me» disse Min. «Tu hai un caratteraccio, ma io ho la lingua lunga. Ti perdono se mi perdoni.» Con mormorii di ‘perdonata’, le due si abbracciarono. «Ma se lo rifai» disse Min, con una risata «te la rifilo io, una sberla!»

«La prossima volta» replicò Nynaeve «ti tiro la prima cosa che ho a portata di mano.» Rideva anche lei, ma smise di colpo, appena si accorse della presenza di Egwene e di Elayne. «Smettetela con quel giochino, oppure qualcuna andrà dalla Maestra delle Novizie. Anzi, due.»

«Nynaeve, non lo faresti mai!» protestò Egwene. Però, nel vedere l’espressione dell’altra, si affrettò a interrompere il contatto con Saidar. «Bene, ti credo. Non occorre che me lo dimostri.»

«Dobbiamo impratichirci» disse Elayne. «Pretendono sempre di più, da noi. Se non facciamo pratica per conto nostro, non riusciremo a tenere il passo.» Aveva un’espressione calma e serena, ma interruppe il contatto con Saidar altrettanto rapidamente di Egwene.

«E cosa accade se attingete troppo Potere e non c’è nessuna a fermarvi?» domandò Nynaeve. «Vorrei che aveste più paura. Io ho paura. Credete che non sappia cosa provate? Il Potere è sempre lì, a portata di mano, e si ha voglia di riempirsene. A volte è solo la paura che mi ferma: lo voglio tutto. So che mi ridurrebbe in cenere e lo voglio ugualmente.» Rabbrividì. «Vorrei davvero che aveste più paura.»

«Io ho paura» ammise Egwene, con un sospiro. «Sono terrorizzata. Ma non serve a niente. E tu, Elayne?»

«L’unica cosa che mi terrorizza» rispose Elayne con vivacità «è lavare i piatti. Pare che li debba lavare tutti i giorni.» Egwene le tirò il guanciale. Elayne se lo tolse da sopra la testa e lo tirò a sua volta, ma abbassò le spalle. «Oh, va bene! Sono così atterrita da non sapere perché non batto i denti. Elaida mi ha detto che sarei stata tanto atterrita da avere voglia di scappare con i Girovaghi, ma non capisco. Un uomo che spinga i buoi con la durezza con cui spingono noi, sarebbe sfuggito da tutti. Sono sempre stanca: mi sveglio stanca e vado a letto esausta. A volte sono così atterrita di sbagliare, di attingere un Potere superiore a quello che sono in grado di maneggiare, da...» Abbassò gli occhi e non terminò la frase.

Egwene sapeva che cosa Elayne aveva taciuto. La sua stanza era contigua a quella di Elayne e, come in tante altre stanze delle novizie, molto tempo prima nella parete era stato praticato un forellino, invisibile se non si sapeva dove guardare, ma utile per chiacchierare dopo l’ora in cui i lumi erano spenti e le ragazze non potevano lasciare la propria stanza. Più d’una volta Egwene aveva udito Elayne piangere prima di prendere sonno ed era sicura che pure Elayne aveva udito i suoi pianti.

«I Girovaghi sono una tentazione» convenne Nynaeve. «Ma dovunque vai, quel che puoi fare non cambia. Non si fugge da Saidar.» Pareva che il concetto appena espresso non le piacesse per niente.

«Cosa vedi, Min?» domandò Elayne. «Diventeremo tutt’e due potenti Aes Sedai o passeremo il resto della vita a lavare piatti come novizie oppure...» Si strinse nelle spalle, a disagio, come se non volesse esprimere a voce la terza possibilità che le era venuta in mente: oppure saremo rimandate a casa. Cacciate via dalla Torre. Dall’arrivo di Egwene, già due novizie erano state cacciate; se parlavano di loro, tutte abbassavano la voce, come se fossero morte.

