Oltre a essere una fonte di perenne consolazione, Margrethe è anche un essere umano adulto e civile. Non rimase neppure una volta a bocca aperta, non protestò, non disse: “Oh, no!” e: “Non ci credo”. Nell’udire le mie parole rimase in silenzio, attese qualche istante, poi disse piano: «Non capisco».
«Non lo capisco neppure io» le assicurai. «Quando ho messo piede su quei carboni accesi, è successo qualcosa. Questa nave…» indicai le paratie «…non è la Konge Knut su cui mi trovavo prima. E la gente mi chiama “Graham”, mentre so benissimo che il mio nome è Alexander Hergensheimer. Ma non si tratta solo di me e della nave; l’intero mondo è diverso. La storia è diversa. I paesi sono diversi. Qui non ci sono aeronavi.»
«Alec, cosa sono le aeronavi?»
«Uh, sono in aria, come i palloni. Anzi, sono dei palloni, in un certo senso. Ma sono molto veloci, più di cento nodi.»
Lei rifletté sulle mie parole. «Penso che mi spaventerei a morte, se dovessi salire su una di quelle.»
«Oh, non c’è proprio niente di allarmante. È il più bel modo di viaggiare. Io ne ho preso una, per raggiungere la nave: il Count von Zeppelin delle Aviolinee Americane. Ma questo mondo non conosce le aeronavi. È stata questa mancanza a convincermi che mi trovavo in un mondo diverso, e che non era solo una complicata beffa giocatami da chissà chi. Nel mio mondo, i viaggi aerei sono una componente importante dell’economia mondiale. La loro assenza produce ripercussioni in ogni campo. Prendiamo… Senti, mi credi?»
Lei ripose lentamente, con attenzione: «Credo che tu mi abbia detto quella che, secondo te, è la verità. Ma la verità che vedo io è molto diversa.»
«Lo so, per questo è tanto difficile parlarne. Io… senti, se non fai in fretta, rischi di perdere la cena.»
«Non importa.»
«No, importa. Non devi perdere i pasti per colpa mia. E se io non scendo in sala da pranzo, Inga manderà qualcuno a controllare in cabina; gliel’ho già visto fare per altre persone del mio tavolo. Margrethe… carissima!… avrei voluto dirtelo da tempo. E adesso ti dirò tutto quello che so. Ma non possiamo farlo in cinque minuti. Questa sera, dopo avere finito il lavoro, puoi venire da me?»
«Certo.»
«Allora, tu va’ a mangiare, e mi presenterò in sala, tanto per tranquillizzare Inga. Poi ci vedremo qui, quando avrai finito di preparare i letti.»
Lei rifletté per qualche istante. «Va bene. Alec… ti piace ancora baciarmi?»
Così capii che mi aveva creduto. O almeno che si sforzava di farlo. Non me ne preoccupai più. Riuscii perfino a godermi la cena, anche se dovetti consumarla un po’ in fretta.
Al mio ritorno in cabina, trovai Margrethe ad attendermi. Quando mi vide, si alzò, e io la abbracciai, le diedi un bacio sulla punta del naso e la feci sedere sulla cuccetta. Io mi sedetti sull’unica sedia della cabina. «Cara, credi che sia impazzito?»
«Alec, non so cosa dire.» (Pronunciò l’ultima parola alla tedesca. Di tanto in tanto, quando era emozionata, Margrethe sbagliava qualche pronuncia. Di solito, invece, parlava inglese meglio di me, che ho l’accento delle pianure, aspro come una sega arrugginita.)
«Ti capisco benissimo» le dissi. «Anch’io ho avuto lo stesso problema. Ma le spiegazioni possibili sono soltanto due. O è successo qualcosa di incredibile quando ho camminato sul fuoco, qualcosa che ha cambiato tutto il mio mondo. Oppure io sono pazzo da legare. Ho passato intere giornate a controllare… e il mondo è veramente cambiato. Non solo le aeronavi. Manca il Kaiser Wilhelm IV, e al suo posto c’è un ridicolo presidente chiamato “Schmidt”. Cose del genere.»
«Non definirei Herr Schmidt “ridicolo”. È un ottimo presidente, per i tedeschi.»
«È quanto intendo dire, cara. Per me, l’idea stessa di un presidente della Germania è ridicola, perché nel mio mondo la Germania è una delle ultime monarchie assolute. Nemmeno lo zar ha gli stessi poteri.»
