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E continuai a cadere.

Per un uomo moderno, uno degli aspetti più inquietanti dell’eternità sta nel doversi abituare all’aspetto sfuggente del tempo. Senza orologi e senza calendari, senza alternanza del giorno e della notte, senza fasi della luna, senza stagioni, il tempo diventa un elemento soggettivo e la domanda: “Che ora è?” una questione di opinione.

Penso di essere caduto per più di venti minuti; non credo di essere caduto per più di venti anni.

Ma non scommetterei né su una cifra né sull’altra.

Intorno a me, non avevo assolutamente nulla da vedere, neppure la Città Celeste che svaniva in lontananza.

All’inizio, tanto per passare il tempo, cercai di ricordarmi dei momenti felici della mia vita… e scoprii che quei ricordi mi rattristavano. Allora pensai ai momenti tristi, e la cosa fu ancor peggio. Alla fine mi addormentai. Almeno credo.

La prima prova del fatto che mi stavo avvicinando all’inferno mi venne dall’odore. Uova marce. Acido solfidrico, idrogeno solforato. L’odore dello zolfo che brucia.

Non era in concentrazioni mortali, ma la cosa non mi consolava molto, perché tutti coloro che arrivavano laggiù, a respirare quel gas, erano già morti. Ma non io. La letteratura parla di altri viventi che sono stati all’inferno: Dante, Enea, Ulisse, Orfeo. Ma non sono tutte fantasie? Avevo l’impressione di essere veramente il primo che andasse all’inferno ancora in vita.

E per quanto tempo sarei sopravvissuto? Una volta toccata la superficie di fiamma del Lago… psst! e di me sarebbe rimasto solo un filo di fumo? In tal caso, il mio gesto donchisciottesco non sarebbe servito a niente.

Forse avrei fatto meglio a rimanere in Cielo e a contrattare. Forse, un santo in regolare aureola che faceva una manifestazione di protesta davanti al Trono sarebbe riuscito a far derogare Dio dalla sua decisione… e la decisione era certo sua, essendo N.S. Dio Geova, appunto, onnipotente.

Un po’ tardi per pensarci, ragazzo! Non vedi già il bagliore rossastro sotto di te?

Ora potevo scorgere il famoso Pozzo: era il cratere di un enorme vulcano. Le sue pareti erano alte chilometri e chilometri, ma le fiamme e la lava erano ancora a grande distanza da me.

Però, si avvicinavano in fretta. Come stai, oggi, a miracoli, sant’Alec? Sei passato sui carboni senza bruciarti; pensi di farcela anche adesso? Fra circa tre secondi ti trasformerai in una nuvoletta di fumo, ma consolati: non dovrai più temere che i tuoi peccati ti mandino all’inferno, perché sei già all’inferno! “Addio, Marga! Mi spiace di non averti potuto offrire quel gelato. Satana, accogli la mia anima; Gesù è un crumiro…”


Mi acchiapparono come una farfalla: con una rete. Ma quella farfalla avrebbe dovuto avere ali d’amianto, per essere salvata come me: avevo già i calzoni che fumavano. Quando mi ebbero posato sull’argine, mi gettarono un secchio d’acqua sulle gambe.

«Firma questa ricevuta.»

«Che ricevuta?» Mi alzai e guardai le fiamme.

«Qui.» Una mano mi tendeva un foglio di carta; un’altra mano mi mostrava una penna.

«Perché dovrei firmare?»

«È obbligatorio. Dichiara che ti abbiamo salvato dal Pozzo ardente.»

«Prima di firmare qualcosa, voglio sentire un avvocato.» L’ultima volta che avevo firmato un foglio simile, avevo dovuto lavare piatti per quattro mesi. Adesso non avevo tempo da perdere; dovevo cercare Margrethe.

«Non fare l’idiota. Vuoi che ti ributtiamo là dentro?»

Un’altra voce intervenne: «Piantala, Bert. Digli la verità».

(“Bert?” Ecco perché quella voce mi era parsa familiare!) «Bert! Che cosa ci fai, qui?» Il mio amico d’infanzia, quello che condivideva i miei gusti letterari: Verne e Wells… “spazzatura”, l’aveva chiamata fratello Draper.

