18 Alla Torre Bianca

Egwene si tenne in equilibrio sul ponte malfermo della Regina del fiume: sotto il cielo rannuvolato, la nave correva lungo l’ampio Erinin, con le vele gonfie di vento; la bandiera con la Fiamma Bianca frustava l’albero maestro. Appena l’ultima persona era salita a bordo, a Medo, il vento si era alzato e da allora aveva continuato a soffiare con forza, giorno e notte. La corrente del fiume, più rapida e costante, spingeva il gruppo di navi. La Regina del fiume procedeva davanti a tutte, dal momento che aveva a bordo l’Amyrlin Seat.

Il timoniere reggeva la barra con decisione, a gambe larghe, piedi piantati sul ponte; i marinai, scalzi, s’affaccendavano con impegno; quando davano un’occhiata al cielo o al fiume, distoglievano gli occhi e borbottavano sottovoce. In quel momento un villaggio spariva alla vista e un ragazzo correva lungo la riva; per un poco aveva tenuto l’andatura delle navi, ma ora anche lui restava indietro. Quando lo vide scomparire, Egwene scese sotto coperta.

Nella piccola cabina che dividevano, Nynaeve, distesa sulla cuccetta, la fissò con aria torva. «Pare che arriveremo a Tar Valon oggi» disse. «La Luce m’aiuti, sono felice di rimettere piede sulla terraferma, anche a Tar Valon.» La nave sbandò per il vento e la corrente; Nynaeve deglutì. «Non salirò mai più su di una barca» dichiarò, senza fiato.

Egwene scosse il mantello bagnato dagli spruzzi del fiume e l’appese al piolo accanto alla porta. La cabina non era ampia... pareva che non ce ne fossero, di ampie, sulla nave, nemmeno quella che l’Amyrlin aveva avuto dal capitano, che pure era più larga delle altre. Con le due cuccette attaccate alle pareti, gli scaffali sotto e gli armadietti sopra, tutto era a portata di mano.

Egwene aveva una certa difficoltà a tenersi in equilibrio, ma non pativa quanto Nynaeve il movimento della nave. «Sono preoccupata per Rand» disse.

«Io sono preoccupata per tutti loro» replicò Nynaeve, con voce smorta. Dopo un momento soggiunse: «Hai fatto un altro sogno, stanotte? Quando ti sei alzata, avevi uno sguardo...»

Egwene annuì: a Nynaeve non riusciva a nascondere niente e non aveva nemmeno tentato di non parlarle dei sogni. La Sapiente aveva cercato di somministrarle una pozione, ma aveva cambiato idea, nell’apprendere che una Aes Sedai aveva mostrato interesse per i sogni di Egwene, e si era convinta che fossero significativi. «Era simile agli altri» disse Egwene. «Diverso, ma dello stesso genere. Rand è in pericolo. Lo so. E la situazione peggiora. Ha fatto, o sta per fare, qualcosa che lo mette in...» Si lasciò cadere sul letto e si sporse verso Nynaeve. «Mi piacerebbe ricavarne un senso!»

«Incanala il Potere?» domandò piano Nynaeve.

Istintivamente Egwene si guardò intorno per vedere se c’era qualcuno a portata d’orecchio.

Erano da sole, con la porta chiusa, ma lei rispose ugualmente a voce assai bassa: «Non lo so. Può darsi.» Non voleva rischiare che qualcuno origliasse: ormai aveva visto che cosa erano in grado di fare le Aes Sedai, al punto da credere a ogni storia sui loro poteri, e non voleva mettere in pericolo Rand. Se avesse voluto comportarsi correttamente, avrebbe parlato di Rand alle Aes Sedai; ma Moiraine sapeva tutto, eppure non aveva detto niente a nessuno. E poi, si trattava di Rand! «Non so cosa fare» soggiunse.

«Anaiya non ha detto altro, su questi sogni?» domandò Nynaeve. Si faceva un punto d’onore di non aggiungere mai al nome l’onorifico Sedai, anche se loro due erano da sole. La maggior parte delle Aes Sedai pareva non badarci, ma quest’abitudine aveva fruttato a Nynaeve sguardi incuriositi e alcune occhiatacce: in fin dei conti, andava alla Torre Bianca per l’addestramento.