«Non c’è nessun Kaiser e neppure uno zar, Alec. Il principe moscovita è un monarca costituzionale e ha rinunciato alla sovranità sugli altri stati slavi.»
«Margrethe, tutt’e due diciamo la stessa cosa. Il mondo che conoscevo è sparito. Io devo imparare a conoscere un mondo diverso. Non completamente diverso, comunque. La geografia e gran parte della storia sono le stesse. I due mondi sono quasi identici fino all’inìzio del ventesimo secolo. Fino al 1890, tanto per dire. Un secolo fa, è successo qualcosa di strano, e i due mondi si sono separati… poi, dodici giorni fa, una cosa altrettanto strana è successa a me, e io mi sono trovato in questo mondo.» Le sorrisi. «Ma sono felice di esserci. E sai perché? Perché ci sei tu!»
«Grazie. Anche per me è importante che tu ci sia.»
«Allora devi credermi. Anch’io sono stato costretto a crederci. Al punto che ormai non me ne preoccupo più. Una sola cosa mi preoccupa. Che cos’è successo ad Alec Graham? Si trova nel mio mondo, al posto mio?»
Margrethe non rispose subito. Quando poi parlò, pensai che si fosse dimenticata della domanda. «Alec, puoi slacciarti i calzoni?»
«Come dici, Margrethe?»
«Sì, non l’ho detto per scherzo e non intendo sedurti. Ma devo vedere una cosa. Tirati giù i calzoni, per piacere.»
«Non capisco… Va bene.» Non parlai più e feci come mi diceva. Non fu facile, con lo smoking. Dovetti togliermi prima la giacca e poi la fascia e le bretelle.
A quel punto, con riluttanza, cominciai a sbottonarmi. (Altro difetto di questo mondo arretrato: non c’erano le lampo. Per capire il valore della lampo, occorre provare a farne senza.)
Trassi un profondo respiro, poi abbassai i calzoni di qualche centimetro. «È sufficiente?»
«Un po’ di più… e puoi girarti, per favore?»
Mi girai e sentii che con delicatezza mi sollevava la camicia, sulla parte destra, e abbassava leggermente i calzoncini.
Un attimo più tardi, tornò a sollevarmi i calzoncini. «Fatto. Grazie.»
Mi infilai nei calzoni la camicia e tornai ad abbottonare la patta. Tirai su le bretelle e feci per prendere la fascia. Lei disse: «Aspetta, Alec.»
«Eh? Non hai detto che avevi finito?»
«Sì. Ma non c’è bisogno che ti rimetta lo smoking. Ti porto un paio di calzoni qualsiasi. E una camicia. Pensi di ritornare in sala da pranzo?»
«No, se ti fermi ancora.»
«Mi fermo. Dobbiamo parlare.» Andò a prendere in fretta un paio di calzoni e una camicia. Li posò sul letto. «Scusa un attimo.» Andò in bagno.
Non so se ne avesse bisogno o no, ma sapeva che preferivo vestirmi in cabina che nella stretta toilette.
Dopo essermi cambiato, mi sentii meglio. Fusciacca e camicia inamidata non sono proprio come una camicia di forza, ma quasi. Margrethe uscì dal bagno, appese nell’armadio la giacca e i calzoni, tolse dalla camicia bottoni e gemelli, mise nel sacco della biancheria sporca la camicia e il colletto. Mi chiesi che cosa avrebbe detto Abigail nel vedere tante attenzioni. Abigail era contraria a dare vizi al marito, e non me ne aveva mai dato.
«Che cosa hai fatto, Margrethe?»
«Volevo controllare una cosa. Alec, ti chiedevi che cosa è successo ad Alec Graham. Adesso io lo so.»
«Sì?»
«È qui davanti a me. Alec Graham sei tu.»
Alla fine chiesi: «E per dirlo ti è bastato guardare pochi centimetri quadrati del mio fondoschiena? Che cosa hai trovato, Margrethe? La voglia di fragola che permette di riconoscere l’erede scomparso?»
«No, Alec. La tua “Croce del Sud”.»
«Che cosa?»
«Pensavo che ti facesse ritornare la memoria. L’ho vista la prima notte che…» esitò per un attimo, poi mi guardò negli occhi «…abbiamo fatto l’amore. Tu hai acceso la luce, poi ti sei girato per controllare l’ora. E io ho notato i nei sulla tua natica destra. Ci abbiamo scherzato sopra: hai detto che è la tua Croce del Sud.»
