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Quasi senza fiato, presi la carta gommata contenuta nel cassetto di Graham e chiusi nuovamente i pacchetti. Tornai a infilare nella cassetta il tutto, meno il passaporto, misi il documento accanto ai tremila dollari “miei”, nel cassetto della scrivania, poi riportai la cassetta nell’ufficio del commissario di bordo. Non dico con quanta attenzione.

Allo sportello c’era un’altra persona, ma vidi anche il commissario, all’interno dell’ufficio. Incrociai il suo sguardo.

«Salve» mi disse. «Già fatto?»

«Sì» dissi io. «Una volta tanto, i conti quadravano.» Gli consegnai la cassetta.

«Allora l’assumo nel mio ufficio. Qui, i conti non quadrano mai. Almeno, prima della mezzanotte. Andiamo a bere quel bicchiere di cui si parlava. Ne ho proprio bisogno.»

«Anch’io! Andiamo.»

Mi accompagnò lungo i corridoi, fino a un bar all’aperto, che non avevo visto sulle piantine della nave. Il ponte sopra di noi terminava, e il ponte su cui ci trovavamo, il “D”, proseguiva all’aperto: belle assi di tek su cui si camminava con piacere. Il bordo del ponte C formava una sorta di tettoia: da essa partiva una lunga tenda di tela.

Accanto al bar c’erano alcuni tavoli con un ricco buffet freddo; vari passeggeri erano già in coda e si stavano servendo. Più avanti c’era la piscina della nave; da quella direzione giungevano rumori di tuffi, strilli, gridolini.

Il commissario mi condusse fino a un tavolino occupato da due sottufficiali. Lì si fermò. «Voi due, buttatevi a mare.»

«Immediatamente, commissario.» Si alzarono, prelevarono i bicchieroni di birra e si spostarono a un altro tavolo. Uno mi sorrise e mi rivolse un cenno della testa, come se mi conoscesse. Io gli restituii il cenno e dissi: «Salve».

Il nostro tavolo era in parte all’ombra, sotto la tenda. Il mio compagno disse: «Preferisce stare al sole per guardare le ragazze, o stare all’ombra e rilassarsi?»

«Oh, è indifferente. Scelga lei il posto che preferisce, per me va bene l’altro.»

«Uhm. Spostiamo il tavolo, mettiamoci tutt’e due all’ombra. Ecco fatto.» Si sedette, rivolto verso prua; giocoforza, io mi trovai davanti alla piscina… ed ebbi la conferma di quel che mi era parso di scorgere fin dal primo istante. In quella piscina non si richiedeva niente di così ingombrante come il costume da bagno.

Avrei dovuto dedurlo mediante il ragionamento, se ci avessi riflettuto… ma non l’avevo fatto. L’ultima volta che l’avevo visto — mi riferisco al nuoto senza costume da bagno — avevo dodici anni, eravamo tutti maschi e io ero uno dei più vecchi.

«Chiedevo: “Che cosa beve, signor Graham?”» disse il commissario.

«Oh, scusi. Non avevo sentito.»

«Certo. Stava osservando il panorama. Cosa beviamo?»

«Non so neanch’io… uno zombie?»

Mi guardò, inarcando le sopracciglia. «A quest’ora? Quella roba spacca il cervello. Mmm…» Rivolse un cenno a qualcuno che stava dietro di me. «Vieni qui, tesoro.»

Guardai la cameriera che si avvicinava. La guardai e poi la guardai una seconda volta. L’avevo già vista la sera prima, mentre ero brillo: era una delle due ragazze dai capelli rossi che avevano ballato la hula.

«Di’ ad Hans che voglio due Silver Fizz. Come ti chiami, carina?»

«Signor Henderson, finga ancora una volta di non ricordarsi il mio nome, e il suo Silver Fizz glielo verserò in testa, anziché nel bicchiere.»

«Sì, dolcezza. Adesso cerca di fare in fretta. Muovi quei polpacci grassi.»

La ragazza gli rivolse uno sbuffo di disprezzo e si allontanò. Naturalmente, non aveva affatto i polpacci grassi: anzi, aveva gambe lunghe e affusolate. Il commissario disse: «Brava ragazza. I suoi abitano davanti a casa mia, a Odense; la conosco da quando era alta così. Ed è anche intelligente. Studia veterinaria, si laurea il prossimo anno».

