Giunse alle foci del Burimg con la flotta di alte navi del padre. Palicrovol mandò mille cantori per accoglierla al porto. Talmente perfetto era il canto, che il più sordo marinaio della nave più lontana udì tutte le parole.
Risalì il fiume sull’unica galea che suo padre avesse mai costruito, ma i rematori erano liberi, non schiavi, e tutti indossavano vesti fiorite.
Ogni giorno del viaggio, cento donne sedevano sotto coperta intrecciando fiori freschi per farne abiti, in maniera che ogni giorno gli abiti erano nuovi. E quando ella giunse alla grande città di Inwit, mille canestri di fiori vennero rovesciati a monte, e tutto il Burring, da una riva all’altra, fu ricoperto di petali per l’arrivo della Principessa dei Fiori.
Palicrovol in persona l’accolse alla Porta Reale, con i preti di Dio biancovestiti che lo circondavano, e vergini biancovestite dal convento fecero scendere la Principessa dei Fiori dalla nave del padre. Palicrovol si inchinò di fronte a lei, e il corteo che le si fece incontro iniziò la Danza della Discesa.
La Danza terminò al palazzo, nella Sala delle Risposte, una stanza che non era stata aperta da un secolo, perché era troppo perfetta per essere usata. Avorio e alabastro, ambra e giada, marmo e ossidiana erano il pavimento, le pareti, il soffitto della Sala delle Risposte, e qui la Principessa dei Fiori scelse di portare il suo anello sul dito medio della sinistra, ma all’inizio del dito, per indicare fecondità e fedeltà; e (Oh meraviglia!) anche Palicrovol portava l’anello al medio della destra, all’inizio del dito, per indicare adorazione e indeflettibile lealtà. Le centinaia di ospiti che assistevano acclamarono.
E in quel momento, una donna imperiosa avanzò nella sala, conducendo un grottesco nano nero legato a una catena d’oro, e Enziquelvinisensee Evelvenin si voltò a guardare la donna, e il matrimonio venne interrotto.
— Bene — disse la donna straniera.
Il nano intonò una canzoncina.
“Pur se brutta tu non sei,
non sei bella come lei.”
Palicrovol parlò da dietro la Principessa dei Fiori. — Chi sei? Come sei entrata nel palazzo?
— Chi sono io, Urubugala? — chiese la donna.
— Questa signora è Bella, la più grande di tutti gli dèi — disse il nano. — Per primo ha incatenato il Cervo alle radici del mondo. Poi ha catturato le Dolci Sorelle, intrappolandole in corpi buffissimi. Poi ha piegato Dio e l’ha imprigionato. E alla fine è venuta dal povero Sleeve e l’ha disfatto, disfatto, disfatto.
— Sleeve — disse Palicrovol. — È venuta da Sleeve.
— Mi riconosci, Palicrovol? — chiese la donna.
— Asineth — sussurrò lui.
— Se mi chiami con questo nome, non mi conosci ancora. — Si rivolse alla Principessa dei Fiori. — Così tu sei ciò che lui ama di più al mondo. Vedo che sei molto bella.
Ancora una volta il nano cantò con la sua strana voce.
“Certo Bella è molto bella,
ma vorrebbe il corpo
di una ancor più bella.”
— Vedo che sei molto bella — ripeté la straniera. — Perciò mi sembra giusto che Bella abbia questo viso e questa forma.
Enziquelvinisensee vide la donna trasformarsi di fronte ai suoi occhi, in una faccia che conosceva e non conosceva. La conosceva perché era la sua faccia, e non la conosceva perché non la vedeva allo specchio, come l’aveva sempre vista, ma esattamente come la vedevano gli altri. — Questo è quello che gli altri hanno visto di me — sussurrò.
— Mi adori? — chiese Bella. — Non sono perfetta, Principessa dei Fiori?
Ma Enziquelvinisensee Evelvenin aveva fatto voto di dire solo la verità, e non aveva nessuna delle sue donne vicino che mentissero per lei, e così distrusse se stessa dicendo: — No, signora. Perché avete riempito i miei occhi di odio e di trionfo, e io non ho mai provato simili cose in tutta la mia vita.
Le narici perfette di Bella si allargarono un po’ per la rabbia, poi sorrise e disse: — Ciò avviene perché ti sono mancati i maestri adatti. Lascia che ti insegni come è stato insegnato a me, Principessa dei Fiori.
La Principessa dei Fiori non avvertì alcun cambiamento, ma vide la gente intorno guardarla e spalancare la bocca e girare la testa. Aveva paura di ciò che le era stato fatto, e si voltò per guardare il marito, il cortese Palicrovol, che l’amava. Ma anche Palicrovol rimase inorridito da quello che vide, e fece un passo indietro. Fu solo per un momento, poi venne di nuovo verso di lei e la strinse a sé, ma in quel momento Enziquelvinisensee Evelvenin seppe la verità: Palicrovol pensava alla sua bellezza come parte di lei, proprio come tutti gli altri; non la conosceva senza la sua faccia. Tuttavia trovò conforto nel fatto che l’abbracciasse e che parlasse con coraggio contro Bella.