Egwene ripeté le parole di Anaiya. «Mi ha detto: “La ruota gira e ordisce come vuole. Il ragazzo è molto lontano, bambina; non possiamo fare niente, finché non ne sapremo di più. Provvederò a esaminarti io stessa, bambina, quando saremo nella Torre Bianca". Ah! Lei sa che in questi sogni c’è qualcosa. Ne sono sicura. Anaiya mi è simpatica, Nynaeve, davvero. Ma non vuole dirmi quel che voglio sapere. E io non posso dirle tutto. Forse, se potessi...»

«Di nuovo l’uomo con la maschera?»

Egwene annuì. Aveva l’impressione che fosse meglio non parlare di lui a Anaiya. Non aveva la minima idea del motivo: eppure, era sicura. Aveva visto tre volte l’uomo con gli occhi di fiamma, in sogni che la convincevano che Rand era in pericolo. Portava sempre la maschera; a volte lei scorgeva gli occhi, a volte vedeva solo fiamme al posto degli occhi. «Ha riso di me» disse. «Era... sprezzante. Come se fossi un cagnolino da scacciare con un calcio dalla sua strada. Mi spaventa.»

«Sei sicura che abbia a che fare con Rand? A volte un sogno è solo un sogno.»

Egwene alzò al cielo le braccia. «E a volte, Nynaeve, parli proprio come Anaiya Sedai!» Mise nel titolo un’enfasi particolare e notò con soddisfazione la smorfia di Nynaeve.

«Se mai esco da questo letto, Egwene...»

Un colpo alla porta interruppe la frase di Nynaeve. Prima che Egwene potesse rispondere, l’Amyrlin in persona entrò nella cabina e chiuse la porta. Cosa sorprendente, era da sola; di rado lasciava la propria cabina e in quelle occasioni aveva sempre a fianco Leane e a volte anche un’altra Aes Sedai.

Egwene balzò in piedi. La cabina era un po’ affollata, con tre persone.

«State bene tutt’e due?» disse l’Amyrlin, in tono allegro. Inclinò la testa verso Nynaeve. «Il cibo è buono, mi auguro. E anche l’umore?»

Nynaeve si mise a sedere, con la schiena contro la parete. «Il mio umore è buono, grazie» rispose.

«Siamo onorate, Madre» cominciò Egwene, ma con un gesto l’Amyrlin la zittì.

«Fa piacere essere di nuovo sull’acqua, ma dopo un poco ci si annoia come in un bottaccio, senza niente da fare.» La nave s’ingavonò e lei mantenne l’equilibrio come se non se ne fosse accorta. «Oggi vi farò io lezione.» Si sedette a gambe incrociate in fondo al letto di Egwene. «Siedi, bambina.»

Egwene si sedette, ma Nynaeve cercò di tirarsi in piedi. «Andrò a fare due passi sul ponte.»

«Sedute, ho detto!» La voce dell’Amyrlin schioccò come una frusta, ma Nynaeve continuò a tirarsi in piedi, traballando. Aveva ancora tutt’e due le mani sul letto, ma era quasi dritta. Egwene si tenne pronta ad afferrarla al volo, quando sarebbe caduta.

Nynaeve chiuse gli occhi e lentamente si rimise sul letto. «Forse è meglio stare qui. Di sopra ci sarà troppo vento.»

L’Amyrlin si mise a ridere. «Mi hanno detto che sei stizzosa come un uccello pescatore con un osso in gola. Alcune, bambina, dicono che ti farebbe bene un po’ di noviziato, anche alla tua età. Secondo me, se hai l’abilità che mi hanno riferito, meriti d’essere una delle Ammesse.» Rise di nuovo. «Ho sempre creduto nella bontà di dare alla gente quel che si merita. Sì. Ma imparerai molte cose, una volta giunta alla Torre Bianca.»

«Preferirei che un Custode m’insegnasse a usare la spada» brontolò Nynaeve. Deglutì convulsivamente e aprì gli occhi. «C’è qualcuno su cui vorrei usarla.» Egwene le scoccò un’occhiata penetrante: Nynaeve si riferiva all’Amyrlin (cosa stupida e anche pericolosa) oppure a Lan? La Sapiente le rispondeva male, ogni volta che lei parlava di Lan.

