22

Il vento mi fece girare su me stesso, e le tombe scomparvero dal mio campo visivo. Quando riuscii di nuovo a guardare verso il basso, il terreno era interamente coperto da una nube di polvere ribollente, che brillava di tutti i colori dell’arcobaleno.

Continuai a cercare Margrethe, ma le persone che giungevano accanto a me, sospinte dal vento, non erano molte; tra loro non vidi Marga. Comunque, non ero preoccupato per la sua sorte: il Signore l’aveva Rapita con me ed entrambi eravamo avviati verso il Cielo.

Nel ripensare a quegli ultimi avvenimenti, mi dissi che ce l’avevamo fatta, ma appena appena! Per esempio, se il cavallo avesse perso uno zoccolo e fossimo giunti alla tenda di fratello Barnaby un’ora più tardi?

Rabbrividii. Il suono dell’Ultima Tromba sarebbe giunto mentre noi eravamo ancora in strada, mentre nessuno di noi era in grazia.

Invece di essere portati in cielo dal Rapimento, saremmo arrivati al giudizio impuri, e saremmo stati scagliati direttamente nel Pozzo di zolfo dell’inferno.

Alex, ci credi alla predestinazione?

Ecco una buona domanda. Passiamo ad altri argomenti. Volai sulle nuvole per un tempo incommensurabile. A volte vedevo altri uomini, ma nessuno mi arrivò talmente vicino da poter fare un po’ di conversazione.

Volavo già da molto tempo, quando cominciai a chiedermi con una punta d’irritazione quando avrei visto Gesù… l’aveva promesso Lui, di venirci incontro nell’aria”!

Poi mi dissi di non fare il bambino. Il tempo di Dio e quello dell’uomo non sono uguali. Quella del giudizio universale doveva certamente essere una giornata molto piena, e io non avevo idea di quali appuntamenti avesse già preso Gesù per quel giorno. Anzi, uno lo conoscevo: quello delle tombe che si riaprivano. Coloro che erano morti in Cristo (quanti erano? milioni? miliardi? di più?) dovevano essere i primi a incontrare il Padre, e naturalmente doveva presenziare anche Gesù: glielo aveva promesso. Ecco dov’era in quel momento.

Avendo dunque capito che il ritardo era giustificato, ogni mia irritazione si dileguò; mi feci un appunto mentale di chiedere a Gesù notizie di Margrethe, scivolai nella beatitudine che ci era stata profetizzata, e dormii.


Non so per quanto tempo rimasi addormentato, ma al mio risveglio, nel passarmi la mano sulla faccia, mi parve di avere la barba lunga di due giorni. La mano mi corse immediatamente al taschino della camicia… e lì, al sicuro, c’era il rasoio Gillette che Marga mi aveva regalato! Purtroppo, però, mi mancavano l’acqua, il sapone e lo specchio.

La cosa mi diede fastidio, perché ero stato svegliato da uno squillo di tromba — no, non quella del Giudizio: una tromba normale, suonata probabilmente da qualche angelo — e nella mia nuova condizione, senza bisogno che me lo spiegassero, avevo riconosciuto il significato di quel suono: Sveglia, voi altri! È il vostro turno.”

Ed era proprio così. Perciò, quando lassù venne fatto l’appello”, io mi presentai con la barba lunga. Che vergogna!

Gli angeli ci trattavano come se fossero vigili del traffico, costringendoci a metterci nella formazione da loro voluta. Sul fatto che fossero angeli non c’erano dubbi: portavano le ali e una lunga veste bianca, e avevano dimensioni colossali: quello che volava accanto a me doveva essere alto tre metri. Notai che non battevano le ali (più tardi venni a sapere che le mettevano solo nelle cerimonie ufficiali, o come simbolo di autorità). Scoprii che potevo volare nella direzione indicatami dagli angeli: prima non ero stato in grado di muovermi, ma adesso potevo spostarmi per puro atto di volontà.

Prima ci misero in colonna, uno dietro l’altro, per chilometri e chilometri (centinaia di chilometri? migliaia?) Poi presero le colonne e le schierarono in riga: dodici per fila, dodici file per gruppo. Io, se non avevo contato male, ero il quarto della terza fila. Quando ero in colonna, avevo circa duecento persone davanti a me (avevo fatto il conto mentre si formavano le colonne) ma non avevo idea di quante ne avessi dietro.

E in questo schieramento passammo davanti al Trono di Dio.

Ma prima arrivò un angelo, che si fermò a una cinquantina di metri dal nostro fianco sinistro. «Ascoltate qua!» ci gridò. «Passerete in rivista in questa formazione. Tenetevi sempre al vostro posto. Puntate gli occhi sulla creatura davanti a voi e su quella alla vostra sinistra. Tra una fila e l’altra lasciate dieci cubiti, e tra voi e i vostri vicini della fila uno spazio di cinque. Niente ammassi, niente rottura di righe, niente rallentamenti quando passerete davanti al Trono! Chi non obbedisce sarà immediatamente mandato in fondo alla fila… e lo avverto, prima di allora, il Figlio potrebbe già essersene andato, e invece di sfilare davanti a lui sfilerete davanti a Pietro, Paolo o qualche altro santo. Domande?»

«Sì, quant’è un cubito?»

«Due cubiti fanno una iarda. C’è qualche creatura di questa coorte che non sa quanto sia una iarda?»

Nessuno parlò. L’angelo chiese ancora: «Altre domande?»

Una donna alla mia sinistra gridò: «Sì! Mia figlia s’è dimenticata lo sciroppo per la tosse, ma ce l’ho io. Posso portarglielo?»

«Creatura, ogni tosse che tua figlia porterà con sé in Cielo sarà esclusivamente psicosomatica…»

«Ma il dottore ha detto che…»

«…e nel frattempo fa’ silenzio e lasciaci continuare con la nostra sfilata. Le richieste di carattere personale potranno essere inoltrate dopo l’arrivo in Cielo.»

