9 L’UOMO DAGLI OCCHI D’ORO

In cui si narra di come quasi incontrasti tuo figlio, anche se non sapevi di avere un figlio, e di come lo indirizzasti su quella strada che lo condusse a fare quelle cose per le quali tu vorresti ucciderlo.

La fine dell’educazione

Orem sedeva di fronte al diacono Dobbick, che stava esaminando la sua copia del Risveglio dei Vini. D’impulso, aveva scritto le parole gemma, germoglio, giglio, gelo nelle indicazioni dell’età delle botti, e altre simili annotazioni sparse per il libro. Dobbick di tanto in tanto aggrottava la fronte, e Orem temette di aver insinuato troppi significati nel libro. Avrebbe voluto parlare, scusarsi, spiegare. Ma il silenzio, lo sapeva, era la linea di condotta migliore.

Così guardò dalla finestra la strada sottostante. C’era Yizzer il sordo, seduto al suo solito posto alla porta della Casa di Dio, che gridava con voce che poteva essere sentita in ogni angolo dell’edificio:

— Oh signore buon signore hai, il dono di Dio sul viso oh signore sei generoso signore Dio ti sorride per i tuoi doni e Dio dirà i tuoi nomi più nascosti con benedizione i tuoi nomi più nascosti — e così via in un eterno monologo che era singolarmente efficace per carpire monete agli stranieri di passaggio. I novizi erano convinti che Yizzer non fosse più sordo di loro, ma per quanto lo canzonassero dal cortile dei giochi, non erano mai riusciti a interrompere le sue grida né a indurlo all’ira o alle risa; se fingeva soltanto di essere sordo, era molto bravo.

Se non avessi abbastanza da mangiare, diventerei anch’io un mendicante?

Dobbick mise giù il libro. — Hai superato te stesso.

Orem non si era reso conto di quanto fosse teso fino a quando non si rilassò. — È sufficiente, allora?

— Oh sì. Lo certificherò come il tuo capolavoro.

Orem rimase di sasso. — Il mio capolavoro? Ma ho solo quindici anni.

Dobbick rimase in silenzio, costringendo Orem ad aspettare con pazienza che parlasse. Finalmente disse: — La tua educazione è terminata, Orem.

— Ma non è possibile. Non ho ancora letto metà della biblioteca, e il mio lavoro è ancora rozzo…

— Il tuo lavoro è il migliore che si sia mai visto a Banningside da quando la parola di Dio è giunta per la prima volta in queste terre. Chi credi che abbia scritto il manoscritto che hai copiato del Risveglio dei Vini?

— Non lo so. Non sono mai firmati.

— Prete Abrekem.

— Lui?

— Il profeta che per primo insegnò a Palicrovol le vie di Dio. E tu hai migliorato il suo lavoro. Non di poco… in maniera notevole. Cos’altro possiamo insegnarti a Banningside? I libri che non hai ancora letto non contengono nulla di cui tu abbia bisogno. Hai preso i nostri libri più difficili e li hai ingoiati interi.

Orem aveva saputo di essere bravo, ma non si era mai immaginato fino a quel momento che la sua educazione potesse essere finita. — Non sono ancora un uomo.

Sei un uomo — disse Dobbick. — Sei la creatura più alta nella Casa di Dio. Ti chiameremo ancora ragazzo?

— Non sono saggio.

— Non abbiamo mai detto di poterti insegnare la saggezza. Solo che ti avremmo insegnato cosa scrivono gli uomini saggi.

— Non posso prendere i voti.

Ah. Ecco la cosa che aveva avuto tanta paura di dire, che aveva pensato di non dover dire per alcuni anni ancora.

— Perché no? — chiese Dobbick quietamente. — La vita non è male qui. Sei stato felice con noi.

Orem guardò dalla finestra.

— È il mondo? È questo che ti attira? Ma non è necessario che tu stia dentro la Casa. Potresti essere un questuante…

— No…

— Magari il nostro intendente… oppure potremmo mandarti al Grande Tempio di Inwit; saranno felici di averti, e noi saremo felici di te al tuo ritorno.

— Non capite.

— Credi di no? — disse Dobbick. — Sei preoccupato perché pensi di non avere fede abbastanza per essere un prete. È una malattia dei quindici anni. Quando la carne si agita, lo spirito sembra irreale.

— Se la mia carne si agita, io non lo so — disse Orem. — Il mio problema non è la mancanza di fede. Il mio problema è la troppa fede.

Gli occhi di Dobbick si strinsero. — Eri un bambino quando sei arrivato qui. Non ti sei ancora liberato dalle sciocche superstizioni?

