Usciti dal locale, mi diressi automaticamente verso la missione dell’Esercito della Salvezza. Margrethe non disse niente e si tenne al mio braccio. Io mi sarei dovuto impaurire; invece ero in collera. Dopo qualche minuto, mormorai: «Maledetti loro!»
«Loro, Alec? Chi sono?»
«Non lo so. Questa è la cosa peggiore. Chi ci fa questo? Magari il tuo amico Loki.»
«Non è mio amico; sarebbe come dire che Satana è amico tuo. Io ho un’immensa paura di quel che Loki fa al nostro mondo.»
«Io non ho paura. Io sono arrabbiato. Loki, Satana, o chiunque sia, questo è troppo. Non ha alcun senso. Perché non potevano aspettare mezz’ora? Quei due gelati erano praticamente sul nostro tavolo… e ce li hanno portati via! Marga, questo non è giusto, non vale! È un’inutile crudeltà. Priva di senso. Come strappare le ali alle mosche. Li odio.»
Invece di continuare a parlare di cose su cui non avevamo il controllo, Margrethe disse: «Caro, dove stiamo andando?»
«Eh?» Mi fermai. «Alla missione, suppongo.»
«La strada è quella giusta?
«Be’, certam…» Mi guardai attorno e dovetti ammettere: «Non lo so». Avevo camminato meccanicamente, tutto preso nella mia collera. Ora mi accorgevo di non ricordare il cammino percorso. «Devo essermi perduto.»
«Ne avevo l’impressione.»
Ci occorse un’altra mezz’ora per trovare la strada giusta. La zona ci pareva vagamente familiare, ma ogni cosa era leggermente diversa da come la ricordavamo. Trovai l’isolato del Ron’s Grill, ma non trovai il Ron’s Grill. Alla fine, un poliziotto ci indirizzò alla missione… che adesso si trovava in un altro edificio. Con una certa sorpresa, al suo interno scorsi il fratello McCaw. Ma non ci riconobbe, e adesso si chiamava McNabb. Ci allontanammo in fretta.
Ritornammo nella direzione da cui eravamo giunti; camminavamo lentamente, dato che non andavamo da nessuna parte. «Marga, siamo ritornati dove eravamo tre settimane fa. Abbiamo delle scarpe migliori, tutto qui. Soldi in tasca, ma sono soldi che non possiamo spendere, perché qui sono banconote di fantasia… buone solo a farci passare una notte in guardina se cercassi di spacciarle.»
«Hai ragione.»
«Comunque, in fondo alla strada c’è una banca. Posso entrare a chiedere se valgono qualcosa.»
«Già, così non corri rischi. O no?»
«Non credo di correrne. Ma il nostro amico Loki potrebbe averci preparato un altro scherzo. Però, dobbiamo sapere. Ecco, tieni tutto tu, e lasciami un solo biglietto. Se mi arrestano, fa’ finta di non conoscermi.»
«No!»
«Come sarebbe a dire? È inutile finire tutt’e due in prigione.»
Lei non disse niente, ma aggrottò la fronte. Come si può discutere con una donna che non parla? Sospirai. «Va bene, vieni dentro anche tu, Marga. Finiremo in prigione insieme. Ma credo di sapere cosa devo dire all’impiegato.» Presi un banconota, la stropicciai leggermente e le feci un piccolo strappo per farla sembrare usata. Poi continuai a tenerla in mano, come se l’avessi trovata in strada, ed entrammo nella banca. Non mi recai a uno degli sportelli per il pubblico: mi avvicinai al divisorio dietro cui c’erano le scrivanie dei funzionari.
Mi sporsi verso l’uomo più vicino a me; il cartello sulla scrivania lo qualificava come un vicedirettore. «Mi scusi, signore! Sa dirmi una cosa?»
Mi parve leggermente seccato, ma cercò di non mostrarlo. «Se possibile. Che cosa desidera sapere?»
Gli mostrai la banconota. «Sono soldi? O sono finti o chissà cosa?»
Lui diede un’occhiata al biglietto, poi lo guardò con maggiore attenzione. «Curioso. Dove l’ha trovato?»
«L’ha visto mia moglie, sul marciapiedi. Sono soldi?»
«Naturalmente, no. Chi ha mai visto un biglietto da venti dollari? Probabilmente, sono di qualche prestigiatore. O è una campagna pubblicitaria.»