L’uomo che aveva parlato per primo mi guardò con maggiore attenzione. «Che mi prenda un accidente! Hergensheimer!»

«In carne e ossa.»

«Per la dannazione eterna, non sei cambiato molto. Rod, metti di nuovo fuori la rete; non abbiamo pescato quello giusto. Alec, ci hai fatto perdere un bel premio; dovevamo acchiappare sant’Alexander.»

«San chi?»

«Alexander. Un somaro santissimo che è venuto a fare un po’ di turismo tra noi sottosviluppati. Dio solo sa perché non ha preso un 747; di solito, quel genere di pezzi grossi non arriva qui al Pozzo. Comunque, tu ci hai fatto perdere un buon cliente, arrivando al posto suo… e ci devi pagare per lui.»

«E quel prestito che mi devi ancora rendere?»

«Ragazzo mio, che memoria! È caduto in prescrizione.»

«Fammelo leggere sul codice del diritto infernale. Comunque, la prescrizione non si applica; non mi hai mai risposto quando ti ho chiesto di pagare. Cinque dollari, all’interesse del sei per cento, capitalizzati ogni tre mesi, per… quanti anni?»

«Ne parliamo dopo, Alec. Devo cercare di prendere questo santo.»

«Bert.»

«Dopo.»

«Ti ricordi il mio nome per intero?»

«Alexander! Oh, no, non può essere! Come, per poco non ti hanno bocciato in quella scuola di Bibbia, dopo che eri scappato via dal politecnico.» Non riusciva a crederci. «La vita non può essere così ingiusta.»

«Il Signore si muove in modo misterioso, quando fa i suoi miracoli» citai. «Ti presento sant’Alexander, Bert. Vuoi la mia benedizione? Invece di darti la mancia, intendo dire.»

«Accettiamo solo contanti. E, poi, non ci credo.»

«Io ci credo» lo interruppe l’altro uomo, quello che Bert aveva chiamato “Rod”. «E accetterò con piacere la tua benedizione; non sono mai stato benedetto da un santo, finora. Bert, sullo schermo a lunga portata non si vede niente, e sai che per questo turno era previsto un solo arrivo balistico, perciò deve davvero essere sant’Alexander.»

«Impossibile, Rod, conosco questo tizio. Se lui è un santo, io sono una scimmia verde…» Dal cielo senza nubi scaturì un fulmine. Quando Bert si rialzò, i vestiti gli andavano larghi, ma lui non ne aveva più bisogno, dato che era coperto di pelo verde.

La scimmia mi guardò con irritazione. «Sono scherzi da fare a un vecchio amico?»

«Bert, non sono stato io. Almeno, è stata una cosa involontaria. Dove sono io, capita sempre qualche miracolo; non lo faccio apposta.»

«Tutte scuse. Se fossi sicuro di avere la rabbia, ti darei un morso.»


Venti minuti dopo, eravamo seduti a un tavolino di un bar sul lungolago, a bere birra e ad attendere l’arrivo di una taumaturga che aveva esperienza di forme e aspetti. Avevo appena terminato di raccontare perché fossi all’inferno. «Perciò» conclusi «devo trovarla. Prima voglio controllare nel Pozzo ardente; se lei è dentro, non c’è davvero un minuto da perdere.»

«No, non è lì dentro» disse Rod.

«Uh, spero che tu lo dica a ragion veduta. Come fai ad affermarlo?»

«Non c’è mai nessuno nel Pozzo. Sono tutte balle per tenere in riga i buzzurri. Certo, un mucchio di noi poveri coglioni arriva balisticamente, e una parte finiva sempre nel Pozzo, prima che il direttore istituisse il servizio di guardia di cui facciamo parte io e Bert. Ma cadere nel pozzo non fa male a nessuno… a parte mettergli una fifa terribile. Brucia, naturalmente, e chi ci finisce dentro schizza fuori ancor più in fretta di quando c’è entrato. Ma non subisce danni. Anzi, il bagno nel fuoco gli toglie tutte le allergie, se ne ha.»

