11 Barlumi del Disegno

Per una volta, Ingtar ordinò la sosta anche se il sole non era ancora tramontato. Perfino gli shienaresi erano rimasti impressionati dallo spettacolo visto nel villaggio. Il luogo per il campo pareva scelto in funzione d’una eventuale difesa: una conca profonda, quasi circolare, tanto ampia da ospitare comodamente uomini e cavalli. Un rado boschetto di querce nane e di ericacee copriva il pendio esterno. Il bordo stesso era abbastanza alto da nascondere chi si trovasse nell’accampamento, anche senza gli alberi.

«Maledizione, ti dico che l’ho vista» protestava in quel momento Huno, rivolto a Ragan, mentre smontavano. «Un attimo prima di trovare quel baciacapre di Mezzo Uomo. La stessa maledetta donna del maledetto villaggio col traghetto. Era lì e poi non c’era, maledizione! Puoi dire quel che vuoi, ma bada a come lo dici, maledizione, altrimenti ti scortico vivo io stesso e brucio la tua cotenna, brutto succhialatte partorito da una pecora.»

Rand esitò, con un piede a terra e l’altro ancora nella staffa. La stessa donna? Ma non c’era stata nessuna donna, nel villaggio del traghetto, solo una tendina mossa dal vento. E in ogni caso non avrebbe potuto precederli nell’altro villaggio dove...

Lasciò perdere quel pensiero. Più del Fade inchiodato al battente voleva dimenticare quella stanza, e le mosche, e la gente che era lì e non era lì. Il Mezzo Uomo era reale, tutti l’avevano visto, ma la stanza... Forse cominciava davvero a impazzire. Rimpianse che non ci fosse Moiraine, per parlare con lei. Desiderava la presenza di una Aes Sedai! Era proprio uno stupido: ormai si era liberato delle Aes Sedai e doveva stare lontano da loro. Ma se n’era liberato davvero? Cos’era accaduto, al villaggio?

«Animali da soma e provviste al centro» ordinò Ingtar, mentre i lancieri si preparavano a porre il campo. «Strigliate i cavalli e sellateli di nuovo, nel caso occorra muoverci in fretta. Ognuno dormirà accanto al proprio cavallo e non ci saranno fuochi, stanotte. Cambio di guardia ogni due ore. Huno, manda in giro degli esploratori, fin dove possono arrivare tornando prima che faccia buio. Voglio sapere cosa c’è qui intorno.»

"Anche lui non è tranquillo” pensò Rand. “Non si tratta solo più di alcuni Amici delle Tenebre, qualche Trolloc e forse un Fade." Solo pochi giorni prima quel pensiero non gli sarebbe venuto: anche nelle Marche di Confine, anche con la Macchia a meno d’un giorno di cavallo, Amici delle Tenebre e Trolloc e Myrddraal bastavano a dare gli incubi. Prima di vedere un Myrddraal inchiodato a una porta. Prima di entrare in una stanza dove a una famiglia avevano tagliato di colpo la cena e le risate. Cercò di convincersi d’esserselo immaginato, ma non ci riuscì. Non aveva immaginato il vento in cima alla torre, né l’Amyrlin che diceva...

«Rand?» Ingtar lo fece sobbalzare. «Hai intenzione di stare con un piede nella staffa per tutta la notte?»

Rand smontò. «Ingtar, cos’è accaduto in quel villaggio?»

«I Trolloc hanno catturato gli abitanti. Come nell’altro villaggio. Il Fade...» Si strinse nelle spalle e abbassò lo sguardo sul fagotto largo e quadrato, avvolto in tela, che reggeva fra le braccia. Parve scorgervi segreti che avrebbe preferito ignorare, «I Trolloc li hanno presi per mangiarli. A volte fanno razzie anche in villaggi e fattorie nei pressi della Macchia, se riescono a passare di notte fra le torri di guardia. A volte arriviamo in tempo a salvare le vittime, a volte no. A volte rimpiangiamo il tentativo. Non sempre i Trolloc si limitano a macellare. E i Mezzi Uomini apprezzano un po’ di... divertimento. In questo sono peggiori dei Trolloc.» Lo disse in tono piatto, come se parlasse di cose di tutti i giorni; e forse era proprio così, per un soldato shienarese.