Min cambiò posizione, a disagio. «Non mi piace leggere gli amici» borbottò. «L’amicizia influisce nella lettura. Mi spinge a porre nella luce migliore quel che vedo. Per questo con voi tre non lo faccio più. Comunque, non è cambiato niente che possa...» Socchiuse gli occhi e a un tratto si accigliò. «Questo è nuovo» alitò.

«Cosa?» domandò Nynaeve, brusca.

Min esitò. «Pericolo. Siete tutt’e tre in pericolo. O lo sarete, molto presto. Ma non riesco a vedere la natura del pericolo.»

«Visto?» disse Nynaeve, alle due sedute sul letto. «Dovete essere prudenti. Dobbiamo esserlo tutte. Promettetemi di non incanalare più il Potere, senza qualcuna che vi guidi.»

«Di questo non voglio più parlare» disse Egwene.

Elayne annuì. «Sì. Parliamo d’altro. Min, se ti mettessi una veste femminile, sono sicura che Gawyn ti chiederebbe di fare due passi con lui. Sai che ti guarda; ma, secondo me, le brache e la giubba da uomo lo scoraggiano.»

«Mi vesto come voglio e non cambierò abitudine per un lord, anche se è tuo fratello» replicò Min, con aria assente, sempre a occhi socchiusi e fronte corrugata. Avevano già discusso l’argomento. «A volte è utile passare per ragazzo.»

«Alla seconda occhiata, nessuno ti scambia più per un ragazzo» sorrise Elayne.

Egwene si sentì a disagio: Elayne si sforzava di sembrare allegra, Min quasi non le prestava attenzione, Nynaeve aveva l’aria di voler ricominciare con gli ammonimenti.

La porta si spalancò ancora una volta. Egwene balzò in piedi per chiuderla, lieta d’avere qualcosa da fare, oltre guardare gli altri fingere. Prima d’arrivare alla porta, però, un’Aes Sedai dagli occhi scuri, con i capelli biondi acconciati in treccioline, entrò nella stanza. Egwene si fermò, sorpresa: non s’aspettava l’arrivo d’una Aes Sedai, addirittura di Liandrin. Non aveva sentito dire che Liandrin era tornata alla Torre Bianca; ma, a parte questo, se un’Aes Sedai voleva parlare con una novizia, la mandava a chiamare. Che una Sorella fosse venuta di persona non prometteva niente di buono.

Con cinque persone, la stanzetta era affollata. Liandrin si soffermò ad aggiustarsi lo scialle frangiato di rosso e guardò le altre. Min non si mosse, ma Elayne s’alzò; le tre in piedi salutarono con una riverenza, anche se Nynaeve piegò appena il ginocchio. Secondo Egwene, Nynaeve non si sarebbe mai abituata ad altre che avessero autorità su di lei.

Liandrin soffermò lo sguardo su Nynaeve. «E tu perché sei qui negli alloggi delle novizie, bambina?» domandò, in tono glaciale.

«Faccio visita alle mie amiche» rispose Nynaeve, con voce tesa. Dopo un istante, aggiunse un tardivo: «Liandrin Sedai.»

«Le Ammesse non possono avere amiche fra le novizie. Ormai avresti dovuto impararlo, bambina. Ma mi va bene averti trovata qui. Voi due» indicò Elayne e Min «andate pure.»

«Tornerò più tardi» disse Min; si alzò con noncuranza, esagerando nel mostrare di non avere alcuna fretta d’ubbidire, e passò davanti a Liandrin, con un sorriso che l’Aes Sedai non vide neppure. Elayne rivolse alle altre due un’occhiata piena di preoccupazione, salutò con un inchino l’Aes Sedai e uscì.

Liandrin rimase a guardare Egwene e Nynaeve. Sotto quell’attento esame, Egwene cominciò a innervosirsi, ma Nynaeve si tenne ben dritta e arrossì solo un poco.

«Voi due siete dello stesso villaggio dei ragazzi che viaggiavano con Moiraine» disse a un tratto Liandrin. «Giusto?»

