16

In un drugstore di Flagstaff acquistai con l’aquila d’oro una saponetta, e ricevetti come resto nove dollari d’argento (o “ruote di carro”) e 95 cent in spiccioli. L’idea del sapone non fu mia, ma di Margrethe. «Alec, un negoziante non è un banchiere; per cambiare i soldi, vuole vendere qualcosa. E a noi occorre del sapone. Nel tipo di alloggio a poco prezzo suggerito da Steve, non credo che lo forniscano.»

Aveva ragione. Il negoziante sollevò le sopracciglia nel vedere il pezzo d’oro da dieci dollari, ma non disse niente. Prese la moneta, la fece tintinnare sul ripiano di vetro della cassa, poi prese una botticina che teneva nel cassetto e sottopose la moneta alla prova dell’acido.

Io non feci commenti. In silenzio, lui mi contò i nove dollari d’argento, un mezzo dollaro, un quarto di dollaro e due monete da dieci cent. Invece di infilarmi subito in tasca le monete, io le lasciai sul banco e le sottoposi una alla volta, servendomi del suo vetro, alla stessa prova del tintinnio che aveva usato lui. Nel corso della prova, respinsi uno dei dollari.

Neanche ora fece commenti. Aveva sentito anche lui il suono sordo della presunta moneta d’argento. Aprì il tiretto, mi diede un’altra “ruota di carro” (che suonò come una campana) e mise in fondo al cassetto la moneta falsa. Poi mi girò la schiena.

Alla periferia della città, quasi a Winona, trovammo un posto abbastanza economico. Fu Margrethe a condurre la contrattazione, in spagnolo. L’uomo iniziò con la richiesta di cinque dollari. Marga invocò la Vergine Maria e tre santi come testimoni del delitto che si cercava di perpetrare contro di lei. Poi gli offrì cinque pesos.

Non capii questa manovra, perché Margrethe non aveva pesos con sé. Che volesse pagare con gli inaccettabili pesos “reali” che avevo ancora io?

Non riuscii mai a scoprirlo, perché l’uomo rispose con una richiesta di tre dollari, di più non posso, señora, Dio mi è testimone.

Si accordarono per un dollaro e mezzo; poi Marga si fece dare per un altro mezzo dollaro lenzuola pulite e una coperta; pagò il tutto con due dollari d’argento, ma chiese cuscini e federe pulite per concludere l’accordo. Li ottenne, ma il patrón chiese ancora qualcosa come portafortuna. Marga aggiunse ai due dollari una moneta da dieci cent; lui ci assicurò che la casa era nostra.

Ripartimmo l’indomani mattina alle sette, e facemmo colazione mezz’ora più tardi, a Winona, in un piccolo bar per camionisti. Sulla parete c’erano varie scritte: PAGARE IN ANTICIPO — VIETATE LE MANCE — SEI PRONTO PER IL GIORNO DEL GIUDIZIO? Il cuoco-cameriere (e proprietario, suppongo) aveva sul bancone una copia della Torre di Guardia. Gli chiesi: «Fratello, hai qualche notizia recente sulla data esatta del giudizio?»

«Non scherzi su queste cose. L’eternità è un periodo molto lungo da passare nel Pozzo.»

«Non intendevo affatto scherzare» risposi. «I segni e i portenti mi indicano che siamo già nel periodo di sette anni profetizzato nell’Apocalisse, capitolo undici, versi due e tre. Ma non so in che punto di questi sette anni ci troviamo.»

«Siamo già quasi alla fine della seconda metà» rispose. «I due testimoni stanno già profetizzando, e l’Anticristo è sulla terra. Sei in stato di grazia? Se no, ti conviene affrettarti.»

Risposi con una citazione: «Pertanto siate pronti anche voi, perché il Figlio dell’uomo giungerà nell’ora in cui non lo aspettate».

«Faresti bene a crederlo!»

«Ci credo. Grazie dell’ottima colazione.»

«Di nulla. Che il Signore vigili su di voi.» Io e Marga ci allontanammo.

Poco più tardi venimmo accolti da una coppia che ci portò fino a Wìnslow. Ci lasciarono laggiù senza farci domande e senza che noi dessimo loro informazioni: una specie di record.

Winslow è molto più grande di Winona; è una cittadina di rispettabili dimensioni, per una comunità del deserto: almeno settemila anime. Laggiù ci fu finalmente possibile fare una cosa che ci era stata suggerita, indirettamente, da Steve.

Il nostro benefattore aveva ragione: i vestiti che indossavamo non erano adatti per il deserto. Naturalmente non era colpa nostra, perché ci eravamo trovati all’improvviso in un mondo diverso. Ma in giro non c’era nessuno che portasse una giacca come la mia, e nessuna delle donne bianche da noi viste aveva un vestito di lana. Le indiane e le messicane avevano gonna e camicetta, ma le bianche portavano i jeans o gli shorts.