Rand inspirò a fondo per tenere a posto lo stomaco. «Quel Fade non si è divertito molto, Ingtar. Quale creatura può inchiodare a una porta un Myrddraal ancora vivo?»

Ingtar esitò, scuotendo la testa, e tese a Rand il fagotto. «Tieni. Moiraine Sedai mi ha detto di dartelo al primo campo a meridione dell’Erinin. Non so cosa contiene, ma ha detto che ne avresti avuto bisogno. Ha aggiunto di raccomandarti d’averne cura, perché da questo potrebbe dipendere la tua vita.»

Con riluttanza Rand prese il fagotto e si sentì venire la pelle d’oca, al contatto con la tela. Dentro c’era qualcosa di morbido. Stoffa, forse. Lo resse con cautela. Neppure Ingtar voleva pensare al Myrddraal, si disse. Che cos’era accaduto, in quella stanza? E lui, si accorse a un tratto, preferiva pensare al Fade, perfino alla stanza, anziché al pacco inviatogli da Moiraine.

«Mi ha detto anche di dirti, nella stessa occasione, che se mi accade qualcosa, i lancieri seguiranno te.»

«Me!» esclamò Rand, sorpreso, dimenticando il fagotto e tutto il resto. Ingtar, calmo, assentì. «Ma è una pazzia!» protestò Rand. «Non ho mai guidato altro che un gregge, Ingtar. E poi, non mi seguirebbero. Inoltre, Moiraine non può stabilire chi è il tuo secondo. È Huno.»

«Huno e io siamo stati convocati da lord Agelmar, il mattino della partenza. Moiraine Sedai era presente, ma è stato lord Agelmar a dare gli ordini. Tu sei il comandante in seconda, Rand.»

«Ma perché? Ingtar, perché?» In quella storia, pensò, era evidente la mano di Moiraine e anche dell’Amyrlin: lo spingevano sulla strada da loro scelta, ma lui doveva chiedere una spiegazione.

Anche Ingtar aveva l’aria di chi non capisce, ma era un soldato, abituato agli ordini insoliti, nell’interminabile guerra lungo la Macchia. «Negli alloggi delle donne corre voce che sei davvero un...» Allargò le mani. «Non importa. So che lo neghi. Come neghi l’aspetto del tuo stesso viso. Moiraine Sedai dice che sei un pastore, ma non ho mai visto un pastore con una spada col marchio dell’airone. Non importa. Non dico che ti avrei scelto io stesso, ma credo che tu ne abbia le capacità. Farai il tuo dovere, se sarà necessario.»

Rand avrebbe voluto obiettare, invece disse: «Huno è al corrente di questa storia. Chi altri lo sa, Ingtar?»

«Tutti i lancieri. Quando noi shienaresi ci mettiamo in movimento, ciascuno sa a chi passerà il comando se il comandante cade. Una catena che va fino all’ultimo rimasto, fosse anche un semplice mozzo di stalla. In questo modo, se diventa davvero l’ultimo uomo, non si sente uno sbandato che cerca solo di salvare la pelle: ha il comando e il dovere gli impone di fare quel che va fatto. Se vado a ricevere l’ultimo abbraccio della madre, il dovere diventa tuo. Troverai il Corno e lo porterai dove è giusto che sia. Lo farai.» Mise un’enfasi particolare, nelle ultime parole.

Rand provò l’impressione che il fagotto pesasse come un macigno. Anche a centinaia di leghe da lui, quella donna riusciva ugualmente a tirare il guinzaglio: «Da questa parte, Rand. Da quella parte. Sei il Drago Rinato, Rand».

«Non voglio questo dovere, Ingtar» protestò. «Non lo accetto. Luce santa, sono solo un pastore! Perché nessuno ci crede?»

«Farai il tuo dovere, Rand. Quando l’uomo in cima alla catena fallisce, tutto sotto di lui va in rovina. Già troppe cose vanno in rovina. La pace favorisca la tua spada, Rand al’Thor.»