— Vi è della magia nel mondo. Le donne che amano le Dolci Sorelle non negano Dio. Perché gli Uomini di Dio devono negare le Sorelle e il Cervo?

— Il mondo è più complicato di quanto tu creda.

— No, diacono Dobbick. Il mondo è più complicato di quanto voi crediate. Non voglio vivere in un terzo dell’universo, quando posso percorrerlo tutto.

— Dunque lascerai le benedizioni e le orazioni e i salmi per prostrarti davanti alle fate con libagioni?

Orem rise. Non poteva fare a meno di ridere quando Dobbick faceva le rime, e Dobbick lo sapeva.

— Suvvia, Orem. Non devi decidere oggi. Fino a quando non ti verrà a noia, c’è abbondanza di codici da copiare. Quando uno riceve il certificato di maestro chierico, di solito prende i voti o se ne va, ma possiamo anche accettarti come fratello laico… è una condizione onorevole, che ti segnala come nostro uguale in sapienza, se non in santità. Ma non farò più finta di essere tuo insegnante. Non leggo i tuoi manoscritti per correggerli… li leggo per imparare quali nuovi e brillanti significati hanno acquistato.

Orem, allora, disse la cruda verità, anche se sapeva che avrebbe urtato Dobbick. — Come potete leggere il mio lavoro e trovarci delle verità, quando io mi limito a giocare? Se i miei giochi, i miei indovinelli, i miei rompicapi vi sembrano la verità, che altro posso pensare se non che tutte le altre verità non sono che giochi, indovinelli, rompicapi?

Ancora una volta Dobbick rimase in silenzio. Alla fine disse: — Forse sei troppo giovane per sapere che i giochi e gli indovinelli sono la sola verità che abbiamo, e per questo sono preziosi per noi.

Vergognandosi di aver offeso il suo maestro, Orem andò alla finestra e guardò fuori. C’era dell’agitazione e della fretta nella gente che passava in strada, e non era neppure giorno di mercato. Poi il suono delle trombe, che si avvicinava. Stava giungendo l’esercito, dunque? E Re Palicrovol avrebbe cavalcato alla sua testa? Era l’unica cosa che interessasse veramente Orem, in quei giorni; la sola menzione del nome di Palicrovol risvegliava qualcosa nel ragazzo. Che sorta di uomo è il Re? si chiedeva Orem. Che sorta di uomo era colui che parlava, e gli eserciti gli obbedivano, che chiamava, e mille preti pregavano per lui?

— Sembri attratto dalla finestra.

— Gli stendardi hanno attirato il mio sguardo. Potete chiudere la finestra.

— Il che significa che la vuoi aperta. Credi che non ti conosca?

— No.

— Non sei diverso dagli altri ragazzi. Sogni di Palicrovol e della sua malvagia e inutile speranza di riconquistare una città che aveva rubato fin dall’inizio.

— È un Uomo di Dio, no? — replicò Orem.

— Solo di nome. Tiene qualche prete, per le apparenze. Ma è con i maghi che si guarda dalla Regina, lo sciocco.

Fuori dalla finestra, la porta nella palizzata della città si stava aprendo… sì, arrivava il Re, perché fuori dalla porta c’erano soldati a cavallo e soldati a piedi, splendenti nelle corazze e negli elmi d’acciaio. Era uno spettacolo impressionante, ma Orem non era affascinato dai soldati. Era la magia che attirava i suoi sogni. Non la magia delle Dolci Sorelle, ma la magia della testa dalle cento punte, la Corona del Cervo. Era Re Palicrovol, i cui maghi combattevano ogni giorno contro la Regina. E mentre Orem pensava al Re, Palicrovol passava per la porta di Banningside su un’alta sella, su un alto destriero grigio, e sulla sua testa brillava la Corona del Cervo di Burland. Era Re dalla testa ai piedi. Non girava per nulla la testa, ma guardava dritto davanti a sé mentre la folla lo acclamava e gli gettava rose.

Giunse più vicino, e Orem ebbe un brivido, mentre il sole si rifletteva splendente dagli occhi di Re Palicrovol. Al posto degli occhi c’erano due sfere d’oro, che brillavano alla luce del sole, tali che il Re non poteva vedere nulla. — La Regina guarda attraverso gli occhi di Palicrovol, oggi — disse Orem. — Perché lo fa, dal momento che possiede la Vista?