Inoltre, i nostri vestiti non erano adatti neppure per la città. Erano fuori moda, anacronistici come se venissero dall’inizio del secolo. Non chiedetemi perché, dato che non sono un esperto di moda, e men che mai di moda femminile. Il vestito che portavo aveva un aspetto elegante sul mio patrón, don Jaime, a Mazatlán in un altro mondo… ma su di me, nel deserto dell’Arizona di quel mondo, sembrava uno straccio.

A Winslow trovammo proprio il negozio di cui avevamo bisogno: ABITI USATI — UN MILIONE DI OCCASIONI — SOLO CONTANTI, NON SI ACCETTA LA MERCE IN RESTITUZIONE — TUTTI GLI ABITI DI SECONDA MANO SONO STATI STERILIZZATI PRIMA DI ESSERE MESSI IN VENDITA. Sopra questa scritta ce n’era un’altra, che ripeteva le stesse cose in spagnolo.

Un’ora più tardi, dopo un lungo esame della merce e alcune contrattazioni di Margrethe, eravamo vestiti per il deserto. Io avevo calzoni kaki, camicia dello stesso genere e un cappello di paglia vagamente western. Margrethe era vestita assai meno: calzoni cortissimi e strettissimi — fino a oltrepassare l’indecenza — e in alto qualcosa che era meno di un corpetto e poco più di un reggiseno. Era chiamato un “top”.

Quando vidi Marga in quel costume, le mormorai: «Ti proibisco di mostrarti in pubblico con un vestito così vergognoso».

«Caro» rispose lei «non fare il codino fin dalla mattina presto. Fa troppo caldo.»

«Non scherzo. Ti proibisco di vestirti così.»

«Alec, non mi pare di averti chiesto il permesso.»

«Mi vuoi sfidare?»

Lei trasse un sospiro. «Forse è vero. E non ne avevo l’intenzione. Hai preso il tuo rasoio?»

«Mi hai visto, mentre lo prendevo!»

«Io ti ho preso calze e mutande. Ti serve altro?»

«No, Margrethe! E smettila di cambiare discorso.»

«Caro, non ho voglia di fare discussioni in pubblico. Questo vestito ha anche una gonna, sopra gli shorts; stavo per metterla. Dammi il tempo di farlo e di pagare. Poi usciremo e ne discuteremo in privato.»

Con un diavolo per capello, feci come lei mi diceva. Avrei potuto ammettere che, grazie a Margrethe, all’uscita da quel bazar eravamo più ricchi che al nostro ingresso. In che modo? Il vestito del mio vecchio patrón, don Jaime, che su di me aveva un’aria così ridicola, pareva fatto apposta per il padrone del negozio. In effetti, l’uomo assomigliava perfino a don Jaime. Si era offerto di cambiarlo alla pari con i vestiti che mi occorrevano: calzoni, camicia e cappello.

Ma Margrethe aveva insistito per avere qualcosa di più. Aveva chiesto cinque dollari, ne aveva ottenuti due.

Quando Margrethe pagò il conto, vidi che era riuscita a fare lo stesso tipo di scambio con il suo vestito. Eravamo entrati nel negozio con $ 7,55; ne uscimmo con $ 8,80, abiti da deserto per tutt’e due, pettine, spazzolino da denti, zaino, rasoio di sicurezza e un minimo di calze e di biancheria: tutta roba di seconda mano, ma lavata e sterilizzata.

Io non sono un abile tattico, quando ci sono di mezzo le donne. Quando uscimmo dal negozio e ci avviammo lungo l’autostrada, attesi che Margrethe dicesse qualcosa… e non capii che ormai avevo perso.

Lei esordì: «Allora, caro? Che cosa volevi dirmi?»

«Uh, con la gonna, il tuo vestito è accettabile. Appena appena. Ma non devi mostrarti in pubblico con quei calzoncini. Chiaro?»

«L’ho preso perché pensavo di mettere solo i calzoncini. Se faceva caldo. Come adesso.»

«Ma, Margrethe, ti ho appena detto che…» Vidi che si stava togliendo la gonna. «Cosa fai? Mi sfidi?»

Lei la piegò accuratamente. «Posso metterla nel tuo zaino? Grazie.»

«Mi disobbedisci volutamente!»

«Ma, Alec, io non ti devo obbedire, e tu non devi obbedire a me.»

«Ma… ascolta, cara, cerca di essere ragionevole. Sai che non mi piace dare ordini. Ma la moglie deve obbedire al marito. Sei o non sei mia moglie?»

«Tu me l’hai detto. Perciò lo sono, finché non mi dirai il contrario.»

«Allora è tuo dovere obbedirmi.»

«No, Alec.»

«Ma è proprio quello, il primo dovere di una moglie!»

«Non sono d’accordo.»

«Ma… è una follia! Hai intenzione di lasciarmi?»

«No. Solo se mi chiedi di divorziare.»

«Non credo nel divorzio. Il divorzio è una cosa sbagliata. È contro le scritture.»

Lei non rispose.

«Margrethe, ti prego… rimetti la gonna.»

Lei disse a bassa voce: «Mi hai quasi persuaso, caro. Mi spieghi perché me lo ordini?»

