19

Cercavamo di percorrere in fretta gli ultimi 150 chilometri da Clinton a Oklahoma City, senza badare al fatto di essere senza soldi e senza cibo.

Avevamo visto un dirigibile.

Naturalmente, questo cambiava tutto. Per mesi ero stato una nullità, un vagabondo, buono solo a fare il lavapiatti. Ma nel mio mondo avevo un buon lavoro, una posizione rispettata nella società, un conto in banca. Ed evidentemente avevo finito di saltare da un mondo all’altro.

Arrivammo a Clinton a metà mattinata, ospiti di un contadino che portava in città un camion di prodotti agricoli, e a un tratto sentii un’esclamazione di Margrethe. Seguii la direzione del suo sguardo… e lo vidi!… argenteo, affusolato, bellissimo. Non riuscii a leggere il nome, ma lo stemma era quello delle Linee Aeree dell’Est.

«L’espresso Dallas-Denver» disse il nostro ospite, e tirò fuori dalla tuta un orologio. «Sei minuti di ritardo. Strano.»

Cercai di nascondere l’agitazione. «A Clinton c’è un aeroporto?»

«Oh, no. Il più vicino è Oklahoma City. Intendete rinunciare all’autostop e proseguire in volo?»

«Mi piacerebbe.»

«A me no. Preferisco rimanere a terra.»

Continuammo a parlare di banalità finché non ci lasciò nei pressi del mercato, qualche minuto più tardi. Poi, quando io e Margrethe fummo di nuovo soli, non riuscii più a trattenermi. Feci per baciarla, ma all’ultimo istante mi bloccai. L’Oklahoma aveva la stessa elevata moralità del Kansas, e c’erano pene severe contro gli amoreggiamenti in luogo pubblico.

Pensai che avrei incontrato notevoli difficoltà a riprendere la vecchia vita, dopo avere trascorso molti mesi in mondi dove i principi morali erano assai meno alti di quelli del mio. Ormai mi ero abituato a baciare e ad abbracciare mia moglie in pubblico: atti di per se stessi innocenti, ma che non si vedevano nelle comunità timorate. Peggio ancora, sarei riuscito a tenere Margrethe lontano dai guai? Io ero nato laggiù e potevo rientrare in carreggiata… ma Marga è affettuosa come un cagnolino e non si vergogna di dimostrarlo.

Le dissi: «Scusa, cara, stavo per baciarti. Ma non devo farlo».

«Perché?»

«Be’, non possiamo baciarci in pubblico. Solo in privato. Sono le… abitudini locali, e bisogna seguirle. Ma non pensiamo a questo, per il momento. Marga, questo è il mio mondo! E adesso è anche il tuo. Hai visto il dirigibile.»

«Era davvero una delle aeronavi di cui mi parlavi?»

«Sì… ed è la cosa più bella che ho visto negli ultimi mesi. Però… non facciamoci troppe illusioni: abbiamo già visto dei mondi che si assomigliavano molto, ma che erano diversi. C’è la possibilità che questo sia un mondo con dirigibili, ma che non sia il mio. Oh, non credo che sia il nostro caso, ma non si sa mai. Non ti agitare troppo.»

(Margrethe era tutt’altro che agitata; ma in quel momento non ci badai.)

«Come fai a capire se è davvero il tuo mondo?»

«Potremmo controllare in biblioteca, come abbiamo fatto le altre volte. Ma questa volta c’è un sistema più rapido. Basta trovare gli uffici della Bell Telephone… chiediamo a quel negoziante.»

Naturalmente, cercavo gli uffici della compagnia telefonica per consultare le guide delle altre città, prima di telefonare… era davvero il mio mondo?

Sì, lo era! Nell’ufficio c’erano tutte le guide, e in particolare quella di Kansas City che conoscevo bene. «Vedi, Margrethe?» Le indicai sulla pagina il numero delle Chiese Unite per la Decenza, sede centrale.

«Vedo.»

«Non è emozionante? Non ti viene voglia di cantare e ballare?»

«Sono molto felice per te, Alec.»

(Il tono era quello di: “Sembra che dorma, vero? E sono arrivate così tante corone!”)

Eravamo nell’angolo delle guide telefoniche e nessuno ci ascoltava. Perciò dissi sottovoce: «Che cosa c’è, cara? È un’occasione da festeggiare. Con una telefonata posso farmi mandare dei soldi. Non avremo più problemi di viaggio. Arriveremo a casa in autobus… no, in dirigibile! Ti piacerà. Sarà la nostra luna di miele.»

«Non posso venire a Kansas City con te.»