«La spada?» disse l’Amyrlin. «Non ho mai creduto che le spade servano a molto... anche se tu avessi l’abilità, bambina, ci sarebbero sempre uomini che ne hanno altrettanta e molta più forza di te... ma se vuoi una spada...» Tese la mano (Egwene ansimò e Nynaeve sgranò gli occhi) e sul palmo c’era una spada. Con la lama e l’elsa d’un bizzarro bianco azzurrastro, aveva un’aria, come dire, fredda. «Fatta d’aria, bambina, con l’Aria. Buona come la maggior parte delle spade d’acciaio, migliore di tante, eppure non molto utile.» La spada divenne un coltello per sbucciare. Non si restrinse; prima era una cosa, poi l’altra. «Questo, invece, è utile.» Il coltello per sbucciare si mutò in nebbia e la nebbia svanì. L’Amyrlin rimise in grembo la mano vuota. «Ma l’una e l’altro richiedono più fatica di quanta non meriti fare. È più semplice portare con sé un buon coltello. Dovete imparare quando adoperare il vostro talento, oltre a come adoperarlo, e quando è meglio fare le cose come le farebbe qualsiasi donna. Che sia un fabbro a fare coltelli per sventrare pesci. Se usate l’Unico Potere troppo spesso e troppo liberamente, finirete per amarlo troppo. Questo è il pericolo. Comincerete a volerne di più e presto o tardi correrete il rischio di attingerne più di quanto non sappiate manipolarne. E ne sareste bruciate come moccolo di candela, oppure...»

«Per imparare sciocchezze del genere» la interruppe Nynaeve, brusca «preferisco imparare qualcosa di utile. Tutto questo... questo... ‘Fai muovere l’aria, Nynaeve. Accendi la candela, Nynaeve, Ora spegnila. Accendila di nuovo.’ Che schifo!»

Egwene chiuse gli occhi per un istante. “Per favore, Nynaeve” pensò. “Per favore, domina il tuo caratteraccio!" Si morsicò il labbro per non dirlo ad alta voce.

L’Amyrlin restò in silenzio per un momento. «Utile» disse poi. «Qualcosa di utile. Volevi una spada. Supponiamo che un uomo mi assalga con la spada. Cosa farei? Qualcosa di utile, stai sicura. Questo, credo.»

Egwene credette di scorgere per un attimo un bagliore intorno alla donna. Poi le parve che l’aria si solidificasse: non vide alcun cambiamento, ma lo percepì con certezza. Cercò di alzare il braccio, ma non riuscì a muoverlo, come se fosse immersa fino al collo in densa gelatina. Riusciva a muovere soltanto la testa.

«Liberami!» protestò Nynaeve. Mandava lampi dagli occhi e muoveva la testa da parte a parte, ma per il resto era rigida come una statua. «Lasciami andare!»

«Utile, vero? E non è altro che Aria» disse l’Amyrlin, in tono leggero, come se chiacchierasse davanti a una tazza di tè. «Un uomo grande e grosso, con muscoli e spada... e la spada gli serve quanto il pelo sul petto.»

«Lasciami andare, ti dico!»

«E se non mi piace dov’è, bene, posso spostarlo.» Nynaeve protestò, furibonda, nel sentirsi sollevare lentamente, sempre seduta, fino a sfiorare il soffitto. L’Amyrlin sorrise. «Spesso ho desiderato d’usare questa tecnica per volare. Gli annali dicono che le Aes Sedai volavano davvero, nell’Epoca Leggendaria, ma non precisano come. Non in questo modo, comunque: così non funziona. Puoi afferrare e sollevare una cassa che pesi quanto te; hai l’aria robusta. Ma non puoi sollevare te stessa.»

Nynaeve agitò furiosamente la testa, ma non riuscì a muovere nessun altro muscolo. «La Luce t’incenerisca!» protestò. «Lasciami andare!»

Egwene si augurò che non toccasse anche a lei, essere sollevata a mezz’aria.