«Ingtar, io...» Ma Ingtar già si allontanava e chiedeva se Huno aveva mandato in giro gli esploratori.

Rand fissò il fagotto e si umettò le labbra. Ne sospettava il contenuto. Voleva guardare che cosa conteneva il fagotto, ma voleva anche bruciarlo senza nemmeno aprirlo, se fosse stato sicuro che nessuno vedesse cosa conteneva e che il contenuto bruciasse. Ma non poteva guardare lì, col rischio che altri vedessero.

Si guardò intorno. Gli shienaresi scaricavano gli animali da soma e alcuni consumavano già una cena fredda a base di carne secca e di gallette. Mat e Perrin strigliavano il proprio cavallo; Loial, seduto su di una pietra, leggeva un libro e stringeva fra i denti il lungo cannello della pipa, mentre una nuvoletta di fumo si arricciava sulla sua testa. Rand strinse il fagotto come se temesse di lasciarlo cadere e si avviò di nascosto fra gli alberi.

In una piccola radura, al riparo di rami fronzuti, depose per terra il fagotto e per un poco si limitò a fissarlo, dicendosi che Moiraine non poteva fargli una cosa del genere; ma una vocina dentro di lui gli rispose che Moiraine poteva benissimo farlo e che anzi l’avrebbe fatto di sicuro. Alla fine Rand si decise a sciogliere le cordicelle che chiudevano l’involto. I nodi, piccoli e accurati, tradivano la precisione della mano stessa di Moiraine: non era stata certamente una domestica a confezionare per lei il fagotto.

Alla fine, con dita quasi insensibili, Rand aprì l’involto e ne tolse il contenuto; lo fissò, con la bocca secca. Era tutto in un pezzo, né tessuto, né tinto, né dipinto. Uno stendardo bianco come la neve, tanto grande da risultare visibile da ogni punto del campo di battaglia. E su di esso marciava una figura simile a un serpente dalle scaglie oro e cremisi; ma un serpente con quattro zampe, ciascuna con cinque artigli d’oro; un serpente con occhi splendenti e la criniera fulva d’un leone. Rand l’aveva già visto una volta e Moiraine gli aveva detto che cos’era. Lo stendardo di Lews Therin Telamon, Lews Therin Kinslayer, l’Assassino del proprio sangue. Lo stendardo usato nella Guerra dell’Ombra. Lo stendardo del Drago.

«Ma guarda! Guarda cos’ha ora!» Mat entrò nella radura, seguito più lentamente da Perrin. «Prima gli abiti eleganti, ora anche uno stendardo! Non la smetteranno più di chiamarlo lord, con...» Arrivò abbastanza vicino da vedere con chiarezza lo stendardo e rimase a bocca aperta. «La Luce m’incenerisca!» esclamò. Arretrò d’un passo, quasi inciampando. Era presente, quando Moiraine aveva mostrato quello stesso stendardo e spiegato che cos’era. Lui, e anche Perrin.

Rand si sentì ribollire di collera, contro Moiraine e contro l’Amyrlin Seat. Afferrò lo stendardo e l’agitò contro Mat, senza riuscire a controllarsi. «Proprio così! Lo stendardo del Drago!» Mat arretrò ancora d’un passo. «Moiraine vuole che io sia un burattino di Tar Valon, un falso Drago per le Aes Sedai. Vuole convincermi a tutti i costi. Ma io non mi lascerò usare!»

Mat era finito con la schiena contro un tronco. «Un falso Drago?» riuscì a dire. Deglutì. «Tu? Questa è pazzia bella e buona!»

Perrin non era arretrato. Si sedette sui talloni e con quei suoi occhi dorati e lucenti esaminò Rand. «Se le Aes Sedai ti vogliono per falso Drago...» disse. S’interruppe e corrugò la fronte per riflettere meglio. Alla fine domandò piano: «Rand, puoi incanalare il Potere?» Mat mandò un ansito strozzato.

Rand lasciò cadere lo stendardo; esitò solo un attimo, prima di annuire, con aria stanca. «Non l’ho chiesto io. Non lo voglio. Ma... Ma non so come togliermelo di dosso.» Ripensò senza volerlo alla stanza piena di mosche. «Non me lo permetteranno.»