«Perché quei calzoncini sono indecenti, senza la gonna!»

«Non vedo come un paio di calzoncini possa essere indecente, Alec. Tutt’al più, può esserlo una persona. Intendi dire che io sono indecente?»

«Uh… hai rovesciato il senso delle mie parole. Quando indossi quei calzoncini, in pubblico, senza la gonna, mostri una tale porzione del tuo corpo che lo spettacolo è indecente. In questo momento, su questa autostrada, le tue gambe sono perfettamente visibili… dalle persone su quell’automobile, per esempio. Ti hanno vista. Mi sono accorto che ti fissavano!»

«Bene. Spero di essergli piaciuta.»

«Cosa?»

«Tu mi dici sempre che sono bella. Ma potresti essere prevenuto a mio favore. Mi auguro che il mio aspetto piaccia anche ad altri uomini.»

«Cerca di essere seria, Margrethe; parlavo della tua nudità. Nudità.»

«Ti riferisci alle mie gambe. Sono nude, certo. Preferisco non avere niente addosso, quando fa caldo. Perché aggrotti la fronte? Ho le gambe brutte?»

(No!) «Hai delle gambe bellissime, cara. Te l’ho detto infinite volte. Ma non intendo condividere la tua bellezza con altri.»

«La bellezza non si consuma, a guardarla. Torniamo al nostro discorso, Alec. Mi spiegavi perché le mie gambe sono indecenti. Sempre che tu sia in grado di spiegarlo. E non credo che tu possa farlo.»

«Margrethe, la nudità è indecente di per se stessa. Ispira pensieri osceni.»

«Davvero? La vista delle mie gambe è sufficiente a farti venire un’erezione?»

«Margrethe!»

«Alec, piantala di fare il codino! Ti ho fatto una semplice domanda.»

«Una domanda poco decorosa.»

Lei sospirò. «Non vedo come questa domanda possa essere poco decorosa tra marito e moglie. E non ammetterò mai che le mie gambe siano indecenti. O che la nudità sia indecente. Centinaia di persone mi hanno vista nuda…»

«Margrethe!»

Lei fece la faccia sorpresa. «Lo sai benissimo.»

«Non lo sapevo, e adesso sono sbigottito, nel sentirlo.»

«Davvero, caro? Eppure, sai che sono un’ottima nuotatrice.»

«Che c’entra? Anch’io sono un ottimo nuotatore, ma non faccio il bagno nudo; porto il costume.» (Solo allora mi venne in mente la piscina della Konge Knut… naturalmente il mio amore era abituata a nuotare nuda. All’improvviso, non seppi più cosa dire.)

«Oh, certo, ho visto quel genere di costumi a Mazatlán e in Spagna. Ma, caro, stiamo di nuovo divagando. Il problema è più vasto. Non riguarda solo le mie gambe nude, il bacio d’addio a Steve e se ti debba obbedienza o no. Il fatto è che tu vuoi farmi essere quella che non sono. Io voglio essere tua moglie per molti anni, per tutta la vita… e anche dopo, se si avvicina davvero la fine del mondo. Ma, caro, io non sono una bambina e non sono una schiava. Dato che ti amo, sono lieta di ascoltarti. Ma non intendo obbedire a un ordine solo perché sono una moglie.»

Potrei dire a questo punto che vinsi la sua ostinazione con la forza della mia oratoria. Sì, potrei dirlo, ma non sarebbe vero. Stavo ancora cercando una risposta, quando un’automobile rallentò e si fermò accanto a noi. Sentii un fischio del genere chiamato “fischio del lupo”. L’auto si fermò davanti a noi. «Vi serve un passaggio?» chiese qualcuno.

«Sì!» rispose Margrethe, e corse verso la vettura. Volente o nolente, dovetti seguirla anch’io.

Era una station wagon con una donna al volante e un uomo sul sedile del passeggero. Tutt’e due avevano all’incirca la mia età. Lui aprì la portiera posteriore. «Salite!»

Aiutai Margrethe a salire, la seguii e chiusi la portiera. «C’è abbastanza posto?» chiese l’uomo. «Altrimenti, buttate quella roba per terra. Non usiamo mai il sedile posteriore, e finisce che la roba si accumula. Noi siamo Clyde e Bessie Bulkey.»

«Lui è Bulkey, io ho solo qualche chilo in più» disse lei, giocando sul fatto che Bulkey si pronuncia come bulky, che significa “massiccio”.

«A questo punto dovreste ridere» disse il marito. «Mi pare d’avere già sentito questa battuta.» Lo guardai meglio: era un tipo dall’aria allegra, ed era veramente massiccio; il genere di uomo che, dopo avere fatto sport in gioventù, quando finisce di tenersi allenato mette su chili. La moglie non era grossa come il marito, ma qualche chilo di troppo lo aveva anche lei.

«Felicissimi di fare la vostra conoscenza, signori Bulkey. Noi siamo Margrethe e Alec Graham. Grazie del passaggio.»

«Bando alle formalità, Alec» disse lei. «Dove state andando?»

«Bessie, per piacere, tieni d’occhio la strada.»