«Così» continuò l’Amyrlin «un uomo grande e grosso, irsuto e tutto il resto, non può farmi niente; io invece posso fargli tutto. Se me ne venisse voglia...» si sporse a fissare negli occhi Nynaeve, con un sorriso che a un tratto non parve molto amichevole «potrei metterlo a testa in giù e sculacciarlo. Semplicemente così...» All’improvviso fu sbattuta con forza contro la parete e vi rimase incollata, come sotto la pressione di qualcosa d’invisibile.

Egwene guardò, inorridita, con la bocca secca.

«Avevano ragione» disse l’Amyrlin, tesa, come se avesse difficoltà a respirare. «Hanno detto che impari in fretta. E che devi infuriarti, per arrivare al cuore di quel che puoi fare. Che ne dici se ciascuna lascia l’altra, bambina?»

Nynaeve, librata a mezz’aria, con occhi ardenti, replicò: «Lasciami andare subito, altrimenti...» S’interruppe di colpo, con aria stupita, come se avesse perso qualcosa. Mosse le labbra senza emettere suono.

L’Amyrlin si mise a sedere e si massaggiò le spalle. «Ancora non sai tutto, vero, bambina? Nemmeno la centesima parte. Non immaginavi che potessi tagliarti fuori della Vera Fonte. La senti ancora, ma non puoi toccarla più di quanto un pesce possa toccare la luna. Quando avrai imparato abbastanza da diventare Sorella, nessuna donna, da sola, potrà farti una cosa del genere. Più forte diventi, più Aes Sedai occorreranno per schermarti contro la tua volontà. Ora t’è venuta voglia d’imparare?» Nynaeve serrò le labbra e la fissò negli occhi, torva. L’Amyrlin sospirò. «Se tu avessi un potenziale solo d’un capello inferiore, bambina, ti manderei dalla Maestra delle Novizie dicendole di tenerti lì per il resto della tua vita. Invece avrai quel che ti meriti.»

Nynaeve spalancò gli occhi ed ebbe appena il tempo di mandare uno strillo, prima di cadere sul letto, con un forte tonfo. Egwene trasalì: sotto * il materasso sottile, il tavolato di legno era duro. Nynaeve non mosse muscolo del viso e restò seduta, cambiando appena posizione.

«E ora» disse l’Amyrlin, con fermezza «se non vuoi altre dimostrazioni, procederemo con la lezione. La continueremo, si potrebbe dire.»

«Madre?» intervenne debolmente Egwene. Ancora non poteva muoversi, dal mento in giù.

L’Amyrlin le rivolse un’occhiata interrogativa, poi sorrise. «Oh. Scusa, bambina. La tua amica impegnava tutta la mia attenzione.» Di colpo Egwene fu di nuovo in grado di muoversi; alzò le braccia, solo per convincersene. «Siete pronte a imparare, tutt’e due?»

«Sì, Madre» rispose in fretta Egwene.

L’Amyrlin alzò un sopracciglio e guardò Nynaeve.

Dopo un momento, con voce tesa, Nynaeve disse: «Sì, Madre.»

Egwene emise un sospiro di sollievo.

«Bene, Allora, svuotate la mente d’ogni pensiero e concentratevi su di un fiore in boccio.»

Quando infine l’Amyrlin se ne andò, Egwene era tutta sudata. Alcune delle altre Aes Sedai erano maestre severe, ma quella donna sorridente, dal viso comune, esigeva fino all’ultima stilla di sforzo. Comunque, era andata bene. Appena la porta si chiuse alle spalle dell’Amyrlin, Egwene alzò la mano; una minuscola fiammella scaturì, in equilibrio un pelo al di sopra dell’indice, e danzò da un dito all’altro. In teoria lei non doveva farlo, senza la sorveglianza di una insegnante, o almeno di una delle Ammesse, ma era troppo entusiasta dei propri progressi per curarsene.

Nynaeve balzò in piedi e tirò il guanciale alla porta chiusa. «Quella... quella lurida, spregevole, miserabile... strega! La Luce la fulmini! Mi piacerebbe dare lei in pasto ai pesci. Mi piacerebbe darle pozioni che la facciano diventare verde per il resto della vita! Non m’importa se è tanto vecchia da essere mia madre: se l’avessi a Emond’s Field, non si siederebbe comodamente per...» Digrignò i denti con tanta forza che Egwene trasalì.