«Sangue e ceneri, maledizione!» imprecò Mat. «Ci uccideranno, sai. Tutti e tre. Perrin e me, oltre te. Se Ingtar e gli altri lo scoprono, ci taglieranno la gola come se fossimo Amici delle Tenebre. Penseranno che abbiamo collaborato al furto del Corno e alla morte di quei disgraziati, a Fal Dara.»

«Sta’ zitto, Mat» disse Perrin, calmo.

«Non dirmi di stare zitto. Se Ingtar non ci uccide, Rand impazzirà e lo farà per lui. Maledizione, maledizione!» Scivolò a sedere ai piedi del tronco. «Perché le Aes Sedai non ti hanno domato? Se lo sanno, perché non l’hanno fatto? Non lasciano in libertà un uomo in grado di incanalare il Potere.»

«Non tutte lo sanno» sospirò Rand. «L’Amyrlin...»

«L’Amyrlin Seat! Lei lo sa? Luce santa, non c’è da stupirsi che mi abbia guardato in quella maniera!»

«...e Moiraine mi hanno detto che sono il Drago Rinato. Poi hanno aggiunto che potevo andare dove volevo. Non capisci, Mat? Cercano di usarmi.»

«Questo non cambia il fatto che puoi incanalare il Potere» brontolò Mat. «Al tuo posto, sarei già a metà strada verso l’oceano Aryth. E non mi fermerei, prima d’avere trovato un posto dove non ci siano Aes Sedai né le abbiano mai sentite nominare. Dove non ci sia nessuno. Voglio dire... be’...»

«Sta’ zitto, Mat» disse Perrin. «Rand, perché sei qui? Più hai gente attorno, più è facile che qualcuno ti scopra e chiami le Aes Sedai. Aes Sedai che non ti diranno d’andartene per i fatti tuoi!» Si grattò la testa. «E Mat ha ragione, su Ingtar. Ti dichiarerà Amico delle Tenebre e ti ucciderà. E noi con te, forse. Anche se pare averti in simpatia. Un falso Drago? O ti ucciderebbero gli altri. Masema coglierebbe al volo l’occasione. Allora perché non te ne sei andato?»

Rand si strinse nelle spalle. «Ero sul punto di andarmene, Ma prima è arrivata l’Amyrlin, poi hanno rubato il Corno e il pugnale e Moiraine ha detto che Mat sarebbe morto e... Luce santa, credevo di poter stare con voi almeno fin quando non avessimo ritrovato il pugnale; credevo di potervi aiutare nella ricerca. Forse mi sbagliavo.»

«Sei venuto a causa del pugnale?» disse Mat, a bassa voce. Si strofinò il naso, con una smorfia. «Non ci avevo pensato. Non pensavo che tu volessi... Aaaah! Ti senti bene? Voglio dire, non cominci già a impazzire, vero?»

Rand scalzò una pietra e gliela tirò.

«Ahia!» Mat si strofinò il braccio. «Chiedevo soltanto. Voglio dire, gli abiti eleganti e la pretesa d’essere un lord... Be’, pare proprio che non hai la testa a posto.»

«Cercavo di liberarmi di voi, stupido! Avevo paura d’impazzire e di ferirvi.» Guardò lo stendardo e abbassò il tono di voce. «E lo farò, alla fine, se non fermo il Potere. Luce santa, non so come fermarlo.»

«Proprio di questo ho paura» disse Mat, alzandosi. «Senza offesa, Rand, se non ti spiace, dormirò il più possibile lontano da te. Se resti. Una volta ho udito parlare di un tizio in grado d’incanalare il Potere. Prima che l’Ajah Rossa lo trovasse, una mattina si svegliò e distrusse l’intero villaggio. Case, persone, tutto, tranne il letto in cui dormiva; come se sul paese fosse rotolata una montagna.»

«In questo caso, Mat» disse Perrin «dovresti dormire guancia a guancia con lui.»