«Clyde, se non ti piace come guido questa baracca, puoi metterti tu al volante.»

«No, no, guidi benissimo!»

«Zitto, allora, o ti mollo il mio posto. Allora, Alec?»

«Dobbiamo andare in Kansas.»

«Oh! Non arriviamo fino laggiù; a Chambers giriamo a nord. Facciamo solo una parte della vostra strada, 140 chilometri. Ma siete i benvenuti. Cosa vai a fare nel Kansas?»

(Cosa andavo a fare nel Kansas? Aprire una gelateria… convertire la mia amata moglie… prepararmi per il giudizio…) «Vado a lavare piatti.»

«Mio marito è troppo modesto» disse tranquillamente Margrethe. «Vorremmo aprire una piccola tavola calda in una cittadina universitaria. Ma prima di arrivare a tanto, è probabile che dovremo lavare dei piatti. O fare un altro lavoro qualsiasi.»

Perciò spiegai quel che ci era successo, con varianti e omissioni per eliminare le parti incredibili. «Il ristorante è stato spazzato via, i nostri soci messicani sono morti, e noi abbiamo perso tutto quello che avevamo. Parlavo di lavare i piatti perché è uno dei lavori più facili da trovare. Ma qualsiasi altro lavoro fa lo stesso.»

Clyde si girò verso di noi e disse: «Alec, con questo atteggiamento, ti ritroverai in piedi in un battibaleno».

«Abbiamo perso del denaro, tutto qui» dissi io. «Ma siamo ancora abbastanza giovani per ricominciare.» Sapevo perché si era voltato: per guardare Margrethe. Io avrei voluto dirgli di guardare sua moglie e non la mia, ma non potevo farlo, date le circostanze. Inoltre, era chiaro che i signori Bulkey non vedevano niente di male nell’abbigliamento del mio bene; la signora era vestita come lei, anche di più. Ossia, di meno. Meno costume, più pelle nuda. Devo ammettere, anche, che pur non essendo l’immortale bellezza che è Margrethe, si difendeva benissimo.

Giunti al Deserto Dipinto ci fermammo, scendemmo dalla vettura e sostammo ad ammirare quella bellezza naturale pressoché incredibile. Io l’avevo già visto una volta, prima di allora; Margrethe, che non l’aveva mai visto, rimase senza fiato. Clyde mi disse che si fermavano sempre, anche se l’avevano già visto centinaia di volte.

Mi correggo: l’avevo visto… in un altro mondo. Il Deserto Dipinto tendeva a dimostrare quel che sospettavo: non era la Madre Terra a trasformarsi, in quegli incredibili cambiamenti, ma l’uomo e le sue opere… e anche queste solo parzialmente. Ma l’unica spiegazione possibile mi ricordava un po’ troppo la paranoia.

Clyde ci offrì gli hot dogs e le bibite, senza lasciare che pagassi io. Quando risalimmo in macchina, si mise lui al volante e invitò Margrethe a sedersi davanti. A me la cosa non garbava molto, ma non potei dire niente, perché Bessie commentò subito: «Povero Alec! Devi sorbirti la vecchia carampana. Ma non prendertela, caro: mancano soltanto quaranta chilometri al bivio per Chambers; meno di venti minuti, come guida Clyde».

Quella volta, però, ce ne mise trenta. Ma poi restò con noi finché non trovammo un passaggio per Gallup.

Raggiungemmo Gallup nel primo pomeriggio. Nonostante gli otto dollari e ottanta cent che avevamo in tasca, pareva giunto il momento di cercare qualche piatto sporco. Gallup ha più alberghi che indiani, e quasi tutti hanno il ristorante. Ne visitai una decina prima di trovarne uno sprovvisto di lavapiatti.

Quattordici giorni più tardi eravamo a Oklahoma City. Se vi pare che il viaggio sia stato lento, avete ragione: sono meno di ottanta chilometri al giorno. Ma erano successe molte cose, e io diventavo sempre più paranoico: c’era stato un cambio di mondo dopo l’altro, ed era sempre caduto in modo da causarmi il massimo danno.

Mai visto un gatto giocare con il topo? Il topo non ha possibilità di scampo. E, se ha un po’ d’intelligenza — sia pure la poca che il buon Dio dà ai topi — lo sa. Eppure, il topo continua a cercare di fuggire… e viene ricacciato indietro ogni volta.

Io ero come il topo.

Ossia, noi eravamo i topi, perché Margrethe era con me.

Esempio: avevo pensato che anche se la moneta cartacea perdeva di valore dopo il passaggio a un altro mondo, le monete d’oro e argento dovevano rimanere negoziabili, anche solo come valore del metallo. Perciò, tutte le volte che potevo mettere le mani su una moneta d’argento, cercavo di tenerla.

Alec, sei davvero intelligente.

Perciò, il terzo giorno da noi trascorso a Gallup, io e Marga andammo a fare un sonnellino in una stanza lasciata a nostra disposizione perché io lavavo i piatti e Margrethe puliva le camere. Non intendevamo addormentarci, volevamo soltanto riposare un po’ prima di mangiare; la giornata era stata lunga. Ci stendemmo sopra le coperte.