Lasciò morire la fiammella e abbassò lo sguardo. Avrebbe voluto trovare un modo per uscire di nascosto dalla cabina senza farsi vedere da Nynaeve.

La lezione non era andata bene, per Nynaeve, perché la Sapiente aveva represso la propria collera finché l’Amyrlin non se n’era andata. Non poteva mai fare molto, a meno di non essere furiosa, e allora tutto le usciva di scatto. Vista la serie di fallimenti, l’Amyrlin aveva fatto il possibile per farla arrabbiare di nuovo. Egwene avrebbe voluto che Nynaeve dimenticasse che lei aveva assistito.

Nynaeve si accostò rigidamente al proprio letto e rimase a fissare la parete, pugni sui fianchi. Egwene guardò con desiderio la porta.

«Non era colpa tua» disse Nynaeve. Egwene trasalì.

«Nynaeve, io...»

Nynaeve si girò a guardarla. «Non era colpa tua» ripeté; ma pareva poco convinta. «Però, se solo ti scappa una parola, ti... ti...»

«Non una parola» promise in fretta Egwene.

Nynaeve la fissò ancora per un momento, poi annuì. A un tratto fece una smorfia. «Luce santa, non credevo che ci fosse qualcosa di più cattivo della radice di linguapecora. Me ne ricorderò, la prossima volta che fai la scema; quindi, sappiti regolare.»

Egwene trasalì. Quello era stato il primo tentativo dell’Amyrlin per far arrabbiare Nynaeve. La donna aveva fatto comparire un grumo scuro d’una sostanza che luccicava come grasso e aveva un puzzo terribile; col Potere aveva tenuto ferma Nynaeve e l’aveva costretta a ingoiare il grumo. Le aveva perfino tappato il naso, per costringerla a deglutire. E Nynaeve ricordava le cose, se le vedeva fare anche solo una volta. Egwene non sapeva come impedirglielo, se Nynaeve avesse deciso di farlo; riusciva a far danzare una fiammella, certo, ma non avrebbe mai potuto tenere l’Amyrlin incollata alla parete. «Almeno» disse «non hai più la nausea per i movimenti della nave.»

Nynaeve borbottò, poi rise. «Sono troppo arrabbiata per avere la nausea» replicò. Scosse la testa e rise di nuovo, senza allegria. «Sto troppo male per avere la nausea. Luce santa, mi sento come se mi avessero tirata attraverso il buco d’un nocchio. Se le novizie affrontano questo addestramento, hanno l’incentivo a imparare in fretta.»

Egwene si guardò, accigliata, le ginocchia. A confronto di Nynaeve, l’Amyrlin l’aveva solo convinta con le buone, aveva sorriso al suo successo, aveva simpatizzato con i suoi fallimenti. Ma tutte le Aes Sedai dicevano che le cose sarebbero state diverse, nella Torre Bianca: più dure, anche se non precisavano come. Se avesse dovuto sopportare, giorno dopo giorno, l’esperienza toccata a Nynaeve, non avrebbe resistito di sicuro.

Il rollio della nave cambiò, divenne meno intenso. Sul ponte si udì rumore di piedi in corsa. Un uomo gridò qualcosa che Egwene non riuscì a distinguere.

Alzò lo sguardo verso Nynaeve. «Credi che... Tar Valon?»

«C’è solo un modo per scoprirlo» replicò Nynaeve. Staccò dal piolo il mantello.

Salirono sul ponte: i marinai correvano da tutte le parti, tiravano funi, riducevano la velatura, preparavano lunghi remi. Il vento era diventato una semplice brezza e le nuvole si disperdevano.

Egwene corse alla murata. «Eccola! Tar Valon!» Nynaeve si unì a lei, con viso inespressivo.

L’isola era molto ampia, tanto da dare l’impressione che il fiume si dividesse in due, non che racchiudesse un pezzo di terra. Ponti che parevano fatti di merletto formavano arcate dalle rive all’isola e superavano anche tratti di terreno paludoso. Le mura della città, le Mura Lucenti di Tar Valon, splendevano d’un bianco abbagliante. Sulla riva di ponente, con la cima tronca che lasciava uscire un ricciolo di fumo, si ergeva Montedrago, nero contro il cielo, una montagna fra distese pianeggianti e poco ondulate. Montedrago, dove il Drago era morto. Montedrago, creato dagli ultimi spasmi del Drago.