«Sarò uno stupido, ma voglio restare uno stupido vivo.» Mat esitò, guardò di sottecchi Rand. «Senti, so che sei venuto per aiutarmi e ti sono grato. Sul serio. Ma non sei più lo stesso. Lo capisci, vero?» E tacque come se aspettasse una risposta. Non ce ne furono. Senza aggiungere altro, scomparve fra gli alberi, verso il campo.

«E tu?» disse Rand.

Perrin scosse la testa. «Non so, Rand, Sei sempre il solito, eppure non lo sei più. Un uomo che usa il Potere: mia madre lo diceva per spaventarmi, da piccolo. Non so proprio.» Toccò un angolo dello stendardo. «Fossi in te, lo brucerei o lo nasconderei sotto terra. Poi correrei così lontano e così velocemente che nessuna Aes Sedai mi troverebbe più. In questo Mat ha ragione.» Si alzò, guardò a occhi socchiusi il cielo che cominciava a diventare rosso per il tramonto. «È ora di tornare al campo. Pensa a quel che ti ho detto, Rand. Io scapperei. Ma forse tu non puoi scappare. Pensa anche a questo.» Parve guardare dentro di sé. «A volte non si può scappare» disse ancora, con voce stanca. E si allontanò anche lui.

Rand rimase lì, inginocchiato, a fissare lo stendardo steso per terra. «Be’, a volte puoi davvero scappare» borbottò. «Solo, forse lei me l’ha dato per farmi scappare. Forse ha qualcosa in serbo per me, se scappo. Non farò quello che vuole lei. Lo sotterro proprio qui. Però ha detto che forse la mia vita dipende da questo stendardo e le Aes Sedai non mentono mai...» All’improvviso scosse le spalle, in preda a una muta risata. «Ecco che parlo da solo. Forse divento già pazzo.»

Quando tornò al campo, portava lo stendardo riavvolto nella stoffa, legato con nodi meno precisi di quelli di Moiraine.

La luce era calata e le ombre del bordo coprivano metà della conca. I soldati si sistemavano per la notte, cavallo al fianco, lancia pronta. Mat e Perrin si erano distesi a fianco del proprio cavallo. Rand lanciò loro un’occhiata triste, poi prese Red, fermo dove l’aveva lasciato, con le redini penzoloni, e si spostò dalla parte opposta, dove Hurin si era unito a Loial. L’Ogier aveva smesso di leggere ed esaminava la pietra per metà interrata su cui si era seduto, seguendo col cannello della pipa un segno sulla superficie del sasso.

Hurin si alzò e rivolse a Rand un cenno che era quasi un inchino. «Mi auguro che non ti spiaccia se dormo qui, lord... ah... Rand. Ascoltavo il Costruttore.»

«Ah, eccoti qua, Rand» disse Loial. «Sai, credo che questa pietra una volta fosse lavorata. Vedi, è rovinata dalle intemperie, ma sembra una sorta di colonna. Ci sono anche dei segni. Non li distinguo bene, ma hanno un’aria nota.»

«Forse li vedrai meglio domattina» disse Rand. Tolse di sella le bisacce. «E la tua compagnia mi fa piacere, Hurin.» Gli faceva piacere la compagnia di chiunque non avesse paura di lui, si disse. Ma per quanto ancora?

Mise in una delle bisacce tutta la roba — camicie di ricambio e brache e calze di lana, corredo per cucire, acciarino ed esca, piatto e bicchiere di stagno, una scatola di legno con coltello, forchetta e cucchiaio, un pacchetto di carne secca e gallette come razioni d’emergenza, altre attrezzature da viaggio — e infilò nell’altra lo stendardo avvolto nella stoffa. Ora la bisaccia con lo stendardo era troppo gonfia e le cinghie arrivavano a stento alle fibbie; ma anche l’altra era piena da scoppiare. Andava bene così.

Loial e Hurin parvero intuire il suo umore e lo lasciarono lavorare in silenzio. Rand tolse a Red sella e briglia, gli diede una pulita usando ciuffi d’erba, gli rimise la sella. Loial e Hurin offrirono del cibo, ma Rand rifiutò: non sarebbe riuscito a mandare giù nemmeno il miglior pasto immaginabile. Tutt’e tre prepararono accanto alla pietra il proprio giaciglio, una semplice coperta ripiegata a far da guanciale e il mantello per coprirsi.