Dobbick gli rispose in tono sorprendentemente irato. — Se avessi appreso qualcosa su Dio, sapresti che la Vista della Regina non può penetrare un Tempio o una Casa di Dio, o il settimo cerchio dei sette cerchi. E perché credi che re Palicrovol non si circondi di preti per tenere lontani gli occhi della Regina? Perché anche lui è nero nel cuore. Perché è il tipo di uomo disposto a violentare una bambina sui gradini del Salone delle Facce, per rubare la corona che era l’unico dono che lei potesse dare. Dio non ha nessuna parte di lui, Orem. E Dio non avrà alcuna parte di te, se ti volgi alla magia come…

Ma questa volta fu Dobbick a interrompersi e a guardare dalla finestra. Poiché la folla, fuori, era caduta nel silenzio, e quando Orem guardò nella direzione in cui guardava il diacono, vide che Re Palicrovol si era arrestato, si era tolto la Corona del Cervo dalla testa e la teneva davanti a sé.

Il Re girò gli occhi ciechi da una parte e dall’altra, come se vedesse e cercasse qualcosa. — No! — gridò una voce strana e lamentosa, e ci volle un momento a Orem per rendersi conto che era il Re a parlare con quella voce. — Oh, Inwit, non qui, non attraverso i miei occhi. — Poi il Re alzò la testa e i suoi occhi d’oro parvero fissarsi sulla faccia di Orem, e il Re indicò il cuore di Orem e gridò: — Mio! Mio! Mio!

Dei soldati uscirono dai ranghi, e d’improvviso Orem si sentì tirare indietro. Era Dobbick, e la sua voce era piena di paura. — Oh Dio, oh Dio, oh sette volte sette i giorni bui che vengono dall’essere incauti. Oh Dio, Orem, ti vuole, vuole averti…

Orem era confuso, e non fece resistenza mentre Dobbick lo portava fuori dalla stanza. L’obbedienza era da tanto tempo il suo modo di vita che non aveva alcuna strategia per liberarsi dalla stretta del diacono mentre lo trascinava su e giù per scale, attraverso porte solitamente chiuse, e infine in una botola che conduceva in un cunicolo.

— La Casa di Dio è antica — disse Dobbick — è stata costruita prima che Dio avesse la Sua vittoria su tutti gli stranieri e tutte le potenze. Questo cunicolo sbuca vicino al fiume, fuori dalla palizzata. Vai a casa. Vai alla fattoria di tuo padre e di’ addio alla tua famiglia, poi vattene. Lontano, verso il mare, verso le montagne, dovunque il Re non possa trovarti.

— Ma che significa?

— Significa che il Re vuole usarti per la sua battaglia. E di questo puoi essere sicuro: sarà a tuo danno. Un uomo come Palicrovol non ha vissuto tre neri secoli pagando lui lo scotto. Nel gioco del potere ci sono solo due giocatori, e tutti gli altri sono pedine. Oh, Orem, se solo fossi entrato nei sette cerchi, solo un passo, non avresti nulla da temere da lui. Sa Dio quanto mi dispiace lasciarti andar via.

— Cosa mi sta succedendo? — chiese Orem, spaventato tanto dall’inaspettata espressione d’amore e dispiacere di Dobbick, quanto dall’episodio accaduto con il Re.

— Non lo so. Qualsiasi cosa sia, tu non la vuoi.

Ma in quell’istante Orem seppe che la voleva. In quell’istante seppe che la sicurezza della Casa di Dio era ciò che più odiava. Nella Casa di Dio non si sarebbe mai fatto un nome, o trovato un posto, o guadagnato una poesia. Qui, su quella porta segreta, era sull’orlo di tutte e tre le cose: poteva sentirlo nella paura della sua pancia e nella chiarezza della sua visione.

— Hai quindici anni, sei solo un bambino — disse Dobbick. Ma Orem sapeva che quella era l’età in cui i soldati entravano nell’esercito, l’età in cui un uomo poteva prendere moglie. Solo nella Casa di Dio a quindici anni uno era ancora giovane. — Ah sì — disse Dobbick, tracciando i sette cerchi sulla faccia di Orem, con dito affettuoso. — Non mi ero sbagliato: non sei uno strumento nella guerra di Palicrovol, Orem. Sei uno strumento di Dio.

Questo fece arrabbiare Orem. — Io non sono uno strumento.

— Oh, siamo tutti strumenti, tutti. Non vuoi essere servo di Dio, vero? Bene, servi te stesso, Orem, e credo che finirai per servire Dio lo stesso.

Poi, un Dio-sia-con-te, e Orem partì, e la porta si chiuse alle sue spalle. Orem scese un breve tratto di quella che sembrava una fogna ma non lo era, poi si arrampicò lungo un canale, fino all’uscita che era ostruita dal fango e dai cespugli. Sentì il diacono chiamare dall’alta parte del condotto: — Orem! In qualsiasi posto tranne Inwit!

