Egwene seguì l’Ammessa per i corridoi della Torre Bianca. Arazzi e affreschi coprivano pareti bianche come l’esterno della torre; il pavimento era di piastrelle ornate con disegni. La veste bianca dell’Ammessa era identica a quella di Egwene, a parte sette strisce colorate all’orlo e ai polsi. Nel guardare la veste, Egwene corrugò la fronte. Dal giorno prima, Nynaeve aveva indossato la veste da Ammessa e pareva non trarne grande piacere, come del resto dal simbolo della sua nuova condizione, l’anello d’oro raffigurante un serpente che si morde la coda. Quelle poche volte che Egwene era riuscita a vederla, Nynaeve aveva uno sguardo velato, come se avesse visto cose che avrebbe voluto davvero non vedere mai.
«Qui dentro» disse seccamente l’Ammessa, indicando una porta. Pedra era tracagnotta, poco più anziana di Nynaeve, e parlava sempre con tono vivace. «Hai avuto il permesso perché questo è il tuo primo giorno, ma voglio vederti già in cucina, quando il gong suonerà l’Ora Alta e non un istante più tardi.»
Egwene le rivolse una riverenza e subito dopo mostrò la lingua alla schiena dell’Ammessa che s’allontanava. Anche se finalmente la sera prima Sheriam aveva segnato il suo nome nel registro delle novizie, già sapeva di non avere simpatia per Pedra. Spalancò la porta ed entrò.
Nella stanza piccola e spoglia, dalle pareti bianche, una giovane donna con capelli color dell’oro rosso lunghi alla spalla occupava una delle due panche non imbottite. Il pavimento era nudo: alle novizie non erano concessi tappeti. Egwene ritenne che la ragazza avesse più o meno la sua età, pur mostrando una dignità e una compostezza che la facevano sembrare più anziana. La veste da novizia, dal taglio semplice, pareva quasi elegante, addosso a lei.
«Mi chiamo Elayne» si presentò. Inclinò la testa e osservò Egwene. «E tu sei Egwene. Di Emond’s Field, nei Fiumi Gemelli.» Lo disse Come se la cosa avesse un preciso significato, ma non si dilungò. «Alle ragazze appena giunte assegnano sempre, per qualche giorno, una novizia un po’ più esperta che le aiuti a orizzontarsi. Siedi, prego.»
Egwene si accomodò sull’altra panca, di fronte a Elayne. «Pensavo che le Aes Sedai mi dessero lezioni, ora che finalmente sono novizia. Ma per il momento Pedra mi ha svegliato due ore buone prima dell’alba e mi ha messo a spazzare i corridoi, tutto qui. E dopo pranzo dovrò anche lavare i piatti.»
Elayne fece una smorfia. «Un lavoro che odio. Mai in vita mia... be’, lasciamo perdere. Avrai l’addestramento che desideri. Per l’esattezza, ogni giorno da colazione all’Ora Alta e, dopo pranzo, fino all’Ora Terza. Se sarai particolarmente rapida o particolarmente lenta, forse t’addestreranno anche da cena all’Ora Piena, periodo in genere destinato ad altri lavori domestici.» Divenne pensierosa. «Hai il Talento, vero?» Egwene annuì. «Sì, mi pareva di percepirlo. Anch’io ho il Talento. Non essere delusa, se non l’hai capito subito. Imparerai a percepire il Talento nelle altre donne. Io ho avuto il vantaggio di crescere con un’Aes Sedai in casa.»
Egwene avrebbe voluto chiedere spiegazioni — chi cresceva con un’Aes Sedai in casa? — ma Elayne proseguì.
«E non essere delusa nemmeno se impiegherai un certo tempo per ottenere risultati. Con l’Unico Potere, intendo. Anche la cosa più semplice richiede un po’ di tempo. La pazienza è una virtù che va imparata.» Arricciò il naso. «Sheriam Sedai lo dice sempre e inoltre s’impegna a insegnarcela. Prova a correre, quando dice di camminare: in un batter d’occhio ti convocherà nel suo studio.»