Ci furono altre domande, quasi tutte stupide, a conferma di un’impressione che avevo già da anni (e che mi ero guardato bene dal confidare ad altri): un’alta religiosità non comporta necessariamente il buon senso.

Di nuovo suonò la tromba; il direttore di volo della nostra coorte gridò: «Avanti!» Un attimo più tardi si levò un altro breve squillo di tromba, e lui gridò: «In volo!» Obbedimmo.

(Nota. Mi riferisco a questo angelo come a un “lui” perché sembrava un maschio. Di altri che sembravano femmine parlo al femminile, ma ho l’impressione che siano androgini. Però, non ho mai avuto l’occasione — o il coraggio — di chiederglielo e resto tuttora un assoluto ignorante circa il sesso degli angeli.)

Il Trono era perfettamente visibile, già alla distanza di molti chilometri. Non era il grande Trono di Dio Padre della Città Celeste; questo era solo un trono da campo, preparato per quell’occasione. Ma era magnifico: intagliato in un unico diamante, con miriadi di sfaccettature che riflettevano in tutte le direzioni la luce interiore di Gesù. Fu l’unica cosa che vidi, perché il volto di Gesù irradia un tale bagliore che, se non si hanno le lenti affumicate, non si possono scorgere i suoi lineamenti.

Comunque, era impossibile non riconoscerlo. Quando eravamo ancora a quaranta chilometri di distanza, venimmo completamente soggiogati da un senso di meraviglia e di reverenziale timore. Nonostante gli sforzi dei miei professori di teologia, solo allora capii l’emozione descritta dalla Bibbia come amore-paura. Capii perché Pietro e Giacomo avessero lasciato cadere le reti per seguirlo.

E, naturalmente, quando gli passammo accanto (a cento metri di distanza, circa) non ebbi il coraggio di rivolgergli la mia richiesta. Pensai però a quanto ci aveva detto l’angelo: che una volta giunti in Cielo sarebbe stato possibile inoltrare richieste personali.


A qualche chilometro di distanza dal trono, la colonna virò in alto e a destra: lasciammo la regione della terra e del sistema solare per dirigerci verso il Cielo.

La nostra velocità era notevolmente aumentata: mi parve che impiegassimo circa due ore per arrivare alla Città. Dico “mi parve” perché non c’era una scala di riferimento su cui misurare il tempo. Secondo la mia impressione, la durata complessiva del mio passaggio dalla terra al cielo fu di due giorni… ma più tardi mi fu detto che erano passati almeno sette anni. Quando non hai l’orologio e il contachilometri, le misure del tempo e dello spazio diventano assai opinabili.

Quando fummo vicini alla Città Celeste, le nostre guide ci fecero rallentare e ci portarono a fare un giro completo attorno a essa, prima di accompagnarci a una delle porte.

Non fu un viaggio breve. La Gerusalemme Celeste (il Cielo, la Città Celeste o la Città santa: insomma, la capitale di Yahweh) è a forma di un quadrato perfetto come la città di Washington, ma è considerevolmente più grande: il suo lato misura 2100 chilometri, e di conseguenza l’intero perimetro è di 8400 chilometri e l’area di circa 4,4 milioni di chilometri quadrati.

Città come Los Angeles e New York scompaiono, al confronto.

La Città Celeste copre un’area pari ad almeno sei volte quella del Texas! Eppure, è affollata. Ma la sua popolazione, dopo di noi, non era destinata ad aumentare molto.

Naturalmente è una città fortificata, e le sue mura sono alte 65 metri e larghe altrettanto. Sulla cima ci sono dodici corsie di traffico… senza guardrail. Fanno una certa impressione. Ci sono dodici porte, tre per facciata: le famose porte costituite di una sola perla (e lo sono davvero); di solito sono aperte: non si chiuderanno, ci venne detto, fino alla battaglia finale.

Le mura sono di diaspro iridescente, ma i loro basamenti sono a terrazza, e ogni strato orizzontale è di una pietra preziosa ancor più lucente del diaspro delle mura: zaffiro, calcedonio, smeraldo, sardonice, crisolito, berillo, topazio, ametista e non so più che altri. La Gerusalemme Celeste è tutta un bagliore, e l’occhio umano non riesce a coglierla tutta insieme.

Terminato il giro turistico attorno alla Città Celeste, il nostro direttore di volo ci schierò in un’orbita di parcheggio come fanno i dirigibili quando aspettano di scendere sul campo O’Hare e ci tenne lassù finché non ricevette il segnale che una delle porte era libera. Mi auguravo di poter dare almeno un’occhiata a san Pietro, ma non ci riuscii: il suo ufficio è alla porta principale, la porta di Giuda, mentre noi passammo per quella dirimpetto, la porta di Aser, dove venimmo presi in carico da angeli autorizzati da Pietro a farne le veci.


Anche con dodici porte in funzione, con decine di angeli-scritturali a ciascuna di esse, e con l’esonero dall’esame di ammissione (venivamo tutti dal Rapimento: eravamo garantiti tra gli eletti) dovemmo rimanere in coda per molto tempo, solo per essere registrati, per ricevere documenti d’identità provvisori, alloggio provvisorio, tessere alimentari provvisorie…

(“Alimentari”?)

Sì, me lo domandai anch’io, e chiesi informazioni all’angelo che stava sbrigando le mie pratiche. Lui mi guardò dall’alto al basso. «La refezione è facoltativa. Puoi anche non mangiare e non bere mai, e non ne subirai danni. Ma molte creature e alcuni angeli traggono piacere dal cibo, specialmente in compagnia. Fa’ come credi.»

«Grazie. Ora, questa sistemazione in un alloggio provvisorio. C’è un solo posto letto. Mi serve un alloggio matrimoniale, per me e mia moglie…»

«La tua ex moglie, vuoi dire. In Cielo né gli uomini prendono moglie, né le donne prendono marito.»