«Come?»

«Alec… laggiù c’è tua moglie.»

Dovete credermi quando vi dico che da mesi non pensavo più ad Abigail. Ero convinto di non rivederla più (non prevedevo di ritornare nel mio mondo) e mia moglie era adesso Margrethe.

Mi chiedo se il primo chiodo che entra nella bara dia lo stesso choc alla povera salma.

Ma riuscii a riprendermi. Un poco. «Marga, ecco come faremo. Sì, c’è un problema, ma si può risolvere. Certo, che devi venire a Kansas City con me! Ma laggiù, per la presenza di Abigail, troverò un posto dove metterti finché non avrò sistemato le cose.» (Sistemato? Abigail avrebbe strillato come un’aquila.) «Prima devo avere i soldi. Poi devo vedere un legale.»

(Divorzio? In uno stato dove il divorzio veniva accordato solo in un caso, e dietro richiesta della parte offesa? E con Margrethe nella parte dell’altra donna? Impossibile. Margrethe sarebbe finita alla berlina. Io sarei stato cacciato dalla città legato alla gogna, se Abigail l’avesse chiesto. Ma anche lasciando perdere quello che sarebbe successo a me, e lasciando perdere il fatto che Abigail mi avrebbe tolto fino all’ultimo cent… Margrethe non poteva venire bollata a fuoco con la lettera “A” delle adultere come voleva la legge del mio mondo. No!)

«Poi andremo in Danimarca.» (Qualsiasi cosa, ma non il divorzio.)

«Davvero?»

«Certo. Ricorda che sei mia moglie, adesso e per sempre. Non posso lasciarti qui mentre vado a Kansas City a mettere a posto le cose: il mondo potrebbe cambiare di nuovo e ti perderei. Ma per andare in Danimarca devo prendere i miei soldi. Chiaro?» (E se Abigail mi ha svuotato il conto in banca?)

«Sì, Alec. Andiamo a Kansas City.»

(Così, una parte del problema era risolta. Ma non era risolta quella di Abigail. Non importa. Per bruciarsi alle spalle un ponte, prima bisogna raggiungerlo.)

Trenta secondi più tardi, sorse un nuovo problema. Sì, mi disse la centralinista, potevo fare un’interurbana a carico del destinatario. Kansas City? Per Kansas City, Kansas o Missouri, la tassa fissa per aprire la linea è la stessa: 25 cent. Infili la moneta nella fenditura, quando la chiamano. Cabina due.

Quando fui nella cabina, mi frugai nelle tasche, e feci l’inventario delle monetine:

Una da venti cent.

Due monete di rame da tre penny.

Un quarto di dollaro canadese, con l’effigie della regina (regina?)

Un mezzo dollaro.

Tre monete da cinque cent che non erano i “nichelini” a cui ero abituato: erano molto più piccoli.

E su nessuna di quelle monete c’era la familiare dicitura dell’Unione Nordamericana: “Dio è la nostra fortezza”.

Fissai le monetine e cercai di ricordare quando era avvenuto l’ultimo cambiamento. Evidentemente, dopo che ero stato pagato, e prima che il contadino ci desse il passaggio. Mentre dormivamo? Ma non avevamo perso né i soldi né i vestiti, e io avevo ancora il mio rasoio: me lo sentivo premere nella tasca.

Lasciamo stare: a cercar di capire tutti quei cambiamenti c’era da perdere il cervello. Il cambiamento era avvenuto, io mi trovavo nel mio mondo… e il denaro che possedevo non valeva niente.

Per combinazione, la moneta canadese mi pareva delle giuste dimensioni. In altri momenti mi sarei giustificato con la scusa che il comandamento “non rubare” non vale per le grandi società per azioni, ma ora feci solo una solenne promessa di rifondere il danno. Presi il ricevitore.

«Che numero?»

«Vorrei fare una telefonata a carico del destinatario: Chiese Unite per la Decenza, Kansas City, Kansas. Il numero è 12244. Mi passi la persona che risponde.»

«Depositi 25 cent.» Infilai nella fessura la moneta canadese e trattenni il respiro… ma la gettoniera l’accettò. Poi dalla centrale mi dissero: «Grazie. Resti in linea. Attenda».

Attesi. E poi attesi. E poi attesi ancora.

«La sua chiamata a Kansas City… Dalle Chiese Unite per la Decenza dicono che non accettano chiamate a carico del destinatario.»

«Senta! Dica che li chiama il reverendo Alexander Hergensheimer.»

«Grazie. Depositi 25 cent.»

