Poiché Avonap amava il suo settimo figlio, cercò di allontanarlo dalla fattoria il più presto possibile. Non era bene per un ultimo nato rimanere a lungo sulla fattoria, poiché più grande diventava, più mangiava, e più mangiava più i figli anziani vedevano la loro eredità che veniva sprecata, forse minacciata da un figlio che loro padre amava di più.
Questi figli nati tardi avevano l’abitudine di morire in strani incidenti. Avonap non aveva ragione di credere che Orem sarebbe stato al sicuro.
Provò a farne un soldato, affidandolo a un uomo con un solo occhio che abitava nel villaggio, e che una volta era stato sergente nell’esercito di Palicrovol. Ma Orem era di corporatura troppo esile e di statura troppo bassa per portare armi. Così non rimase altro da fare che dare il ragazzo a Dio.
Orem prese bene la notizia. Vedeva che a suo padre dispiaceva che lui andasse via, e questo lo confortava. Vedeva anche che sua madre era sollevata nel sapere che sarebbe andato via, e questo gli tolse la voglia di restare.
Così fu che all’età di sei anni Orem venne portato a dorso di mula fino alla città di Banningside, e consegnato nelle mani dei chierici della Casa di Dio.
— Imparerai a leggere e scrivere — disse Avonap, anche se non aveva idea di cosa fossero leggere e scrivere.
— Non voglio imparare a leggere e scrivere — sussurrò il bambino.
— Imparerai a contare il denaro — disse Avonap, che non aveva mai avuto fra le mani una moneta in tutta la sua vita.
— Imparerai a servire Dio — disse il diacono Dobbick, portando il bambino dentro la porta della casa. A questo parole Avonap si toccò la fronte e piegò leggermente le ginocchia, poiché Dio era trattato con rispetto in tutte le terre di Re Palicrovol.
Orem pianse quando le grandi porte di legno si chiusero, ma non a lungo. I bambini sono elastici. Per quanto vengano battuti, riescono a tirare avanti.
La Casa di Dio era scura e morta, piena di figure bianche di uomini dalla faccia acida e di bambini spaventati. Mai si sentiva una vera risata echeggiare nei corridoi e nelle celle della Casa di Dio, come nella taverna del villaggio o fra le grandi colonne del bosco. I ragazzini rubacchiavano le loro risate come rubacchiavano il vino delle offerte. E tuttavia Orem ben presto si trovò a casa, lì. La casa è in qualsiasi posto uno sappia riconoscere i propri amici e i propri nemici.
I suoi nemici erano i ragazzi più grandi e più forti, abituati a esercitare il potere nelle camerate buie, di notte. Orem era cresciuto con la convinzione che l’ingiustizia non doveva essere sopportata, ma corretta. Così quando vedeva commettere un’ingiustizia la correggeva. Non dicendolo ai diaconi: sapeva che gli adulti non prendono mai sul serio le guerre e le battaglie fra bambini. Invece, disse ai più giovani come organizzarsi nel buio. Dopo due volte che Orem ebbe battuto i grandi nel buio, i più giovani cominciarono a sentirsi sicuri e più liberi di quanto fossero mai stati prima. I grandi non dimenticarono. Orem li aveva disfatti quando pensavano di essere forti, e con l’immediatezza dei bambini prepararono la morte di Orem.
Gli amici di Orem non erano i ragazzi più giovani, tuttavia. Una volta ottenuta la propria sicurezza, se ne stettero il più lontano possibile da Orem. Preferivano lasciare che l’odio dei grandi cadesse su di lui, e rimanerne loro stessi alla larga. Orem sopportò con calma il loro tradimento. Non si aspettava che fossero meglio di quanto erano. Era figlio di suo padre.
I suoi amici, invece, erano i preti e i diaconi, che riconoscevano la sua mente sveglia e limpida, e lo amavano per questo. Gli altri ragazzi restavano a lungo perplessi di fronte alla faccenda delle lettere e dei numeri. Ma per Orem essi erano una magia, cose misteriose che significavano suoni e valori, che avevano nomi ma non dicevano i loro nomi, che si allineavano in maniera da indicare cose diverse in momenti diversi. Allinea le lettere verticalmente e sono numeri, gli insegnò il suo maestro. Orizzontalmente, e sono parole. Orem mandò a memoria tutte le rune in un giorno, imparò a leggere le parole in una settimana, ed entro un mese scoprì che gli scribi più abili ordinavano i loro numeri in maniera da formare parole e le parole per formare numeri, cosicché in un libro l’intera astronomia dell’universo era rappresentata matematicamente nella storia di Azasa e dell’absigente, mentre in quest’altro tutti i conti del tesoro reale per un decennio erano ordinati in acronimi e cifrari che raccontavano i peccati dei cortigiani, le cui pene specifiche erano spiegate nelle somme. Mentre gli altri ragazzi si sforzavano per riuscire a comprendere il significato palese delle cose, Orem imparava le lezioni più astruse senza sforzarsi, cosicché con sua sorpresa faceva gli esercizi con un’eleganza al di là delle capacità di molti fra i suoi insegnanti.