Cominciavo ad assopirmi leggermente, quando sentii qualcosa di duro che mi premeva contro la schiena. Erano i dollari d’argento che avevamo messo da parte: nel girarmi, mi erano usciti di tasca. Perciò li presi, vi aggiunsi qualche monetina e li posai sul comodino, a pochi centimetri dalla mia testa, poi ripresi a sonnecchiare.

Quando mi svegliai, era buio.

In un attimo fui del tutto desto. Margrethe dormiva ancora sul mio braccio. La scossi leggermente. «Cara. Svegliati.»

«Mmrrff?»

«È tardi. Forse non siamo più in tempo per la cena.»

Lei si destò subito. «Accendi la lampada sul comodino.»

Io cercai a tastoni l’interruttore, e per poco non caddi dal letto. «Non trovo più quel maledetto coso. È buio pesto. Aspetta, accendo la luce centrale.»

Uscii con cautela dal letto, mi diressi verso la porta, inciampai in una sedia, non trovai la porta, cercai ancora e alla fine, brancolando, riuscii ad accendere la luce.

Per un lungo istante, entrambi rimanemmo stupiti e non fummo in grado di parlare. Alla fine dissi, senza che ce ne fosse bisogno: «L’hanno fatto di nuovo».

La stanza aveva l’aspetto anonimo di tutte le stanze degli alberghi economici. Però, in tanti piccoli particolari era diversa da quella in cui ci eravamo addormentati.

E i dollari d’argento da noi risparmiati erano spariti.

Tutto era sparito, tranne gli abiti che avevamo addosso: zaino, biancheria di ricambio, pettine, rasoio. Controllai, ma non trovai niente.

«Allora, Marga, cosa facciamo?»

«Quello che lei comanda, signore.»

«Mmm. In cucina non mi riconosceranno. Ma potrebbero lasciarmi lavare i piatti.»

«O potrebbero avere bisogno di una cameriera.»

Non avevo la chiave della porta: perciò, nell’uscire, la lasciai socchiusa. Davanti a me, scorsi il parcheggio e una baracca con la scritta al neon «MDRV» ufficio. Il solito aspetto dei motel, tranne che era diverso da quello dove lavoravamo. Nel nostro, a fianco dell’ufficio c’era il ristorante.

Sì, come temevo, c’eravamo persi la cena.

E così pure la colazione, perché quel motel era privo anche del bar.

«Allora, Margrethe?»

«Da che parte si trova il Kansas?»

«Da quella parte… mi pare. Ma abbiamo due scelte: rientrare nella stanza e dormire fino a domani, oppure raggiungere l’autostrada e cercare un passaggio. Anche se è buio.»

«Alec, io ne vedo una sola. Se torniamo a dormire, domattina saremo nella stessa situazione in cui ci troviamo ora, e avremo solo più fame. Anzi, potremmo correre dei rischi, se ci trovassero in una camera che non abbiamo pagato.»

«Ho lavato una montagna di piatti!»

«Sì, ma non in questo mondo. Qui potrebbero chiamare la polizia.»

Ci avviammo verso l’autostrada.


Quanto precede è un tipico esempio della persecuzione di cui fummo oggetto nel viaggio verso il Kansas. Sì, ho detto “persecuzione”. Se la paranoia consiste nel credere che il mondo che ci circonda sia una congiura contro di noi, io ero paranoico. Ma doveva essere una paranoia “sana” (scusate il bisticcio), altrimenti, pazzo com’ero, avrebbero dovuto chiudermi da tempo in manicomio.

Era già mezzogiorno passato, quando riuscimmo a trovare qualcosa da mangiare, e a quel punto cominciavo a vedere diavoli e fantasmi dove le persone normali vedevano solo polvere agitata dal vento. Inoltre, il mio cappello era finito a far compagnia alle belle dame dei tempi passati, e il sole del New Mexico che mi batteva sulla testa non contribuiva a migliorare la mia situazione mentale.

Un gruppo di muratori provenienti da un cantiere ci portò fino a Grants e ci invitò a pranzo prima di ritornare al lavoro. Io sarò pazzo, ma non sono scemo: della corsa e del pasto dovevamo ringraziare il fatto che Margrethe in calzoncini indecenti è uno spettacolo che richiama l’attenzione degli uomini. Riflettei molto sulla cosa, mentre assaporavo (e come!) il pasto che ci era stato offerto. Ma tenni per me le conclusioni.

Quando fummo di nuovo soli, chiesi a Margrethe: «Est?»

«Sì, signore. Ma prima vorrei controllare in biblioteca, se ce n’è una.»

«Oh, certo!» Prima, nel mondo di Steve, la mancanza di viaggi aerei mi aveva fatto sospettare che fosse il mondo di Margrethe (e di conseguenza anche quello di “Alec Graham”). A Gallup avevamo fatto ricerche nella biblioteca pubblica: io avevo cercato in una storia d’America e Margrethe in una della Danimarca. In cinque minuti avevo scoperto che il mondo di Steve non era quello di Marga: nel 1896, al posto di Bryan era stato eletto Arthur Sewall. Non avevo avuto bisogno d’altro: di lì in poi, avevo trovato una serie di presidenti e di guerre che non conoscevo.