In qualsiasi posto tranne Inwit? Oh, no, rispose silenziosamente Orem. Solo Inwit per me. Qualunque cosa potesse aver significato il dito puntato del Re, significava questo: Orem aveva una poesia dentro di sé e intendeva guadagnarsela. E se Inwit era il posto dove l’Uomo di Dio pensava che lui non dovesse andare, Orem sapeva che era Inwit a chiamarlo. Per prima cosa a casa, come aveva detto Dobbick, per salutare, altrimenti suo padre ne sarebbe rimasto addolorato. Poi a Inwit, dove scorreva tutta l’acqua del mondo.

Sono veloce come un cervo, si disse Orem mentre correva lungo le strade di campagna. Corse all’infinito, senza stancarsi, sembrava, e poi camminò, fino a quando non gli tornò il fiato, poi corse ancora. Le gambe non gli facevano male; il dolore al fianco arrivò e quasi lo uccise, poi se ne andò. E più presto di quanto avesse creduto possibile fu a casa. In tutti quegli anni aveva tanto desiderato ritornare, ed era sempre stata tanto vicino.

— Perché non resti qui? — chiese il suo vecchio padre. — Ne sarò felice.

Ma era un’offerta vuota, perché Avonap non sarebbe vissuto per sempre. I suoi fratelli erano accigliati, e sua madre Molly fissava il fuoco. Orem rise. — Con te ci starei per sempre, padre, ma tu staresti con me?

— Cosa farai, allora? Posso insegnarti la strada per Scravehold. Ci sono andato una volta, con mio padre.

— Non è quello il Fuoco che desidero vedere.

Il fratello più grande di Orem rise. — Cosa ne sa del fuoco uno color cenere come te?

— Più della paglia — replicò Orem, perché non aveva paura di suo fratello, che non ne sapeva nulla di astronomia e di numeri e non sapeva scrivere il suo nome.

— Inwit — disse la madre di Orem.

Orem la guardò sorpreso, e per la prima volta il suo entusiasmo venne raffreddato. Quello che sua madre voleva per lui non poteva essere buono. O era possibile che lei potesse davvero condividere un sogno con lui?

— È ad Inwit — disse Molly — che deve andare il decimo figlio e il settimo maschio.

— Zitta, Molly — disse il padre pieno di dolore.

— Inwit — disse Molly. — Inwit.

Fu così che Orem non ripartì di corsa, come era venuto. Camminò, e il suo passo era lento, i suoi pensieri profondi. Cosa significava il fatto che anche sua madre desiderasse una poesia per lui?

Andò sulla riva del fiume nel posto segreto di sua madre, aspettando qualche imbarcazione che lo portasse lontano. Mentre attendeva, scrisse sul fango della riva, chiedendosi cosa avrebbe pensato sua madre degli strani segni, quando fosse venuta lì a bagnarsi. Scrisse:


Orem a Banningside

libero e in fuga

Palicrovol

vedendo, sospirando.


E i numeri addizionati dall’alto al basso dicevano:


Vedimi diventare grande


Non notò quello che Dobbick avrebbe notato: che i numeri aggiunti dal basso verso l’alto dicevano:


Mio figlio che muore


Non sapeva ancora che un uomo può giocare agli indovinelli e senza volerlo dirsi la verità.

Verso il tramonto arrivò la zattera di un droghiere, che si teneva prudentemente vicino alla riva, in quel punto pericoloso dove la corrente era troppo veloce. Il droghiere era dalla parte opposta della zattera, e lottava contro le onde con un’aria spaventata. Orem lo chiamò: — Hai bisogno di una mano per il viaggio?

— Solo se sai nuotare — gridò quello in risposta.

Così Orem si levò la camicia e se la legò al petto, strinse la sua bisaccia di tela fra i denti e nuotò sul dorso verso la zattera. Aveva calcolato bene la corrente, e con la mano colpì il bordo dell’imbarcazione. Gettò la borsa sopra la sua testa e salì a bordo. Il droghiere lo guardò, fece una smorfia e disse: — La tua voce è bugiarda. Credevo che fossi un uomo.

Ma Orem rise e prese il piccolo remo, mentre il droghiere teneva il palo, e insieme manovrarono la zattera attraverso la caverna di foglie, fino a quando il fiume non si allargò e rallentò e fu di nuovo sicuro. Allora Orem mise giù il remo, si slegò la camicia e l’infilò.

Si voltò a guardare il droghiere e disse: — Bene, se non ho fatto il lavoro di un uomo, dillo e me ne vado.

Il droghiere lo guardò torvo, ma non gli disse di andarsene. La mia avventura è iniziata, pensò Orem. Sono indipendente, adesso, e posso far sì che il mio nome significhi ciò che desidero.

Загрузка...