15 Kinslayer

Quando Rand le guardava, le montagne lontane e curiosamente sbiadite parevano scivolare verso di lui in un modo che gli faceva girare la testa, a meno che lui non si rifugiasse nel vuoto. A volte si trovava avvolto nel vuoto senza accorgersene, ma cercava di evitarlo come la morte stessa. Preferiva avere le vertigini che trovarsi avvolto nel vuoto con quella sua luce inquietante. Era molto meglio fissare il territorio sbiadito. Tuttavia Rand cercò di non guardare niente di troppo lontano, a meno che non si trovasse proprio davanti.

Hurin si era concentrato nel fiutare la pista, quasi volesse ignorare il territorio. Quando guardava il terreno circostante, trasaliva e si puliva le mani sulla giubba; poi, con occhi vitrei, sporgeva il naso come un segugio ed escludeva tutto il resto. Loial cavalcava abbandonato sulla sella; quando si guardava intorno, corrugava la fronte, agitava a disagio le orecchie e borbottava tra sé.

Attraversarono di nuovo un tratto di terreno annerito e bruciato, dove perfino il terriccio scricchiolava sotto gli zoccoli dei cavalli. Le zone bruciate, a volte ampie un miglio, a volte solo qualche centinaio di passi, correvano tutte a levante e a ponente, dritte come frecce. Due volte, quando ne attraversarono una e quando passarono accanto a un’altra, Rand vide che le zone bruciate si assottigliavano e terminavano a punta; e pensò che anche le altre fossero simili.

Una volta, a Emond’s Field, aveva visto Whatley Eldin decorare un carretto per la Festa del Sole e dipingervi a colori brillanti scene circondate da intricati ghirigori ornamentali. Per i contorni, What usava la punta del pennello e otteneva una linea sottile che s’ingrossava e si assottigliava a seconda della pressione. Quelle zone parevano fatte allo stesso modo, come se qualcuno avesse usato un mostruoso pennello di fuoco.

Nei tratti bruciati non cresceva niente, anche se alcune zone non parevano affatto recenti. Nell’aria non rimaneva nemmeno una traccia di bruciato, eppure niente era venuto a reclamare quel terreno. Il nero lasciava posto al verde, e il verde al nero, secondo linee nette come tagli di coltello.

A suo modo, il resto del territorio era altrettanto morto, anche se l’erba lo ricopriva e gli alberi erano ricchi di foglie. Ogni cosa aveva quell’aria sbiadita di panni troppo lavati o lasciati troppo al sole. Non c’erano uccelli né animali. Nessun falco roteava nel cielo, non si udivano latrati di volpe in caccia, niente frusciava nell’erba o si posava sui rami. Non c’erano api né farfalle. Varie volte attraversarono torrenti d’acqua bassa, che spesso si erano scavati un letto profondo fra ripide rive. L’acqua era chiara, a parte il fango smosso dagli zoccoli dei cavalli, ma non un pesciolino né un girino vi si agitavano, né una pulce d’acqua si muoveva sulla superficie, né una merlettaia vi si librava al di sopra.

L’acqua era potabile, per fortuna: visto che il contenuto delle borracce non sarebbe durato all’infinito, Rand l’assaggiò e obbligò Loial e Hurin ad aspettare prima di bere, casomai gli fosse accaduto qualcosa. Era stato lui a cacciarli in quel pasticcio, quindi ne aveva la responsabilità. L’acqua era fresca, ma priva di sapore, come se l’avessero bollita. Bevendola, Loial fece una smorfia; anche i cavalli non la gradirono: agitarono la testa e si abbeverarono con riluttanza.

Non c’era segno di vita, però due volte una scia fumosa attraversò il cielo, simile a riga tracciata con le nuvole: la linea era troppo dritta per essere naturale, ma Rand non riuscì a immaginare che cosa la tracciasse. Non ne parlò agli altri. Forse non le avevano viste: Hurin era intento a seguire la pista; Loial, i propri pensieri. Comunque, nemmeno loro menzionarono le scie.