«Ehi! Non ho potuto utilizzare la prima moneta che ho messo! Ha riagganciato troppo in fretta.»

«Non siamo stati noi a interrompere. Hanno riagganciato da Kansas City.»

«Be’, li richiami, per favore, e questa volta dica loro di non riagganciare.»

«Certo, signore. Depositi 25 cent.»

«Senta, signorina, le pare che chiamerei a carico del destinatario se avessi tutte queste monete? Li chiami e dica loro il mio nome. Reverendo Alexander Hergensheimer, il loro segretario esecutivo.»

«Attenda in linea.»

Tornai ad attendere. E ad attendere.

«Reverendo? Da Kansas City dicono di riferirle che non accettano mai telefonate a carico del destinatario, nemmeno se all’altro capo ci fosse… ripeto quello che mi hanno detto… Cristo Medesimo.»

«Non sono cose da dire al telefono. Né altrove.»

«Sono d’accordo. Ma hanno aggiunto altro. La persona che ha risposto ha detto di riferirle che non ha mai sentito parlare di lei.»

«Cosa? Quell’…» Non aggiunsi altro, perché un uomo di chiesa non poteva esprimersi come avrei voluto.

«Ha ragione. Ho cercato di farmi dire il nome della persona che ha risposto, ma lui ha riagganciato.»

«Un giovane? Un vecchio? Voce acuta o bassa?»

«Un ragazzo giovane; voce acuta. Ho l’impressione che fosse il fattorino, e che le altre persone dell’ufficio fossero fuori a pranzo.»

«Capisco. Comunque, grazie dello sforzo. Ha fatto più del suo dovere, se lo lasci dire.»

«È stato un piacere, reverendo.»


Nel lasciare la cabina, mi diedi dello sciocco. Non riferii a Margrethe l’accaduto finché non fummo usciti dall’ufficio. «Mi sono fregato con le mie stesse mani, cara. Sono stato io a scrivere quel cartello “Non si accettano telefonate a carico del destinatario”. Da un’analisi delle bollette telefoniche avevo visto che le telefonate a nostro carico non venivano mai fatte nell’interesse dell’associazione. Nove su dieci erano richieste di assistenza, e le Chiese Unite per la Decenza non sono un’organizzazione assistenziale. Raccolgono fondi, non li distribuiscono. La decima telefonata veniva da un piantagrane o da un pazzoide. Per questo ho dato l’ordine di non accettarle, e c’è subito stato un guadagno. Abbiamo risparmiato centinaia di dollari di telefono, ogni anno.» Sorrisi. «Non pensavo di cadere nella mia stessa trappola.»

«Che cosa intendi fare, adesso, Alec?»

«Raggiungere l’autostrada 66 e riprendere l’autostop. Voglio arrivare a Oklahoma City prima delle cinque. Dovremmo farcela; non c’è molta strada.»

«Sì, ma perché le cinque? Se posso chiederlo.»

«Certo che puoi chiederlo. Cara, piantala di fare la scena della Paziente Griselda; mi hai messo il muso da quando abbiamo visto quel dirigibile. Perché a Oklahoma City c’è un ufficio regionale delle Chiese Unite, e voglio arrivare prima che chiudano. Vedrai come tireranno fuori il tappeto rosso! Quando saremo a Oklahoma City, i nostri guai finiranno.»

Il viaggio di quel pomeriggio fu come attraversare al guado il Mare dei Sargassi. Quando è più denso. Riuscimmo a trovare molti passaggi… ma solo per brevi distanze. Viaggiammo alla media di 30 chilometri orari su un’autostrada che ne permetteva 90. Inoltre, perdemmo quasi un’ora per una buona ragione: un pasto gratuito.

Per l’ennesima volta un camionista ci invitò a mangiare con lui… perché non c’è uomo al mondo che possa fermarsi davanti a un ristorante senza invitare Margrethe. (A quel punto invitava anche me, ma solo perché ero una sorta di bagaglio al seguito di Margrethe. Non è una lamentela.)

Mangiammo in venti minuti, poi il nostro amico consumò più di mezz’ora — nonché una serie interminabile di quarti di dollaro — a giocare al flipper… mentre io sedevo da una parte, sulle spine, e Margrethe strillava e batteva le mani quando lui faceva un centro. Ma l’istinto di Margrethe è infallibile: quell’uomo ci portò fino a Oklahoma City, e poi, invece di proseguire lungo la tangenziale, entrò in città e ci lasciò in centro. Alle 16,20 eravamo all’incrocio fra la 36 e la Lincoln, a un paio di isolati dalla sede locale delle Chiese Unite.