«Uh. Questo significa che non possiamo vivere insieme?»

«Niente affatto. Ma tutt’e due dovete presentarvi, insieme, all’Ufficio Alloggiamenti. Sportello Spostamenti e Nuove Assegnazioni. E dovete portare tutt’e due il vecchio modulo di assegnazione alloggio.»

«Ma è proprio questo il problema! Siamo stati separati durante il viaggio. Come faccio a trovarla?»

«Non rientra nelle incombenze di questo sportello. Rivolgi la richiesta alla cabina del servizio informazioni. Nel frattempo serviti del tuo alloggio monopersona presso la Caserma di Gedeone.»

«Ma…»

L’angelo sospirò. «Ti rendi conto di quante migliaia di ore devo ancora rimanere qui? Ti rendi conto del lavoro occorrente per accogliere milioni di creature che arrivano tutte insieme, alcune vive senza mai avere conosciuto la morte, altre risorte in un corpo nuovo? Sai che per la prima volta abbiamo dovuto installare i servizi igienici per le creature corporee… ti rendi conto di quanto sia antipatica la cosa? Intendo dire che una volta installati i bagni, ti arrivano creature che ne hanno bisogno… e l’intero quartiere si deprezza! Ma chi mi ascolta, me! Bah. Piglia i tuoi documenti, entra da quella parte, fatti dare una veste e un’aureola… l’arpa è facoltativa. Poi segui la freccia verde fino alla Caserma di Gedeone.»

«No!»

Vidi che muoveva le labbra senza parlare. Mi auguro che fosse una preghiera. Disse: «Ti pare decoroso andare in giro per il Cielo conciato come sei? Sei tutto in disordine. Qui non siamo abituati alle creature di carne. Uh… l’ultimo che ricordo di avere visto è Elia, e devo dire che il tuo aspetto è quasi disdicevole quanto il suo. Oltre a gettare via quegli stracci e a metterti una decente veste bianca, se fossi in te cercherei di fare qualcosa per quei capelli.»

«Senta» dissi io, con ira «nessuno conosce le pene che ho sofferto: nessuno tranne Gesù. Mentre lei se ne stava qui con una bella veste bianca e pulita, in una città immacolata con le strade d’oro, io ho dovuto lottare con lo stesso Satana. So di non essere in ordine, ma non sono stato io a decidere di arrivare in queste condizioni. Uh… dove posso trovare delle lamette?»

«Che cosa?»

«Lamette da barba Gillette per rasoio di sicurezza, o analoghe. Per questo rasoio.» Lo presi di tasca e glielo mostrai. «Se possibile, di acciaio inossidabile.»

«Qui, tutto è inossidabile. Ma che cos’è quell’arnese?»

«Un rasoio. Per farmi la barba.»

«Sì? Se il Signore, nella sua saggezza infinita, avesse voluto che i maschi delle sue creature non avessero peli sulla faccia, li avrebbe creati con la pelle liscia. Su, dammelo; lo butto via io.» Tese la mano verso il mio rasoio.

Io mi affrettai a sottrarglielo. «Oh, no! Dov’è la cabina del servizio informazioni?»

«Alla tua sinistra. A seimila stadi da qui.» Arricciò sdegnosamente il naso.

Mi allontanai, irritato. Burocrati. Perfino in Cielo. Non feci altre domande perché avevo colto un vago senso di minaccia. Seimila stadi è la metà esatta del lato della Città Celeste — descritta nell’Apocalisse — ed è la distanza tra una porta centrale (come quella di Aser dove mi trovavo) e il centro della Città, ossia il Trono Bianco di Dio. L’angelo mi stava dunque dicendo che se il trattamento non mi piaceva, potevo andare a protestare dal suo capo… ossia: “Togliti dai piedi!”

Presi le mie carte e mi allontanai. Poi cercai qualcun altro a cui chiedere informazioni.

Colui che aveva organizzato tutto — Gabriele o Michele o chi altri — aveva previsto che ci fossero in giro migliaia di creature che avevano qualche problema e che non sapevano a chi chiedere. Perciò, sparsi tra la folla, c’erano molti cherubini. Non pensate a Michelangelo o a Luca della Robbia: non erano angioletti paffuti, ma persone alte mezzo metro più di noi… assomigliavano agli angeli, ma avevano le ali molto più corte, e una fascia al braccio con la scritta DIREZIONE.

O forse erano angeli come gli altri; non ho mai saputo se esistesse davvero la suddivisione in troni, arcangeli, angeli, cherubini, serafini e via discorrendo; la Bibbia dà l’impressione che queste cose le debbano già sapere tutti, senza bisogno di dirle. I papisti arrivano a elencare nove specie di angeli! Dove li hanno trovati? Nella Bibbia non li ho mai visti.

Nella Città del Cielo trovai solo due categorie di esseri: angeli e uomini. Gli angeli si considerano superiori e non si peritano di farvelo sapere. Del resto sono davvero superiori, sia come posizione, sia come poteri e privilegi. Gli eletti sono semplici cittadini di serie B, e l’idea che si incontra un po’ in tutte le chiese protestanti (e che forse è condivisa anche dai papisti) che un’anima del paradiso vada praticamente a sedere sulle ginocchia di Dio… be’, non è affatto così! Quando siete salvi e andate in Cielo, scoprite subito che siete gli ultimi arrivati, al più basso scalino della gerarchia.

Un’anima beata in Cielo è più o meno nella posizione occupata dai mori nell’Arkansas. E se non lo sapete, c’è sempre qualche angelo che vi informa della situazione, in modi quanto mai sgradevoli.

Di tutti gli angeli che ho incontrato, non ne ho mai trovato uno che mi fosse simpatico.