Guardando la montagna, a malincuore Egwene pensò a Rand. Un uomo che incanalava il Potere, la Luce lo aiutasse!

La Regina del fiume varcò l’ampia apertura di un alto muro circolare che arrivava fin dentro l’acqua. Al di là dell’apertura, un lungo molo circondava un porto circolare. I marinai ammainarono le ultime vele e usarono i remi per spingere la nave, di poppa, fino all’attracco. Lungo il molo, le altre navi del convoglio si erano già sistemate nel proprio ancoraggio fra quelle alla fonda. La bandiera con la Fiamma Bianca richiamò operai sul molo già affollato.

L’Amyrlin salì sul ponte, prima ancora che le gomene d’ancoraggio fossero legate; ma i portuali, appena la videro comparire, sistemarono la passerella. Leane l’affiancò, reggendo il bastone con la punta a fiamma, e le altre Aes Sedai la seguirono a terra. Non una di loro rivolse un’occhiata a Egwene e a Nynaeve. Sul molo, una delegazione accolse l’Amyrlin: Aes Sedai con lo scialle della propria Ajah, che s’inchinarono formalmente e le baciarono l’anello. Il molo brulicava di gente, fra navi che scaricavano e l’arrivo dell’Amyrlin Seat. Soldati si schierarono in formazione, operai si occuparono del carico; squilli di tromba risuonarono dalle mura, a gara con gli evviva degli astanti.

Nynaeve sbuffò rumorosamente. «Pare che si siano dimenticate di noi. Andiamo. Faremo da sole.»

Egwene era riluttante a lasciare lo spettacolo di Tar Valon, ma seguì Nynaeve sotto coperta per prendere i bagagli. Quando tornarono sul ponte, fagotti fra le braccia, soldati e trombettieri erano spariti; e anche le Aes Sedai. Alcuni operai aprivano portelli lungo il ponte e calavano funi nelle stive.

Nynaeve prese per il braccio uno scaricatore, un tipo tarchiato, con una rozza camicia marrone senza maniche. «I nostri cavalli...» cominciò.

«Ho da fare» brontolò l’uomo, liberandosi. «I cavalli saranno portati tutti alla Torre. Meglio che ci vada anche tu. Alle Aes Sedai non piace che le nuove si presentino in ritardo.» Un altro uomo, indaffarato con una balla che ondeggiava appesa a un cavo, lo chiamò a gran voce e lui lasciò le due donne senza nemmeno un’ultima occhiata.

Egwene e Nynaeve si guardarono; a quanto pareva, dovevano davvero fare da sole.

Nynaeve scese dalla nave, torva e decisa; Egwene percorse con aria avvilita la passerella e affrontò l’odore di catrame che aleggiava sul molo. Le Aes Sedai avevano fatto tante storie per averle lì e ora parevano disinteressarsi di loro.

Una larga scalinata portava dal molo a un ampio arco di rossolite scura. Ai piedi della scalinata Egwene e Nynaeve si fermarono a guardare.

Ogni edificio pareva un palazzo, anche se molti di quelli vicino all’arco ospitavano locande e botteghe, a giudicare dall’insegna sopra la porta. Dappertutto c’erano fantasiose opere murarie e le linee di ogni costruzione parevano progettate per fare da complemento e annunciare le successive, guidando l’occhio come se ogni cosa facesse parte d’un vasto disegno. Alcune costruzioni non parevano affatto edifici, ma giganteschi marosi, enormi conchiglie, dirupi scolpiti dal vento. Proprio di fronte all’arco c’era un’ampia piazza, con una fontana e degli alberi; più avanti se ne scorgeva un’altra. Al di sopra degli edifici s’innalzavano le torri, alte e aggraziate) alcune collegate da ponti a grande altezza. E più in alto di tutte si ergeva una torre più grande, bianca come le stesse Mura Lucenti.

«A vederla per la prima volta, si resta senza fiato» disse dietro di loro una voce femminile. «E anche per la decima. E per la centesima.»

