Svegliarono Orem che era ancora buio; si vestì alla luce delle candele, e percorse il Lungo Camminamento con l’aiuto delle guardie, perché non riusciva a camminare bene da solo. Faceva freddo; Orem aveva talmente diminuito il potere di Bella che la primavera nel Parco del Palazzo si era interrotta. L’inverno del mondo esterno era arrivato, alla fine. I fiori erano tutti morti, gli alberi avevano cambiato le foglie nel rosso e nell’oro; le fontane erano ghiacciate, e il vento, per la prima volta da secoli, soffiava forte.
La Regina teneva Giovane fra le braccia, nella piazza davanti al palazzo. Il bambino vide Orem e lo chiamò. Orem non parlò, rimase in piedi in silenzio, dove le guardie lo avevano fatto fermare. Cercò di escludere la voce del bambino dalla sua mente, ma non ci riuscì. Anche noi, che ascoltavamo, pensavamo di non riuscire a sopportarlo, ma ci riuscimmo.
— Papà — gridò il bambino. — Dove sei stato? Voglio raccontarti una storia.
Donnola, Urubugala e Coniglio erano dalla parte opposta della piazza, rispetto a Orem. Solo Urubugala non stava fermo. Ballava, saltava, si rotolava a terra, faceva capriole; solo una volta venne vicino a Orem, e gli sussurrò: — Tutto quello che lei fa, fallo anche tu!
Poi se ne andò a recitare la parte del buffone in un altro posto, fingendo di essere legato da incantesimi che non riuscivano a legarlo del tutto.
La prima luce apparve nel cielo orientale. Erano all’ombra del palazzo, ma Bella aveva fretta. Lei sapeva cosa era veramente necessario al rito e cosa no; la luce diretta del sole non era necessaria, e lei iniziò il Passaggio.
Tolse tutti i vestiti a suo figlio, e lo fece stendere sul tavolo d’argento. Giovane gridò, perché il metallo era freddo; ma rimase lì, piangendo, mentre anche Bella si toglieva i vestiti. Orem guardò Urubugala… Doveva spogliarsi anche lui? Bella aveva imparato quasi tutto ciò che sapeva dai libri di Sleeve. Urubugala scosse la testa.
Giovane gridò e pregò sua madre di lasciarlo scendere: è freddo, è freddo. Orem sapeva che non poteva fuggire; Bella l’aveva legato, e le reti di Orem erano ripiegate dentro di lui. Noi guardammo, e Orem si mantenne calmo come se le grida di suo figlio fossero i richiami di un uccello, lontani e privi di senso.
Si mantenne calmo e fece tutto quello che faceva Bella, ogni segno delle mani, ogni parola che mormorò. Dopo un po’ Giovane smise di piangere e cominciò a giocare, afferrando le dita di sua madre mentre lei faceva i segni. Se spezzava una sequenza, lei la ripeteva, e lo stesso faceva Orem. Ci volle molto tempo, ma non fece errori; Donnola, Coniglio e Urubugala guardavano, per esserne sicuri.
Mentre il cielo diventava più luminoso, appena prima che il sole superasse il tetto del palazzo, la Regina sorrise e prese uno spillone da un servitore e se lo passò su un braccio, facendone uscire il sangue. Immerse un dito nel sangue e lo spalmò sulle palpebre del bambino.
Cosa devo fare? chiese Orem con gli occhi. La risposta venne da Coniglio, che d’improvviso cominciò a cantare una canzone sconcia dei tempi in cui combatteva nell’armata ribelle di Palicrovol. La solennità venne interrotta; le guardie balzarono addosso al vecchio per farlo stare zitto.
Nella confusione Urubugala andò vicino a Orem e gli prese la mano. Orem era pronto: si era già tagliato un polso con un’unghia. Il sangue aveva formato una goccia sulla leggera ferita. Urubugala ne prese un po’ sulle dita e se ne andò.
Mentre si rotolava davanti all’altare, saltò su e sputò in faccia a Bella. Lei gridò; delle guardie lo legarono, come avevano imbavagliato Coniglio; ma mentre sputava aveva toccato gli occhi del piccolo con le dita sporche di sangue.
Tornata la calma, Bella riprese la cerimonia, ma continuava a guardare il cielo per vedere quanto fosse luminoso. In lontananza si sentivano i rumori di una battaglia appena iniziata, e grida da molte migliaia di gole. Palicrovol finalmente aveva iniziato l’attacco.