Ora l’accampamento era silenzioso, ma Rand rimase sveglio a lungo. Con la mente andava avanti e indietro. Lo stendardo. Cosa cercava di fargli fare, Moiraine? Il villaggio. Quale creatura poteva uccidere in quel modo un Fade? Peggio di tutto, la casa di quel villaggio. Era accaduto davvero? Impazziva già? Doveva scappare o restare? No. Doveva restare. Doveva aiutare Mat a ritrovare il pugnale.

Alla fine, esausto, si addormento; senza volerlo, nel sonno si trovò circondato dal vuoto, nel quale guizzava un bagliore molesto che gli disturbò i sogni.

Padan Fain guardò verso settentrione, nel buio della notte, al di là dell’unico fuoco del campo, con un sorriso fisso che non arrivava agli occhi. Si considerava ancora Padan Fain, ma era stato cambiato e lo sapeva. Ora sapeva molte cose, più di quante ciascuno dei suoi vecchi padroni sospettasse. Per lunghi anni era stato un Amico delle Tenebre, prima che Ba’alzamon lo convocasse e lo mandasse sulle tracce dei tre ragazzi di Emond’s Field, distillandogli la mente e la personalità, mutandolo in un segugio che percepisse la loro presenza, fiutasse dove erano passati, li seguisse dovunque fuggissero. Soprattutto uno, il più pericoloso. Una parte di lui ancora si faceva piccola per la paura, al ricordo di quel che Ba’alzamon gli aveva fatto, ma era una parte limitata, nascosta, soffocata. Padan Fain era cambiato. Seguendo i tre, era entrato a Shadar Logoth. Non voleva andarci, ma era obbligato a ubbidire. Allora. E a Shadar Logoth...

Trasse un profondo sospiro e tastò il pugnale dall’elsa di rubino, infilato nella cintura. Anche il pugnale proveniva da Shadar Logoth. Era l’unica arma che portava, l’unica che gli occorreva; pareva parte di lui. Adesso era di nuovo un tutt’uno. E solo questo contava.

Lanciò un’occhiata al fuoco. Da una parte, i dodici Amici delle Tenebre rimasti, rannicchiati nel buio, con i vestiti un tempo eleganti e ora sporchi e gualciti, fissavano non il fuoco, ma lui. Dall’altra parte erano accucciati venti Trolloc che, con occhi fin troppo umani nel viso deforme e bestiale, seguivano ogni sua mossa, come topolini con il gatto.

Era stata una lotta, all’inizio, svegliarsi ogni mattina e trovarsi incompleto e scoprire che il Myrddraal aveva di nuovo il comando e s’infuriava e pretendeva che andassero a settentrione, alla Macchia, a Shayol Ghul. Ma, a poco a poco, quelle mattine di debolezza si erano ridotte, finché... Ricordò la sensazione del martello nella mano, mentre conficcava i chiodi, e sorrise; stavolta il sorriso gli arrivò agli occhi.

Fu distratto da un pianto nel buio e tornò serio, Aveva sbagliato a lasciare che i Trolloc prendessero prigionieri gli abitanti di un intero villaggio: rallentavano la marcia. Forse, se quelle quattro case al traghetto non fossero state abbandonate... Ma i Trolloc erano avidi di natura e, nell’euforia di veder morire il Myrddraal, lui li aveva trascurati un poco.

Lanciò un’occhiata ai Trolloc. Ognuno di essi era alto il doppio di lui, tanto robusto da farlo a pezzi con una mano sola; eppure tutti si tenevano in disparte e stavano accucciati. «Uccidete i prigionieri» ordinò. «Tutti. Riempitevi lo stomaco e ammucchiate i resti... in modo che i nostri amici li trovino. Mettete le teste in cima al mucchio. In bell’ordine.» Scoppiò a ridere, ma tornò subito serio. «Muovetevi!»