«Davvero? Come fa a lavorare e a frequentare i corsi?»

«Gran parte delle nostre ragazze studia all’università. Alcune si prendono un semestre di libertà, altre un anno… viaggiano un po’ per mare, si divertono, mettono da parte qualcosa per l’anno seguente. Nell’assumere il personale, scelgo sempre le ragazze che si mantengono da sole all’università; ci si può fidare di loro… e conoscono le lingue. Prenda la cameriera del suo ponte. Astrid?»

«No, Margrethe.»

«Ah, già, lei è nella 109. Astrid ha le cabine pari, Margrethe le dispari. Margrethe Svensdatter Gunderson. Insegna alle medie. Lingua e storia dei popoli anglosassoni. Ma conosce altre quattro lingue, senza contare quelle scandinave, ed è diplomata in due di esse. Ha un anno di permesso dal ginnasio H.C. Andersen. Ma scommetto che non ci ritornerà più.»

«Sposerà qualche ricco americano. Lei è ricco?»

«Io? Ho l’aria di essere ricco?» (Che conoscesse quel che c’era nella cassetta di sicurezza? Buon Dio, che cosa si fa, quando ci si trova in tasca un milione di dollari di un altro? Non potevo gettarlo dall’oblò. Ma perché Graham viaggiava con tanto denaro in contanti? Mi venivano in mente varie possibili ragioni, tutte brutte. Ciascuna poteva farmi finire in grossi guai.)

«Gli americani ricchi non hanno mai l’aria di esserlo; si allenano a passare per persone qualsiasi. Quelli nordamericani, intendo dire; per i sudamericani è diverso. Gertrude, grazie. Sei davvero una brava bambina. Posa il vassoio e dammi lo scontrino.»

«Niente scontrino. Hans voleva offrire da bere al signor Graham. Così ha deciso di offrirlo anche lei, questa sola volta.»

«Ecco perché il bar è in perdita. Digli che glielo tratterrò dalla paga.»


Fu così che finii per bere due Silver Fizz invece di uno… ed ero già ben avviato verso un altro patatrac come quello della sera prima. Ma fui salvato da Henderson, che decise che dovevamo mangiare. Io sentivo il bisogno di un terzo bicchiere. I primi due mi avevano fatto scordare ogni preoccupazione a proposito di quella pazza cassetta piena di soldi, e nello stesso tempo avevano contribuito a farmi apprezzare ancor di più lo spettacolo della piscina e delle sue frequentatrici. Avevo scoperto che un’intera vita di condizionamento riusciva a scomparire benissimo in sole ventiquattr’ore. Non c’è niente di peccaminoso nel contemplare la bellezza femminile senza veli. Era dolce e innocente come guardare fiori o agnellini… ma assai più piacevole.

E intanto sentivo il bisogno di un altro bicchiere.

Henderson fece opposizione, chiamò Gertrude, parlò con lei rapidamente in danese. La ragazza ritornò dopo qualche minuto, con un grosso vassoio: smòrgàsbord, polpette calde, crostatine alla crema, caffè nero; il tutto in quantità impressionanti.

Mezz’ora più tardi continuavo ad apprezzare come in precedenza le sedicenni della piscina, ma non correvo più il rischio di un’altra catastrofe alcolica. Anzi, ora capivo che non solo non potevo risolvere con i liquori i miei problemi, ma che mi sarei dovuto guardare dall’alcool finché non li avessi risolti, dato che non sapevo bere. Zio Ed aveva ragione: il vizio richiede competenza e lungo allenamento; altrimenti, meglio lasciar dominare la virtù, anche dopo la caduta dei freni morali.

E i miei freni erano certamente caduti: lo testimonia il fatto che sedessi, con in mano un bicchiere del distillato del diavolo, a contemplare le grazie femminili senza veli…

Nel pensare a questo, mi accorsi di non avere il benché minimo rimorso di coscienza. L’unico mio rimpianto era di non poter reggere la quantità di alcool che avrei voluto bere. Facilis descensus Averni!