Egwene si girò. La donna era Aes Sedai, anche se non portava lo scialle: nessun’altra aveva quell’aria senza età, quel portamento sicuro, fiducioso. Al dito portava l’anello d’oro col serpente che si morde la coda. Era grassottella e aveva un sorriso caloroso. Egwene non aveva mai visto donne così bizzarre: il viso paffuto non riusciva a nascondere gli zigomi alti, gli occhi all’insù erano d’un verde chiarissimo, i capelli avevano quasi il color del fuoco. Egwene si trattenne appena in tempo dal ridacchiare scioccamente per quei capelli e per gli occhi a mandorla.

«Architettura Ogier, naturalmente» proseguì l’Aes Sedai. «La loro opera migliore, a detta di alcuni. Una delle prime città costruite dopo la Frattura. Non c’erano nemmeno cinquecento persone, a quel tempo... non più di venti Sorelle, Ma gli Ogier costruirono in previsione di quel che sarebbe servito.»

«Una città bellissima» disse Nynaeve. «Noi dovremmo andare alla Torre Bianca’. Siamo venute per l’addestramento. Ma pare che a nessuno interessi se andiamo alla Torre o restiamo qui.»

«Interessa, interessa» replicò la donna, con un sorriso. «Sono venuta a prendervi, ma ho fatto tardi per parlare prima con l’Amyrlin. Sono Sheriam, Maestra delle Novizie.»

«Io non devo fare il noviziato» disse Nynaeve, con voce ferma, ma un po’ troppo in fretta. «L’Amyrlin stessa ha detto che sarei stata una delle Ammesse.»

«Così m’hanno detto» convenne Sheriam, in tono divertito. «Che sappia io, non è mai accaduto; ma dicono che sei... eccezionale. Ricorda, però, che pure un’Ammessa può essere affidata alle mie cure. Comporta l’infrazione di regole, più che per una novizia, ma è già accaduto.» Si rivolse a Egwene, come se non avesse notato la fronte corrugata di Nynaeve. «E tu sei la nostra novizia. Fa sempre piacere vederne arrivare una. Ne abbiamo troppo poche, di questi tempi. Con te sono quaranta. Solo quaranta. E non più di otto, nove saranno Ammesse. Ma non devi preoccupartene molto, se ti applichi con impegno. Il lavoro è duro e il tuo potenziale, che mi dicono elevato, non lo renderà più facile. Meglio scoprire subito se ti adatti o se rischi di spezzarti sotto la tensione, e quindi lasciarti andare per la tua strada, anziché aspettare che diventi Sorella a tutti gli effetti e che altri dipendano da te. La vita d’una Aes Sedai non è facile. Qui ti prepareremo ad affrontarla, se hai in te i requisiti.»

Egwene deglutì. Spezzarsi sotto la tensione? «Proverò, Sheriam Sedai» disse debolmente. E non mi spezzerò, si ripromise.

Nynaeve la guardò, preoccupata. «Sheriam...» Si bloccò e trasse un sospiro profondo. «Sheriam Sedai... dev’essere per forza così duro, per lei? Ogni persona ha dei limiti di sopportazione. Io so... qualcosa... di quel che le novizie devono affrontare. Di sicuro non occorre spezzarla, per scoprire quanto è forte.»

«Ti riferisci all’esperienza odierna con l’Amyrlin?» Nynaeve s’irrigidì. Sheriam parve voler nascondere un’aria divertita. «Ti ho detto d’avere parlato con l’Amyrlin» soggiunse. «Non preoccuparti per la tua amica. L’addestramento delle novizie è duro, ma non troppo. Quello veramente duro riguarda le prime settimane di chi è Ammessa.» Nynaeve rimase a bocca aperta ed Egwene pensò che gli occhi le sarebbero schizzati dalle orbite. «Per mettere in quadro le poche che hanno evitato l’addestramento da novizia, quando non avrebbero dovuto. Non possiamo rischiare che una Aes Sedai a tutti gli effetti si spezzi sotto la tensione del mondo esterno.» Le prese sottobraccio. Nynaeve pareva non rendersi nemmeno conto di dove andava. «Venite» disse Sheriam. «Vi sistemerò nelle vostre stanze. La Torre Bianca aspetta.»

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