Nel percorrere i due isolati, presi a fischiettare senza accorgermene. A un certo punto, dissi: «Sorridi, cara. Tra un mese… o anche meno… saremo a Copenaghen.»

«Davvero?»

«Davverissimo. Dopo tutte le volte che me ne hai parlato, non posso più attendere neppure io. Ecco, quello è il portone.»

Il nostro ufficio è al primo piano. Fu un piacere indescrivibile, rivedere la scritta sul vetro: CHIESE UNITE PER LA DECENZA — AVANTI.

«Prima tu, cara.» Afferrai la maniglia, per aprire a Margrethe.

La porta era chiusa a chiave.

Bussai, poi vidi il pulsante del campanello e lo pigiai. Bussai e pigiai alternativamente. A lungo.

Un moro con un secchio e uno straccio arrivò dal fondo del corridoio, accennò un saluto e fece per allontanarsi. Io lo chiamai: «Ehi, zio! Hai la chiave di questo ufficio?»

«Nossignore, capitano. Adesso non c’è nessuno. Alle quattro chiudono, escono.»

«Capisco. Grazie.»

«Piacere mio, capitano.»

Quando fui di nuovo sulla strada, sorrisi timidamente a Margrethe. «Bel trattamento con il tappeto rosso. Hanno chiuso alle quattro. Quando manca la gatta, i topi ballano. Rotoleranno alcune teste, te lo prometto. Signora, posso invitarla a dormire nel parco, questa notte? La sera è calda, non si prevedono piogge. Per i grilli e per le zanzare non chiedono nessun supplemento.»

Dormimmo nel Lincoln Park, lungo il campo di golf, in un prato che era come un velluto vivo… e i più vivi di tutti erano i grilli.

Nonostante il loro canto, dormimmo saporitamente e ci svegliammo quando arrivarono i primi giocatori di golf. Per farci allontanare, bastò loro un’occhiataccia. Poi approfittammo dei servizi pubblici del parco, e all’uscita eravamo molto più freschi e più puliti e io mi ero fatto la barba. Ero molto allegro. Era troppo presto per pensare che quei playboy delle Chiese Unite fossero già in ufficio, e di conseguenza, quando vidi un poliziotto, gli chiesi dove fosse la biblioteca pubblica. Poi aggiunsi: «Tra l’altro, quanto dista l’aeroporto?»

«Che cosa?»

«Il campo di volo dei dirigibili.»

Il poliziotto si voltò verso Margrethe. «Signora, suo marito sta male?»


Stavo ancor peggio quando controllai i campanelli dell’edificio dove ero stato il pomeriggio precedente… Ci rimasi male, ma non fui affatto sorpreso di non trovare tra i suoi uffici le Chiese Unite per la Decenza. Comunque, per assicurarmene, salii al primo piano. Al loro posto c’era adesso una ditta di assicurazioni.

«Be’, cara, andiamo a vedere in biblioteca. Scopriamo in che mondo ci troviamo.»

«Sì, Alec.» Era di nuovo allegra. «Caro, mi spiace che tu ci sia rimasto male… ma io mi sento molto più sollevata. Io… ero fuori di me per lo spavento, all’idea di incontrare tua moglie.»

«Non la incontrerai mai, te lo prometto. Uh, anch’io mi sento un po’ sollevato. E ho fame.»

Proseguimmo per qualche passo. «Alec, promettimi di non prendertela.»

«Non passerò alle vie di fatto. Che cosa c’è?»

«Ho cinque quarti di dollaro.»

«A questo punto io dovrei dire: “Figlia, hai fatto davvero la brava ragazza a Filadelfia?” Spiegami tutto. Chi hai ucciso? S’è sparso molto sangue?»

«Ieri. Al gioco del flipper. Ogni volta che vinceva qualche partita, Harry mi regalava un quarto di dollaro. «Mi porta fortuna» diceva.

Decisi di non picchiarla. Naturalmente non erano i quarti di dollaro di quel mondo, ma erano abbastanza buoni. Sufficienti, cioè, a ingannare le gettoniere. Eravamo passati davanti a una sala giochi: di solito in quei locali c’erano dei distributori a moneta, e il nostro non faceva eccezione. I prezzi erano terribili: mezzo dollaro un panino rachitico, venticinque cent un boccone di cioccolata. Ma era meglio che niente, e certamente non fu un furto, perché i quarti di dollaro del mio mondo erano d’argento.

Poi ci recammo in biblioteca per scoprire in che mondo fossimo capitati.

E lo scoprimmo subito.

Il mondo di Marga.

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