Verso metà mattino, Loial all’improvviso smontò da cavallo e senza una parola si diresse a un boschetto di scope giganti, il cui tronco si divideva in vari rami, spessi, rigidi e dritti, a un braccio dal suolo. In cima, si divideva ancora e formava il cespuglio fronzuto che dava il nome a quel tipo di pianta.

Rand fermò Red e stava per chiedere spiegazioni; ma qualcosa, nel comportamento dell’Ogier, come se anche lui fosse incerto, lo spinse a stare zitto. Loial fissò l’albero, mise le mani sul tronco e cominciò a cantare, con un brontolio basso e profondo.

Rand aveva udito, una volta, il Canto degli Alberi degli Ogier, quando Loial l’aveva cantato a un albero morente per riportarlo in vita, e aveva sentito parlare del ‘legno cantato’, ossia oggetti che gli alberi producevano per effetto del Canto. Quel Talento, aveva detto Loial, ormai si manifestava di rado; per questo il legno cantato era ricercato e prezioso. La prima volta, a Rand era parso che la terra stessa cantasse; ma ora Loial mormorava il Canto quasi con diffidenza e la terra lo echeggiava in un bisbiglio.

Pareva canto puro, musica senza parole: se ce n’erano, svanivano nella musica come l’acqua si riversa in un torrente. Hurin rimase a guardare a bocca aperta.

Loial passò le mani lungo il tronco, carezzandolo con la voce, oltre che con le dita. Ora il tronco pareva più liscio, come se le carezze lo sagomassero. Rand batté le palpebre. Era sicuro che il pezzo su cui lavorava Loial era ramificato come gli altri, ma ora terminava con una parte arrotondata, proprio al di sopra della testa dell’Ogier.

La voce di Loial si alzò quasi in un inno di ringraziamento e svanì come brezza.

«La Luce m’incenerisca» alitò Hurin, stordito. «Non ho mai udito niente del genere...»

Loial reggeva un bastone alto quanto lui e spesso quanto il braccio di Rand, lucido e levigato. Al posto del tronco della scopa gigante c’era un piccolo stelo nato da poco.

Rand guardò Loial montare in sella e posare il bastone di traverso davanti a sé; si domandò perché mai l’Ogier volesse un bastone, dal momento che procedevano a cavallo. Poi vide il bastone non per quel che era, ma in rapporto alla corporatura dell’Ogier, e notò come Loial lo maneggiava.

«Un bastone da combattimento» esclamò, sorpreso. «Non sapevo che gli Ogier portassero armi.»

«Di solito non ne portiamo» replicò Loial, quasi brusco. «Il prezzo è sempre stato troppo alto.» Soppesò il grosso bastone e arricciò il naso. «L’Anziano Haman direbbe di sicuro che metto un lungo manico alla mia ascia, ma non sono solo frettoloso e avventato, Rand. Questo posto...» Rabbrividì e agitò le orecchie.

«Troveremo presto il modo di tornare» disse Rand, cercando di mostrarsi fiducioso.

Loial proseguì come se non avesse udito. «Ogni cosa è... legata, Rand. Che viva o no, che pensi o no, ogni cosa esistente è solidale. L’albero non pensa, ma fa parte del tutto, e il tutto ha... ha una sensazione. Non riesco a spiegarlo, come non saprei spiegare in che cosa consiste essere felici, ma... Rand, questa terra era contenta che nascesse un’arma. Contenta!»

«La Luce risplenda su di noi» mormorò Hurin, nervoso «e la mano del Creatore ci faccia da scudo. Anche se andiamo all’ultimo abbraccio della madre, la Luce illumini la nostra via.» Continuò a ripetere la preghiera, quasi fosse un incantesimo che l’avrebbe protetto.

Rand resistette all’impulso di guardarsi intorno e soprattutto in alto. In quel momento, un’altra linea fumosa nel cielo sarebbe bastata a farli saltare di testa. «Qui non c’è niente che ci metta in pericolo» disse con fermezza. «E faremo buona guardia per assicurarcene.»