Anche Margrethe aveva finito le sue indagini: mi ero accorto che storceva il naso per l’indignazione.

Quando eravamo giunti all’esterno, e avevamo potuto riprendere a parlare, le avevo chiesto che cosa la preoccupasse. «Questo non è il tuo mondo, cara. Me ne sono accertato.»

«Ah, di sicuro non lo è!»

«Ma finora non ne eravamo certi. Non era sufficiente l’assenza di voli aerei.»

«Sono contenta che non sia il mio mondo! Alec, qui la Danimarca fa parte della Svezia. Non è terribile?»

Confesso che non capivo la ragione di tanto sdegno. Tutt’e due sono paesi scandinavi, molto simili… o, almeno, così mi pareva.

«Mi dispiace, cara» le avevo detto. «Non ne so molto, di queste cose.» (Ero stato a Stoccolma, una volta, e il posto mi era piaciuto. Ma non mi era parso il momento adatto per dirlo a Margrethe.)

«E quello stupido libro dice che Stockholm è la capitale e che Carlo sedicesimo è il re. Alec, quell’uomo non ha nelle vene neppure una goccia di sangue reale! E adesso mi vengono a dire che è il mio re!»

«Ma, cara» avevo osservato io «non è il tuo re. Questo non è neppure il tuo mondo.»

«Lo so. Senti, Alec. Se dovessimo fermarci qui… se il mondo non cambiasse più… non potrei chiedere la cittadinanza americana?»

«Be’, sì, suppongo di sì.»

Lei trasse un lungo sospiro. «Non voglio essere svedese.»

Io non dissi niente. In certe cose non potevo assolutamente darle aiuto.


Perciò, mentre eravamo a Grant, andammo di nuovo in una biblioteca pubblica per vedere come fosse cambiato il mondo. Poiché non avevamo visto né aeroplanos né dirigibili, c’era di nuovo la possibilità che ci trovassimo nel mondo di Margrethe. Questa volta guardai per prima la voce “Aeronautica” e non trovai dirigibili, ma trovai macchine volanti… inventate dal brasiliano dottor Alberto Santos-Dumont all’inizio del secolo: il fatto curioso era che nel mio mondo Santos-Dumont era un pioniere dei dirigibili, secondo solo a Zeppelin. Ma, a quanto pareva, gli aerodini del dottore brasiliano erano assai primitivi, a paragone dei jet e anche degli aeroplanos; parevano curiosità, più che veicoli commerciali. Passai poi alla storia americana, e per primo cercai William Jennings Bryan.

Non riuscii a trovarlo. Be’, già sapevo che quello non era il mio mondo.

Ma Marga era felice come una pasqua, e non vedeva l’ora di parlarmi. «In questo mondo, la Scandinavia è un’unica grande nazione… e la sua capitale è Kbenhavn!»

«Oh, bene!»

«Il figlio della regina Margrethe, principe Frederik, è stato incoronato re con il nome di Eric Gustav… senza dubbio per far piacere agli stranieri. Ma è della vera famiglia reale danese, ed è danese dalla pianta dei piedi alla cima dei capelli. Così deve essere!»

Cercai di dimostrarmi lieto anch’io. Non avevamo un cent fra tutt’e due, non sapevamo dove andare a dormire quella notte, ma lei era felice come una bambina… per una cosa che, a parer mio, non aveva alcuna importanza.

Con due brevi autostop arrivammo ad Albuquerque e mi parve consigliabile fermarci laggiù per qualche tempo — è una grossa città — anche a costo di rivolgerci all’Esercito della Salvezza. Ma presto trovai lavoro come lavapiatti al locale hotel della catena Holiday Inn, e Margrethe vi entrò come cameriera.

Lavoravamo da meno di due ore, quando Margrethe entrò in cucina e mi infilò un oggetto nella tasca posteriore dei calzoni, mentre io ero chino su un lavello. «Un regalo per te, caro.»

Mi girai verso di lei. «Grazie, bella.» Controllai in tasca: un rasoio di sicurezza, del tipo da viaggio, con il manico svitabile; rasoio e lame entrano in una scatola di pochi centimetri di lato, da portare in tasca. «Dove l’hai rubato?»

«L’ho preso con le prime mance. Nel negozio di profumeria dell’atrio. Caro, al primo intervallo, fatti la barba.»

«Lascia che ti spieghi una cosa, bambola. Sei tu quella che viene assunta per la bella presenza. Io sono assunto per la mia schiena robusta, la mente debole e la disposizione docile. I padroni non si curano del mio aspetto.»

«Ma io sì.»

«Il tuo desiderio è un ordine. Adesso vattene. Mi rallenti la produzione.»