— Credevi di potermi ingannare tanto facilmente, Asineth? — chiese. — Puoi sorprendermi, ma il mio cuore appartiene a un altro cuore, non a un viso.
Bella si limitò a sorridere. D’improvviso, la Principessa dei Fiori sentì Palicrovol prenderla brutalmente per la vita e scaraventarla a terra, lontano da lui. Lo guardò con orrore, e vide l’angoscia sulla sua faccia, mentre le gridava: — Non sono stato io! — Poi, benché cercasse di parlare, rimase muto, ma la Principessa aveva cuore abbastanza per comprendere. Era stata Bella, era stata Asineth che aveva usato le braccia di lui per gettarla a terra.
— Rimani lì stesa, Donnola — disse Bella. — Rimani lì stesa, e vedrai cosa fa tuo marito quando trova un corpo vergine da violentare. Il tuo corpo, Donnola. Peccato che non lo avrai, quando il tuo bel marito si prenderà il suo piacere.
All’inizio Palicrovol si mosse a scatti, mentre Bella imparava a controllare il suo corpo. Le costò più fatica di qualsiasi altra cosa avesse mai fatto, dare battaglia al Re per il controllo della sua carne e vincere… fu il più difficile dei suoi atti di forza. Ma era astuta, e ben presto imparò a sopraffarlo. Poi il suo corpo si mosse fluidamente, e gli altri scordarono che Palicrovol non agiva di libera volontà. Ma la Principessa dei Fiori, adesso chiamata Donnola, sapeva la verità come nessun altro la sapeva, poiché le sue labbra non avevano mai pronunciato una bugia, e ricordava che Palicrovol agiva governato da un’altra volontà. Bella aveva la forza, ma non ancora la saggezza. Allora era soltanto una bambina, e pensava che la vendetta si acquistasse a basso prezzo, con un facile spettacolo.
Così le mani di Palicrovol tagliarono i vestiti dal corpo di Bella, che era il corpo della Principessa dei Fiori. E Palicrovol, gesto per gesto, la violentò come aveva violentato Asineth due anni prima. Solo che questa volta non disprezzò i suoi tentativi di sedurlo. Questa volta, quando il corpo della Principessa dei Fiori si mosse per lui in maniera quasi inavvertibile, gridò di piacere. Quando si staccò dal corpo di lei, gemette per la delusione. Che non finisca, gridò la sua carne. E fino a quando la vide nuda davanti sé, fino a quando ricordò il piacere che il suo corpo e il suo potere gli avevano dato, il suo corpo si contorse più volte per il piacere; anche dopo che il suo seme fu speso tutto, anche dopo che il piacere si trasformò in dolore, fremette per l’impossibilità di averla, per il ricordo di averla avuta, per il desiderio di averla per sempre.
— Uccidetela! — gridò, ma le sue guardie erano scappate da tempo.
— Aiutami — sussurrò a Urubugala, ma il nano disse solo una poesiola:
“Di mattina non dar retta
La sera non c’è fretta.”
— Donnola — disse la Regina Bella — tu sai ora come sono stata servita. Dimmi… è giusta la mia vendetta?
— Ti è stato fatto un torto — disse la Principessa dei Fiori.
— È giusta la mia vendetta?
— Sei giusta a vendicarti.
— Ma la mia vendetta è giusta? — Bella sorrise, come la benedizione di un santo.
— Solo se ti vendichi di coloro che ti hanno fatto del male, e solo se la tua vendetta è uguale al torto subito.
— Suvvia, ho sentito dire che posso contare su Donnola Bocca-di-Verità per sentire il vero. Te lo chiedo per la quarta volta… sono giusta?
— No — disse la Principessa dei Fiori.
— Bene — disse Bella. — Sono stata trattata ingiustamente, e a meno che la mia vendetta non sia mostruosamente ingiusta, non sarò soddisfatta.
— Sono io quello che ti ha fatto un torto — disse Palicrovol. — Prendi la tua vendetta su di me.
— Ma non capisci, Palicrovol, che fa parte della mia vendetta su di te che tu sappia che la tua donna e i tuoi amici soffrono ingiustamente per amor tuo?
Palicrovol chinò la testa.
— Guardami, Palicrovol — disse Bella.
Contro la sua volontà, la guardò e di nuovo spasimò di passione per lei.
— Questa è la mia vendetta. Non ti ucciderò, Palicrovol. Ti disprezzo più ancora di quanto tu hai disprezzato me quando ero debole. Puoi tenerti il tuo esercito, tutti gli uomini che vuoi. Riempi il mondo delle tue armate, e conducile contro di me: le sconfiggerò con un pensiero. Puoi tenerti la Corona del Cervo: non ho bisogno di corone per regnare, io. Puoi governare tutta Burland fuori di questa città; io posso annullare i tuoi ordini ogni volta che voglio. Mi manderai un tributo, ma non tale da impoverire il popolo: non ho l’avidità di mio padre. Non cancellerò le tue leggi e le tue opere. Questa città conserverà il nome di Inwit. Il nuovo tempio che stai costruendo al tuo Dio può continuare a sorgere. L’adorazione che tributano al tuo Dio mi è gradita, dal momento che io governo anche Dio. Ti lascerò tutto tranne questo: non rientrerai mai in questa città mentre io sono viva, e non sarai mai solo mentre io sono viva, e non conoscerai mai un momento di pace mentre io sono viva. E, Palicrovol… io vivrò per sempre.