— Non vedi cosa hai fatto? — chiese il diacono Dobbick. — Qui, dove fai la somma dei soli d’inverno, scrivi anche “neve calda”.
— Mi dispiace — disse Orem, credendo di essere stato colto in un vizio segreto. Ma ben presto si accorse che Dubbick era compiaciuto di lui, e parecchie volte notò che mentre i preti entravano per osservare la classe allo studio, guardavano da sopra le sue spalle per tutto il tempo, senza curarsi di alcun altro.
Una volta che Orem ebbe scoperto che gli insegnanti erano suoi amici, si rivolse a loro con gratitudine, sfuggendo alla pericolosa solitudine del campo giochi col passare le ore libere al chiuso, leggendo e parlando con i suoi maestri. Soltanto uno di questi capì cosa stava succedendo: il diacono Dobbick. — Non conosci ancora il prezzo della tua forza — disse Dobbick.
— Forza? — chiese Orem, che non pensava di averne alcuna.
— Ti sei comportato con coraggio e saggezza, quando sei arrivato. Devi comportarti con coraggio e saggezza fra gli altri bambini adesso, se vuoi trovarti bene con loro.
— Non sono miei amici — disse Orem.
— Ti ameranno di più se ti allei con noi, i maestri, gli oppressori, il terrore di ogni bambino qui?
— Che mi importa se mi amano o perché? Sono più felice qui al buio, fra i libri, che fuori alla luce con loro. Se non vuoi insegnarmi, lasciami solo con i libri.
Ma il diacono Dobbick non si lasciò dissuadere, e fece in modo che Orem fosse costretto a giocare all’aperto, a prendere parte alle gare. Quando gli altri ragazzini lanciavano in alto delle pietre e le colpivano con bastoni, Orem imparò a schivare prontamente le pietre che venivano scagliate dritte contro la sua testa. Quando nuotavano nella pozza, Orem imparò a trattenere a lungo il fiato e a contorcersi come un serpente d’acqua, perché non potessero tenerlo sott’acqua più a lungo di quanto gli durasse il fiato. Quando gli altri dormivano, Orem imparò a muoversi silenzioso e sicuro nel buio, e ogni notte dormiva in qualche angolo diverso della Casa di Dio. lontano dal suo letto, in maniera che non potessero ucciderlo nel sonno. Odiava il diacono Dobbick perché lo costringeva a vivere e a giocare con gli altri, ma contro la sua volontà divenne sicuro di mano e di piede e di occhio, forte di presa e svelto di mente, e il suo corpo divenne duro, capace di sopportare. Nessuno nella Casa di Dio era capace di correre veloce e a lungo come Orem; nessuno sapeva fare a meno come lui del sonno; e nessuno sapeva leggere e scrivere come Orem. Pensava di essere infelice, ma avrebbe ripensato a questo periodo come al più bello della sua vita.
I ragazzi che odiavano Orem di più erano Cressam e Morram e Hob. Non avevano regnato prima dell’arrivo di Orem, ma a causa delle loro crudeli angherie sui più giovani, erano stati utili strumenti dei ragazzi più intelligenti che regnavano. Adesso non avevano alcun compito nella Casa di Dio: erano degli asini a scuola e nessuno dei giochi dei ragazzi erano un compenso della crudeltà e della ferocia.
Così macchinarono la morte di Orem, in parte in mancanza di qualcosa di meglio da fare, e quando ebbero preparato un piano, lo provarono fino a quando non furono sicuri di poterlo attuare in fretta e senza essere notati.
Era il giorno in cui venivano portate le offerte di fieno. Orem con gli altri ragazzi guardava il mucchio diventare più alto e più grande, mentre i contadini portavano i loro doni alla casa di Dio. Orem sperava di vedere suo padre, anche se sapeva che c’erano poche probabilità che la sua famiglia venisse estratta a sorte per portare la decima del villaggio.