Quella sera Margrethe mi spiegò perché mi avesse regalato un rasoio prima di ogni altra cosa. «Caro, non è solo perché preferisco vederti rasato e con i capelli corti… anche se è vero. Questi scherzi di Loki non accennano a finire, e ogni volta dobbiamo cercarci immediatamente un lavoro, solo per mangiare. Tu dici che nessuno bada all’aspetto di un lavapiatti, ma io ti dico che se hai l’aspetto in ordine è più facile farti assumere per qualsiasi lavoro.

«Inoltre» proseguì «c’è anche un altro motivo. A causa di questi cambiamenti ti sei fatto crescere la barba almeno cinque volte; una delle volte, per più di tre giorni. Caro, quando hai la barba fatta, hai un’aria felice, e fai felice anche me.»

Margrethe mi fabbricò una specie di cintura portamonete — una tasca di tela, legata a due strisce — e mi ordinò di portarla anche a letto. «Caro, ogni volta che c’è stato uno spostamento, abbiamo perso tutto quello che non portavamo addosso. Adesso voglio che tu infili in questa tasca il rasoio e tutte le nostre monete, quando ti spogli per venire a letto.»

«Non credo che potremo vincere le astuzie di Satana così facilmente» obiettai.

«Forse no, ma possiamo tentare di farlo. Ogni volta, alla fine della trasformazione, ci siamo trovati con solo gli abiti che avevamo addosso e con le cose che avevamo in tasca. Sembra che siano queste le regole.»

«Il caos non ha regole.»

«Forse questo non è il caos. Alec, se non vuoi portare tu la tasca, posso portarla io.»

«Oh, la porterò io. Non impedirà a Satana di portarci via tutto, se lo vorrà. E in realtà la cosa non mi preoccupa eccessivamente. Una volta ci ha gettati nel Pacifico nudi come siamo nati, e ne siamo usciti fuori lo stesso… ricordi? Invece, la cosa che mi preoccupa è un’altra. Marga, hai notato che ogni volta che c’è stato un cambiamento eravamo uniti e che, come minimo, ci tenevamo per mano?»

«Sì, l’ho notato.»

«Il cambiamento avviene sempre in un batter d’occhio. Che cosa succederebbe se non fossimo insieme e non fossimo in contatto?»

Margrethe non rispose, e dopo qualche istante ripresi la parola io. «Appunto. La cosa preoccupa anche me. Ma non possiamo essere sempre in contatto come i gemelli siamesi. Dobbiamo lavorare. Mia cara, Satana o Loki o chiunque ci gioca questi tiri, può separarci per sempre scegliendo un qualsiasi istante in cui siamo lontani.»

«Alec?»

«Sì?»

«Loki avrebbe potuto farlo in qualsiasi momento, già da tempo. E non è successo.»

«Certo, ma potrebbe succedere tra un istante.»

«Sì. Ma potrebbe anche non succedere mai.»


Proseguimmo il viaggio, e incappammo in altri cambiamenti. Le precauzioni di Margrethe parvero davvero funzionare… anche se una volta funzionarono fin troppo bene; per poco non fui condannato a una pena detentiva per possesso illegale di monete d’argento. Ma un rapido cambiamento (il più rapido che avessimo visto) eliminò l’accusa, le prove e i testimoni a carico. Ci trovammo in una corte di giustizia che non conoscevamo e fummo allontanati immediatamente perché non avevamo il biglietto per assistere alle udienze.

Ma il rasoio rimase sempre con me; nessun poliziotto, marshal o sceriffo volle mai sequestrarmelo.

Viaggiavamo con i nostri soliti sistemi (il mio pollice e le gambe mozzafiato di Margrethe; da tempo mi ero rassegnato all’inevitabile) e un camionista che aveva lasciato la 66 per dirigersi a nord lungo una stradina laterale ci aveva portati in una graziosa parte del… del Texas, doveva essere.

Eravamo usciti dal deserto e ci trovavamo in una zona di basse colline verdi. Era una bellissima giornata, ma eravamo stanchi, affamati, sudati e sporchi, perché i nostri persecutori — Satana o chi per lui — avevano voluto superare se stessi: tre cambiamenti in meno di trentasei ore.

In un solo giorno avevo ottenuto due posti da lavapiatti nello stesso locale della stessa città… e non avevo incassato un soldo. È difficile farsi pagare dalla Lonesome Cowboy Steak House quando essa si trasforma, davanti ai tuoi occhi, nel Vivian’s Grill. Idem tre ore dopo, quando il Vivian’s Grill si trasformò in un salone di macchine usate. L’unica buona cosa di questi cambi fu che per fortuna (o a bella posta?) Margrethe era sempre con me nel momento in cui avvenivano: una volta era venuta a prendermi e aspettava accanto a me che il padrone mi facesse il conto delle ore, l’altra lavoravamo insieme.

Il terzo cambiamento ci derubò dell’ospitalità per la notte, già pagata dal lavoro di Margie.

Ecco perché, una volta scesi dal camion, eravamo stanchi, sporchi e affamati e la mia paranoia era giunta a un nuovo record d’intensità.