«Ho già avuto alcune lezioni» disse Egwene, cercando d’assumere un tono modesto. Si aprì a Saidar (le risultava più facile, ora) e sentì il calore soffonderle il corpo. Decise di tentare il massimo che le riusciva, Protese la mano, sulla quale si formò una brillante sfera di pura luce. La sfera tremolò, perché lei non era ancora in grado di tenerla ferma, ma non scomparve.
Con calma, Elayne protese la mano: sul palmo comparve una palla di luce. Anche questa tremolava.
Dopo un istante, un debole bagliore risplendette tutt’intorno a Elayne. Egwene ansimò e la sua sfera di luce svanì.
Elayne ridacchiò: la sua luce si spense, sia la sfera, sia l’alone. «L’hai visto intorno a me?» domandò, eccitata. «Io l’ho visto intorno a te. Sheriam Sedai ha detto che l’avrei visto, prima o poi. Questa è la prima volta. Anche per te?»
Egwene annuì, ridendo con lei. «Mi piaci, Elayne. Penso che diventeremo amiche.»
«Lo penso anch’io, Egwene. Sei dei Fiumi Gemelli, di Emond’s Field, Conosci un ragazzo di nome Rand al’Thor?»
«Lo conosco.» A un tratto Egwene ricordò un episodio che Rand le aveva raccontato e al quale non aveva creduto: Rand era caduto da un muro in un giardino e aveva incontrato... «Sei l’Erede dell’Andor!» esclamò, stupita.
«Sì» rispose con semplicità Elayne. «Se mai Sheriam Sedai venisse a sapere che ne ho parlato, mi convocherebbe subito nel suo studio.»
«Tutte temono una convocazione nello studio di Sheriam, anche le Ammesse. È così feroce? A me pare gentile.»
Elayne esitò e rispose senza guardare negli occhi Egwene. «Sulla scrivania tiene una sferza di salice. Dice che se non riesci a imparare le regole in maniera civile, te le insegnerà in un altro modo. Ci sono moltissime regole, per le novizie, ed è molto difficile non infrangerne nessuna» concluse.
«Ma è... è orribile! Non sono una bambina, e tu neppure. Non mi lascerò trattare come una bambina.»
«Ma siamo bambine. Le Aes Sedai, le Sorelle a pieno titolo, sono le donne adulte. Le Ammesse sono le giovani donne, abbastanza anziane da meritare una certa fiducia, se qualcuno le tiene sotto controllo a ogni istante. E le novizie sono le bambine, da proteggere e da curare, guidate sulla via che devono percorrere e punite quando fanno quel che non dovrebbero fare. Sheriam Sedai sostiene così. Non ti punirà per il risultato delle lezioni, a meno che non tenti qualcosa che t’hanno proibito di tentare. A volte è duro, non tentare: scoprirai di voler incanalare il Potere con la stessa intensità con cui vuoi respirare. Ma se rompi troppi piatti perché sogni a occhi aperti invece di lavarli, se sei irrispettosa verso un’Ammessa, se lasci la Torre senza permesso, se parli a un’Aes Sedai prima che lei ti rivolga la parola, se... Non ci resta che fare del nostro meglio e sperare.»
«Nemmeno volessero farci venire la voglia d’andarcene» protestò Egwene.
«No e sì. Egwene, ci sono solo quaranta novizie, nella Torre, e non più di sette, otto diverranno Ammesse. Non basta, dice Sheriam Sedai. Attualmente non ci sono Aes Sedai sufficienti. Ma la Torre non vuole... non può... abbassare il proprio livello. Le Aes Sedai non possono accettare come Sorella una donna che non abbia il Talento, la forza e la voglia. Non possono dare l’anello e lo scialle a una che non sappia incanalare bene il Potere, o che si lasci intimidire, o che alle prime difficoltà si tiri indietro. L’addestramento e la prova finale riguardano il Potere; in quanto alla forza e alla voglia... Be’, se vuoi andartene, ti lasciano andare. Appena ne sai quanto basta a non morire per semplice ignoranza.»