I Trolloc si allontanarono, sguainando spade ricurve come falci e alzando asce chiodate. Qualche istante dopo, dal luogo dove erano legati gli abitanti del villaggio provennero strilli e grida. Colpi sordi e rumori simili a quelli di meloni schiacciati interruppero le implorazioni di misericordia e il pianto di bambini.

Fain lasciò perdere il massacro e si girò a guardare i suoi Amici delle Tenebre. Erano suoi anch’essi, corpo e anima. Quel che dell’anima restava. Ciascuno di loro era sprofondato nel fango quanto lo era lui prima di trovare la via d’uscita. Ciascuno non aveva dove andare, se non seguire lui. Tutti lo guardarono, timorosi, supplichevoli.

«Credete che avranno di nuovo fame, prima che troviamo un altro villaggio o una fattoria?» li stuzzicò Fain. «Probabile. Credete che gli lascerò prendere qualcun altro di voi? Be’, un paio, forse. Non ci sono più cavalli di cui fare a meno.»

«Gli altri erano solo gente comune» riuscì a dire una donna, con voce malferma. La polvere le sporcava il viso e l’abito dal taglio elegante che la qualificava mercante e ricca. La buona stoffa grigia era piena di macchie e un lungo strappo rovinava la sottana. «Erano contadini. Noi abbiamo servito... Io ho servito...»

Fain la interruppe, con tono noncurante che rendeva più dure le parole: «Cosa siete voi, per me? Meno di contadini. Bestiame per i Trolloc, forse. Se volete vivere, bestie, dovete essermi utili.»

La donna perdette il controllo e scoppiò in lacrime. Gli altri si misero a parlare tutti insieme, dicendogli quanto erano utili, loro che avevano avuto autorità e rango, prima d’essere chiamati a mantenere il giuramento. Elencarono personaggi importanti e potenti, che conoscevano nelle Marche di Confine, nel Cairhien e in altre nazioni. Si vantarono di conoscere segreti di questa o di quella nazione, situazioni politiche, alleanze, intrighi, tutte cose che gli avrebbero rivelato se lui lasciava che lo servissero. Il loro baccano si mescolò con i rumori del macello fatto dai Trolloc e parve davvero appropriato.

Fain ignorò gli uni e gli altri (non aveva paura di girare loro la schiena, dal momento che avevano visto come aveva trattato il Fade) e si dedicò al suo tesoro. Si mise in ginocchio e accarezzò lo scrigno d’oro, assaporando il potere che vi era racchiuso. Per il trasporto l’aveva affidato a un Trolloc, perché non si fidava degli esseri umani al punto da caricarlo su un cavallo da soma: a volte i sogni di potere erano abbastanza forti da vincere la peggiore paura; invece i Trolloc sognavano solo uccisioni. Ancora non aveva scoperto com’era il sistema d’apertura, ma era solo questione di tempo. Per questo, e per tutto. Tutto.

Sguainò il pugnale, lo depose sopra lo scrigno e si distese accanto al fuoco. Il pugnale era una guardia migliore di Trolloc e di esseri umani. Tutti avevano visto che cosa era accaduto, quando l’aveva usato: nessuno si sarebbe avvicinato a una spanna dalla lama sguainata, senza il suo ordine; e anche allora, con riluttanza.

Disteso fra le coperte, fissò il settentrione. Al momento non percepiva la presenza di al’Thor; la distanza era troppa. O forse al’Thor usava quel suo trucco di svanire. A volte, nella rocca, il ragazzo svaniva all’improvviso e Fain non lo percepiva più. Ma al’Thor era sempre tornato, con la stessa subitaneità con cui era svanito. Sarebbe tornato anche questa volta.

«Questa volta sei tu a venire da me, Rand al’Thor. Prima, ti ho seguito come un cane spinto sulla pista; ma ora tu segui me.» La sua risata fu stridula, da pazzo, tanto che perfino lui se ne accorse. Ma non gli importava. Anche la follia era parte di lui. «Vieni da me, al’Thor. Il ballo non è ancora iniziato. Balleremo a Capo Toman e mi libererò di te. Finalmente ti vedrò morto.»

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