Percorso qualche centinaio di metri, ci trovammo accanto a un dolce, piccolo torrente: una vista che nel Texas è quanto mai gradita. Ci fermammo sul ponticello che lo attraversava. «Margrethe, che ne diresti di passare a guado?»

«Caro, intendo fare qualcosa di più che attraversarlo a guado. Intendo farci il bagno.»

«Hmm… passa sotto la rete, risali la corrente di una cinquantina di metri, e nessuno ci vedrà dalla strada.»

«Caro, per quello che me ne importa, possono mettersi in fila ad applaudire; io voglio fare un bagno. E… l’acqua sembra pulita. Pensi che si possa berla?»

«Penso di sì, se si risale un poco la corrente. Abbiamo sempre corso rischi peggiori, da quando siamo stati colpiti dall’iceberg. Ora, se solo avessimo qualcosa da mangiare… per esempio, il tuo gelato alla cioccolata. O preferisci due uova strapazzate?» Sollevai la rete perché Margrethe vi passasse sotto.

«Ti accontenteresti di una barretta di cioccolato alla nocciola?»

«Preferirei cioccolato fondente, se proprio dovessi dire.»

«Temo che tu non possa avere molta voce in capitolo. C’è solo alla nocciola.» Sollevò la rete perché passassi io.

«Forse è meglio non parlare di cibi che non abbiamo» dissi. Strisciai sotto la rete e nel raddrizzarmi aggiunsi: «A questo punto, mangerei perfino una puzzola cruda».

«Cibi che abbiamo, mio caro. Ho una tavoletta di cioccolata nella borsa.»

Io mi fermai all’improvviso. «Se è uno scherzo, donna, rischi di prenderle.»

«Non scherzo.»

«Nel Texas è permesso battere la moglie con un bastone non più grosso del dito pollice.» Le mostrai il dito. «Ne vedi in giro uno della giusta dimensione?»

«Te lo cercherò.»

«Dove hai preso il cioccolato?»

«In quel bar dell’autostrada, dove il signor Fascelli ci ha offerto il caffè e le brioche.»

Il signor Fascelli era stato il penultimo a darci un passaggio, prima del camionista che ci aveva lasciato laggiù. Nelle ultime ventiquattr’ore avevamo mangiato solo due piccole brioche e il caffè con zucchero e crema.

«La battitura è rinviata a un’altra occasione. Donna, se l’hai rubata, me ne parlerai un’altra volta. Hai davvero una tavoletta di cioccolato? O è una mia allucinazione?»

«Alec, pensi che possa rubare una tavoletta di cioccolato? L’ho presa al distributore a gettone mentre tu e il signor Fascelli eravate alla toilette.»

«E come hai fatto? Non abbiamo soldi di questo mondo.»

«No, Alec, ma avevo ancora una moneta da dieci cent, di quelle di due mondi fa. Naturalmente, la moneta non era buona, parlando con rigore. Ma non mi pareva che ci fosse alcun pericolo, se la macchina l’avesse accettata. E l’ha accettata. Poi ho messo via il cioccolato, prima che arrivaste voi due, perché non avevo altre due monetine e non potevo offrirne anche a voi. Ho fatto male a servirmi di quella monetina falsa?»

«È una questione tecnica in cui non voglio entrare… purché mi venga data la mia parte del corpo del reato. E questo mi rende altrettanto colpevole. Uh… mangiamo, prima, oppure facciamo prima il bagno?»

Prima mangiammo, e poi ci lavammo, schizzandoci e ridendo: fu uno dei momenti più piacevoli della nostra vita. Margrethe aveva una saponetta nella borsa, e io fornii l’asciugamano: la mia camicia. Per prima asciugai Margrethe, poi mi asciugai a mia volta; l’aria asciutta e calda terminò l’opera.

Quel che accadde in seguito fu inevitabile. In tutta la mia vita non avevo mai fatto l’amore all’aperto, tanto meno di giorno. Fino a quel momento pensavo di esserne psicologicamente incapace, ma mi accorsi con stupore che la cosa non mi imbarazzava affatto.

Inoltre, in tutta la mia vita non avevo mai dormito nudo sull’erba. Penso che dormimmo per circa un’ora.

Quando ci svegliammo, Margrethe insistette per farmi la barba: io non potevo radermi bene, perché ero senza specchio, ma lei non aveva problemi, e cominciò a farmi la barba con la sua solita efficienza. Eravamo nell’acqua fino al ginocchio; io feci un po’ di schiuma e me la passai sulla faccia, lei prese il rasoio.

«Ecco» disse, alla fine, e mi diede un bacio di conferma. «Sei a posto. Adesso, sciacquati; anche le orecchie. Io recupero la tua camicia.»

Salì sull’argine, mentre io mi chinavo sull’acqua e mi sciacquavo.

«Alec…»

«Non ti sento; ho la doccia aperta!»

«Per favore, caro!»

Raddrizzai la schiena, mi levai l’acqua dagli occhi, mi guardai attorno.

Tutto quel che possedevamo era sparito, escluso solo il rasoio.

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