Voleva ridere di se stesso, perché aveva parlato con tanta certezza quando non era certo di niente. Ma, guardando gli altri, capì che almeno uno doveva mostrarsi sicuro di sé, altrimenti paura e incertezza li avrebbero travolti. La Ruota gira e ordisce come vuole, pensò. Scacciò il pensiero. Non era questione di Ruota, di taveren, di Aes Sedai, di Drago. Era così e basta.

«Loial, hai terminato?» domandò. L’Ogier annuì e lisciò con rimpianto il bastone. Rand si rivolse a Hurin. «Fiuti ancora la pista?»

«Sì, lord Rand. La fiuto.»

«Allora seguiamola. Quando avremo trovato Fain e gli Amici delle Tenebre, torneremo a casa da eroi, con il pugnale per Mat e il Corno di Valere. Far strada, Hurin.»

Da eroi? Avrebbe messo la firma anche solo per uscire di lì ancora vivi!

«Questo posto non mi piace» disse Loial, in tono piatto. Reggeva il bastone come se pensasse di doverlo usare presto.

«Tanto, non abbiamo intenzione di restarci, no?» replicò Rand. Hurin rise, come se fosse una battuta, ma Loial lo guardò negli occhi.

«No, non ne abbiamo l’intenzione, Rand.»

Comunque, l’accenno casuale al ritorno a casa aveva sollevato un poco il morale degli altri due. Hurin sedeva in sella un po’ più dritto e Loial teneva le orecchie un po’ meno penzoloni. Non era il momento, né il luogo, di far sapere che condivideva le loro paure, si disse Rand; perciò le tenne per sé e le combatté da solo.

Hurin fu di buonumore per tutta la mattinata. Mormorava: «Tanto, non abbiamo intenzione di restare» e ridacchiava. Alla fine Rand gli disse di fare silenzio. Verso mezzogiorno però l’annusatore si zittì sul serio, scuotendo la testa e corrugando la fronte.

«Hurin, c’è qualcosa che non va, nella pista?» domandò Rand.

L’annusatore si strinse nelle spalle, turbato. «Sì, lord Rand, e no, si potrebbe dire.»

«O sì, o no, Hurin. Hai perso la pista? Non fartene colpa, era debole fin dall’inizio. Se non troviamo gli Amici delle Tenebre, troveremo un’altra Pietra e torneremo con quel sistema.» Luce santa, tutto, ma non questo, pensò; ma si mantenne calmo in viso. «Se gli Amici delle Tenebre possono venire qui e andarsene di qui, possiamo farlo anche noi.»

«Oh, non ho perso la traccia, lord Rand. Sento ancora la loro puzza. Non si tratta di questo. Solo che... che... È come se la ricordassi, lord Rand, anziché fiutarla. Ma non la ricordo. Decine e decine di piste la incrociano a ogni momento, con ogni sorta di odori di violenza, alcuni quasi recenti, solo sbiaditi come ogni altra cosa. Stamattina, appena lasciata la conca, avrei giurato di trovarmi in mezzo a centinaia di persone massacrate solo da qualche minuto, ma non c’erano cadaveri e nemmeno un segno sull’erba, a parte le impronte dei nostri cavalli. Perché ci sia un simile odore, il terreno dovrebbe essere calpestato e zuppo di sangue, invece non c’era un segno. Ed è così in continuazione, milord. Ma seguo la pista. La seguo. Questo luogo mi rende nervoso, ecco. Sarà per questo.»

Rand guardò Loial: a volte l’Ogier mostrava di possedere conoscenze insolite, ma ora pareva perplesso quanto Hurin. Rand finse una fiducia che non provava. «So che fai del tuo meglio, Hurin» disse. «Siamo tutti nervosi. Segui la pista meglio che puoi e li troveremo.»

«Ve bene, lord Rand.» Hurin spronò il cavallo. «Va bene.»

Ma al calar della notte non c’era ancora segno degli Amici delle Tenebre e Hurin disse che la traccia era sempre più debole. Continuò a borbottare tra sé di ‘ricordare’ l’odore.