«Già» disse Egwene. «Sheriam ce ne ha parlato. Però non credevo che non ci fossero Aes Sedai sufficienti.»
«Lei ha una teoria. Secondo Sheriam Sedai, abbiamo fatto la cernita della razza umana, come quando si eliminano dal branco gli animali in possesso di caratteristiche insoddisfacenti. Sai cosa intendo?» Egwene annuì con impazienza: era cresciuta fra le greggi e sapeva benissimo che cosa significa eliminare i capi inadatti. «Sempre secondo Sheriam Sedai» riprese Elayne «con l’Ajah Rossa che da tremila anni dà la caccia agli uomini in grado d’incanalare il Potere, finiremo per eliminare del tutto il Talento. Ma se fossi in te, non ne parlerei in presenza delle Rosse. Sheriam Sedai ha avuto accese discussioni sull’argomento e noi siamo semplici novizie.»
«Lo terrò per me.»
Elayne esitò, poi disse: «Rand sta bene?»
Egwene sentì un’improvvisa fitta di gelosia... Elayne era assai graziosa... che subito si mutò in paura. Ripassò il poco che sapeva dell’unico incontro fra Rand e l’Erede e si tranquillizzò: di sicuro Elayne non sapeva che Rand era in grado d’incanalare il Potere.
«Egwene?»
«Rand sta bene» rispose. Glielo augurava, a quel testa di legno. «Quando l’ho lasciato, era in partenza con alcuni soldati shienaresi.»
«Shienaresi!» si stupì Elayne. «M’aveva detto d’essere un pastore.» Scosse la testa. «Penso a lui nei momenti più bizzarri. Elaida ritiene che Rand abbia una certa importanza. Non l’ha detto a chiare lettere, ma ha ordinato di cercarlo e si è infuriata, quando ha scoperto che aveva lasciato Caemlyn.»
«Elaida?»
«Elaida Sedai. La consigliera di mia madre. Appartiene all’Ajah Rossa, ma pare che a mia madre sia simpatica.»
Egwene si sentì la bocca secca. Un’Aes Sedai dell’Ajah Rossa che si interessava a Rand. «Non... non so dove sia, ora» disse. «Ha lasciato lo Shienar e non credo che vi torni.»
Elayne la fissò negli occhi. «Non direi a Elaida dove trovarlo neppure se lo sapessi, Egwene. Rand non ha fatto niente di male, a quanto mi risulta, e temo che lei lo voglia usare in qualche maniera. Comunque, non l’ho più vista dal giorno del mio arrivo, con i Manti Bianchi che seguivano come cani la nostra pista. Sono ancora accampati sulle pendici di Montedrago.» A un tratto balzò in piedi. «Parliamo di cose più piacevoli. Qui ci sono altre due persone che conoscono Rand e mi piacerebbe che tu ne incontrassi una.» Prese per mano Egwene e la condusse fuori.
«Due ragazze? Si direbbe che Rand ne conosca un mucchio.»
«Uhm?» Elayne continuò a trascinarla nel corridoio e la guardò attentamente. «Sì. Bene. Una di loro è una piccola scansafatiche di nome Else Grinwell. Non penso che resterà qui a lungo. Cerca d’evitare i lavori e va sempre di nascosto a guardare l’allenamento dei Custodi. Ha detto che Rand e un suo amico, Mat, sono capitati nella fattoria del padre. Pare che le abbiano messo in testa idee del mondo al di là del villaggio più vicino e lei è scappata di casa per diventare Aes Sedai.»
«Uff, gli uomini» borbottò Egwene. «Io faccio un paio di danze con un bel ragazzo e Rand va in giro con l’aria d’un cane che abbia un dente malato; ma lui...» S’interruppe perché un uomo era entrato nel corridoio, davanti a loro. Anche Elayne si fermò e diede una stretta alla mano di Egwene.