«Hai notizie di Rand?» domandò Egwene, ansiosa. Liandrin inarcò il sopracciglio. «Scusa, Aes Sedai. Mi sono comportata indecorosamente.»

«Hai notizie di loro?» disse Nynaeve, in tono che rasentava la pretesa. Le Ammesse non avevano l’obbligo di parlare alle Aes Sedai solo se interrogate.

«Vi preoccupate per loro. Bene. Quei ragazzi sono in pericolo e forse voi due potete aiutarli.»

«Come sai che sono nei guai?» Stavolta Nynaeve pretendeva davvero una risposta.

Liandrin serrò le labbra, ma non cambiò tono. «Voi non potete saperlo, ma Moiraine ha mandato alla Torre Bianca delle lettere che vi riguardano. Moiraine Sedai si preoccupa di voi e dei vostri giovani... amici. Quei ragazzi sono in pericolo. Volete aiutarli, o lasciarli alla loro sorte?»

«Sì» rispose Egwene, nello stesso tempo in cui Nynaeve diceva: «Che tipo di guai? Perché t’interessi tanto a loro?» Diede un’occhiata alle frange rosse dello scialle di Liandrin. «E mi pareva che Moiraine non ti andasse a genio.»

«Non presumere troppo, bambina» replicò Liandrin, brusca. «Essere Ammesse non significa essere Sorelle. Ammesse e novizie ascoltano, quando una Sorella parla, e fanno come si dice loro di fare.» Prese fiato e proseguì, in tono di nuovo gelido e sereno; ma, per la collera, aveva sulle guance due chiazze bianche. «Un giorno, sono sicura, servirete una causa e imparerete che per servirla occorre lavorare anche con chi non vi va a genio. Ho dovuto lavorare con gente con cui non avrei mai diviso una stanza, se fosse toccato a me decidere, E voi non lavorereste anche con chi odiate di più, se si trattasse di salvare i vostri amici?»

Nynaeve annuì di malavoglia. «Ma ancora non ci hai detto in quale pericolo si trovano, Liandrin Sedai.»

«Il pericolo proviene da Shayol Ghul. I ragazzi sono di nuovo inseguiti. Se venite con me, alcuni pericoli, almeno, saranno eliminati. Non chiedetemi come, perché non posso dirvelo, ma vi dico chiaramente che è così.»

«Verremo, Liandrin Sedai» disse Egwene.

«Dove?» disse Nynaeve. Egwene le scoccò un’occhiata d’esasperazione.

«A Capo Toman.»

Egwene rimase a bocca aperta. Nynaeve borbottò: «C’è la guerra, a Capo Toman. Il pericolo di cui parli ha forse a che fare con gli eserciti di Artur Hawkwing?»

«Credi alle voci, bambina? Anche se fossero vere, basterebbero a fermarti? Mi pareva che quei tre fossero tuoi amici.» La smorfia di Liandrin indicava che lei non avrebbe mai considerato amici tre uomini.

«Verremo con te» disse Egwene. Nynaeve aprì bocca di nuovo, ma Egwene la batté sul tempo. «Andremo con lei, Nynaeve. Se Rand ha bisogno del nostro aiuto... e Mat, e Perrin... dobbiamo aiutarli.»

«Lo so» disse Nynaeve. «Ma voglio sapere una cosa: perché proprio noi? Cosa possiamo fare, noi, che Moiraine, o tu, Liandrin, non potete fare?»

Sulle guance di Liandrin le chiazze bianche divennero più marcate: Egwene notò che Nynaeve aveva dimenticato il titolo onorifico, nel rivolgersi all’Aes Sedai; ma Liandrin si limitò a dire: «Voi due provenite dal loro villaggio. In qualche modo, che non capisco appieno, siete collegate a loro. Non posso dirvi altro. E non risponderò più alle vostre sciocche domande. Volete venire con me, per amor loro?» S’interruppe, in attesa del loro assenso; e quando le due annuirono, si rilassò visibilmente. «Bene. Ci incontreremo al limitare settentrionale del boschetto Ogier, un’ora prima del tramonto, con i cavalli e l’occorrente per il viaggio. Non parlatene a nessuno.»