Non avevano visto alcun segno. Proprio nessuno. Rand non era bravo come Huno a seguire le piste, ma qualsiasi ragazzo dei Fiumi Gemelli sapeva ritrovare una pecora smarrita o scoprire le peste d’un coniglio per cena. Invece, niente: come se, prima del loro arrivo, nessuna creatura vivente avesse mai disturbato quel territorio. Doveva esserci qualcosa, se gli Amici delle Tenebre erano davanti a loro. Ma Hurin continuava a seguire la traccia che asseriva di fiutare.

Quando il sole toccò l’orizzonte, si accamparono in un boschetto non toccato dal fuoco e mangiarono le provviste di scorta: gallette e carne secca; un pasto che non riempiva la stomaco, duro e poco gustoso. Rand calcolò che le provviste sarebbero bastate per una settimana. Dopo di che... Hurin mangiò lentamente, ma Loial terminò in fretta la sua razione e si mise a fumare la pipa, tenendo a portata di mano il bastone. Rand tenne il fuoco basso e ben nascosto fra gli alberi: forse, nonostante le preoccupazioni di Hurin per la bizzarria della pista, Fain con i suoi Amici delle Tenebre e i suoi Trolloc era abbastanza vicino da scorgere un fuoco.

Gli parve strano che avesse cominciato a pensare a loro come gli Amici delle Tenebre di Fain, i Trolloc di Fain. Fain era soltanto un povero pazzo. Allora perché l’avevano liberato? Fain aveva fatto parte di un piano del Tenebroso per trovare lui, Rand. Forse c’era un collegamento tra le due cose. Ma allora perché Fain scappava, invece di dargli la caccia? E quale creatura aveva ucciso quel Fade? Che cosa era avvenuto, a lui, nella stanza piena di mosche? E quegli occhi, che l’avevano osservato a Fal Dara? E quel vento, che l’aveva afferrato come la resina di pino intrappola gli insetti? No, no, Ba’alzamon era morto di certo. Le Aes Sedai non ci credevano. Moiraine non ci credeva, e neppure l’Amyrlin. Si rifiutò di pensare ancora alla morte di Ba’alzamon. Ora doveva badare solo a ricuperare il pugnale di Mat. Trovando Fain e il Corno.

Non è mai finita, al’Thor.

La voce fu simile a una lieve brezza che gli mormorasse in fondo alla testa, un lieve, gelido sussurro che si apriva la strada fra gli interstizi della mente. Rand quasi cercò il vuoto per sfuggire a quella voce, ma ricordò che cosa l’aspettava nel vuoto e rinunciò subito.

Per calmarsi, nella penombra del crepuscolo eseguì con la spada le figure, come gli aveva insegnato Lan, ma senza ricorrere al vuoto, Il taglio della seta. Il colibrì bacia la rosa. Airone a guado fra i giunchi, per affinare l’equilibrio. Si concentrò nei movimenti rapidi e sicuri e per un poco dimenticò dove si trovava. Continuò ad allenarsi, finché non fu coperto di sudore. Però, al termine, tutto era come prima. Anche se non faceva freddo, Rand rabbrividì e si strinse nel mantello. Si sedette accanto al fuoco. Gli altri due intuirono il suo umore e rimasero in silenzio. Nessuno si lamentò, quando Rand gettò terriccio sulle ultime fiamme guizzanti.

Rand stesso fece il primo turno di guardia: con l’arco pronto, girò intorno al boschetto e a volte tolse il fermo alla spada. La gelida luna era quasi piena, alta nel buio, e la notte era silenziosa quanto il giorno e altrettanto vuota. Vuota era la parola giusta. La terra era vuota come una giara polverosa. Era difficile credere che ci fosse qualcuno al mondo, in quel mondo, a parte loro tre; difficile credere anche alla presenza degli Amici delle Tenebre, da qualche parte più avanti.

Per tenersi compagnia, Rand aprì il mantello di Thom Merrilin ed espose, sopra le toppe colorate, gli astucci di cuoio col flauto e l’arpa. Tolse dall’astuccio il flauto intarsiato d’oro e d’argento; ricordando le lezioni del menestrello, suonò alcune note della canzone ‘Il vento che scuote il salice’, piano, per non svegliare gli altri due. Anche in sordina, quella musica triste era troppo forte per quel luogo, troppo reale. Con un sospiro Rand rimise a posto il flauto e rifece il fagotto.