Troppo tardi, ormai. Anche se la città fosse stata priva di difese, non avrebbe potuto superare in tempo le mura e i valli.
Altre parole, altri segni; poi la luce del sole splendette dalle torri dell’Angolo del Castello. Bella chinò il capo. Tutto era stato fatto, tranne l’uccidere e il bere.
Ma Bella non prese subito il pugnale. Guardò Orem e gli sorrise. — Marito mio, Piccolo Re, che mi ami lealmente e con tutto il tuo cuore, credi che io mi lasci ingannare così facilmente? Credi che non abbia visto le tue mani muoversi, le tue labbra borbottare? Credi che non abbia visto la mano tagliata, il sangue sugli occhi del bambino? Quanto sciocca mi credete voi sciocchi? Perché neppure Sleeve è infallibile, tanto più con un cervello marcio e ficcato in una testa troppo piccola. Il Passaggio può essere fatto solo fra genitore e figlio se il figlio ha inghiottito il fluido del tuo corpo con le proprie labbra. In tutti questi mesi il bambino ha succhiato il mio seno; cosa ha succhiato di tuo, Piccolo Re?
Orem disperò.
La Regina pronunciò le parole finali del Passaggio.
Giovane gridò per un dolore improvviso e terribile. Tutti i poteri, tutti gli odi, tutta la conoscenza di sua madre passarono in lui. Urlò, e c’erano delle parole che non aveva mai imparato nel suo pianto, imprecazioni nella sua voce di bambino che suonavano ancor più terribili perché la voce avrebbe dovuto essere innocente. Perfino Giovane, per quanto grande fosse il suo cuore, non poteva sopportare il fardello di Bella. Ma le sue grida sarebbero state ben presto interrotte; Bella prese il coltello.
Orem guardò incapace di distogliere gli occhi, malgrado Urubugala agitasse le braccia supplicandolo: guardami, guardami! Alla fine Orem guardò, ma non Urubugala; guardò Donnola, che aveva anch’ella amato il bambino. Lei gli indicò con la testa Urubugala e Orem finalmente lo vide. Sembrò confuso: cosa può volere da me ancora? Urubugala pronunciò le ultime parole del Passaggio; Orem scosse la testa. A che poteva servire, ormai?
Ma Donnola sapeva. — Papà — gridò — perché piangi?
Orem la guardò; anche Bella si fermò, con il coltello pronto a colpire. E Orem ricordò: Giovane che allungava una mano e gli toccava la lacrime all’angolo dell’occhio, e l’assaggiava. Il Passaggio sarebbe stato completo, dopo tutto, se solo Orem diceva le parole.
Bella guardò sospettosamente da Donnola al Piccolo Re. Qual era il trucco? Stavano cercando di farla ritardare, mentre il sole non era ancora spuntato del tutto dal tetto del palazzo? Non poteva ritardare, adesso. Quello era il giorno e il momento, e così la Regina ignorò il loro tentativo, come lei credeva, di distrarla. Si voltò nuovamente verso Giovane e alzò il pugnale.
In quel momento Orem mormorò le ultime parole del rito, completandolo. — Vieni acqua, vieni acqua. Vieni madre, vieni figlia. Vieni padre, vieni figlio. Vieni sangue, e sei finito. Il Cervo ci rende uno, la Cerva per l’uccisione. — In quel momento tutto il potere che Bella aveva legato in lui, andò in suo figlio. In quel momento tutta la magia di Bella venne inghiottita dal Pozzo senza fondo che giaceva sull’altare d’argento sotto il pugnale. In quel momento il pugnale calò e tagliò la gola del bambino. Il sangue sgorgò, soffocando le grida terribili del piccolo in un gorgoglio.
Si rese conto Bella che la forza era sparita dal sangue, prima di bere? Chi può saperlo? Sollevò Giovane tenendolo sopra il catino che un servo porgeva. Entro pochi secondi fu pieno a sufficienza per lei.
Mise giù il bambino, ancora vivo, le cui mani ancora si muovevano, i cui occhi ancora guardavano pieni di dolore; prese il recipiente e bevve.
Troppo tardi. Il bambino morì. Il sangue era inutile. Tutta la sua magia era svanita. Tutta l’energia vitale che aveva messo nel bambino, perché tornasse a lei più forte. Persa. Cambiò sotto i loro occhi; perse la sua faccia rubata, raggrinzì e invecchiò mentre la guardavano, poi si afflosciò sul corpo di Giovane.