Margrethe era leggermente arrossita, ma continuò a fissarmi negli occhi. «Anch’io ti ho fatto vedere alcuni nei che ho sulla pelle. Alec, mi spiace che tu non ricordi l’episodio, ma credimi: a quel punto ci conoscevamo già al punto che potevo scherzare su cose di quel genere senza essere volgare o maleducata.»
«Margrethe, anche se tu lo volessi, non potresti mai essere volgare o maleducata. Ma dai troppa importanza alla disposizione di pochi nei. Io ne ho dappertutto. Non mi stupisco che alcuni, in un posto che non posso controllare facilmente, siano disposti a forma di croce. O che Graham abbia anche lui qualcosa di simile.»
«Non sono soltanto “simili”. Sono identici.»
«Be’, c’è un modo migliore di controllare. Nella scrivania c’è il mio portafogli. Anzi, il portafogli di Graham. Sulla patente di guida c’è l’impronta del dito pollice. Io non ho controllato perché non ho mai avuto il minimo dubbio che io fossi Hergensheimer e lui Graham, e che fossimo due persone diverse. Ma possiamo controllare. Tu prendi il portafogli. Io vado ad apporre un’impronta sullo specchio del bagno. Poi va’ a controllare e saprai.»
«Alec, io non ho bisogno di controllare. Controlla tu stesso: sei tu che non ci credi.»
«Be’…» cominciai a obiettare. Ma la controproposta di Margrethe mi parve sensata, e perciò mi alzai.
Presi la patente di Graham e mi recai in bagno. Laggiù mi passai il pollice sulla fronte, dove c’è la più alta produzione di grasso della pelle, poi lo posai sullo specchio. Ma non riuscii a distinguere molto bene l’impronta; allora presi un po’ di talco da barba e glielo soffiai sopra.
La leggibilità non migliorò affatto. Evidentemente, le polveri della polizia scientifica dovevano essere molto più fini. O io non sapevo come usarle. Premetti di nuovo il pollice e controllai che sulla patente fosse scritto “pollice destro”. E così era. «Margrethe, vieni a vedere.»
«Guarda» le dissi, quando fu accanto a me nel bagno. «Le due impronte sono fondamentalmente degli archi… ma questo vale per metà delle impronte digitali della razza umana. Scommetto che anche tu hai degli archi tra le tue impronte. Onestamente, riesci a distinguere se le impronte sono le stesse?»
«Non saprei, Alec. Non sono un’esperta di impronte digitali.»
«Be’, con questa luce non riuscirebbe a capirlo neppure un esperto. Dovremo rimandare il controllo fino a domattina. Ci occorrerà il sole. Inoltre ci serviranno un foglio di carta bianca, un tampone per timbri e una lente di ingrandimento… penso di poterli trovare da Henderson. Domani va bene?»
«Certo. Questa prova non mi serve, Alec; il cuore mi ha già detto qual è la verità. E la tua “Croce del Sud”. Ti è successo qualcosa alla memoria, ma tu sei sempre tu… e un giorno la memoria ti ritornerà.»
«Non è così semplice, cara. Io so di non essere Graham. Margrethe, hai qualche idea del suo lavoro? O del motivo che lo aveva portato su questa nave?»
«Devo proprio dire “lui”? Non ti ho chiesto che lavoro facevi, Alec. E tu non me lo hai mai detto.»
«Sì, è meglio dire “lui” finché non avremo controllato l’impronta digitale. Era sposato?»
«Anche ora, lui non me l’ha mai detto, e io non gliel’ho mai chiesto.»
«Ma mi avevi fatto capire… anzi, hai detto espressamente di avere fatto l’amore con quest’uomo, che secondo te sono io, e di essere stata a letto con lui.»
«Che cos’è, Alec, un rimprovero?»
«Oh, no!» (Ma invece lo era, e lei l’aveva capito.) «Con chi vai a letto, è affar tuo. Ma devo avvertirti che io sono sposato.»
Lei mi guardò fisso. «Alec, io non ho cercato di sedurti per farmi sposare.»
«Parli di Graham. Io non c’ero ancora.»
«Va bene, Graham. Non ho cercato di intrappolare Graham. Abbiamo fatto l’amore perché ne avevamo il desiderio tutt’e due. Nessuno di noi ha mai accennato al matrimonio.»