Rimase di guardia a lungo, lasciando dormire gli altri due. Non sapeva quanto tempo fosse trascorso, quando a un tratto si accorse che era scesa la nebbia. Fitta, strisciava per terra e dava l’impressione che le montagnole indistinte di Hurin e di Loial spuntassero dalle nuvole. Più in alto si diradava, ma velava il terreno tutt’intorno e nascondeva ogni cosa, tranne gli alberi più vicini. La luna pareva coperta da un telo di seta bagnata. Chiunque poteva assalirli, senza paura d’essere visto. Rand toccò la spada.

«Le spade non servono contro di me, Lews Therin. Dovresti saperlo.»

Rand si girò di scatto e la nebbia gli turbinò intorno ai piedi. Sguainò di riflesso la spada e la tenne alta davanti a sé. Il vuoto si formò di colpo in lui; per la prima volta, Rand notò appena il bagliore contaminato di Saidin.

Una figura indistinta si avvicinò nella nebbia, appoggiandosi a un lungo bastone. Dietro di essa, come se l’ombra di quell’ombra fosse immensa, la nebbia s’infittì fino a diventare più nera della notte. Rand si sentì venire la pelle d’oca. La figura si avvicinò; a poco a poco assunse la sagoma d’un uomo, vestito e guantato di nero, con una maschera di seta nera; e le tenebre avanzarono con lui. Anche il bastone era nero, come se il legno fosse carbonizzato, ma liscio e lucente come acqua al chiaro di luna. Per un istante i fori della maschera brillarono quasi coprissero due fuochi. Rand sapeva già di chi si trattava.

«Ba’alzamon» alitò. «Questo è un sogno. Mi sono addormentato e...»

Ba’alzamon rise, con il ruggito d’una fornace spalancata. «Cerchi sempre di negare ciò che è, Lews Therin. Se allungo la mano, posso toccarti, Kinslayer. Posso sempre toccarti. Sempre e ovunque.»

«Non sono il Drago! Sono Rand al’...» Serrò i denti per fermarsi.

«Oh, so benissimo quale nome usi ora, Lews Therin. Conosco ogni nome che hai usato Epoca dopo Epoca, prima ancora di diventare Kinslayer, l’Uccisore del proprio Sangue.» La voce di Ba’alzamon cominciò ad alzarsi; a volte le fiamme negli occhi mandavano guizzi così intensi che Rand le vedeva attraverso le aperture della maschera di seta nera, come mari infiniti di fuoco. «Ti conosco, conosco il tuo sangue e la tua dinastia, su fino alla scintilla primordiale della vita, su fino al Primo Istante. Non puoi mai nasconderti a me. Mai! Siamo legati l’uno all’altro, come facce della stessa moneta. Uomini comuni possono nascondersi nelle pieghe del Disegno, ma i ta’veren spiccano come falò sulla cima d’una collina; e tu... tu spicchi come se nel cielo ci fossero diecimila frecce lucenti puntate su di te! Sei mio e sempre a portata della mia mano!»

«Padre delle Menzogne» riuscì a dire Rand. Nonostante il vuoto, la lingua gli si voleva incollare al palato. “Luce santa, fa’ che sia un sogno." Il pensiero scivolò all’esterno del vuoto. “Anche uno di quei sogni che non sono sogni. Non può trovarsi realmente davanti a me! Il Tenebroso è imprigionato a Shayol Ghul, imprigionato dal Creatore nel momento della Creazione..." Rand conosceva troppi particolari della verità, per sentirsi tranquillo. «Hai proprio il nome giusto! Se puoi prendermi, perché non mi hai ancora preso? Perché non puoi. Io cammino nella Luce e tu non puoi toccarmi!»

Ba’alzamon si appoggiò al bastone e per un momento guardò Rand, poi si mosse accanto a Loial e Hurin e li scrutò. L’ombra smisurata si mosse con lui. Ba’alzamon non disturbava la nebbia, notò Rand: si muoveva, col bastone che oscillava a ogni passo, ma la nebbia grigia non gli turbinava intorno ai piedi. Rand si sentì rincuorare. Forse in realtà Ba’alzamon non era lì. Forse era davvero un sogno.