Non c’era niente d’allarmante, nell’uomo, a parte l’improvvisa comparsa. Era alto e bello, prossimo alla mezz’età, con capelli lunghi e ricci, ma spalle cadenti e occhi pieni di tristezza. Non si accostò alle due, rimase solo a guardarle, finché al suo fianco non comparve un’Ammessa.
«Non dovresti essere qui dentro» gli disse la donna, con una certa gentilezza.
«Volevo fare due passi» rispose lui, con voce profonda e triste come lo sguardo.
«Puoi farli in giardino. Il sole ti farà bene.»
L’uomo rise con amarezza. «Con due di voi a osservare ogni mio movimento? Avete solo paura che trovi un coltello.» Nel vedere l’espressione dell’Ammessa, rise di nuovo. «Per me, donna. Per me stesso. Conducimi nel giardino, ai vostri occhi attenti.»
L’Ammessa lo toccò leggermente sul braccio e lo guidò via.
«Logain» disse Elayne, quando l’uomo scomparve.
«Il falso Drago!»
«È stato domato, Egwene. Ormai non è più pericoloso. Ma l’ho visto prima, quando furono necessarie sei Aes Sedai per impedirgli di usare il Potere e distruggerci tutti.» Rabbrividì.
Anche Egwene rabbrividì: era la sorte che l’Ajah Rossa avrebbe riservato a Rand.
«Bisogna domarli sempre?» domandò. Elayne la guardò negli occhi, sorpresa. Egwene soggiunse in fretta: «Pensavo solo che le Aes Sedai avrebbero trovato un altro modo di trattarli, Anaiya e Moiraine sostengono che le maggiori imprese dell’Epoca Leggendaria richiedevano uomini e donne che usassero insieme il Potere.»
«Be’, stai attenta che nessuna Rossa ti senta pensare ad alta voce. Ma l’hanno cercato, il modo. Per trecento anni, dopo la costruzione della Torre Bianca. Hanno rinunciato perché non c’era niente da trovare. Andiamo. Voglio farti conoscere Min. Non nel giardino in cui va Logain, grazie alla Luce.»
Egwene ebbe l’impressione d’avere già udito quel nome; quando vide la giovane donna, capì perché. Nel giardino scorreva un ruscello, scavalcato da un basso ponte in pietra; Min sedeva a gambe incrociate sul muretto del ponte. Indossava brache attillate e un’ampia camicia da uomo; portava i capelli corti e poteva passare per un ragazzo assai grazioso. Teneva accanto a sé sul muretto una giubba grigia.
«Ti conosco» disse Egwene. «Lavoravi nella locanda, a Baerlon.» Una lieve brezza increspava l’acqua sotto il ponte e aligrigie gorgheggiavano fra gli alberi del giardino.
Min sorrise. «E tu eri una del gruppo che ha attirato addosso a noi gli Amici delle Tenebre. Hanno incendiato la locanda, sai. No, non preoccuparti. Il messaggero venuto a prendermi ha portato a mastro Fitch oro sufficiente per ricostruirla due volte più ampia. Buon giorno, Elayne. Non sudi sui libri? O sulle pentole?» Lo disse in tono canzonatorio, come fra amiche.
«Vedo che Sheriam non è ancora riuscita a farti indossare una veste femminile» replicò Elayne, con un sorriso.
«Non sono una novizia» obiettò Min, con aria maliziosa. Cambiò tono di voce. «Sì, Aes Sedai. No, Aes Sedai. Posso spazzare un altro pavimento, Aes Sedai?» Riprese il tono normale. «Io mi vesto come voglio.» Si girò verso Egwene. «Rand sta bene?»
Egwene serrò le labbra. Dovrebbe avere corna di capro come un Trolloc, pensò, furibonda. «Mi spiace che abbiano incendiato la locanda e sono lieta che mastro Fitch la ricostruisca. Perché sei venuta a Tar Valon? È chiaro che non intendi diventare Aes Sedai.» Min inarcò il sopracciglio, con aria divertita.
«Le piace Rand» spiegò Elayne.