E questo dipende dal modo in cui ci considerano. Cerchiamo di metterci nei panni degli angeli. Secondo il Libro di Daniele, in Cielo ci sono cento milioni di angeli. Prima della Resurrezione della Carne e del Rapimento degli Eletti, la Città Celeste doveva essere poco affollata. Un bel posto per viverci, e con buone possibilità di carriera: qualche messaggio da portare sulla terra, cantare nei cori, di tanto in tanto una cerimonia solenne per festeggiare l’arrivo di un’anima di particolare importanza. Sono certo che agli angeli piacesse molto.

Poi ti arriva una massa enorme di immigranti: milioni (miliardi?) di corpi — e non solo di anime — e molti dei nuovi venuti non sono neanche abituati ai comfort moderni. Tutti hanno bisogno di assistenza. Dopo innumerevoli eoni di vita beata, all’improvviso gli angeli sono costretti a fare lo straordinario, a rimboccarsi le maniche per dirigere una sorta di immenso orfanotrofio. Niente di strano che considerino gli uomini alla stregua di una seccatura.

Eppure, anche se riesco a capirli… sta di fatto che gli angeli non mi sono mai piaciuti. Quegli snob!


Trovai un cherubino con la fascia sul braccio e gli chiesi dove fosse la cabina del servizio informazioni. Con il pollice, lui indicò vagamente la direzione alle sue spalle. «Sempre dritto, giù per il viale. Fai seimila stadi e lo trovi. Non puoi confonderti: è accanto al fiume che scaturisce dal Trono.»

Io guardai lungo il viale. A quella distanza, Dio sul Trono brillava come il sole che sorge. Dissi: «Seimila stadi fa più di mille chilometri. Non ce n’è una più vicina?»

«Creatura, se è così, è perché c’è una buona ragione. Se avessimo messo una cabina a ogni crocevia, sarebbero tutte piene di gente che fa domande sciocche. Invece, una creatura non si prenderà la briga di arrivare laggiù se non ha una domanda veramente importante.»

Giusto. Ed estremamente irritante. Mi accorsi di nutrire di nuovo pensieri ben poco celesti. Avevo sempre pensato al Cielo come a un luogo di beatitudine assicurata… privo delle ridicole piccole frustrazioni che sono comuni sulla terra. Contai fino a dieci, prima in inglese e poi in latino. Infine chiesi: «Uh, quand’è che si può volare? C’è qualche limite di velocità?»

«Non penserai di poter volare qui da noi, vero?»

«Be’, perché no? Poche ore fa sono arrivato qui in volo, e poi ho fatto tutto il giro della città.»

«Hai solo avuto l’illusione di farlo. In realtà, ha volato solo il tuo capo coorte. Creatura, ascolta un consiglio che ti terrà lontano dai guai. Quando ti daranno le ali… ammesso e non concesso che tu finisca per meritartele… non cercare di alzarti in volo sulla Città Celeste. Ti sbatterebbero a terra con una tale velocità da farti saltare i denti. E ti sequestrerebbero le ali.»

«Perché?»

«Perché non sei autorizzato a farlo, ecco perché. Voi altri ultimi arrivati spuntate qui belli belli e pensate di poterla fare da padroni. Se vi lasciassero avvicinare, andreste perfino a incidere le vostre iniziali sul Trono. Perciò, ti do un altro avviso disinteressato. In Cielo vale una sola legge: R.H.I.P. Sai cosa vuol dire?»

«No» risposi.

«Allora, ascolta e impara. Puoi lasciar perdere i dieci comandamenti. Qui, i validi sono solo due o tre, e non riusciresti a infrangerli neppure se lo volessi fare espressamente. La regola aurea del Cielo è: il Rango Ha I suoi Privilegi. R.H.I.P. In questo eone tu sei una recluta ignorante delle Legioni del Signore, con il rango più basso possibile. E di conseguenza con il minimo di privilegi. Anzi, a dire il vero, l’unico privilegio che hai è di essere qui. Evidentemente, nella sua infinita saggezza, il Signore avrà stabilito che potevi entrarci. Ma niente di più. Cerca di comportarti come si deve, e vedrai che ti sarà permesso di rimanerci. Ora, per quanto riguarda la regola del codice del traffico di cui parlavi, solo gli angeli, e nessun altro, vola sulla Città Celeste. E solo per motivi di servizio o durante le cerimonie. Tu, perciò, sei escluso. Neppure quando avrai le ali. Sempre che te le diano. Te lo ripeto perché un grande numero di voi creature arriva qui con la convinzione che salire al Cielo vi trasformi automaticamente in angeli. Niente affatto. Le creature non diventano mai angeli. Possono diventare santi. Raramente. Ma angeli, mai.»

Contai fino a dieci, all’indietro, in ebraico. «Se non le dispiace, vorrei sapere come raggiungere quella cabina del servizio informazioni. Visto che non posso volare, in che modo posso arrivarci?»

«Perché non me l’hai chiesto subito? Prendi l’autobus.»


Più tardi ero seduto su un carro dei Trasporti Urbani Celesti diretto verso il Trono lontano. Il carro era aperto, a forma di barca, e vi si saliva dal di dietro; non c’era alcun motore visibile e nessun manovratore. Faceva le fermate indicate dagli appositi cartelli e io ero salito a una di esse. Non avevo ancora capito come fermarlo per scendere.

A quanto pareva, tutti gli abitanti della Città si servivano di quegli autobus (tranne qualche pezzo grosso che aveva il suo carro personale). Perfino gli angeli. Quasi tutti i passeggeri erano umani che indossavano la solita veste bianca e portavano un filino di aureola. Ma una piccolissima percentuale portava abiti delle epoche più svariate e aveva aureole molto più grandi e luminose. Notai che gli angeli si comportavano con più educazione, quando parlavano con queste creature dall’aureola grande. Però non si sedevano assieme a loro. Gli angeli sedevano nei posti davanti, gli umani privilegiati in centro, e le anime comuni (compreso il vostro affezionatissimo) in fondo.

Chiesi a uno dei miei compagni quanto tempo occorreva per arrivare al Trono.