«Trovi seguaci insoliti» disse Ba’alzamon, pensieroso. «Come hai sempre fatto. Questi due. La ragazza che tenta di proteggerti. Una guardiana misera e debole, Kinslayer. Se avesse a disposizione una vita intera per crescere, non diventerebbe mai forte abbastanza perché tu ti nasconda dietro di lei.»

Ragazza? Chi? Moiraine non era di certo una ragazza!

«Non so di cosa parli, Padre delle Menzogne. Menti e continui a mentire; e anche quando dici la verità, la stravolgi in menzogna.»

«Davvero, Lews Therin? Sai cosa sei e chi sei. Te l’ho detto io. E te l’hanno detto quelle donne di Tar Valon.» Rand si mosse a disagio e Ba’alzamon scoppiò a ridere, con il fragore d’un piccolo tuono. «Si ritengono al sicuro, nella loro Torre Bianca; ma fra i miei seguaci annovero anche alcune di loro. L’Aes Sedai chiamata Moiraine ti ha detto chi sei, no? Ha mentito? O è una delle mie? La Torre Bianca intende usarti come segugio al guinzaglio. Mento? Mento, quando dico che cerchi il Corno di Valere?» Rise di nuovo. «A volte antichi nemici combattono tanto a lungo da diventare alleati e non se ne rendono conto. Ciascuno crede di colpire, ma è così strettamente legato all’altro che in pratica guida egli stesso il colpo di risposta.»

«Tu non mi guidi» replicò Rand. «Ti nego.»

«Ho mille fili legati a te, Kinslayer, ciascuno più sottile della seta e più robusto dell’acciaio. Il tempo ha legato mille funi fra noi. La battaglia che noi due abbiamo combattuto... ne ricordi qualche particolare? Hai la sensazione che abbiamo già combattuto battaglie innumerevoli fin dall’inizio del Tempo? So molte cose che tu non sai! Questa battaglia terminerà presto. Si avvicina l’Ultima Battaglia. L’ultima, Lews Therin. Pensi davvero di poterla evitare? Povero vermiciattolo tremante. Servirai me o morirai! E stavolta il ciclo non comincerà da capo, con la tua morte. La tomba appartiene al Sommo Signore delle Tenebre. Stavolta, se muori, sarai totalmente distrutto. Stavolta la Ruota sarà infranta, qualsiasi cosa tu faccia, e il mondo sarà rifatto secondo un nuovo stampo. Servi me! Servi Shai’tan, o sii distrutto per sempre!»

Alla pronuncia del nome, l’aria parve rassodarsi, La tenebra dietro Ba’alzamon s’ingrossò, minacciò d’ingoiare ogni cosa. Rand si sentì avvolgere da essa, più gelida del ghiaccio e insieme più calda delle braci, più nera della morte: lo risucchiava nelle proprie profondità, sopraffaceva il mondo.

Serrò l’elsa fino a sentire male alle nocche. «Ti nego e nego il tuo potere. Cammino nella Luce. La Luce ci conserva e troviamo riparo nella mano del Creatore.» Batté le palpebre. Ba’alzamon era ancora lì, con alle spalle l’immensa tenebra, ma pareva che tutto il resto fosse illusione.

«Vuoi vedere il mio viso?» La voce era un sussurro.

Rand deglutì. «No.»

«Dovresti vederlo.» Una mano guantata si alzò a toccare la maschera.

«No!»

La maschera venne via. Era un viso d’uomo, orribilmente ustionato. Ma fra gli interstizi rossi, dai bordi neri, che attraversavano quei lineamenti, la pelle pareva sana e liscia. Occhi scuri fissarono Rand; labbra crudeli sorrisero con un lampo di denti bianchi. «Guardami, Kinslayer, e guarda la centesima parte del tuo stesso destino.» Per un istante occhi e bocca divennero porte delle infinite caverne di fuoco. «Questo può fare il Potere sbrigliato, perfino a me. Ma io guarisco, Lews Therin. Conosco le vie per un potere superiore. Ti brucerò come una falena che voli in un forno.»