«Lo so.» Min guardò Egwene e per un istante quest’ultima pensò di scorgerle negli occhi un lampo di tristezza, o forse di rimpianto. «Sono qui» proseguì Min «perché mi ci hanno mandato e m’hanno detto di scegliere se volevo venirci a cavallo o legata in un sacco.»
«Esageri sempre» disse Elayne. «Sheriam Sedai ha visto la lettera e dice che si trattava di una richiesta. Min ha il dono della vista, Egwene. Per questo è qui. Così le Aes Sedai possono studiare come fa. Ma non ha il Talento.»
«Richiesta» sbuffò Min. «La richiesta di un’Aes Sedai vale l’ordine d’una regina, spalleggiato da un centinaio di soldati.»
«Tutti hanno la vista» disse Egwene.
«Non come Min. Lei vede... un’aura... intorno alle persone. E delle immagini.»
«Non sempre» intervenne Min. «E neppure intorno a chiunque.»
«E da quel che vede, intuisce il futuro; ma non sono convinta che dica sempre la verità. Mi ha detto che dovrò condividere con altre due donne mio marito e non lo sopporto. Lei si limita a ridere e dice che neppure a lei pare il sistema migliore. Ma ha detto che sarei stata una regina, prima di sapere chi ero; vedeva una corona, la Corona Rosa dell’Andor.»
Suo malgrado, Egwene domandò: «Cosa vedi, quando guardi me?»
Min le scoccò un’occhiata. «Una fiamma bianca e... Oh, un mucchio di cose. Non so che cosa significhino.»
«Dice così molto spesso» spiegò Elayne, asciutta. «Guardando me, ha detto di vedere fra l’altro una mano mozzata. Non la mia, dice. E anche in questo caso sostiene di non sapere cosa significhi.»
«Perché non lo so» replicò Min. «Non ne ho la più pallida idea.»
Si girarono allo scricchiolio di stivali sulla ghiaia del viale e videro due giovanotti a torso nudo, che reggevano sul braccio la giubba e la camicia e in mano la spada e il fodero. Egwene si ritrovò a fissare il giovane più bello che avesse mai visto: alto e snello, ma duro come acciaio, si muoveva con grazia felina. Egwene rimase incantata a guardarlo: a un tratto vide che il giovanotto chinava la testa e le baciava la mano... non si era neppure accorta che l’avesse presa, Frugò nella memoria, perché aveva già sentito il suo nome.
«Galad» mormorò. Gli occhi scuri del giovanotto le restituirono lo sguardo. Aveva qualche anno più di lei. E di Rand. Al pensiero di Rand, Egwene trasalì e riprese la padronanza di sé.
«E io sono Gawyn» ridacchiò l’altro giovanotto. «Lo ripeto perché mi sa tanto che la prima volta non hai udito.» Anche Min ridacchiava; solo Elayne pareva pensierosa.
A un tratto Egwene ricordò la propria mano, ancora stretta in quella di Galad, e la liberò.
«Se i tuoi impegni te lo consentono» disse Galad «mi piacerebbe rivederti, Egwene. Potremmo fare delle passeggiate oppure, se ti danno il permesso di lasciare la Torre, qualche gita fuori città.»
«Sarebbe... sarebbe bellissimo» balbettò Egwene. Si sentiva a disagio per la presenza degli altri: Min e Gawyn, con quel loro sorriso divertito; Elayne, pensierosa. Cercò di ricomporsi, di pensare a Rand. Ma Galad era... bellissimo! Trasalì, timorosa d’avere espresso ad alta voce il pensiero.
«Allora, arrivederci» disse Galad, staccando finalmente gli occhi da quelli di Egwene. Rivolse a Elayne un inchino. «Sorella» salutò. Con la flessuosità d’un filo d’erba attraversò il ponte.
«Quello lì» mormorò Min, continuando a guardarlo «farà sempre quel che è giusto. Senza badare a chi danneggia.»
«Sorella?» disse Egwene. Il cipiglio di Elayne si era addolcito solo un poco. «Credevo che fosse il tuo... Voglio dire, eri così accigliata...» Aveva pensato che Elayne fosse gelosa.