Urubugala fece una capriola e si stese sul pavimento in mezzo a loro. — Ci sono limiti alla vita di una figlia e di una moglie! — gridò.
— Lo so — disse Bella. — Ma quando il mio potere comincerà a svanire, avrò semplicemente un altro figlio. La prossima volta, credo, uno di dodici mesi. Trovami dei maghi, Palicrovol. Fagli studiare l’argomento nei loro libri.
Mentre rideva, un uomo imponente entrò nella sala, portando una spada e indossando una pesante armatura, ma senza elmo.
— Zymas, scappa! — gridò Palicrovol.
— Oh, resta, Zymas — disse Bella. — La festa non sarebbe completa senza di te.
Zymas non si fermò ad ascoltare né l’uno né l’altra, ma avanzò dritto verso Bella, sollevando la spada sulla testa. Le era quasi addosso, e tutti per un momento sperarono che forse l’azione diretta di Zymas fosse l’antidoto per quell’improvvisa malattia che era caduta sul mondo. Ma no. D’improvviso, i suoi capelli divennero grigio ferro, la faccia si fece vecchia e rugosa, la spada cadde dalle sue dita artritiche e nodose, e Zymas barcollò sotto il peso dell’armatura.
— Zymas, il baldo e coraggioso generale, è morto — disse Bella. — Al suo posto, ecco il capitano della mia guardia di palazzo. Coniglio, lo chiamo. Coniglio lo chiameremo tutti. Perché era un tale codardo che aveva paura di una donna.
Bella guardò coloro che aveva odiato per tanto tempo, e sorrise. C’era autentica bellezza nel suo sorriso, e la Regina dei Fiori sapeva che quando quel viso era stato il suo non aveva mai avuto una simile espressione di estatica gioia. — Coniglio, Urubugala e Donnola.
La mia forza, la mia astuzia e la mia bella faccia. Vi terrò per sempre con me, capitano, buffone e dama. Sarete i gioielli della mia corona. E fuori da Inwit, dove abiterà in eterno, sarà Palicrovol, Re di Burland, che mi ricorderà sempre, e mi desidererà sempre. Se mai dovesse sentire dispiacere per se stesso, potrà sempre ricordare te, e immaginare cosa faccio a te, e questo lo rallegrerà in maniera incommensurabile. — Si avvicinò a Palicrovol, che si contorceva a terra, e gli toccò delicatamente un fianco. Lui gridò, cercò di toccarla e ricadde indietro, instupidito. — Portatelo via — disse Bella. E gli ospiti, che avevano osservato la scena con impotente terrore, le obbedirono, lo portarono fuori dal palazzo, fuori dal castello, fuori da Inwit attraverso la Porta Occidentale.
Fuori dalla città lo attendevano alcuni dei suoi uomini più coraggiosi, che vestirono il suo corpo nudo e lo portarono via. Fra loro era un monaco, che profetizzò che l’uomo che avrebbe ucciso Bella sarebbe entrato attraverso la stessa porta. A causa di questo, Bella fece sigillare la porta, e ordinò che non venisse mai più usata.
Entro un tempo brevissimo, la città di Inwit tornò alla normalità, e meglio di prima. Tutte le leggi di Palicrovol rimasero in forza, e tutte le libertà che aveva concesso rimasero intatte. Bella regnò con tale benevolenza nella sua città, che la gente non rimpianse il cambio di governante. E la sua corte divenne un luogo di sfarzo, che i re delle altre nazioni amavano visitare. Ben presto impararono a non recarsi in visita alla corte di Palicrovol, poiché scoprirono che se tributavano a Palicrovol gli onori dovuti al Re di Burland, venivano perseguitati dalle più fastidiose infezioni. Così dovettero mandare ambasciatori, che ben presto impararono a oltraggiare Palicrovol ogni volta che gli parlavano, per poter evitare le malattie che altrimenti sarebbero capitate loro.
Bella regnava a Inwit, e l’esilio di Palicrovol era iniziato. Tuttavia, con il passare degli anni, lei si rese conto che la sua vendetta era vuota e incompleta. Poiché malgrado tutte le sue ingiurie, non ti aveva cambiato, e non aveva cambiato i tuoi tre amici prigionieri. La nostra carne poteva cambiarla, le nostre vite riempirle di miseria e vergogna, ma noi eravamo ancora noi stessi, e a meno di ucciderci non poteva renderci diversi da quello che eravamo. Restavamo sempre al di là della sua portata, anche se eravamo sempre fra le sue mani.