«Non lo toccherò!» Rand sentì il vuoto intorno a sé, sentì Saidin. «Non lo toccherò!»

«Non puoi fermare te stesso.»

«Lasciami in pace!»

«Potere.» La voce di Ba’alzamon divenne morbida, insinuante. «Puoi avere di nuovo il potere, Lews Therin. Sei legato a esso, in questo momento. Lo so. Lo vedo. Sentilo, Lews Therin. Senti il bagliore dentro di te. Senti il potere che potrebbe essere tuo. Non devi fare altro che allungare la mano e afferrarlo. Ma l’Ombra è qui, fra te e il potere. Pazzia e morte. Non devi morire ancora, Lews Therin. Mai più.»

«No» disse Rand; ma la voce continuò, scavò in lui.

«Posso insegnarti a controllare questo potere, in modo che non ti distrugga. Non c’è alcun essere vivente che possa insegnartelo. Il Sommo Signore delle Tenebre ti riparerà dalla pazzia. Il potere sarà tuo e tu vivrai per sempre. Per sempre! In cambio, devi solo servire. Solo servire. Parole semplici... sono tuo, Sommo Signore... e il potere ti apparterrà. Un potere al di là dei sogni di quelle donne di Tar Valon e la vita eterna, se solo ti offrirai e servirai.»

Rand si umettò le labbra. Non impazzire. Non morire. «Mai!» replicò, rauco. «Cammino nella Luce e tu non potrai mai toccarmi!»

«Toccarti, Lews Therm? Toccarti? Io posso consumarti! Assaggia e capisci, come capii io!»

Gli occhi scuri e la bocca ridivennero di fuoco, fiamma che fiorì e crebbe fino a sembrare più ardente del sole d’estate. All’improvviso la spada di Rand risplendette come appena estratta dalla forgia. Rand mandò un grido, quando l’elsa gli bruciò le mani, e lasciò cadere la spada. E la nebbia prese fuoco, fuoco che guizzava, che bruciava ogni cosa.

Urlando, Rand si batté i vestiti, che fumavano e si annerivano e cadevano in cenere; li batté con mani che si annerivano e si raggrinzivano, mentre la carne si screpolava e cadeva a brandelli nelle fiamme. Urlò. Il dolore colpì il vuoto in lui e Rand cercò di ripararsi più all’interno. Il bagliore era li, la luce contaminata appena fuori vista. Quasi impazzito, ormai incurante’ di tutto, Rand allungò la mano per afferrare Saidin, cercò di avvolgerlo intorno a sé, cercò di nascondersi in esso per sfuggire al fuoco e al dolore.

Con la repentinità con cui era iniziato, il fuoco scomparve. Rand fissò, sorpreso, la mano che sporgeva dalla manica della giubba. La lana non era neppure strinata. Aveva immaginato tutto! Freneticamente si guardò intorno. Ba’alzamon era scomparso. Hurin si agitava nel sonno; annusatore e Ogier erano ancora due montagnole che sporgevano dalla bassa coltre di nebbia. Aveva immaginato tutto.

Prima d’essere invaso dal sollievo, sentì una fitta di dolore alla destra: girò la mano e guardò. Nel centro del palmo c’era il marchio a fuoco d’un airone. L’airone dell’elsa, infiammato e rosso, nettamente inciso, come tracciato da un abile artista.

Rand prese dalla tasca della giubba un fazzoletto e lo avvolse intorno alla mano. Ora il palmo gli pulsava. Il vuoto gli sarebbe stato d’aiuto, in questo... nel vuoto era consapevole del dolore, però non lo sentiva. Rand scacciò questo pensiero. Ormai due volte senza saperlo e una volta di proposito (non poteva dimenticarlo), circondato dal vuoto, aveva tentato d’incanalare l’Unico Potere. Moiraine e l’Amyrlin Seat volevano che facesse proprio questo. Ma lui non l’avrebbe fatto.

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