«Non sono sua sorella» protestò Elayne, decisa. «Mi rifiuto.»
«Nostro padre era anche suo padre» disse Gawyn, asciutto. «Non puoi negarlo, a meno di dare della bugiarda a nostra madre... e per questo occorre più coraggio di quanto non ne abbiamo tutt’e due messi insieme.»
Solo allora Egwene si accorse che il giovane aveva i capelli dello stesso colore di quelli di Elayne, anche se al momento il sudore li aveva scuriti e arricciati.
«Min ha ragione» disse Elayne, «Galad non ha in sé la minima traccia d’umanità. Ritiene il giusto al di sopra della misericordia, della compassione... È umano quanto un Trolloc.»
Gawyn tornò a sogghignare. «Per questo, non direi. A giudicare da come guardava Egwene.» Colse l’occhiata di Egwene e di Elayne: alzò le mani, quasi a difendersi dalle due ragazze. «Inoltre, è il migliore spadaccino che abbia mai visto. Basta che i Custodi gli mostrino una sola volta una figura di scherma e lui la impara subito. Devo sudare a morte, per imparare la metà di quel che Galad impara senza allenarsi.»
«E l’abilità di spadaccino è sufficiente?» sbuffò Elayne. «Gli uomini! Egwene, come avrai immaginato, questo zoticone mezzo nudo è mio fratello. Gawyn, Egwene conosce Rand al’Thor. Proviene dallo stesso villaggio.»
«Ah, sì? Egwene, Rand è nato davvero nei Fiumi Gemelli?»
Egwene si costrinse ad annuire con calma. Cosa sapeva, quel Gawyn? «Certo che vi è nato» rispose. «Siamo cresciuti insieme.»
«Già. Ma è un tipo molto insolito. Un pastore, ha detto: però non assomigliava a nessun pastore che abbia mai visto, né si comportava come tale. Ho conosciuto gente di tutti i tipi che ha conosciuto Rand al’Thor. Alcuni non sanno neppure come si chiama, ma l’hanno descritto alla perfezione; e lui ha sconvolto la loro vita. C’era un anziano contadino venuto a Caemlyn solo per veder passare Logain; eppure, quando iniziarono i tumulti, rimase a sostenere nostra madre. Perché un giovanotto gli aveva insegnato che la vita non è solo quella della fattoria. Rand al’Thor. Si direbbe che Rand sia ta’veren. Di sicuro Elaida è interessata a lui. Chissà se il fatto d’averlo incontrato ha cambiato la nostra vita nel Disegno.»
Egwene guardò Elayne e Min: non potevano sapere che Rand era davvero ta’veren. Anche lei, in precedenza, non ci aveva riflettuto seriamente: Rand era Rand, nato con la maledizione d’incanalare il Potere. Ma chi era ta’veren cambiava davvero la vita alle persone, che lo volesse o no. «Mi siete proprio simpatiche» dichiarò a un tratto, con un gesto che includeva tutt’e due le ragazze. «Voglio essere vostra amica.»
«Anche noi» disse Elayne.
D’impulso, Egwene l’abbracciò; Min saltò giù dal muretto e tutt’e tre si strinsero in un abbraccio.
«Noi tre siamo davvero legate insieme» dichiarò Min «e non possiamo lasciare che un uomo si frapponga. Neppure lui.»
«Vi dispiacerebbe spiegarmi che storia è questa?» disse Gawyn.
«Non capiresti» rispose Elayne e tutt’e tre le ragazze ridacchiarono.
Gawyn si grattò la testa. «Be’, se vi è implicato Rand al’Thor, non fatevi sentire da Elaida. Già tre volte, da quando siamo giunti, mi ha torchiato come un Inquisitore dei Manti Bianchi. Non penso che abbia intenzioni...» Trasalì: una donna attraversava il giardino, una donna con lo scialle rosso. «Basta nominare il Tenebroso, per vederlo comparire. Non voglio un’altra predica perché non mi sono rimesso la camicia prima d’uscire dal campo d’addestramento. Buongiorno a tutt’e tre.»