«Allora, non valgono niente?»
«Valgono la carta su cui sono stampati; niente di più. Non credo che questo biglietto si possa definire contraffatto, perché non è stato fatto alcun tentativo di imitare una banconota vera. Però, bisognerà mandarlo all’Ispettorato del Tesoro.»
«Certo. Se ne può occupare lei?»
«Sì, ma dovranno interrogare anche voi. Mi lasci nome e indirizzo. Anche quello di sua moglie, visto che è stata lei a trovare la banconota.»
«Bene. Ma mi dia una ricevuta.» Fornii i nomi “Margrethe e Alexander Hergensheimer”, e come indirizzo quello del Ron’s Grill. Poi accettai con gravità la ricevuta.
Usciti dalla banca, dissi: «Benissimo, è come pensavamo. Adesso, devo solo cercare qualche piatto sporco da lavare».
«Alec…»
«Sì, cara?»
«Andiamo in Kansas.»
«Sì, ma i soldi che avevamo messo da parte per il viaggio non valgono la carta su cui sono stampati. Dobbiamo guadagnarne degli altri. L’abbiamo fatto una volta, possiamo farlo una seconda.»
«No, Alec. Partiamo subito.»
Mezz’ora più tardi ci trovavamo a nord della città, sull’autostrada per Tucson. Quando passava qualcuno, alzavo il pollice nella speranza che ci prendesse a bordo.
Ci occorsero tre passaggi solo per arrivare a Tucson. Là giunti, potevamo dirigerci a est verso El Paso, Texas, o continuare sulla Statale 89, perché la 89 piega a ovest prima di dirigersi a nord verso Phoenix. Fu il caso a decidere per noi, perché il primo che ci prese a bordo fu un camionista diretto a nord.
Salimmo a bordo in un’area di sosta per camion all’intersezione della 89 e della 80, e ammetto che l’uomo ci prese a bordo grazie alla presenza di Margrethe; se fossi stato solo, a quest’ora sarei ancora lì ad aspettare. Anzi, l’intero viaggio fu merito del suo fascino, più che della mia disponibilità a fare qualsiasi lavoro.
Non dico che la cosa mi garbasse molto. Da una parte mi veniva in mente la moglie di Putifarre, dall’altra la casta Susanna concupita dai due vecchi guardoni. Ero irritato con Margrethe e molte volte fui tentato di dirle di non sorridere agli estranei e di tenere gli occhi bassi.
Soprattutto sentii questa tentazione il primo giorno, al tramonto, quando il camionista si fermò a un parcheggio sull’autostrada, vicino a un ristorante e a una stazione di servizio. «Io vado a farmi una birra e una bistecca» annunciò. «E tu, Maggie? Te la faresti una bistecca? In questo posto, le mucche entrano vive da una parte della cucina e le bistecche escono dall’altra.»
Lei gli sorrise. «Grazie, Steve. Ma non ho fame.»
Chiaramente, non era la verità. Lei lo sapeva, io lo sapevo… e certo lo sapeva anche Steve. L’ultimo nostro pasto era stato la piccola colazione, quel mattino, alla missione dell’Esercito della Salvezza, undici ore e un universo prima. Avevo cercato di lavare piatti in cambio di un pasto presso l’aerea di sosta dei camionisti, fuori Tucson, ma ero stato allontanato senza troppi complimenti. Perciò, in tutto il giorno, avevamo bevuto solo l’acqua della fontana.
«Raccontalo a tua nonna, Maggie. Viaggiamo da quattro ore. Devi avere fame.»
Intervenni io. «Intende dire, Steve, che non accetta inviti da altri uomini. Si ritiene già impegnata a venire a cena con me. Ma grazie da parte sua e grazie per averci portato fin qui. Sei stato molto gentile.»
Eravamo ancora seduti nella cabina del suo autocarro, con Margrethe nel centro. Steve si girò verso di me. «Alec, pensi che cerchi di portarmela a letto, vero?»
Rigidamente, negai di avere pensato qualcosa del genere, e intanto mi dissi che era proprio la sua intenzione… e che mi irritava non solo il suo proposito poco cavalieresco, ma anche la volgarità delle parole da lui usate. Tuttavia, avevo imparato a mie spese che le regole dell’educazione valide per il mondo in cui ero nato non corrispondevano esattamente a quelle degli altri mondi.