«Non saprei» mi rispose. «Io scendo molto prima.»

Quella creatura sembrava di sesso femminile, di mezza età e ben disposta nei miei riguardi, perciò dissi una delle solite frasi: «Dal suo modo di parlare, lei deve essere del Kansas, vero?»

Lei sorrise. «No, mi dispiace. Sono nata nelle Fiandre.»

«Davvero? Sa che parla molto bene l’inglese?»

Lei scosse gentilmente la testa. «Non ho mai imparato quella lingua.»

«Ma…»

«Lo so. Lei è uno dei recenti arrivi. Il Cielo non è affetto dalla maledizione di Babele. Qui la Confusione delle Lingue non c’è mai stata… per mia fortuna, perché io non sono mai stata portata per le lingue straniere, e la cosa mi ha sempre bloccato in tante cose, prima che morissi. Qui, però, non è più così.» Mi guardò con curiosità. «Posso chiederle dove è morto? E quando?»

«Non sono morto» le spiegai. «Sono stato portato qui ancora in vita, durante il Rapimento, nel giorno del Giudizio.»

Lei fece la faccia stupita. «Oh, che cosa eccitante! Lei deve essere molto santo.»

«Non credo. Che cosa glielo fa pensare?»

«Il Giudizio verrà… è venuto, anzi… senza preavviso. O così mi hanno sempre detto.»

«Esatto.»

«Allora, senza preavviso, senza avere tempo di fare una confessione, senza un prete che la aiutasse… lei era pronto! Era senza peccato come Maria Vergine. È venuto direttamente in Cielo. Lei deve essere davvero un santo.» E aggiunse: «L’ho pensato subito, quando ho visto il suo costume, perché i santi… e soprattutto i martiri… spesso si vestono come quando erano sulla terra. Ho anche visto che non porta l’aureola da santo. Ma quella è facoltativa.» All’improvviso, assunse un’espressione intimidita. «Mi dà la sua benedizione? O chiedo troppo?»

«Sorella, io non sono un santo.»

«Non mi vuole dare la sua benedizione?»

(Gesù, perché mi succede questo genere di cose?) «Anche se le ho detto che, a quanto mi risulta, non sono un santo, lei vuole lo stesso la mia benedizione?»

«Se lei è disposto a darmela… padre reverendo…»

«Va bene. Si giri verso di me e abbassi leggermente la testa…» Invece, la donna si inginocchiò. Io le posai la mano sul capo. «Per l’autorità che mi è stata conferita come ministro della chiesa universale di Gesù Cristo Figlio di Dio Padre e con il potere dello Spirito Santo, benedico questa nostra sorella in Cristo.»

Sentii alcune voci dire «Amen!» intorno a noi; tutti ci avevano dato ascolto. Io ero leggermente imbarazzato. Non ero sicuro, e non lo sono neppure adesso, di avere l’autorità di dare benedizioni nella Città Celeste. Ma quella cara donna me l’aveva chiesta, e io non potevo rifiutargliela.

Lei mi guardò con le lacrime agli occhi. «Lo sapevo!»

«Che cosa?»

«Che lei è un santo. Adesso la porta!»

Stavo per chiederle: “La porto, che cosa?” quando si verificò un piccolo miracolo. All’improvviso mi parve di vedermi dall’esterno: calzoni kaki spiegazzati, camicia militare con un rasoio nel taschino, barba di tre giorni e capelli lunghi… e, sopra la mia testa, un’aureola scintillante, grossa come una gomma d’automobile!

«Torni a sedere» le dissi. «Non facciamoci notare.»

«Sì, reverendo padre.» Poi aggiunse: «Lei non dovrebbe sedere qui in fondo».

«Non se ne preoccupi, figliola. Ora, mi parli di lei.» Mi guardai attorno, mentre la donna si sedeva, e incrociai lo sguardo di un angelo seduto tutto solo, nella parte anteriore. L’angelo mi fece segno di avvicinarmi.

Io ero stufo dell’arroganza degli angeli; a tutta prima finsi di non vederlo. Ma tutti ci guardavano, anche se fingevano di non accorgersi di niente, e la mia compagna, intimidita, prese a sussurrarmi: «Reverendo padre, l’angelo vuole vederla».

Io cedetti, in parte perché era più semplice, in parte perché volevo fare una domanda all’angelo. Mi alzai e mi recai nella parte anteriore.

«Voleva parlarmi?»

«Sì. Lei conosce le regole. Angeli davanti, creature in fondo, in centro i santi. Se lei si siede in fondo con le creature, dà loro brutte abitudini. Come pensa di mantenere i suoi privilegi di santo, se ignora il protocollo? Che non succeda più.»

Pensai a varie risposte, non propriamente celestiali. Invece, chiesi: «Posso farle una domanda?»

«La faccia.»

«Quanto ci vuole ancora, perché questo autobus raggiunga il fiume che scaturisce dal Trono?»

«Perché me lo chiede? Lei ha tutta l’eternità a disposizione.»

«Lo dice perché non lo sa? O perché non vuole dirmelo?»

«Vada a sedere al suo posto. Immediatamente!»

Tornai indietro e cercai un posto in fondo. Ma le altre creature avevano occupato anche il mio posto e non mi lasciavano sedere. Nessuno parlò e nessuno mi guardò negli occhi, ma era evidente che nessuno intendeva aiutarmi a sfidare l’autorità di un angelo. Con un sospiro andai a sedere nella sezione centrale, in uno splendido isolamento, perché ero l’unico santo dell’autobus. Ammesso che fossi un santo.


Non so quanto tempo impiegassi per raggiungere il Trono. Nel Cielo la luce è sempre uguale e la temperatura non cambia e io non avevo l’orologio. Fu semplicemente un tempo lunghissimo, di grande noia. Noia? Certo. Uno splendido palazzo di pietre preziose è uno spettacolo meraviglioso. Dieci di quei palazzi sono dieci spettacoli, ciascuno diverso dall’altro. Ma cento chilometri di quei palazzi vi mettono sonno, e mille chilometri sono insopportabili. Dopo un po’, mi augurai di vedere una discarica, un deposito di auto usate o (meglio ancora) qualche giardino verde o un po’ di campagna.