Henderson si alzò. «Saremo in porto tra meno di due ore, e devo ancora controllare certi conti prima che salga a bordo il funzionario della linea di navigazione. Grazie della compagnia.»

«Grazie a lei! Tusind tak! È così che dite voi?»

Lui sorrise e ritornò in ufficio. Io rimasi a sedere laggiù ancora per qualche tempo, a riflettere sulla mia situazione. Mancavano due ore allo scalo, e, una volta attraccato, c’erano tre ore di sosta: che cosa potevo fare?

Andare dal console americano? E a raccontargli che cosa? “Caro signor console, io non sono quello che sono, e mi trovo questo milione di dollari…”

Assurdo!

Non dire niente a nessuno, tenermi il milione, sbarcare e prendere il primo aereo per la Patagonia?

Impossibile. I miei freni morali erano caduti — fin dall’inizio non dovevano essere stati molto forti, pensai — ma non riuscivo a liberarmi dai vecchi pregiudizi contro il furto. Non solo era qualcosa di ingiusto: era poco decoroso.

Era già abbastanza brutto dover mettere i suoi vestiti.

Prendi i tremila dollari che sono tuoi “di diritto”, sbarchi, aspetti che la nave riparta, poi ritorni in America con i tuoi mezzi.

Idea idiota. Finiresti in un carcere tropicale, e il tuo gesto non servirebbe a Graham. Anche adesso sei davanti a una scelta obbligata, testone: devi rimanere a bordo e aspettare che Graham si faccia vivo. Non si presenterà certamente di persona, ma potrebbe mandare un messaggio per telegrafo senza fili, o qualcosa di simile. Continua a mangiarti le unghie finché la nave non sarà ripartita. Poi ringrazia Dio che ti ha dato il modo di ritornare nella madrepatria. Graham può fare lo stesso per il suo biglietto sull’Admiral Moffett. Chissà come si sentirà, quando lo chiamano Hergensheimer? Meglio di me a sentirmi chiamare “Graham”, credo. Un gran bel cognome, Hergensheimer.

Mi alzai, attraversai il ponte e salii due piani, fino alla biblioteca della nave, dove c’era solo una donna che faceva le parole incrociate. Entrambi preferivamo non essere disturbati, e di conseguenza ci tenemmo buona compagnia. Gran parte degli scaffali erano chiusi a chiave, dato che il bibliotecario era assente, ma trovai una vecchia enciclopedia: proprio quel che mi serviva come punto di partenza.

Due ore più tardi trasalii nel sentire la sirena che segnalava che la nave era ormeggiata: eravamo in porto. Io ero frastornato da eventi storici e da idee che non conoscevo. Tanto per cominciare, in questo mondo William Jennings Bryan non era mai stato eletto presidente; nel 1896, al posto suo, era andato alla Casa Bianca McKinley, che era stato rieletto alle successive elezioni; dopo di lui era stato eletto un certo Roosevelt.

Non conoscevo nemmeno uno dei presidenti del ventesimo secolo.

Invece di più di un secolo di pace sotto l’egida della nostra neutralità tradizionale, gli Stati Uniti erano entrati ripetutamente in guerra: negli anni 1899, 1912-17, 1932 (con il Giappone!), 1950-52, 1980-84. Questa era l’ultima guerra, almeno fino alla data di pubblicazione dell’enciclopedia; comunque, nello Scaldo del re non si parlava di guerre in corso.

Dietro i vetri della biblioteca della nave, vidi molti libri di storia. Ammesso che alla partenza da Papeete mi trovassi ancora sulla Konge Knut, avrei fatto bene a leggerli tutti nel corso della lunga traversata fino a Portland.

Ma i nomi dei presidenti e le date delle guerre potevano aspettare: non erano esigenze quotidiane. Prima di tutto avrei dovuto conoscere — per evitare ogni sorta di fastidi, dal semplice imbarazzo al crollo totale — come la gente di quel mondo viveva, parlava, mangiava, giocava, pregava e faceva l’amore. E finché non l’avessi saputo, avrei dovuto parlare poco e tendere le orecchie il più possibile.