«Oh, no, hai pensato proprio quello. Non sono nato ieri, e ho trascorso gran parte della mia vita sull’autostrada, e le mie illusioni sulla natura umana sono andate da tempo a farsi fottere. Tu pensi che voglio mettere in posizione orizzontale la tua donna, perché chiunque la vede vorrebbe tentare il colpaccio. Be’, lascia che ti spieghi. Io non busso mai, se in casa non c’è nessuno che risponde. E sono cose che capisco subito. Maggie non ci sta: è da diverse ore che me ne sono accorto. Congratulazioni; la fedeltà delle donne è sempre un bello spettacolo. No?»
«Sì, certamente» brontolai io.
«Quindi, non devi prendertela. Hai detto che porti a cena tua moglie e che mi ringrazi del passaggio. Allora, perché non dimostrarmelo praticamente, invitando a cena anche me?»
Mi auguro che non si notasse il mio istante di esitazione. «Certo, Steve» dissi. «È il minimo che possa fare per la tua gentilezza. Uh, mi aspettate qui un attimo, mentre vado a prendere alcuni accordi?» E feci per scendere dall’autocarro.
«Nel raccontare le bugie, Alec, sei ancor peggio di Maggie» disse lui.
«Scusa?»
«Mi credi cieco? Siete in bolletta.»
«Vero» ammisi — mi auguro — con dignità. «Ma pensavo di mettermi d’accordo con il proprietario del ristorante: lavare i piatti in cambio dei nostri tre pasti.»
«L’avevo immaginato. Se foste dei normali giramondo in bolletta, avreste con voi dei bagagli. Invece, non avete neppure uno zaino… e tutt’e due siete vestiti pesante. Nel deserto, per l’amor di Dio! Tutto indica la presenza di un disastro.»
Io non dissi niente.
«Ascolta» proseguì lui. «Può darsi che il padrone del ristorante ti accetti come lavapiatti, ma probabilmente ha già tre schiene-umide a fare i cacciatori di perle nei suoi acquai e in giornata ne ha cacciate via altrettante. Su per questa autostrada passa tutto il turismo che entra dai buchi della frontiera. E poi io non posso perdere tempo ad aspettarti mentre lavi i piatti; prima di notte devo ancora fare un mucchio di chilometri. Perciò, facciamo un patto. Tu mi inviti a pranzo, e io ti presto i soldi per pagare.»
«Come debitore, ora come ora non sono molto solvibile.»
«Niente affatto; sei il miglior tipo di debitore, da’ retta a me. Un giorno o l’altro, l’anno prossimo o magari tra vent’anni, incontrerai un’altra coppia di autostoppisti in bolletta, e offrirai loro un pasto alle stesse condizioni. Me li restituirai così. Poi, quando anche loro offriranno un pasto a qualcuno, si sdebiteranno con te. Chiaro?»
«Te li restituirò moltiplicati per sette!»
«A me basta una volta. Dalla seconda in poi, lo farai perché la cosa ti piace. Andiamo a mangiare.»
Il ristorante Rimrock Restop badava più alla solidità che all’eleganza: in questo, ricordava il Ron’s Grill di un altro universo. Ci si poteva sedere al banco o ai tavoli. Steve ci portò a un tavolo e dopo qualche tempo arrivò una cameriera giovane e graziosa.
«Guarda chi c’è, Steve! Tanto tempo che non ti vedo.»
«Ciao, bella. Com’è andato poi a finire, il test della coniglia?»
«La coniglia è morta. E i tuoi esami del sangue?» Ci sorrise. «Salve, ragazzi. Cosa prendete?»
Io avevo avuto il tempo di scorrere il menù, soprattutto la colonna di destra, ed ero rimasto colpito dai prezzi. Colpito, intendo dire, nel vedere che erano nell’ordine di grandezza di quelli del mio mondo. Dieci cent gli hamburger, cinque cent il caffè, due tipi di menù a prezzo fisso, da 75 cent e 90 cent… i prezzi a cui ero abituato.
Guardai anche la colonna di sinistra e dissi: «Mi porta un hamburger al formaggio, ben cotto?»
«Certamente, amico. E tu, cara?»
Margrethe ordinò anche lei un hamburger, ma cotto normale.
«Steve?» chiese la cameriera.
«Porta tre birre chiare, grandi, e tre filetti, uno al sangue, l’altro medio, il terzo ben cotto. Patate al forno, o fritte, o quello che sono. Insalata verde, pane fresco. La solita roba. Poi la frutta e il caffè.»