Nuova Gerusalemme è una città di perfetta bellezza; lo posso testimoniare. Ma in quel lungo tragitto capii anche l’importanza delle cose brutte.

Non ho mai saputo chi abbia progettato la Città Celeste. Il fatto che Dio abbia autorizzato il progetto e la costruzione è assiomatico. Ma la Bibbia non parla dei suoi architetti e dei suoi costruttori. I massoni parlano del “Grande Architetto dell’Universo”, e con questo termine intendono Yahweh… ma non si tratta di conoscenze prese dalla Bibbia. Una volta chiesi a un angelo: «Chi ha progettato questa città?» Lui non si fece gioco della mia ignoranza, non mi sgridò per l’insolenza… semplicemente, non capì che cosa volevo chiedergli. Ma per me il problema è ancora aperto: è stato Dio stesso a creare (progettare e costruire) la Città Celeste, fino all’ultimo pezzetto di gioiello? O ha dato l’incarico a qualche subordinato?

Chiunque l’abbia progettata, la Città Celeste ha un grave difetto, secondo me… e non venite a dirmi che la mia presunzione di giudicare l’opera di Dio è una bestemmia. È veramente una mancanza, e piuttosto grave.

La biblioteca pubblica.

Una bibliotecaria che abbia dedicato la propria vita a rispondere alle domande del pubblico, sia quelle banali sia quelle più importanti, sarebbe più utile, in Cielo, di un’altra ennesima coorte di angeli arroganti. Il Paradiso deve essere pieno di queste signore, perché occorre l’amore di un santo e la pazienza di Giobbe per fare la bibliotecaria fino all’età della pensione. Ma per farlo avrebbero bisogno di libri, di schedari e di tutti gli altri strumenti della loro professione. Se ne avessero la possibilità, sono certo che catalogherebbero tutti i libri e preparerebbero le schede… ma dove trovare i libri? In Cielo non mi pare esista un’industria editoriale.

In Cielo non ci sono industrie. In Cielo non c’è un’economia. Quando decretò, dopo la cacciata dall’Eden, che i discendenti di Adamo ed Eva dovessero guadagnarsi il pane con il sudore della fronte, Dio creò l’economia. Da allora, e per circa 6000 anni, questa rimase sempre in vigore.

Ma non in Cielo.

In Cielo, Dio ci dà il nostro pane quotidiano senza il sudore della fronte. Anzi, non c’è neppure bisogno del pane quotidiano: non si ha mai fame, ma solo quel leggero appetito che ti permette di mangiare con soddisfazione se ti viene voglia di fermarti in uno dei suoi numerosi ristoranti, grill e tavole calde. I migliori hamburger della mia vita li ho assaggiati in un grill dietro la Piazza del Trono, sulla riva del fiume. Ma riprendiamo il filo.

Un altro difetto della Gerusalemme Celeste, meno grave del primo ma non trascurabile, è quello dei giardini. Non c’è verde, voglio dire, tranne quello dell’aiola dell’Albero della Vita, vicino al Trono e al fiume, e qualche giardino privato qui e là. Credo di sapere perché sia così, e a parer mio la cosa finirà per correggersi da sola. Finché non raggiungemmo il Cielo noi (parlo della gente del Rapimento e dei morti in Cristo risorti) quasi tutti gli abitanti della Città Celeste erano angeli. Il milione (circa) di eccezioni erano martiri della fede, figli di Israele talmente santi da essere arrivati Lassù senza avere conosciuto Cristo (cioè prima del 30 d.C.) e altri delle terre pagane… anime virtuose di per se stesse, senza bisogno di conoscere Gesù. Perciò il 99 per cento degli abitanti era composto di angeli.

E gli angeli non hanno alcun interesse per il giardinaggio. Ve lo immaginate, un angelo inginocchiato a terra, che copre di terra le radici di una pianta? No, gli angeli non sono il tipo di esseri che, pur di coltivare rose da primo premio, non esitano a sporcarsi le mani di terra.

Ma adesso che gli angeli sono superati dagli uomini nella proporzione di dieci a uno (e forse anche di più) mi aspetto di vedere molti giardini: club di giardinaggio, lezioni su come preparare il terreno e così via. Tutti gli infiniti rituali dei patiti per la floricoltura. Adesso ne hanno il tempo.

Gran parte degli umani presenti in Cielo fa quel che desidera fare, senza la pressione del bisogno. Quella simpatica signora (Suzanne) che mi aveva chiesto la benedizione, un tempo ricamava merletti nelle Fiandre; adesso insegna il suo lavoro in una scuola aperta a tutti gli interessati. Ho l’impressione che, per molti umani, il vero problema di un’eternità di beatitudine sia quello di come passare il tempo. (Domanda: che ci sia qualcosa di giusto, nell’idea della reincarnazione che domina in tante religioni, ma che è rifiutata dal Cristianesimo? Che un’anima beata possa essere ricompensata, alla fine, rimandandola nella lotta? Se non sulla terra, altrove? Dovrei procurarmi una bibbia per fare alcune ricerche. Con mio grande stupore, in Cielo è estremamente difficile trovare una bibbia.)


La cabina del servizio informazioni era proprio dove mi avevano detto: accanto alla riva del fiume dell’Acqua della Vita, che sgorga dal Trono di Dio e scorre nel boschetto dell’Albero della Vita. Il Trono s’innalza dal centro del boschetto, ma non potete vederlo bene, da un punto così vicino alla sua base. È come guardare un grattacielo di New York dal suo stesso marciapiedi. Ma molto di più. E naturalmente non potete vedere il Volto di Dio: dista da voi 1440 cubiti. Quello che vedete è la sua Radianza… e ne avvertite la Presenza.