«Senza permesso non possiamo lasciare la Torre» obiettò Nynaeve.

«Avete il mio permesso. Non parlate a nessuno. Proprio a nessuno. L’Ajah Nera si aggira nei corridoi della Torre Bianca.»

Egwene ansimò e udì l’ansito di Nynaeve, ma quest’ultima si riprese in fretta. «Pensavo che tutte le Aes Sedai negassero l’esistenza di... di questa Ajah.»

Liandrin strinse le labbra in un ringhio. «Molte la negano; ma la Tarmon Gai’don s’avvicina e termina il tempo delle negazioni. L’Ajah Nera è il contrario di tutto quello che la Torre Bianca rappresenta, ma esiste, bambina. Si trova dovunque, ogni donna potrebbe appartenere a essa; e serve il Tenebroso. Se l’Ombra insegue i vostri amici, credete che l’Ajah Nera vi lasci in vita, libere d’aiutarli? Non parlate a nessuno, a nessuno! Altrimenti rischiate di non vivere tanto da vedere Capo Toman. Un’ora prima del tramonto. Non deludetemi.» E uscì, chiudendo con decisione la porta.

Egwene si lasciò cadere sul letto. «Nynaeve, Liandrin è dell’Ajah Rossa. Non può sapere niente di Rand. Se sapesse...»

«Non può» convenne Nynaeve. «Ma mi piacerebbe sapere perché una Rossa offre aiuto. E perché pare disposta a collaborare con Moiraine. Avrei giurato che nessuna delle due avrebbe dato all’altra un goccio d’acqua, se l’avesse vista morire di sete.»

«Credi che abbia mentito?»

«È Aes Sedai» rispose Nynaeve, asciutta. «Scommetto la mia più bella spilla d’argento contro un mirtillo che ogni parola da lei detta è vera. Ma mi domando se abbiamo udito davvero ciò che abbiamo creduto di udire.»

«L’Ajah Nera» disse Egwene, con un brivido. «Non c’è possibilità d’errore, ne ha affermato l’esistenza.»

«Infatti. E così ci impedisce di chiedere consiglio ad altre: dopo le sue parole, di chi possiamo fidarci?»

Min e Elayne entrarono di corsa, sbattendosi alle spalle la porta. «Andate davvero?» domandò Min; Elayne indicò il forellino nella parete, al di sopra del letto di Egwene, e disse: «Abbiamo ascoltato dalla mia stanza. Abbiamo udito tutto.»

Egwene scambiò con Nynaeve un’occhiata, domandandosi quanto le due avessero udito; lesse sul viso di Nynaeve l’identica preoccupazione. Se avessero dedotto esattamente che cos’era Rand...

«Dovete tenere per voi la notizia» ammonì Nynaeve. «Immagino che Liandrin abbia avvertito Sheriam; ma, anche se non l’ha fatto, anche se domani frugano da cima a fondo la Torre alla nostra ricerca, non dovete dire una parola.»

«Niente paura» disse Min. «Vengo con voi. Qui passo le giornate a spiegare all’una o all’altra delle Sorelle Marrone un qualcosa che neppure io capisco. Non posso fare quattro passi senza che l’Amyrlin in persona spunti a chiedermi di leggere chi ci capita di vedere. Quando quella donna ti chiede una cosa, non c’è modo di rifiutare. Per lei avrò letto metà delle persone della Torre Bianca, ma l’Amyrlin vuole sempre ancora una dimostrazione. Mi serviva solo una scusa per andarmene: questa va benissimo.» Aveva proprio l’aria di non ammettere discussioni.

Egwene si domandò come mai Min fosse così decisa ad andare via con loro, anziché per i fatti propri; ma non riuscì ad approfondire il pensiero, perché Elayne disse: «Vengo anch’io.»