«Ricevuto.»
«Ti presento i miei amici. Hazel, questa è Maggie. E lui è suo marito, Alec.»
«Uomo fortunato! Salve, Maggie; lieta di conoscerti. Però, mi spiace di vederti in così brutta compagnia. Steve ha cercato di rifilarti qualcosa?»
«No.»
«Meglio così. Non comprare niente da lui, non firmare niente, non andarci a letto. E ringrazia di essere felicemente sposata. Ha moglie in tre stati diversi.»
«Quattro» precisò Steve.
«Sono quattro, adesso? Le mie felicitazioni. Per i servizi delle signore bisogna passare dalla cucina, Maggie; gli uomini fanno il giro dall’esterno.» Si allontanò in fretta, tra un frusciare di gonne.
«Brava ragazza, quella» disse Steve. «Sapete la fama delle cameriere, specialmente nei ristoranti per camionisti. Be’, Hazel è forse la sola lanciatrice di piatti di questa autostrada che non la sgancia a nessuno. Vieni, Alec.» Si alzò e mi fece strada fino alla toilette. Quando capii il senso del suo discorso, era troppo tardi per irritarmi del fatto che avesse parlato così alla presenza di una signora. Poi fui costretto ad ammettere che Margrethe non si era affatto offesa; aveva considerato le sue parole alla stregua di una semplice informazione. Di un complimento ad Hazel, anzi. Riflettei che i peggiori problemi, in tutti quei preoccupanti cambiamenti di mondo, venivano non dalla situazione economica, non dal comportamento in pubblico, non dalla tecnologia, ma semplicemente dal linguaggio, e dagli usi e tabù relativi.
Al nostro ritorno, trovammo ad attenderci le birre. C’era anche Margrethe, che aveva approfittato della visita alla toilette per pettinarsi e mettersi in ordine.
Steve brindò. «Skoal!»
Noi gli facemmo eco: «Skaal!» e io bevvi prima un assaggio e poi un lungo sorso… giusto quello che mi occorreva dopo un lungo pomeriggio su un’autostrada bruciata dal sole. Dopo il mio crollo morale sulla nave a vapore Konge Knut, avevo ripreso a bere birra, bevanda che non avevo più toccato dai giorni dei miei studi d’ingegneria, e che anche a quei tempi avevo frequentato raramente… mancanza di soldi per i vizi. Mi parve un’ottima birra, ma la Tuborg danese servita sulla nave era migliore. Sapevate che nella Bibbia non c’è una sola parola contro la birra? Anzi, la parola che nella Bibbia significa “birra”, significa anche pozzo o fontana.
I filetti erano eccezionali.
Per effetto della buona birra e del buon cibo, mi trovai a cercar di spiegare a Steve come ci trovassimo a dover accettare passaggi e pasti da sconosciuti… senza dirgli niente di preciso. Alla fine Margrethe mi disse: «Alec, raccontagli tutto».
«Pensi che sia il caso?»
«Certo. Steve ha il diritto di sapere. E sento di potermi fidare di lui.»
«Benissimo. Steve, noi siamo stranieri venuti da un altro mondo.»
Lui non rise e neppure sorrise; si limitò a guardarmi con interesse. Dopo qualche istante, chiese: «Dischi volanti?»
«No» risposi «Parlo di un altro universo, e non, semplicemente, di un altro pianeta. Anche se il pianeta non sembra cambiato. Voglio dire che io e Margrethe, questa mattina, ci trovavamo in uno stato chiamato Arizona e in una città chiamata Nogales. Poi la città è cambiata. Nogales si è rimpicciolita ed è divenuta leggermente diversa. L’Arizona pare sempre la stessa, ma devo dire che non conosco molto bene questo stato.»
«Territorio.»
«Come?»
«L’Arizona è un territorio, non uno stato. Gli abitanti hanno votato contro il passaggio a stato.»
«Oh, anche nel mio mondo è andata così. Qualcosa che riguardava le tasse. Ma noi non veniamo direttamente dal mio mondo, e neppure da quello di Marga. Noi veniamo da…» M’interruppi e mi voltai verso Margrethe. «Sto facendo confusione. Puoi spiegarlo tu?»