Una volta avevo un vicino la cui conoscenza della storia pareva limitata a due date: 1492 e 1776; per di più, quel tale le confondeva molte volte l’una con l’altra. La sua ignoranza degli altri campi dello scibile era altrettanto profonda; tuttavia guadagnava fior di quattrini come impresario edile.

Per funzionare come animale sociale ed economico non occorre una grande istruzione… purché si sappia riconoscere il momento giusto per fare le cose. Ma se non conoscete il giusto modo di comportarvi, rischiate di essere linciato.

Chissà come se l’era cavata Graham fino a quel momento? Secondo me, la sua posizione era assai più pericolosa della mia (sempre che tra me e lui ci fossimo semplicemente scambiati i ruoli). Io, con le mie vecchie abitudini, al massimo avrei fatto la figura dell’eccentrico, ma Graham, nel mio mondo, poteva cacciarsi in qualche guaio serio. Una parola sovrappensiero, un’azione innocente, e sarebbe finito alla berlina. O peggio.

E soprattutto avrebbe rischiato di incappare in guai grossi se avesse cercato di assumere in tutto e per tutto il mio ruolo… anche se la cosa mi pareva poco probabile. Mettiamola così: per il suo compleanno, dopo un anno di matrimonio, avevo regalato ad Abigail un’edizione della Bisbetica domata. Lei non aveva mai sospettato le mie vere intenzioni: era talmente convinta di essere nel giusto, da non prendere neppure in considerazione l’idea che la paragonassi a quella scocciatrice di Kate. Se Graham si fosse sostituito a me come marito, l’esperienza sarebbe risultata interessante per entrambi.

Io non appiopperei una moglie come Abigail nemmeno al mio peggiore nemico. (Nel caso di Graham, però, non provavo alcun senso di colpa, dato che non ero stato consultato.)

(Chissà come si sarebbe divertito, a trovarsi a letto una donna che per riferirsi agli abbracci del marito li chiamava “doveri familiari”?)


Ho davanti a me un’enciclopedia in venti volumi: milioni di parole contenenti i principali fatti di un intero mondo… fatti che devo conoscere in fretta. Ma cosa cercare? Non mi interessano né l’arte greca né la storia dell’Egitto, e nemmeno la geologia; che cosa mi interessa davvero?

Be’, cos’hai notato per prima cosa, quando hai visto la nave? La nave stessa. La sua aria vecchia e superata, rispetto alla linea elegante della N/M Konge Knut. Poi, salito a bordo, la mancanza del telefono in cabina. La mancanza delle scale mobili. E la presenza di tante piccole cose che ricordavano i piroscafi di lusso dell’epoca di tuo nonno.

Perciò, va’ a leggere la voce “Navi”.

Trovato. Tre pagine di fotografie… e tutte le navi hanno un’aria da Belle-époque. La nave a vapore Britannia, il transatlantico più grande e più veloce, duemila passeggeri, solo sedici nodi! E ne dimostra ancor meno.

Vediamo la voce “Trasporti”.

Bene, bene! Come ti aspettavi, vero? Non si parla di dirigibili. E la voce “Dirigibile” non c’è neppure, mentre “Aeronautica” ti rimanda ad “Aerostato”.

Sì, una bella voce sui palloni, con Montgolfier e gli altri pionieri… perfino il coraggioso quanto sfortunato tentativo di Andrée di raggiungere il Polo. Ma il Conte von Zeppelin, in questo mondo, non è mai esistito, o non si è occupato di aeronautica.

Forse, dopo avere preso parte alla Guerra di secessione, è ritornato in Germania e laggiù l’idea di viaggiare per via aerea non ha trovato sostenitori, diversamente da quanto gli è successo nell’Ohio del mio mondo. Sia come sia, in questo mondo non ci sono viaggi aerei. Alex, se pensi di stabilirti qui, che ne diresti di “inventare” il dirigibile? Essere un pioniere e un magnate, diventare ricco e famoso?

Pensi di esserne capace?

Be’, ho fatto il primo volo in dirigibile quando avevo solo dodici anni! So tutto su di essi; se mi dai un foglio, ti disegno il progetto in quattro e quattr’otto!