Avvicinandosi al ponte, Elaida guardò Gawyn che si allontanava. Era graziosa, più che bella, ma quell’aria senza età la segnava con maggiore chiarezza dello scialle: solo le Sorelle di nomina più recente non l’avevano. Quando soffermò per un momento lo sguardo su Egwene, quest’ultima scorse la durezza della donna. Aveva sempre creduto che Moiraine fosse forte, acciaio sotto un panno di seta: Elaida faceva a meno della seta.
«Elaida» disse Elayne «ti presento Egwene. Anche lei è nata con il seme in sé. E ha già avuto alcune lezioni, quindi è al mio stesso punto. Elaida?»
L’Aes Sedai la guardò senza espressione. «A Caemlyn, bambina, sono consigliera della regina tua madre, ma qui siamo nella Torre Bianca e tu sei una novizia.» Min accennò ad andarsene, ma Elaida la bloccò, con un secco ordine. «Resta ragazza. Vorrei parlarti.»
«Ti conosco da quando sono nata, Elaida» protestò Elayne, incredula. «Mi hai vista crescere, hai fatto fiorire i giardini in inverno, per farmi giocare.»
«Bambina, là eri l’Erede. Qui sei una novizia. Devi impararlo. Un giorno sarai importante. Ora devi imparare!»
«Sì, Aes Sedai.»
Egwene era stupefatta. Se qualcuno l’avesse sgridata in questo modo di fronte ad altri, si sarebbe infuriata.
«Ora andatevene, voi due.» Un gong iniziò una serie di rintocchi sonori e profondi; Elaida inclinò la testa. Il sole era a metà strada dallo zenith. «L’Ora Alta» disse Elaida. «Sbrigatevi, se non volete altri rimproveri. E tu, Elayne, terminati i lavori domestici, vai nello studio della Maestra delle Novizie. Una novizia non rivolge la parola alle Aes Sedai, se non è interrogata. Correte, voi due. Farete tardi. Di corsa!»
Egwene e Elayne si rimboccarono la veste e si allontanarono di corsa. Egwene guardò l’amica: Elayne aveva sulle guance due chiazze rosse e in viso un’espressione decisa.
«Diventerò Aes Sedai» disse Elayne, sottovoce, come se fosse una promessa.
Egwene udì anche le prime parole dell’Aes Sedai: «A quanto mi risulta, bambina, sei stata mandata qui da Moiraine Sedai...»
Avrebbe voluto restare ad ascoltare, per scoprire se Elaida faceva domande su Rand, ma l’Ora Alta risuonava nella Torre Bianca e chiamava al lavoro. Proseguì di corsa, come le era stato ordinato.
«Diventerò Aes Sedai» brontolò. Elayne le rivolse un rapido sorriso di comprensione.
Quando finalmente lasciò il ponte, Min aveva la camicia appiccicata alla pelle. Non per il sudore provocato dal sole, ma per le domande di Elaida. Si guardò indietro, per accertarsi che l’Aes Sedai non la seguisse, ma Elaida non era in vista.
Come faceva, Elaida, a sapere che era stata Moiraine a mandarla lì? Del segreto erano al corrente soltanto Moiraine e Sheriam, oltre a Min stessa. E tutte quelle domande su Rand! Non era stato facile mantenere calmo il viso e sicuro lo sguardo, mentre diceva in faccia a un’Aes Sedai di non averlo mai sentito nominare e di non sapere niente di lui. Che cosa voleva, Elaida, da Rand? E che cosa voleva, Moiraine? Che cos’era, Rand? Non aveva nessuna voglia d’innamorarsi d’un uomo incontrato una volta sola... e per di più contadino.
«Moiraine, la Luce t’accechi» brontolò. «Quale che sia il motivo per cui mi hai fatta venire qui, esci da dove ti nascondi e dimmelo, così me ne vado!»
L’unica risposta fu il canto melodioso delle aligrigie. Con una smorfia, Min andò in cerca d’un posto dove ritrovare la calma.