«Non posso spiegarlo» rispose lei «perché non lo capisco neppure io. Ma è vero, Steve. Io vengo da un mondo, Alec viene da un altro, siamo stati per alcuni mesi in un terzo, e questa mattina eravamo in un altro mondo ancora. Adesso siamo qui. È per questo che non abbiamo denaro. O meglio, lo abbiamo, ma non è denaro di questo mondo.»
Steve disse: «Puoi ripeterlo? Ma un mondo alla volta… Mi gira la testa».
«Ha tralasciato due mondi» commentai io.
«No, caro: tre. Hai dimenticato il mondo degli iceberg.»
«No, l’ho contato. Scusa, Steve, cercherò di parlare di un mondo alla volta. Ma non è facile. Questa mattina… siamo andati in una gelateria di Nogales perché volevo offrire a Margrethe un gelato alla cioccolata. Ci siamo seduti a un tavolino, l’uno dirimpetto all’altra, come adesso, e mi sono trovato davanti a un semaforo…»
«Eh?»
«Un semaforo: luci rosse, verdi e gialle per regolare il traffico. È stata la sua sparizione a farmi capire che avevamo di nuovo cambiato mondo. Qui non ho visto semafori; solo vigili del traffico. Ma nel mondo dove eravamo questa mattina, per dirigere le automobili si usano luci colorate.»
«Sarà una cosa fatta con gli specchi. E cosa c’entra con il gelato di Maggie?»
«Quando abbiamo fatto naufragio e ci siamo trovati su un materassino in mezzo all’oceano, Margrethe ha detto che il suo massimo desiderio era un gelato con la cioccolata. Questa mattina per la prima volta sono stato in grado di offrirglielo. Poi, nel non vedere più il semaforo, ho capito che avevamo di nuovo cambiato mondo… e che quindi i nostri soldi non erano più buoni. Perciò, non potevo più pagare il gelato a Marga. E non potevo pagarle il pranzo di questa sera. Non avevo più soldi. Soldi che si potessero spendere, voglio dire. Capito?»
«Devo essermi perso due o tre spiegazioni fa. Che cosa è successo al tuo denaro?»
«Oh.» Frugai in tasca, ne estrassi con attenzione la mazzetta di dollari che avevo messo in serbo per l’autobus, presi un biglietto da venti dollari e lo mostrai a Steve. «Non gli è successo niente. Guarda.»
Lo osservò con attenzione. «“Biglietto di stato a corso legale per tutti i debiti pubblici e privati.” Fin qui, mi pare giusto, ma chi è questo tizio con il suo ritratto sul biglietto? E da quando in qua si sono messi a stampare biglietti da venti dollari?»
«Non li hanno mai stampati, nel tuo mondo. Il ritratto è di William Jennings Bryan, presidente degli Stati Uniti dal 1913 al 1921.»
«Non certo alla Horace Mann School di Akron. Laggiù non me ne hanno mai parlato.»
«A quanto invece hanno insegnato a me, è stato eletto nel 1896, e non sedici anni più tardi. E nel mondo di Margrethe non è mai stato eletto. Ehi, Margrethe! Potrebbe essere il tuo mondo!»
«Che cosa te lo fa pensare, caro?»
«Può darsi di sì, può darsi di no. Da quando abbiamo lasciato Nogales, non ho visto tracce di campi di volo. E ricordo che non ho visto aerei jet per tutto il giorno. E neppure altri tipi di macchine volanti. Tu ne hai viste?»
«No. Non ci ho fatto caso, ma, ora che ci penso, non ne ho viste neanch’io.»
«Questo è il punto. Che questo mondo possa essere il mio? Steve, com’è la situazione dell’aeronautica, qui?»
«Aero…?»
«Macchine volanti. Aeroplani jet. Aerei di qualsiasi tipo. E dirigibili. Avete dirigibili?»
«Mai sentito queste parole. Parli di volare nell’aria, come gli uccelli?»
«Sì.»
«No, naturalmente non ne abbiamo. O intendi i palloni? Io, una volta, ho visto un pallone.»
«Non sono come i palloni. Sì, un dirigibile è un po’ come un pallone, ma è fatto a sigaro invece di essere a palla. È spinto da motori come quelli del tuo camion, e viaggia a duecento chilometri l’ora… e vola molto in alto: cinquecento metri e più. Ancora più in alto se ci sono montagne.»