«Ascolta, mi spiace di avere parlato della cosa! Mi pareva che potesse aiutarmi a chiarire il mistero; nient’altro. Margrethe… mi credi, se ti dico che preferirei perdere un braccio, o un occhio, piuttosto di farti del male?»
«Grazie, Alec. Ti credo.»
«Gesù si è sempre limitato a dire: “Vai, e non peccare più”. Non crederai che io sia più severo di lui nel dare giudizi? Ma io non intendevo giudicarti; volevo solo delle informazioni su Graham. Sul suo lavoro, in particolare. Hai mai avuto il sospetto che fosse coinvolto in qualcosa di illegale?»
Lei mi rivolse un sorriso. «Se avessi sospettato qualcosa del genere, la mia dedizione a lui è tale che non avrei mai espresso a voce alta un simile sospetto. Dato che affermi di non essere Graham, la considerazione è tuttora valida.»
«Mi hai battuto!» Sorrisi, timidamente. Potevo parlarle della cassetta di sicurezza? Certo. Dovevo essere franco con lei, perché Margrethe fosse franca con me. «Margrethe, non era una domanda sciocca e non volevo curiosare in cose che non mi riguardano. C’è una cosa che mi preoccupa, e mi occorre un tuo consiglio.»
Lei sollevò le sopracciglia. «Alec… non do quasi mai consigli. Non mi piace farlo.»
«Posso dirti di che cosa si tratta, allora? Non c’è bisogno che tu mi dia dei suggerimenti, ma forse mi puoi aiutare a chiarire la situazione.»
Le descrissi rapidamente come avessi trovato quell’imbarazzante milione di dollari.
«Margrethe» conclusi poi «ti viene in mente qualche motivo legittimo perché un uomo onesto porti con sé un milione di dollari in contanti? Assegni circolari, lettere di credito, titoli al portatore… ma contanti? E per una cifra così alta? Per me, viaggiare con una tale somma è ancor meno credibile che camminare sul fuoco senza bruciarsi. E tu, riesci a immaginare qualche motivo? Per quale motivo onesto un uomo porterebbe con sé una somma così alta in contanti?»
«Non mi sento di dare giudizi.»
«Non ti chiedo giudizi, ti chiedo se ti viene in mente un possibile motivo.»
«Potrebbero essercene tanti.»
«E sapresti dirmene uno?»
Attesi la sua risposta, ma Margrethe non disse niente. Con un sospiro, conclusi: «Neanch’io riesco a immaginarne uno. Naturalmente, ci possono essere infiniti motivi disonesti, perché il cosiddetto “denaro che scotta” si muove sempre sotto forma di contanti. La cosa è talmente comune che la polizia, quando trova in mano ai privati somme così ragguardevoli, le considera guadagni illeciti finché il proprietario non è in grado di spiegarne l’origine. Oppure si tratta di soldi falsi, e la cosa è ancora peggiore. Il consiglio che mi serviva è questo: che cosa devo farne? Non sono soldi miei. Non posso portarli via dalla nave. Per lo stesso motivo non posso lasciarli dove sono. Non posso neppure gettarli ai pesci. Cosa posso farne?»
Non era una domanda retorica: dovevo trovare una soluzione, per non finire in galera al posto di Graham. Fino a quel momento, l’unica risposta che mi era venuta in mente era di recarmi dal capitano, di raccontargli tutto e di affidargli il denaro.
Ridicolo. Il capitano poteva credermi o non credermi, e poteva essere onesto oppure no, ma avevo l’impressione che in qualsiasi caso sarei finito dietro le sbarre: o in una galera o in un manicomio.
La soluzione più semplice sarebbe stata quella di gettare via quel denaro!
Ma questo contrastava con i miei principi morali. Ho violato diversi comandamenti, e altri li ho piegati alle mie necessità, ma l’onestà non è mai stata un problema per me. Certo, negli ultimi tempi la mia morale si era rivelata meno salda del previsto, ma non avevo mai provato la tentazione di impadronirmi del milione di dollari, neppure per gettarlo in mare.
Altra obiezione: conoscete qualcuno che, con un milione di dollari in mano, li butta via?
Io non lo conosco. Magari, in un momento di disperazione, avrei potuto portare il denaro al capitano, ma non sarei mai riuscito a distruggerlo.