«Elayne» replicò Nynaeve, con gentilezza «Egwene e io siamo amiche di quei ragazzi, fin dai tempi di Emond’s Field. Tu sei l’Erede dell’Andor. Se scompari dalla Torre Bianca... be’, rischi di far scoppiare una guerra.»

«Mia madre non farebbe guerra a Tar Valon nemmeno se mi seccassero e mi mettessero sotto sale; e non è detto che non provino a farlo. Se voi tre partite all’avventura, non resterò qui a lavare piatti e spazzare pavimenti e prendermi i rimproveri di un’Ammessa perché non ho fatto il fuoco dell’esatta sfumatura d’azzurro che voleva lei. Gawyn morirà d’invidia, quando lo verrà a sapere.» Sorrise e allungò la mano a scompigliare allegramente i capelli di Egwene. «E poi, se lasci libero Rand, potrei avere l’opportunità di catturarlo.»

«Non credo che una di noi due lo avrà» disse Egwene, triste.

«Allora scopriremo chi ha scelto e le renderemo infelice la vita. Ma non sarà così sciocco da scegliere un’altra, potendo avere una di noi due. Oh, per favore, sorridi, Egwene! Lo so che è tuo. Solo, mi sento...» esitò, cercando la parola esatta «mi sento libera. Non ho mai avuto un’avventura. Sono sicura che nessuna di noi due piangerebbe prima di prendere sonno, in un’avventura. E in caso contrario ci accerteremmo che il menestrello lasci fuori questa parte.»

«È una sciocchezza» disse Nynaeve. «Andiamo a Capo Toman. Anche tu hai sentito le voci che corrono. Sarà pericoloso. Devi restare qui.»

«Ho anche sentito quel che Liandrin Sedai ha detto dell’Ajah Nera» replicò Elayne, abbassando la voce fin quasi a bisbigliare. «Quanto sarò al sicuro, qui, se loro ci sono davvero? Se mia madre sospettasse che esiste l’Ajah Nera, scatenerebbe una guerra per portarmi via.»

«Ma, Elayne...»

«C’è un solo modo per impedirmi di venire con voi. Informare la Maestra delle Novizie. Faremo un bel quadretto, tutt’e tre in fila nel suo studio. Tutt’e quattro. Non credo che Min la farebbe franca. Perciò, visto che non direte niente a Sheriam Sedai, vengo anch’io.»

Nynaeve alzò le mani al cielo. «Forse tu puoi trovare un modo per convincerla» disse a Min.

Min, appoggiata alla porta, guardava a occhi socchiusi Elayne; scosse la testa. «Credo che debba venire anche lei. Come noi. Ora vedo con maggiore chiarezza il pericolo. Non tanto da capire qual è, ma riguarda la decisione di partire. Per questo è più chiaro: perché la partenza è più sicura.»

«Non c’è motivo perché venga anche lei» disse Nynaeve.

Min scosse di nuovo la testa. «È collegata a questi... a questi ragazzi tanto quanto te, o Egwene, o me stessa. Fa parte di questa storia, Nynaeve, quale che sia. Parte del Disegno, direbbe un’Aes Sedai.»

Elayne parve presa alla sprovvista e anche interessata. «Davvero? Quale parte, Min?»

«Non lo vedo con chiarezza» rispose Min, a occhi bassi. «A volte rimpiango d’avere il dono di leggere le persone. E poi, molti non sono soddisfatti di quel che leggo.»

«Se andiamo tutt’e quattro» disse Nynaeve «allora sarà meglio fare un piano.» Anche se prima aveva obiettato a spada tratta, presa la decisione andava sempre al sodo: che cosa dovevano portare con sé, quanto freddo avrebbe fatto a Capo Toman, come far uscire dalle stalle i cavalli senza essere fermate.

Intanto Egwene non poté fare a meno di domandarsi quale pericolo avesse visto Min e quale pericolo minacciasse Rand. Conosceva un solo pericolo, per lui, e le dava i brividi. “Tieni duro, Rand!" pensò. “Tieni duro, testa di legno. Non so come, ma t’aiuterò io."

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