La cabina era affollatissima, proprio come mi aveva fatto capire il cherubino. Il pubblico non stava in coda: era ammassato tutt’attorno, per uno spessore di almeno cento persone. Guardai quello sciame umano e mi chiesi quanto mi sarebbe occorso per farmi strada fino allo sportello. Già prevedevo di dover usare le tattiche da giorno di apertura dei saldi: pestoni sui calli, gomitate allo stomaco e tutte le altre cose che rendono così sgradevoli alle persone di sesso maschile i grandi magazzini.

Feci un passo indietro e studiai la folla, cercando di fare un piano d’azione. Che non ci fosse un altro modo di trovare Margrethe, senza salire sui piedi a nessuno?

Ero ancora lì fermo a riflettere, quando un cherubino con la fascia della DIREZIONE attorno al braccio si avvicinò a me. «Sant’uomo, desidera raggiungere la cabina del servizio informazioni?»

«Certo!»

«Allora, mi segua. Non mi perda di vista.» Aveva un lungo bastone, come quelli usati dalla squadra anti-dimostranti della polizia. «Largo, largo! Fate largo per un santo! In fretta, laggiù!»

In un amen raggiunsi lo sportello. Non credo che nessuno si sia fatto male, ma vidi molte facce irritate. Non ho mai approvato coloro che passano davanti agli altri, e sono il primo a irritarmi quando un angelo mi dà degli ordini. Ma dove la legge impone l’R.H.I.P., essere anche solo un caporale è meglio che essere un soldato semplice.

Mi voltai per ringraziare il cherubino, ma ormai era sparito. Qualcuno disse: «Sant’uomo, come posso servirla?» Era l’angelo seduto allo sportello.

Spiegai che volevo trovare mia moglie. L’angelo cominciò a tambureggiare con le dita sul ripiano. «Non è uno dei servizi che forniamo abitualmente. Per questo genere di cose c’è un servizio ricerche apposito, effettuato da creature, che si chiama “Trovate i vostri amici e i vostri cari”.»

«Dov’è?»

«Vicino alla porta di Aser.»

«Cosa? Arrivo proprio da laggiù. È a quella porta che sono stato registrato.»

«Doveva chiedere all’angelo che le ha fatto i documenti. È stato registrato da poco?»

«Sì, proprio ora; sono stato preso con il Rapimento. Però ho chiesto, all’angelo che mi ha fatto le carte, e lui mi ha detto che non era di sua competenza. Mi ha detto di venire qui.»

«Hmm. Mi fa vedere i suoi documenti?»

Glieli consegnai. L’angelo li studiò con attenzione, poi chiamò l’angelo dell’altro sportello, che aveva interrotto il lavoro per osservare noi: «Tirl! Guarda qui!»

Il secondo angelo studiò a sua volta i documenti, li riconsegnò al collega… mi guardò e scosse tristemente la testa. «C’è qualcosa che non va?» chiesi io.

«No, sant’uomo. Lei ha solo avuto la sfortuna di essere servito… se così vogliamo dire… da un angelo che non alzerebbe un dito neppure per il suo migliore amico, se lo avesse. Ma non ne ha. Però mi stupisce che si sia comportato così male con un santo.»

«Non portavo l’aureola, in quel momento.»

«Questo spiega tutto. L’ha ritirata solo in seguito?»

«No, non l’ho ritirata. L’ho acquisita in modo miracoloso, mentre venivo qui dalla porta di Aser.»

«Capisco. Sant’uomo, lei ha il diritto di fare rapporto sul comportamento di Khromitycinel. D’altra parte, potrei telefonare all’ufficio ricerche per inoltrare la richiesta al posto suo…»

«Penso che sia meglio questa soluzione.»

«Lo penso anch’io. A lungo andare. Per lei. Se mi sono spiegato.»

«Si è spiegato perfettamente.»

«Ma prima di chiamare il servizio ricerche, vorrei controllare con l’ufficio di san Pietro se sua moglie è già arrivata. Quando è morta?»

«Non è morta. È stata anche lei presa con me, nel Rapimento.»

«Davvero? Ah, allora si fa in fretta a controllare, è tutto sul computer, non occorre andare a cercare nelle vecchie pergamene. Nome per intero, età, sesso o assenza di, luogo e data di… no, questo non serve. Prima il nome.»

«Margrethe Svensdatter Gunderson.»

«Meglio che me lo dica lettera per lettera.»

Feci come mi aveva detto.

«Per il momento dovrebbe essere sufficiente. Spero che gli impiegati di Pietro sappiano leggere. Ma lei non può attendere qui; non abbiamo una sala d’attesa. C’è però un piccolo ristorante davanti a noi… vede l’insegna?»

Mi voltai a guardare. «La Vacca Sacra?»

«Sì. Fanno da mangiare bene, se lei mangia. Aspetti laggiù. La farò chiamare.»

«Grazie!»

«Oh, di nulla…» abbassò per un attimo gli occhi sulle mie carte, poi me le restituì «…sant’Alexander Hergensheimer.»

La Vacca Sacra era la visione più riposante che avessi avuto dal Rapimento in poi: un grill piccolo e pulito che sembrava arrivato direttamente da Saint Louis o da Denver. Entrai, e vidi accanto alla piastra degli hamburger, con la schiena rivolta verso di me, un moro alto e robusto, con un cappello da chef che gli arrivava fino all’aureola. Mi sedetti su uno sgabello e mi schiarii la gola.

«Un attimo di pazienza» mi disse. Poi terminò quello che stava facendo e si voltò verso di me. «Che cosa… Guarda, guarda! Sant’uomo, che cosa posso fare per lei? Ha solo da parlare!»

«Luke! Come sono contento di vederti!»

Lui mi fissò: «Ci conosciamo?»