Portarlo a riva? Alex, se togli quel denaro dalla sua cassetta di sicurezza, lo rubi. Per un milione di dollari saresti disposto a perdere il rispetto di te stesso? Per dieci milioni? Per cinque dollari?
«Allora, Margrethe?»
«Alec, per me la soluzione è evidente.»
«Come?»
«Hai cercato di risolvere i tuoi problemi in ordine inverso. Per prima cosa devi riacquistare la memoria. A quel punto saprai perché hai quel denaro con te, e sono certa che sarà un motivo logico e regolare.» Sorrise. «Ti conosco meglio di quanto non ti conosca tu stesso. Sei una persona onesta, Alec; non sei un criminale.»
Provai un senso di esasperazione, ma anche di orgoglio, nel vedere che aveva una così alta opinione di me. Più esasperazione che orgoglio, però. «Oh, maledizione, io non ho affatto perso la memoria, cara. Io non sono Alec Graham. Io sono Alexander Hergensheimer, mi sono sempre chiamato così e ricordo benissimo ogni cosa. Vuoi che ti dica il nome della mia maestra delle elementari? La signorina Andrews. O che ti descriva il viaggio in dirigibile che ho fatto a dodici anni? Io vengo veramente da un mondo dove le aeronavi sorvolano ogni oceano e arrivano perfino al Polo, e la Germania è una monarchia e l’Unione Nordamericana ha goduto di un secolo di pace e di prosperità e una nave come questa sarebbe considerata talmente vecchia e lenta e male attrezzata che non ci salirebbe nessuno. Mi serve un aiuto e non un giudizio psichiatrico. Se mi credi pazzo, dimmelo, e lasciamo perdere la faccenda.»
«Non intendevo farti arrabbiare.»
«Oh, scusa, cara! Non sei stata tu a farmi arrabbiare; è colpa mia, che ti ho scaricato addosso una parte delle mie preoccupazioni… non avrei dovuto farlo. Mi dispiace. Ma ho davvero dei problemi, e non basta dire che ho perso la memoria per risolverli. Ma non dovevo prendermela con te. Margrethe, sei la sola cosa che ho… in un mondo nuovo e preoccupante. Mi dispiace.»
Si alzò. «Niente di cui ti debba dispiacere, caro Alec. Ma è inutile continuare a discutere. Domani controlleremo attentamente le impronte digitali e vedrai che quella sulla patente è la tua. Allora capirai e forse la cosa potrà avere un effetto positivo sulla tua memoria.»
«O potrebbe avere un effetto positivo sulla tua ostinazione, donna ineguagliabile.»
Lei sorrise. «Vedremo domani. Ora credo sia meglio che me ne torni a letto. Abbiamo raggiunto il punto della discussione dove ciascuno si limita a ripetere le proprie tesi… e ad attaccare l’altro. Non voglio niente di simile, Alec. È meglio smettere.»
E si diresse alla porta, senza neanche darmi il bacio della buona notte.
«Margrethe!»
«Sì, Alec?»
«Non vieni a darmi un bacio?»
«Devo davvero farlo? Sei un uomo sposato.»
«Oh… per l’amor di Dio, un bacio non è come l’adulterio.»
Lei scosse tristemente la testa. «Ci sono baci e baci, Alec. Non ti avrei baciato a quel modo se non fossi stata disposta ad andare avanti da lì e a fare l’amore con reciproca soddisfazione. Per me sarebbe stata una cosa piacevole e innocente… ma per te sarebbe stato un adulterio. Prima hai citato le parole di Cristo all’adultera. Io non ho peccato… e non voglio far peccare te.» Di nuovo si avviò verso la porta.
«Margrethe!»
«Sì, Alec?»
«Mi hai domandato se intendevo chiederti ancora di ritornare più tardi. Te lo chiedo ora. Questa notte. Tornerai più tardi?»
«È peccato, Alec. Per te sarebbe un peccato… e diventerebbe un peccato anche per me, adesso che so come lo giudichi.»
«Un “peccato”. A questo punto, non so più che cosa sia il peccato. Ma so di avere bisogno di te… e credo che lo stesso valga per te.»
«Buonanotte, Alec.» Si allontanò in fretta.
Dopo molto tempo andai a lavarmi i denti e a sciacquarmi la faccia, poi mi parve che un’altra doccia potesse farmi bene. La feci tiepida, e mi calmò un poco. Ma quando ritornai a letto, rimasi sveglio, a fare una cosa che chiamo “riflettere”, ma che probabilmente non lo è.