Sì? Bene, allora fammi un progetto quotato di un diesel leggero, non più di mezzo chilo per cavallo vapore. Definisci le leghe usate, dà i trattamenti termici, traccia i diagrammi dei cicli del motore, definisci i combustibili, elenca i fornitori e indica i lubrificanti adatti…

Tutte queste cose si possono risolvere!

Sì, ma sei in grado di risolverle tu? Anche se sai che la cosa è fattibile. Ricordi perché hai lasciato ingegneria e ti sei dato alla carriera religiosa? Religione comparata, etica, critica, apologetica, ebraico, latino, greco richiedono studio e memoria… ma l’ingegneria richiede cervello.

Dunque, sarei uno stupido?

Avresti camminato sui carboni accesi se non fossi stato talmente stupido da farti incastrare?

Perché non mi hai fermato tu?

Fermarti? E quando mai ti sei degnato di darmi retta? Non sfuggire alla domanda… quanto hai preso all’esame di termodinamica?

Va bene! Ma, anche supponendo di non poterlo fare di persona…

Grande ammissione.

Piantala. Quando sai che una cosa si può fare, la battaglia è già vinta al settanta per cento. Potrei essere il direttore del progetto, e avere sotto di me qualche ingegnere giovane e capace. Lui metterebbe il cervello, io il ricordo insostituibile di come sono fatti i dirigibili e di come funzionano. Ti va?

Mi sembra la giusta divisione del lavoro: loro ci mettono il cervello, tu la memoria. La cosa potrebbe funzionare. Ma sarebbe un progetto lungo e costoso. Come pensi di finanziarlo?

Potrei vendere delle partecipazioni…

Ricordi l’estate che ti sei messo a vendere aspirapolvere?

Be’, c’è sempre quel milione di dollari.

Ah, briccone!

«Signor Graham?»

Lasciai i miei sogni a occhi aperti, e vidi una delle segretarie del commissario di bordo, ferma davanti a me. «Sì?»

Mi porse una busta. «Da parte del signor Henderson, signore. Mi ha detto di aspettare la risposta.»

«Grazie.» Il messaggio diceva:


Gentilissimo signor Graham,

si sono presentati in plancia tre uomini che affermano di avere un appuntamento con lei. A me non piacciono né il loro aspetto né il loro modo di parlare… e una parte dei frequentatori di questo porto sono alquanto discutibili. Se lei non aspettava nessuno o se non vuole vederli, dica alla mia incaricata di riferire che non è stata in grado di rintracciarla. Io dirò loro che è sceso a terra. A.P.H.


Per alcuni (atroci) istanti non seppi cosa decidere: ero diviso tra la curiosità e la cautela. Quella gente non voleva vedere me: voleva vedere Graham… e qualsiasi cosa volesse da lui, io non potevo venire loro incontro.

Oh, sai benissimo cosa vuole quella gente!

Suppongo di sì. Ma anche se avessero una ricevuta firmata dal san Pietro in persona, non posso dare loro — o a chicchessia — il milione di dollari. Lo sai.

Certo. Volevo solo assicurarmi che avessi le idee chiare. Però, dato che non intendi consegnare a tre estranei i soldi di Graham, che t’importa di vederli?

Perché devo sapere! Adesso sta’ zitto.

Dissi alla ragazza: «Riferisca pure al signor Henderson che scenderò subito. E grazie di essere venuta ad avvertirmi».

«È stato un piacere. Ah, signor Graham… l’ho vista camminare su quei carboni. Lei è stato magnifico!»

«Dovevo essere un po’ fuori di testa. Comunque, grazie del complimento.»

Mi fermai in cima alla scaletta per dare un’occhiata ai tre uomini che mi aspettavano. Sembravano scelti appositamente per impersonare qualche scena intitolata “Tre loschi figuri”. Un tizio sovradimensionato, sul metro e 95, che a giudicare dalle mani e dalla mascella pareva affetto da gigantismo acromegalico; un tipetto nervoso che doveva pesare circa la quarta parte del gigante; un tizio indefinibile, con gli occhi vacui. Muscoli, cervello e rivoltella, li battezzai… o era solo la mia immaginazione?

Una persona intelligente si sarebbe affrettata a fare dietrofront e a nascondersi da qualche parte.

Ma, come si sarà già capito, io non sono affatto una persona intelligente.

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