Per la prima volta, Steve mostrò sorpresa, e non solo interesse. «Dio onnipotente! Hai davvero visto qualcosa di simile?»
«Ci sono salito. Molte volte. La prima volta quando avevo solo dodici anni. Tu sei andato a scuola ad Akron? Nel mio mondo, Akron è universalmente famosa perché vi si costruiscono i dirigibili più grandi e più veloci.»
Steve scosse la testa. «È la storia della mia vita. Quando succede qualcosa d’interessante a casa mia, io sono fuori a bere una birra. E tu, Maggie, hai visto le navi aeree? Ci sei salita?»
«No, nel mio mondo non ci sono. Ma ho volato su una macchina volante. Un aeroplano. Una volta sola. È stato emozionantissimo. Mi sono anche spaventata a morte. Ma mi piacerebbe rifarlo.»
«Ci credo. Dovessi farlo io, mi verrebbe un accidente. Però, mi piacerebbe provare, anche se dovessi rimanerci secco. Ragazzi, comincio a credervi. Mi sembrate sinceri. E poi ci sono questi soldi. Sempre che siano soldi.»
«Sono soldi» ripetei «Ma di un altro mondo. Guardali con attenzione, Steve. Chiaramente non sono dollari del tuo mondo. Ma non sono biglietti per bambini o per illusionisti. Qualcuno si prenderebbe la briga di fare incisioni su acciaio così perfette, solo per stampare banconote-gioco? L’incisore che ha fatto le lastre si aspettava che il biglietto venisse usato come denaro. Aspetta un attimo.»
Frugai in un’altra tasca. «Ecco.»
Gli mostrai un biglietto da dieci pesos… del Regno del Messico. Avevo bruciato la maggior parte del denaro inutilizzabile che avevamo messo da parte prima del terremoto — le mance di Margrethe al Pancho Villa — ma avevo tenuto qualche biglietto per ricordo. «Guarda anche questi. Conosci lo spagnolo?»
«Non proprio. Solo il TexMex, lo spagnolo da cantina.» Guardò il denaro messicano. «Mi sembra a posto.»
«Guarda meglio» gli suggerì Margrethe. «Dove dice Reino. Non dovrebbe esserci scritto República? O il Messico è un regno anche qui?»
«È una repubblica… in parte perché ho aiutato anch’io a mantenerlo repubblicano. Sono stato un controllore delle elezioni quando ero laggiù con i marine. È straordinario quel che riescono a fare un po’ di marine armati fino ai denti, quando si tratta di mantenere onesta un’elezione. D’accordo, amici, mi avete convinto. Il Messico non è un regno, e gli autostoppisti in bolletta non dovrebbero avere con sé banconote messicane di quel genere. Qual è la spiegazione?»
«Steve» dissi, seriamente «vorrei saperlo anch’io. La spiegazione più semplice è che sono impazzito e mi sono immaginato tutto: tu, io, Marga, questo ristorante, questo mondo.»
«Tu puoi essere immaginario quanto ti pare, ma lascia fuori me e Maggie. Hai altre spiegazioni?»
«Be’… dipende. Conosci la Bibbia, Steve?»
«Sì e no. Dato che viaggio, molte volte mi trovo in albergo con niente da leggere, salvo una bibbia dei Gedeoni. E di tanto in tanto la leggo.»
«Ricordi Matteo, 24, 24?»
«Uh? Cosa dice?»
Glielo citai: “Faranno grandi portenti e prodigi.” Questa è una delle possibilità, Steve. I cambiamenti possono essere segni inviati dal demonio, per ingannarci. Oppure possono essere portenti che annunciano la fine del mondo e l’avvento di Cristo e del suo regno. Ascolta le parole:
Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo, e le potenze dei cieli saranno sconvolte.
Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo, e tutte le tribù della terra si batteranno il petto, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con gran potenza e gloria. E manderà i suoi Angeli, che con tromba dallo squillo potente, raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un’estremità all’altra dei cieli.
«Ecco la spiegazione, Steve. Forse quelli che abbiamo visto noi sono i falsi segni delle tribolazioni che precedono la fine, o forse queste meraviglie annunciano la Parusia, la venuta di Cristo. Tu sei rinato in Cristo?»
«Mmm. Non posso dire di esserlo veramente. Sono stato battezzato molto tempo fa, quando ero troppo giovane per avere voce in capitolo. Non vado molto in chiesa, salvo che per i matrimoni e i funerali. Se sono stato lavato una volta, oggi penso di essere un po’ impolverato. Non credo di farcela.»