La sua morte cancellò tutto. La lealtà delle guardie svanì; non fecero alcun tentativo di fermare Orem, mentre correva a baciare il corpo ancora caldo di suo figlio, piangendo. Alcuni guardarono il Piccolo Re. Altri guardarono Urubugala, i cui occhi erano diventati rosa e la pelle bianca, e la statura alta, come le storie raccontavano di Sleeve.
O Coniglio, che d’improvviso aveva riempito la sua armatura, un uomo forte con il fuoco della guerra negli occhi. Ma d’improvviso tutti gli occhi si volsero a Donnola. Perché davanti a loro, c’era di nuovo Bella.
Il viso di Bella, il corpo di Bella. Li aveva giocati ancora una volta; era sopravvissuta; era viva e si sarebbe vendicata.
Si ritrassero da lei, tutti tranne Zymas e Sleeve.
— Sciocchi — disse Zymas. — La Regina Bella è morta. Questa è la vera e legittima moglie di Re Palicrovol, Enziquelvinisensee Evelvenin. Non avete nulla da temere da lei.
Fu allora che Orem sollevò la faccia insanguinata e piangente dall’altare, e si rese conto che i Compagni della Regina non erano morti. Noi vedemmo la consapevolezza farsi strada in lui; lo vedemmo ricordare che Sleeve gli aveva detto che tutti avrebbero pagato un prezzo. Una bugia. Un trucco per indurlo a fare la sua parte.
— No. Non è stata una bugia — disse Sleeve. — Dipendeva tutto dal fatto se sarei riuscito o meno a fare un incantesimo con il sangue della tua mano. Sono riuscito a sostituire i suoi incantesimi quel tanto sufficiente a riportarci all’età che avevamo quando ci ha legati… Non ero sicuro di farcela.
Ma Orem non disse nulla. Guardò solo da Zymas a Sleeve, da Sleeve a Zymas.
Enziquelvinisensee Evelvenin, provando pietà per lui, corse da lui per chiedergli perdono per la bugia a cui aveva involontariamente, contribuito. Ma Orem vide la sua faccia e urlò, cercò di saltarle addosso e di colpire quel viso che non aveva diritto di essere vivo.
Forse pensò che fosse Bella… era fuori di sé. Lo portarono via da lei; immediatamente smise di lottare, si prese la testa fra le mani e pianse.
Fu allora che il Cervo arrivò dal Parco e camminò tranquillamente verso l’altare. Infilò le corna sotto i due cadaveri e li sollevò. Fu una cosa curiosa: i corpi si sollevarono, eppure rimasero, come se il Cervo avesse scoperto la verità della madre e del figlio e l’avesse sollevata, lasciando indietro la carne vuota.
Li sollevò e li portò via esultando; e i due corpi vennero portati via, in alto fra le cento punte luminose delle corna del Cervo.
Orem li guardò sparire fra gli alberi. Poi si scosse come un cane bagnato; e fece come per andarsene. Le guardie lo trattennero finché Zymas non disse: — Lasciatelo andare. Dobbiamo affrettarci a restituire la città al Re, prima che un’altra sola vita sia persa! — Fu sufficiente, per le guardie. Seguirono Zymas di corsa fino alle porte del palazzo, affrettandosi verso l’Angolo del Castello per issare la bandiera di pace, per abbassare e stracciare il vessillo di ermellino di Bella.
Enziquelvinisensee si volse a guardare Orem Fianchi-Magri, non più Piccolo Re, mentre si allontanava dal posto dove aveva perso tutti i suoi amori e la sua fiducia. Quasi lo chiamò. Quasi corse da lui chiedendogli perdono. Ma questo l’avrebbe ingannato. Avrebbe potuto pensare che lo amava. Avrebbe potuto dimenticare che lei apparteneva a Palicrovol. Avrebbe potuto cercare di gettare un ponte sui secoli. Ma Palicrovol, tua moglie non era così sciocca. L’amore non fa miracoli; non poteva accadere.
Guardò Orem sparire alla vista, poi andò a guardare il ritorno del Re, per darsi a colui che aveva amato perfettamente lungo i secoli. Era ancora vergine, dopo tutto; c’era un matrimonio da consumare. Avrebbero iniziato nuovamente ciò che era stato solo rimandato. Ma non gioì nel suo cuore. Provò dolore sapendo che Orem Fianchi-Magri l’odiava; e provò ancora più dolore sapendo che aveva ragione.