«Non ti ricordi di me? Lavoravo nella tua cucina. Al Ron’s Grill di Nogales. Sono Alec, il tuo lavapiatti!»

Lui tornò a fissarmi, trasse un profondo sospiro. «Proprio non l’avevo riconosciuta… sant’Alec.»

«Solo “Alec” per gli amici. Dev’essere una sorta di errore amministrativo, Luke. Quando se ne accorgeranno, mi toglieranno questa carnevalata e la sostituiranno con un’aureola normale.»

«Non credo… sant’Alec. In Cielo non fanno errori amministrativi. Ehi, Albert! Vieni tu al banco. Io e il mio amico sant’Alec ci sediamo al tavolo. Albert è il mio vice-chef.»

Diedi la mano a un ometto grasso che sembrava la caricatura di uno chef francese. Sotto l’aureola, portava un cappello da Cordon Bleu. Luke mi accompagnò in una saletta da pranzo e ci sedemmo a un tavolo. Là fummo raggiunti da una cameriera e io ebbi un altro choc.

Luke disse: «Hazel, ti presento un vecchio amico, sant’Alec… lui e io lavoravamo insieme. Hazel è la cameriera della Vacca Sacra.»

«Io gli facevo da lavapiatti» spiegai. «Hazel, come sono contento di vederti!» Mi alzai, feci per darle la mano, poi cambiai idea e la abbracciai.

Lei mi sorrise, senza mostrarsi sorpresa. «Benvenuto, Alec! Anzi, sant’Alec, adesso. La cosa non mi stupisce affatto.»

«Il più stupito sono io. È un errore.»

«In Cielo non si fanno errori. Dov’è Margie? È ancora viva sulla terra?»

«No.» Le spiegai come eravamo stati separati. «Perciò, adesso aspetto che mi forniscano qualche informazione.»

«La troverai.» Mi diede un bacio in fretta, affettuosamente… e mi ricordai della mia barba di quattro giorni. Le dissi di sedere con noi, poi mi sedetti anch’io con i miei amici.

«La troverai in fretta» riprese Hazel «perché è una promessa che ci è stata fatta espressamente e che viene mantenuta con molta precisione. “Ci riuniremo accanto al fiume”… e il fiume è proprio lì, dietro la porta. Steve, devi sapere… sant’Alec, ti ricordi di Steve? Era con te e Margie quando ci siamo conosciuti.»

«Come potrei dimenticarmi di lui? Ci ha portati a cena e ci ha regalato un’aquila d’oro quando eravamo in bolletta. Se mi ricordo di Steve!»

«Sono lieta di sentirtelo dire… perché Steve attribuisce a te il merito della sua conversione… della sua rinascita… e di averlo fatto giungere in Cielo. Sai, Steve è stato ucciso sulla Piana di Meghiddo, e anch’io sono morta nella Guerra, cinque anni dopo avervi conosciuti.»

«Cinque anni?»

«Sì. Sono stata uccisa proprio all’inizio della guerra; Steve è sopravvissuto fin quasi all’Armageddon…»

«Hazel… è passato poco più di un mese, da quando Steve ci ha offerto quella cena al Rimrock.»

«È logico, tu sei stato preso con il Rapimento, ed è stato proprio quello a dare il via alla Guerra. Tu hai trascorso gli anni della Guerra nell’aria, e per questo io e Steve siamo arrivati in Cielo prima di te, pur essendo partiti dopo. Puoi discuterne con Steve, arriverà presto. Tra l’altro, io sono adesso la sua concubina… ossia sua moglie, tranne che qui in Cielo né gli uomini hanno moglie, né le donne marito. Comunque, Steve rientrò nel corpo dei marine allo scoppio della Guerra e arrivò fino al grado di capitano prima che lo uccidessero. La sua squadra è scesa a Haifa; Steve è morto combattendo per il Signore al culmine dell’Armageddon. Sono davvero orgogliosa di lui.»

«E hai ragione di esserlo. Luke, sei morto anche tu nella Guerra?»

Luke mi rivolse un largo sorriso. «Nossignore, sant’Alec. Mi hanno impiccato.»

«Vuoi scherzare!»

«No, dico sul serio. Mi hanno impiccato, punto e basta. Ricordi quando te ne sei andato?»

«Non me ne sono “andato”. C’è stato un miracolo. È così che ho fatto la conoscenza di Hazel e di Steve.»

«Be’… tu conosci i miracoli meglio di me. Comunque, abbiamo dovuto trovare un altro lavapiatti in fretta e furia, e siamo stati costretti a prendere un chicano. Amico, era davvero un brutto soggetto, quello. Mi ha minacciato con il coltello. E quello è stato il suo errore. Puntare il coltello contro un cuoco, nella sua stessa cucina? Lui mi ha tagliato un poco, io l’ho tagliato come si deve. I giurati dovevano essere tutti suoi cugini. Comunque, la pubblica accusa ha detto che era il momento di dare un esempio. Ma è andata bene così. Ero stato battezzato molto tempo prima; il cappellano della prigione mi aiutò a rinascere in Cristo. Pronunciai un sermone mentre ero fermo sulla botola, con il cappio attorno al collo. Poi dissi: “Adesso potete farlo! Inviatemi da Gesù! Alleluia!” E loro mi inviarono. Il più bel giorno della mia vita!»

Albert si affacciò dalla porta. «Sant’Alec, c’è un angelo che la cerca.»

«Vengo subito!»

L’angelo aspettava all’esterno perché era più alto della porta d’ingresso e non era disposto a chinarsi. «È lei sant’Alexander Hergensheimer?»

«Sono io.»

«Esito della sua richiesta relativa alla creatura definita come Margrethe Svensdatter Gunderson. Il rapporto dice: il soggetto non è stato preso nel Rapimento e non si è presentato in altre delle successive leve. La creatura Margrethe Svensdatter Gunderson non è in Cielo e non vi è attesa. Fine del rapporto.»

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