«Probabilmente, no. Steve, la fine del mondo si avvicina, e Cristo farà presto ritorno. La cosa più urgente da fare… per te e per tutti!… è di rientrare nella grazia di Dio, perché non ci saranno preavvisi. La tromba suonerà e saremo accolti tra le braccia di Gesù, salvi e felici in eterno, o saremo scagliati nel lago di zolfo infuocato, dove saremo tormentati per l’eternità. Dobbiamo essere pronti.»
«Accidenti! Alec, hai mai pensato di fare il predicatore?»
«Sì, certo.»
«Be’, dovresti proprio farlo. Hai parlato come se credessi a ogni parola che hai detto.»
«E ci credo.»
«E chissà che tu non abbia ragione? Be’, ti prometto di pensarci, seriamente. Nel frattempo mi auguro che non mettano in scena l’Avvento del Regno di Dio proprio per ’stasera, perché ho ancora da consegnare questo carico. Hazel! Portami il conto, bella; devo rimettere sulla strada la mia baracca.»
I tre filetti con contorno facevano $ 3,90; sei birre altri sessanta cent, per un totale di $ 4,50. Steve pagò con una mezza aquila, una moneta che non avevo mai visto, salvo che nelle vetrine dei numismatici… avrei voluto darle un’occhiata, ma temevo di farmi notare.
Hazel la prese e la osservò. «Non si vede molto oro, da queste parti» commentò. «Più che altro, circolano “ruote di carro”. E carta, anche se il capo non ama la carta. Sei sicuro di potertelo permettere, Steve?»
«Ho trovato l’Olandese Volante.»
«Oh, piantala. Non intendo diventare la tua quinta moglie.»
«Pensavo a una sistemazione temporanea.»
«Neanche quella… almeno, non per una monetina da cinque dollari.» Si frugò nella tasca del grembiule, ne trasse un mezzo dollaro d’argento. «Il resto, caro.»
Lui spinse di nuovo la moneta verso Hazel. «E per cinquanta cent?»
Lei prese la moneta e se l’infilò di nuovo nella tasca. «Uno sputo in un occhio. Grazie. Buona notte, ragazzi. Grazie d’essere venuti.»
Nei cinquanta chilometri dal ristorante a Flagstaff, Steve ci chiese molte informazioni sui mondi che avevamo visto, ma non fece commenti. Ci rivolse solo qualche domanda, e lasciò quasi sempre parlare noi. Gli interessavano in particolare le mie descrizioni di dirigibili, jet e aeroplanos, ma tutti gli argomenti tecnici lo affascinavano. Trovò molto più difficile credere alla televisione che alle macchine volanti… ma la stessa cosa era successa a me. Comunque, Margrethe gli assicurò di avere visto anche lei gli apparecchi televisivi… ed è difficile non credere a Margrethe. Io potevo benissimo essere scambiato per un imbroglione. Ma non Margrethe. Lei è convincente.
A Flagstaff, a poca distanza dalla Statale 66, Steve accostò al margine della carreggiata e fermò l’autocarro, senza spegnere il motore. «Fuori tutti» disse «se volete dirigervi a est. Se invece volete proseguire a nord, siete i benvenuti.»
Risposi: «Dobbiamo arrivare nel Kansas, Steve».
«Certo, lo so. Potete arrivarci da entrambe le parti, ma la 66 è quella che vi conviene di più… anche se non capisco come si possa sentire il desiderio di recarsi nel Kansas. Andate laggiù, verso l’incrocio. Tenetevi a destra e andate sempre avanti, non potete sbagliarvi. Seguite i binari del Santa Fe. Dove pensate di dormire questa notte?»
«Non ci ho ancora pensato. Cammineremo finché non avremo trovato un altro passaggio. Se non troveremo qualcuno che ci porti per tutta la notte, dormiremo sul fianco della strada… fa caldo.»
«Alec, dà retta allo zio Steve. Questa notte non potete dormire nel deserto. Adesso fa caldo, ma domattina scenderà quasi a zero. Forse non ve ne siete accorti, ma, da Phoenix in poi, la strada è sempre salita. E se non vi morde qualche rettile, ci sono tutti gli insetti del deserto. Dovete prendere una capanna.»
«Steve, non possiamo permettercelo.»