(Nel Pozzo non c’era nessuno? Che disdetta per tutti i predicatori che campavano minacciando le fiamme dell’inferno! Ma non ero lì per discutere l’escatologia con quelle due anime dannate: ero lì per cercare Marga.) «Il “direttore” di cui parli è un eufemismo per definire il Vecchio Zoppo?»

La scimmia (cioè Bert) esclamò: «Se intendi dire Satana, dillo chiaramente!»

«Intendo dire lui.»

«No. Il signor Ashmedai è il direttore della città; Satana non fa niente. E perché poi dovrebbe farlo? È il padrone del pianeta.»

«Perché, questo è un pianeta?»

«Cosa credi che sia, una cometa? Guarda quella vetrina, com’è lucida! Il più bel pianeta della Galassia. E il più pulito. Niente serpenti. Niente scarafaggi. Niente pulci. Niente ortiche. Niente agenti del fisco. Niente topi. Niente predicatori. Solo due avvocati.»

«A sentirti, si direbbe che è il paradiso.»

«Mai stato lassù. Hai detto che ne sei uscito appena adesso; spiegaci tu com’è.»

«Be’… il Cielo è un ottimo posto, se siete angeli. Non è un pianeta; è una piattaforma artificiale, come Manhattan. Ma non sono qui per parlare male del Cielo: sono qui per cercare Marga. Devo vedere questo signor Ashmedai? O è meglio che vada direttamente da Satana?»

La scimmia cercò di fischiare, ma riuscì solo a emettere uno squittio da topo. Rod scosse la testa. «Sant’Alec, tu sei una continua sorpresa. Io sono qui dal 1588, anche se non ti saprei dire che anno è adesso, ma non ho mai visto il Padrone. Non ho mai pensato di andare a vederlo. Non saprei neppure da che parte si comincia. Bert, tu cosa dici?»

«Dico che ne berrei un’altra.»

«Dove la metti, tutta quella birra? Da quando ti ha colpito il fulmine, non sei abbastanza grosso da tenerti in pancia un solo bicchiere, tanto meno tre.»

«Non preoccuparti e chiama la cameriera.»


Il tono del discorso rimase sempre a quel livello, perché ogni mia domanda non faceva che sollevarne altre, senza risposta. La taumaturga arrivò e portò via Bert, che, seduto sulla sua spalla, discuteva con ira dell’onorario dovuto: la donna voleva metà dei suoi averi e, per mettersi a lavorare, chiedeva un contratto firmato con il sangue. Bert ne offriva un decimo e voleva che io contribuissi per metà delle spese.

Dopo che quei due se ne furono andati, Rod disse che dovevo trovarmi una stanza; mi avrebbe portato lui in un buon albergo situato nelle vicinanze.

Gli feci notare che non avevo soldi. «Nessun problema, sant’Alec. Tutti i nostri immigranti arrivano senza quattrini, ma l’American Express, il Diners Club e la Chase Manhattan Bank fanno a gara per aprire loro un credito, sapendo che chi si accaparra per primo un cliente finirà quasi sempre per conservarselo per tutta l’eternità.»

«Non rischiano un po’ troppo, a fare credito a gente non solvibile?»

«No. Qui all’inferno, tutti pagano i debiti, prima o poi. Ricorda che qui un fannullone non può neppure morire per evitare di pagare i creditori. Perciò entra e fatti mettere tutto in conto prima di scegliere una delle tre carte di credito.»

Il Sans Souci Sheraton è sulla Piazza, davanti al Palazzo. Rod mi accompagnò al banco del portiere; io compilai una scheda personale. L’impiegata, una piccola diavolessa con due cornini molto graziosi, guardò la scheda e rimase senza fiato. «Uh, sant’Alexander?»

«Sono Alexander Hergensheimer, come ho scritto. A volte mi chiamano sant’Alexander, ma non credo che il titolo valga, quaggiù.»

Ma lei era indaffarata a frugare tra le prenotazioni. «Ecco, sant’Alexander… la prenotazione del suo appartamento.»

«Uh? Non mi serve un appartamento. E probabilmente non potrei neppure permettermelo.»

«Con gli omaggi della direzione, signore.»

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