D’improvviso Orem si sentì afferrato da molte mani e spinto sotto il fieno. Si agitò e si contorse, ma non era nell’acqua, e loro si erano allenati bene. Orem riuscì a vedere Cressam con in mano una torcia. Poi il fieno lo coprì. Comprese al volo il piano. Cressam sarebbe inciampato. La torcia sarebbe caduta. Avrebbero contato i ragazzi solo dopo aver spento il fuoco, e solo allora si sarebbero accorti che Orem non c’era. Se qualcuno dei ragazzi l’aveva visto, non avrebbe osato dirlo; se Cressam, Morram e Hob avevano ucciso una volta, non avrebbero esitato a farlo una seconda.
Pertanto non cercò di scappare fuori dal fieno, dove le fiamme sarebbero divampate prima. Invece si infilò nel profondo del mucchio. Alle sue spalle sentì un ruggito improvviso, il grido del fuoco. Non poteva vedere le fiamme, ma le sentiva, poi arrivarono il calore e il fumo. Non ebbe bisogno di pensare. Le sue braccia sapevano di dover scavare sempre più a fondo nel fieno, i suoi piedi sapevano di dover buttare dietro il fieno per non far incanalare il fumo dove voleva nascondersi.
Era buio come il grembo di una scrofa nel mucchio di fieno, e poiché i suoi occhi non potevano vedere, la sua mente lo fece, ricordando con vivezza gli incendi di fieno che aveva già visto. Ci volevano solo pochi secondi perché il fuoco girasse tutto attorno, e solo un minuto o due perché si smorzasse. Al centro del mucchio c’era sempre un nucleo non bruciato, un punto dove le fiamme non riuscivano ad arrivare. Questa era la sua speranza.
Ma ricordava anche di aver trovato, frugando una volta fra i resti di un incendio di fieno, il corpo di un topo. Non un solo pelo era bruciato, ma era morto lo stesso, gli occhi spalancati. Anche senza fuoco, il calore e il fumo avevano ucciso fino al centro del mucchio, e Orem si chiese quale forma avrebbe preso la sua morte, e quanto gli avrebbe fatto male.
A questo punto avvenne l’unico miracolo della sua fanciullezza. Il mucchio era stato eretto su terreno solido e asciutto, ma a un tratto la sua mano si allungò per cercare appoggio e non lo trovò. Scivolò e cadde in una pozza d’acqua che non avrebbe potuto esserci. Ebbe la presenza di spirito di tirare un profondo respiro mentre si immergeva; poi si lasciò scivolare giù, giù nell’acqua, senza muoversi, cercando solo di ricordare l’alto e il basso, e di calcolare quanto ci sarebbe voluto perché il fuoco si spegnesse.
D’improvviso ci fu la terra sotto i suoi piedi, e si girò. Quando la testa uscì alla superficie dell’acqua, non era dentro un nido di fieno. Era cenere quella che galleggiava sulla superficie dell’acqua, cenere quella che copriva la sua faccia. Respirò, e l’aria era calda e piena di fumo nei suoi polmoni, ma era aria. Poi il dolore del caldo e del fumo nei polmoni lo colpì, e ricadde nell’acqua. Senza dubbio sarebbe morto, pensò, ma aveva appena battuto i piedi e le braccia quando mani forti lo presero, lo sollevarono, gli schiacciarono il petto. Grandi labbra maschili si chiusero sulla sua bocca per soffiargli dentro la vita, ma Orem spinse via il prete. — Sto bene — disse.
I preti lo guardarono con reverenza, e prete Enzinn disse ciò che tutti loro pensavano. — Abbiamo prosciugato questa palude un secolo fa, e proprio per te l’acqua è riaffiorata alla superficie e ha formato una sorgente sotto il mucchio di fieno. Dio deve amarti, Orem. Non sei destinato a morire.
Da quel momento in poi i preti e gli altri ragazzi seppero che Orem era protetto, e non osarono più sollevare un dito contro di lui.
Nei suoi studi eccelleva. La sua calligrafia era così bella che lo tolsero dalla classe degli scribi e lo misero a copiare manoscritti all’età di dodici anni. Gli permisero di fare una nuova trascrizione delle profezie di prete Cork, e quando ebbe finito lo lodarono per aver scoperto sette nuovi significati nascosti nelle rime e nelle diagonali. Ma ogni volta che le loro lodi tentavano Orem a essere orgoglioso, a parlare spavaldamente di fronte agli altri ragazzi, o a presumere un’amicizia con un prete, lui si sentiva scivolare inerme verso una pozza d’acqua, sentiva i suoi polmoni urlargli in una disperata richiesta di aria, e non riusciva più a parlare.
Così gli anni passarono nella Casa del Signore a Banningside, fino al giorno in cui il suo vero padre lo trovò.