«Il Signore provvederà. Tu ci credi, vero?»
«Certo» risposi, seccato «Ci credo.» (Ma si dice anche: aiutati che Dio t’aiuta.)
«E vedrai che il Signore provvederà. Maggie, sei d’accordo con Alec su questa faccenda della fine del mondo?»
«Certo!»
«Mmm. Alec, ci penserò a lungo, a partire da ’stanotte: mi cercherò una bibbia dei Gedeoni. Questa volta non voglio perdermi lo spettacolo. Arrivati sulla 66, cercate un’insegna che dica “capanne”. Non “motel” o “albergo”, ma solo “capanne”. Se chiedono più di due dollari, andatevene. Continua a contrattare, e può darsi che te la diano per un dollaro.»
Non ascoltavo con molta attenzione, perché cominciavo a irritarmi. Contrattare con cosa? Sapeva che ero senza soldi… che non avesse creduto alle mie parole?
«Arrivederci, allora» proseguì Steve. «Alec, sai come si apre la porta? Preferisco non scendere.»
«Sì, certo.» Aprii la portiera, scesi a terra, e infine mi ricordai della buona educazione. «Steve, ti ringrazio di tutto. La cena, la birra, il passaggio. Spero che il Signore vegli su di te.»
«Grazie, ma non è stato niente. Prendi.» Mi diede un biglietto da visita. «Qui c’è il numero dell’ufficio. In realtà è l’indirizzo di mia figlia. Quando arriverete nel Kansas, mandatemi una cartolina, fatemi sapere di voi.»
«Certamente» gli promisi, poi tesi la mano verso Margrethe, per aiutarla a scendere.
Steve la fermò. «Maggie! Non dai il bacio d’addio al tuo vecchio amico Steve?»
«Certamente!» Si voltò verso di lui.
«Così mi piaci. Alec, sarà meglio che ti giri dall’altra parte.»
Non mi girai dall’altra parte, ma cercai di fare l’indifferente, sorvegliandoli con la coda dell’occhio.
Se la cosa fosse continuata ancora per mezzo secondo, avrei tirato Margrethe giù dal camion, di peso. Eppure, sono costretto ad ammettere che Margrethe non doveva subire a forza le attenzioni di quell’uomo; anzi, collaborava al cento per cento, baciandolo come nessuna donna sposata dovrebbe baciare un estraneo.
Io sopportai in silenzio.
Alla fine, la cosa finì. Aiutai Margrethe a scendere e chiusi la portiera. Steve ci gridò: «Arrivederci, ragazzi!» e ingranò la marcia. Quando il camion fu in moto, suonò due volte il clacson.
Margrethe disse: «Alec, tu sei arrabbiato con me».
«No. Sorpreso, sì. Rattristato.»
«Oh, non fare la scena!»
«Eh?»
«Steve ci ha portati per quattrocento chilometri e ci ha offerto un buon pasto. Non ha riso quando gli abbiamo raccontato una storia assurda. E adesso te la prendi perché l’ho baciato con un po’ di trasporto per fargli capire che lo ringraziavo di quanto ha fatto per me e per mio marito? Non lo accetto, chiaro?»
«Volevo dire che…»
«Basta! Non voglio sentire spiegazioni. Perché hai torto! E adesso sono io a essere arrabbiata, e continuerò a esserlo finché non avrai capito dove sbagli. Perciò, cerca di pensarci!»
Si girò e si avviò di buon passo verso l’incrocio tra la 66 e la 89.
Mi misi a correre per raggiungerla. «Margrethe!»
Lei non rispose; si limitò ad accelerare il passo.
«Margrethe! Cara! Mi sono sbagliato! Ti chiedo scusa!»
Lei si fermò, si girò verso di me e mi gettò le braccia al collo; cominciò a piangere. «Oh, Alec, io ti amo e tu sei così codino!»
Non le risposi subito perché la stavo baciando. Qualche istante più tardi, le dissi: «Anch’io ti amo, e a cosa intendi riferirti con “codino”?»
«A quello che sei tu. Alec. Controllati in tasca.»
«Eh?»
«Mentre mi baciava, Steve mi ha chiesto di dirti di controllarti nelle tasche perché “il Signore provvede”.»
La trovai nella tasca di sinistra della giacca: un’aquila d’oro. Non ne avevo mai tenuta in mano una. Era calda e pesante.