Riandai con la mente a tutti i grandi errori da me fatti nel corso della vita, li rispolverai e li misi in fila, uno dopo l’altro, fino alla figura da sciocco che avevo fatto quella sera stessa, con il solo risultato di ferire e umiliare la donna più cara e dolce che avessi conosciuto.
Con questo tipo di auto-flagellazione riesco ad andare avanti fino al mattino, quando gli attacchi di rimorso sono gravi. Quello corrente era il peggiore di tutti: minacciava di tenermi bloccato per una settimana a guardare il soffitto.
Qualche tempo più tardi, quando ormai era passata la mezzanotte, fui destato dal rumore della chiave nella serratura. Cercai a tastoni l’interruttore della luce, e accesi la lampada proprio nel momento in cui Margrethe si toglieva la vestaglia ed entrava sotto le coperte con me. La spensi subito.
La sua pelle era calda e levigata; sussultava e piangeva. Io l’abbracciai e cercai di calmarla. Margrethe non parlò, io non parlai. Avevamo già parlato troppo, soprattutto io. Adesso era il momento di tenerci stretti e di capirci senza parole.
Alla fine, i suoi singhiozzi rallentarono e poi cessarono. Tornò a respirare regolarmente. Poi sospirò e disse, piano: «Non sono riuscita a stare lontana».
«Margrethe, ti amo.»
«Oh! Io ti amo così tanto che mi fa male il cuore.»
Dormivamo entrambi quando si verificò la collisione. Io non avevo intenzione di dormire, ma per la prima volta da quando avevo camminato sul fuoco mi sentivo rilassato e senza preoccupazioni; mi addormentai.
Per primo ci fu uno scossone incredibile, che per poco non ci buttò giù dal letto, poi un rumore di grattugia, a livelli assordanti. Accesi la luce… e vidi che lo scafo, ai piedi della cuccetta, era piegato verso l’interno.
A rendere ancor più assordante il fracasso, suonò la sirena dell’allarme generale. Lo scafo si piegò ancor di più e infine si ruppe; nel foro entrò qualcosa di freddo, di colore bianco-grigio. La luce si spense.
Balzai a terra, senza badare alla direzione in cui mi muovevo, e portai con me Margrethe. La nave si inclinò fortemente a sinistra, e noi scivolammo nell’angolo fra il ponte e la paratia interna della cabina. Urtai contro la maniglia della porta, e la afferrai con la destra, mentre con il braccio sinistro stringevo Margrethe. Poi la nave si inclinò a destra, e dalla falla entrò un’onda: non la vedemmo, ma ne udimmo il rumore e fummo colpiti dall’acqua. La nave si raddrizzò, ma subito tornò a inclinarsi a destra… e la maniglia mi sfuggì di mano.
Per descrivere quel che accadde in seguito mi dovrò affidare a una ricostruzione: era buio, ricorderete, e c’era un notevole fracasso. Provai la sensazione di cadere — non mi staccai da Margrethe — e poi ci trovammo in acqua.
A quanto pare, quando la nave s’era inclinata di nuovo a destra, eravamo caduti nel foro prodottosi con la falla. Ma questa è solo una ricostruzione. L’unica cosa che so è che siamo caduti insieme nell’acqua, e che siamo finiti sotto, a una certa profondità.
Quando riguadagnammo la superficie, tenevo Margrethe sotto il braccio sinistro, quasi nella posizione consigliata da tutti i manuali di salvataggio. Mi diedi un’occhiata attorno, mentre prendevo una boccata d’aria, poi finimmo di nuovo sotto un’onda. La nave era accanto a noi, e continuava a procedere. Su di noi soffiava un vento freddo, e si un udiva un forte rombo. A una certa distanza, dal lato opposto rispetto alla nave, si scorgeva una forma alta e scura.
Ma la cosa che mi preoccupava di più era la nave: le sue eliche. La cabina C109 era molto a prora, ma se io e Margrethe non ci fossimo allontanati in fretta, le pale dell’elica ci avrebbero fatti a fettine. Continuai a tenere Margrethe e, muovendo le gambe e l’altro braccio, presi a nuotare in modo da portarmi lontano dalla nave, finché non vidi con soddisfazione che ci allontanavamo dal pericolo… e a quel punto urtai brutalmente la testa contro un oggetto invisibile nel buio.